Kitabı oku: «La figlia dei draghi», sayfa 4
CAPITOLO SETTIMO
Intrappolato in una tomba con un drago da una parte e gli Invisibili dall’altra, Renard si era trovato in situazioni più scomode. Non gliene veniva in mente neanche una, ma era certo che dovessero esservene.
In teoria, certo, poteva rendere l’intera questione molto semplice: poteva aspettare che il drago se ne andasse e poi uscire per incontrare gli Invisibili. Tutto ciò che doveva fare, era porgere loro l’amuleto che anche adesso drenava le sue forze come un foro sul fondo di un serbatoio.
Non poteva farlo, però. Al contrario, Renard avrebbe dovuto uscirne con le maniere forti.
Controllò cauto le pareti della tomba interna, sperando che vi fosse una qualche via d’uscita nascosta, una fessura o un tunnel che non c’erano stati quando i creatori del posto lo avevano costruito sulla pendenza del vulcano. Un modo carino e comodo per uscire non sembrava troppo esigente come richiesta, giusto?
A quanto pareva, lo era; il che significava che o passava da dov’era arrivato, oppure… oppure usciva dall’apertura soprastante lo spazio principale del mausoleo. Abbracciare la sua morte contro essere catturato dagli Invisibili per cercare di oltrepassarli… Messa così, non aveva proprio scelta.
Renard aprì la serratura delle porte dorate della tomba con i suoi arnesi, udendone lo scricchiolio, sentendo il sudore scorrergli sulla fronte al pensiero di cosa poteva esserci appena oltre. Ancora il suono dei graffi; il drago artigliava per entrare e Renard restò immobile, finché il rumore cessò. Attese un altro minuto, poi due.
Poteva restare lì seduto per sempre ad ascoltare ma, prima o poi, avrebbe dovuto muoversi. Lo fece, aprendo la porta scricchiolante e affacciandosi. Il cielo soprastante era più tenue, la luce nel mausoleo meno forte adesso. Renard non osò accendere la sua lanterna, però, perché quello avrebbe senz’altro attirato l’attenzione della bestia. Al contrario, scivolò fuori, osservando quanto era visibile con la luce naturale.
Laggiù, dal lato opposto della recinzione cavernosa, poteva vedere la mole della creatura. Era ferma, raggomitolata quasi come un gatto che dorme, il suo fianco si sollevava e abbassava lento, seguendo il suo respiro. Renard si tenne a distanza, sospettando che persino il rumore più impercettibile avrebbe svegliato il drago.
Nella luce tenue, ispezionò le pareti interne del cimitero al meglio che poteva. I livelli più bassi erano ricchi di incisioni e monumenti; una scalata facile per uno come lui. Più su, però, la pietra lavorata pareva lasciare spazio alla roccia naturale e quella sembrava una scalata molto più difficile di quanto era stata quella esterna.
O la faceva oppure restava ad attendere che il drago si svegliasse, dunque Renard iniziò a scalare. Si mise in partenza, usando la statua di un guerriero dimenticato per posarvi un piede, poi si lanciò più su per aggrapparsi a un frammento superiore di pietra lavorata. Oscillò con il corpo, piegandosi nel processo, spostandosi ancora più in alto.
Renard sussultò quando un grottesco volto di pietra, al quale era aggrappato con la mano, cedette; parte di esso iniziò a ruzzolare giù. I suoi riflessi, almeno, erano ancora buoni e la sua mano scattò ad afferrarlo, invece di lasciare che sferragliasse contro al suolo sottostante. Per un momento, Renard si tenne con una mano sola, mentre con l’altra sorreggeva quel volto di pietra deformato che sembrava trovare l’intera situazione molto divertente. Era felice che almeno per uno dei due lo fosse.
Cauto, perlustrò la parete con i piedi e trovò un supporto. Con altrettanta precisione, sistemò il volto di pietra su una sporgenza rocciosa dalla quale non sarebbe caduto, rischiando di disturbare il drago sottostante.
Si mosse più rapido adesso, consapevole che neanche la sua presa avrebbe retto tanto a lungo. Si spostò da un supporto all’altro, allungandosi, mettendo in posizione una mano o un piede, spostando il peso. Cercò di definire il suo percorso fino alla zona che esibiva la vegetazione e il respiro gli si bloccò quando notò un problema.
C’era un punto in cui la roccia aveva ceduto, eliminando qualsiasi supporto. Se avesse avuto tempo in uno spazio come quello, non sarebbe stato un problema, perché Renard avrebbe lavorato con punte e martelli e si sarebbe creato una via con le sue mani. Lo aveva fatto una volta nella stanza del tesoro di un mercante, dove persino toccare il suolo avrebbe attivato un’elaboratissima serie di trappole. Adesso, però, non sapeva quanto tempo aveva a disposizione prima che il drago si svegliasse, e non poteva certo far rumore smartellando sulla roccia. Quello lasciava aperta solo un’opzione: sarebbe dovuto balzare oltre al vuoto per raggiungere il supporto successivo.
Per un momento, Renard pensò di tornare a terra e uscire dal tunnel principale, per cercare di sgattaiolare oltre gli Invisibili. In qualche modo, però, dubitava che avrebbe funzionato. Lo avrebbero catturato e poi…
Sì, c’erano senz’altro cose peggiori di cadere.
Lanciò uno sguardo in basso in quel momento e, sotto di lui, vide che uno dei grandi occhi dorati del drago era aperto.
Quello spinse Renard a balzare come nient’altro poteva fare. Udì il ruggito del drago mentre si spingeva in alto e il suo corpo sembrò sospeso nel vuoto per un periodo infinito, prima che le sue mani trovassero una sporgenza rocciosa più su. Aveva i bordi affilati, che gli tagliarono in profondità nelle mani, ma non gli importava; adesso contava solo continuare a salire, fino all’aria aperta sulle pendenze del vulcano.
Il drago uscì, lasciando il vuoto alle sue spalle; ali forti lo sollevarono su nel cielo. Volò in cerchio e, per un attimo, Renard pensò che potesse voltarsi e dirigersi dritto verso di lui. Tuttavia, qualcosa sembrò distrarlo, forse la vista di una preda in lontananza, o forse qualcos’altro. Virò e si allontanò battendo rapido le sue ali.
Renard si adagiò sulla schiena per lunghi secondi, cercando di riprendere fiato dopo quegli ultimi momenti di terrore. Non poteva rimanere così a lungo, però, perché non aveva modo di sapere quando la bestia avrebbe deciso di tornare a prenderlo. Ancora peggio, in assenza del drago, gli Invisibili potevano pensare che valesse la pena addentrarsi sulla sua scia dentro al mausoleo, potevano essersi accorti che se n’era andato.
Si costrinse in piedi, solo perché gli serviva quanto più vantaggio possibile con dei nemici del genere; e loro erano suoi nemici adesso. Lo erano diventati dal momento che li aveva sfidati, dal momento che non si era limitato a tornare da loro con l’amuleto.
Lo avrebbero forse ucciso lo stesso, certo. Le persone di quel genere erano quelle che avrebbero tradito un ladro. Esisteva ancora l’onore nel mondo? Certo, facendo così, avrebbe messo più che se stesso in pericolo. Cosa avrebbero potuto fare a Yselle, o agli altri residenti delle terre di Lord Carrick?
Renard doveva solo sperare che fossero troppo impegnati a scovare lui e quella sembrò una speranza stupida per un uomo. Tuttavia, si mise in partenza lungo la pendenza opposta del vulcano e verso i terreni coltivati più sotto, muovendosi rapido adesso. Poteva sentire il piccolo gocciolio di forza che correva via da lui tramite l’amuleto, ma sembrò che finché non avesse provato a usarlo, sarebbe rimasto solo un gocciolio.
Proseguì ed era alla fine della pendenza, quando si guardò indietro e vide tre figure incappucciate più in alto in lontananza. Sembrava che Void, Wrath e Verdant avessero capito cosa aveva fatto e quello significava che doveva correre.
Corse, precipitandosi verso i campi attorno a lui, ma il paesaggio sembrò esplodere di pericoli. Un albero agitò i rami nella sua direzione e Renard a malapena riuscì a schivarli. Una roccia si scompose in frammenti affilati come rasoi, costringendolo a gettarsi a terra. Si alzò e continuò a correre.
Balzò oltre una parete bassa e rocciosa e corse attraverso i campi, guizzando da una parte all’altra, abbassandosi e sperando che i segreti oscuri infusi negli Invisibili avessero un raggio limitato. Guardandosi alle spalle, pensò che i raccolti lo oscurassero alla loro vista, ma sapeva bene di non potersi fermare. Aveva abbastanza esperienza in materia di fughe da sapere che non significava niente.
Proseguì e adesso trovò un ruscello ampio, torbido e forse profondo fino alla vita. Oltre a esso, c’era un campo aperto con solo un accenno di manto, alberi e cespugli. Un uomo come Renard sarebbe riuscito a nascondersi lì, ma per quanto tempo? Doveva esserci un nascondiglio migliore. Guardando il fiume, Renard pensò che avrebbe potuto vedervi qualcuno, ma cosa se…
“Ti troveremo!” ringhiò Wrath da qualche parte dietro di lui. “E poi ti scioglierò gli occhi che hai in cranio!”
Gli venne un’idea a quel punto e dunque fece un respiro profondo, si immerse nelle acque torbide e si accucciò sul fondale.
D’improvviso, quelle acque sedimentose sottrassero il mondo soprastante alla sua vista, se non per ombre sbiadite. L’acqua era fredda e scorreva rapida attorno a lui, ma Renard restò dov’era e non osò muoversi quando tre sagome comparvero sulla sponda più su. L’eco delle loro voci filtrò giù a raggiungerlo.
“…parte è andato?” domandò Wrath, con indosso la sua rabbiosa maschera rossa.
“Lo troveremo,” rispose Verdant con la sua voce melodica, e gridò. “Esci, Renard, tesoro. Vieni a giocare con noi!”
C’era qualcosa in quel tono di voce che incoraggiava gli arti di Renard a reagire per conto loro. Dovette battersi per tenerli saldi sul posto, e dovette battersi anche per altro. I suoi polmoni stavano iniziando a dirgli che era il momento di risalire per prendere aria, ma se l’avesse fatto, sarebbe sbucato dritto sotto agli occhi degli Invisibili. Il terrore di ciò che poteva accadere trattenne la sua testa sott’acqua.
Quanto a lungo sarebbe resistito senza affogare, però… I suoi polmoni iniziavano a bruciare mentre, sopra di lui, Void si stava guardando intorno, più spaventoso di tutti gli altri messi insieme con quella sua maschera bianca.
“Andate avanti,” disse. “Trovatelo. Trovate il reperto.”
Sopra a Renard, Verdant avanzò fino alla sponda. Rami e piante rampicanti si allungarono sopra all’acqua, formando un ponte vivente che scricchiolava e si piegava mentre quei tre vi camminavano sopra, continuando la loro caccia.
Persino quando scomparirono, Renard restò lì sotto il più possibile, prima di risalire per prendere fiato. Resistette finché la vista non iniziò a rabbuiarglisi, perché ogni secondo che aspettava era un altro che i suoi inseguitori usavano per allontanarsi da lui.
Alla fine, non resistette più e risalì in superficie, ansimando.
“Dannazione,” disse fra sé e sé. “Dannati tutti loro!”
Tenne in alto l’amuleto, la sua forma ottogonale che conteneva la squama di drago, circondata da rune e gemme di diversi colori. Era ciò che volevano, ma Renard sapeva di non poter dare qualcosa di così potente a persone di quel genere. Né poteva tenerlo con sé, non quando lo sentiva spremergli la vita, pezzettino dopo pezzettino.
Ciò di cui aveva davvero bisogno era uno stregone di un qualche genere che gli dicesse cosa farne, ma Renard non ne conosceva neanche uno. Non aveva esperienza in materia di amuleti magici, nessuna esperienza di draghi o formule in grado di scuotere il mondo, né di nessuna di queste stranezze. Per fortuna, però, aveva sì tantissima esperienza di beni rubati.
Sapeva esattamente come liberarsene.
CAPITOLO OTTAVO
Quando Vars entrò a passo lungo nella grande sala, era già affollata fino alle sue pareti in pietra. C’era così tanta gente che i grandi quadrati di tappeto che di norma dividevano per rango le persone, avevano lasciato spazio solo a un’approssimazione generale. C’erano i nobili e i capi delle Case dei Commercianti, delle Armi, degli Accademici e persino dei Sospiri. Le porte all’estremità opposta erano aperte, per permettere ad altri di ascoltare e alle bandiere poste lungo le pareti di sventolare, violente quasi come le loro bocche. Vars non aveva mai apprezzato il brusio della corte e, adesso, con così tante voci che bisbigliavano insieme, gli risultava ancora più irritante.
“Dobbiamo tenere d’occhio lo Slate,” disse un nobile di secondo rango.
“Perché?” scattò in risposta un cavaliere. “Nel caso in cui Ravin riesca a costruire altri ponti mentre siamo distratti?”
“Esatto,” ribatté il primo uomo, a quanto pareva ignaro della sua stupidità.
“Ciò di cui abbiamo bisogno adesso è la coordinazione tra noi e le vostre forze personali,” intervenne il Comandante Harr. Il comandante dei Cavalieri dello Sperone era lì in piedi con la sua armatura completa; la barba grigia gli scendeva dentro al pettorale, facendo chiedere a Vars se quell’uomo la tenesse addosso persino quando dormiva. “Dobbiamo evitare qualsiasi lacuna nelle nostre difese.”
“Questo significa che dovremmo accollarci il costo di questo?” domandò il capo della Casa dei Commercianti, che era in piedi laggiù con indosso tante catene d’oro che forse ne sarebbe bastata una a finanziare la guerra.
“Dobbiamo studiare ciò che sta accadendo,” prese la parola il capo degli Accademici, severo nei suoi indumenti scuri e con la testa rasata.
“Dobbiamo aumentare la produzione,” affermò il rappresentante della Casa delle Armi.
Almeno la donna della Casa dei Sospiri tacque, sembrando soddisfatta di limitarsi a osservare il dibattito. Vars non sapeva che farsene dell’opinione di un semplice cortigiano e restò in piedi nell’ombra del trono, ascoltandoli andare avanti, in attesa che uno di loro notasse la sua presenza. I secondi correvano, mentre continuavano a battibeccare l’uno con l’altro; alcuni sostenevano di dover restare al castello, altri proponevano invece di avanzare. Oltre a ciò, pareva non esserci proprio un punto d’incontro, con ogni fazione che aveva una sua strategia, una sua idea di quali truppe schierare e dove, e su come e chi avrebbe dovuto pagare.
Poteva avvertire la rabbia crescergli dentro, lavando via persino la paura di avere così tante persone schierate davanti. Camminò attorno al trono, sistemandovisi davanti deliberatamente.
“Silenzio!” gridò ma, anche allora, solo alcuni di loro tacquero. “Se non cade il silenzio qui dentro, farò sgomberare la sala dalle guardie!”
Ottenne il silenzio e, a quel punto, tutti lo stavano fissando. L’ansia lo raggiunse, facendolo solo sentire peggio. Tutti quegli occhi fissi su di lui lo facevano solo sentire piccolo e vulnerabile, e Vars lo odiava.
“Sono io il re adesso!” gridò, in difesa da quegli sguardi. “State parlando come se foste voi a decidere come gestire l’invasione, ma sarò io a farlo!”
“Vostra altezza,” disse un conte avanzando. “Con tutto il rispetto, questa è una decisione che condiziona l’intero regno e vostro padre è ancora vivo; è importante che tutte le parti coinvolte dicano la loro.”
Vars fulminò l’uomo con lo sguardo. “Davvero? Quindi dovrei chiedere ai contadini che lavorano la tua terra cosa pensano?”
Quello sembrò far arretrare l’uomo. “Vostra altezza, noi nobili non siamo contadini. La nostra posizione confrontata alla vostra non è equivalente alla loro rispetto alla nostra.”
“Il modo per rivolgersi a un re è vostra maestà,” scattò Vars in risposta.
“Ma voi siete il reggente del re, vostra altezza,” disse un altro nobile, che Vars riconobbe come il Marchese delle Terre di Sotto. “Se dobbiamo rispettare qualsiasi decisione presa a questo proposito, è anche vero che avete ricevuto il ruolo solo in quanto prossimo in linea di successione al trono. Nessuna decisione definitiva è stata presa.”
“Nessuna decisione definitiva riguardo a cosa?” domandò Vars e poteva sentire il controllo della situazione sfuggirgli di mano.
“Riguardo se sarete voi il re,” rispose il marchese.
Vars voleva che l’uomo fosse decapitato per quello, voleva scendere fino a dov’era e strangolarlo a mani nude. Eccetto che… il marchese era un uomo imponente e Vars poteva avvertire la paura crescergli dentro, bloccarlo sul posto, rifiutarsi di permettergli di fare una qualsiasi delle cose che desiderava così ardentemente.
“Tali parole sfiorano i confini del tradimento, mio signore,” disse una voce dal retro e Vars tirò un sospiro di sollievo quando riconobbe Finnal, che si faceva strada tra la folla. “E non è qualcosa che mio padre approverebbe.”
L’uomo arretrò un poco. “Non volevo insinuare niente, sennonché i tradizionali ruoli della nobiltà devono …”
“Il tradizionale ruolo della nobiltà è supportare il re,” lo interruppe Finnal, mentre faceva un inchino nella direzione di Vars. “Vi prego di continuare, vostra maestà.”
Incoraggiato dal sostegno di Finnal, Vars poté avvertire un poco di sicurezza tornare in lui.
“Abbiamo ricevuto l’informazione che la gente di Re Ravin sta attaccando tramite l’Isola di Leveros,” disse Vars. “Mia sorella ha rischiato la sua stessa vita per portarci il messaggio.”
Erin poteva essere definita sua sorella, adesso che aveva fatto qualcosa di utile; ma sarebbe tornata presto solo la sua sorellastra.
“Lo sappiamo,” intervenne il Comandante Harr dello Sperone. “La domanda è che cosa dobbiamo fare per contrattaccare. Le implicazioni militari sono complesse e…”
“La situazione militare è semplice,” lo interruppe Vars. “Sappiamo che il nemico non pensa che ci muoveremo. Sappiamo che stanno attaccando a nord. Pensano che siamo del tutto distratti dall’attacco ai ponti del sud. Invece, noi li raggiungeremo.”
“Cosa significa?” domandò il Comandante Harr. In qualche modo, quel vecchio uomo aveva sempre avuto un modo di porre delle domande a Vars che lo faceva sentire come se non sapesse niente. “Quali truppe manderemo e quali lasceremo indietro?”
“Che domanda, Comandante,” disse Vars. “Manderemo i tuoi cavalieri.”
“Tutti?” la voce del rappresentante della Casa delle Armi echeggiò nella sala. “Ma in questo modo non lasceremo Royalsport indifesa?”
“Le guardie resteranno qui, ovviamente,” disse Vars. “Insieme alle forze private dei miei leali nobili.” Si guardò intorno per assicurarsi che fossero leali. “Ma i Cavalieri dello Sperone cavalcheranno a nord per affrontare la minaccia, insieme a quanti più soldati possano viaggiare in fretta. Li attaccheremo appena toccano terra, cogliendoli alla sprovvista.”
La genialità del piano giaceva nella sua semplicità e immediatezza. Significava anche che lo scontro avrebbe avuto luogo molto lontano dalla capitale. Vars avrebbe potuto prendersi i meriti della vittoria, senza neanche essersi avvicinato alla guerra. Era il piano migliore, dopotutto.
“Io non credo sinceramente che…” esordì il Comandante Harr, ma Vars lo interruppe.
“Siamo in vantaggio,” disse. “Il nostro nemico crede di averci in trappola e di poter devastare il nord del nostro regno come vuole. Quella situazione non durerà a lungo. Penserà che i messaggeri voleranno a sud appena sbarca. Quindi dobbiamo agire adesso. Metteremo tutte le nostre forze in questo colpo decisivo e li stermineremo. Metteremo la testa di Re Ravin in cima a un palo e faremo capire a tutti che il Regno del Sud non doveva attaccarci, non doveva rapire mia sorella, uccidere mio fratello, per non parlare dell’omicidio di mio padre!”
A Vars non importava nessuna di queste cose, ma se coloro che erano sotto di lui vi tenevano, lui le avrebbe usate a sua convenienza.
Nonostante ciò, continuavano a discutere e a parlottare fra loro, quando avrebbero invece dovuto esultare al suo piano e cantare il suo nome. C’erano così tante persone che parlavano insieme, che Vars riusciva solo a udire qualche frammento dei loro discorsi.
“I precedenti storici sono preoccupanti…” affermò il capo degli Accademici.
“Una mossa tale significherebbe che dobbiamo sostenerne gli oneri,” si intromise un conte.
“…per non menzionare le conseguenze per il paesaggio attraverso il quale si muovono,” aggiunse uno dei cavalieri, come se i cavalieri ordinari potessero mettere bocca in tutto ciò.
Persino la donna dalla Casa dei Sospiri sembrò pensare di potersi intromettere, bisbigliando a chi aveva vicino parole che Vars non poteva sentire. Per sua sorpresa, alcuni di loro annuirono addirittura, come se qualcuno di quella Casa potesse saperne di più di guerra rispetto al reggente del re.
“…dovremmo aspettare gli ordini di Re Godwin appena si sveglia,” affermò un nobile e Vars poté avvertire la rabbia crescergli dentro.
Ancora una volta, Finnal si intromise, alzando le mani. “Signore e signori,” disse. “Abbiamo avuto milioni di occasioni per discutere di questo, ma è arrivato il tempo di agire. Il reggente del re ha preso una decisione per il bene del paese e sta a noi comportarci di conseguenza. Io, in quanto membro della sua famiglia e suo amico, so che il Reggente del Re Vars ha a cuore la sicurezza di tutti noi. Dobbiamo farlo; dobbiamo colpire le forze di Re Ravin che si trovano a nord tutti insieme!”
Quello ottenne un urrà e Vars gli fu grato, soprattutto quando vide che i cavalieri nella folla stavano iniziando a muoversi, dirigendosi in cortile per raccogliere le provviste. C’era un forte senso di soddisfazione che derivava dalla consapevolezza che le persone stavano facendo come aveva comandato, anche se era stato necessario l’aiuto di Finnal.
Allo stesso tempo, però, era arrabbiato. Arrabbiato che le persone gli avessero parlato sopra, lo avessero messo in discussione e guardato dall’alto, come fosse re solo di nome e non di fatto. Era una situazione che non poteva sopportare, una che non poteva permettere.
Doveva agire.
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