Kitabı oku: «Trovata », sayfa 2
Non appena lei li guardò, Scarlet sentì una nuova sensazione sopraffarla, quale non aveva mai sperimentato prima: era un acuito senso di intuizione. Non sapeva che cosa stesse accadendo, ma, improvvisamente, fu in grado di leggere chiaramente le loro menti, sentendo le loro sensazioni, conoscendo le loro intenzioni. Sentì immediatamente, chiaro come il giorno, che volevano crearle dei problemi. Sapeva che volevano farle del male.
Ruth ringhiò accanto a lei. Scarlet intuì che uno scontro più violento stava per esplodere —il che era esattamente ciò che lei intendeva evitare.
Si abbassò e cominciò a spingere via Ruth.
“Vieni Ruth,” Scarlet disse, volontandosi per andar via.
“Hei ragazza, sto parlando con te!” gridò il ragazzo.
Mentre si allontanava, Scarlet si voltò e vide i cinque saltar giù dalla roccia, e cominciare a seguirla.
Scarlet iniziò a correre, tornando nei vicoli, con l'intenzione di distanziarsi quanto più possibile dai ragazzi. Ripensò al confronto con il soldato romano, e, per un istante, si chiese se dovesse fermarsi e provare a difendersi.
Ma non voleva combattere. Non voleva far del male a nessuno. Nè correre rischi inutili. Intendeva soltanto trovare la sua mamma e il suo papà.
Scarlet s'incamminò lungo un vicolo privo di persone. Guardò dietro di sé e vide il gruppo di ragazzi rincorrerla. Non erano molto distanti, e acceleravano sempre di più. Erano fin troppo veloci. Il cane correva tra di loro, e Scarlet vide che, nell'arco di pochi istanti, l'avrebbero raggiunta. Lei doveva fare del suo meglio per seminarli.
Scarlet svoltò dietro un ennesimo angolo, sperando di trovare una via d'uscita. Ma, immediatamente, il cuore le si fermò.
Era un vicolo cieco.
Scarlet si voltò lentamente, Ruth al suo fianco, e si trovò dinnanzi i ragazzi. Ora forse erano a a tre metri di distanza. Rallentarono mentre si avvicinavano, prendendosi il loro tempo, assaporando l'istante. Erano lì a ridere, con dei sorrisi crudeli dipinti sui loro volti.
“Sembra che la tua fortuna ti abbia abbandonato, ragazzina,” disse il leader dei ragazzi.
Scarlet stava pensando la stessa cosa.
CAPITOLO TRE
Sam si svegliò con una tremenda emicrania. Si prese la testa con entrambe le mani, provando a far sparire il dolore. Ma non ci riuscì. Sembrava che il mondo intero stesse premendo sul suo cranio.
Sam provò ad aprire gli occhi, nel tentativo di capire dove si trovasse, e immediatamente avvertì un dolore insopportabile. Il sole accecante si rifletteva sulla roccia nel deserto, costringendolo a coprire gli occhi e ad abbassare la testa. Si mise in posizione fetale, stringendo ancora più forte la testa, tentando di nuovo di allontanare il dolore.
I ricordi cominciarono ad affluire nella mente.
Inizialmente, ci fu Polly.
Ricordò la notte del matrimonio di Caitlin. La notte in cui aveva chiesto a Polly di sposarlo. La sua risposta positiva. La gioia sul volto di lei.
Ricordò il giorno successivo, quando era andato a caccia. Come avesse pregustato la loro futura notte.
Ricordò di averla trovata. Sulla spiaggia. Morente. Lei gli aveva detto di aspettare un bambino da lui.
Onde di dolore lo attanagliarono di nuovo. Era di più di quanto lui potesse sopportare. Era come un terribile incubo che riprendeva il controllo della sua mente, senza che avesse la possibilità di sfuggire. Si sentiva come se gli fosse stato strappato tutto quello per cui valeva la pena vivere in una sola volta. Polly. Il bambino. La vita così come lui la conosceva.
Avrebbe voluto essere morto anche lui in quel momento.
Poi, ricordò la sua vendetta. La sua rabbia. L'aver ucciso Kyle.
E fu in quell'istante che tutto cambiò. Ricordò lo spirito di Kyle fondersi in lui. Provò di nuovo quell'indescrivibile sensazione di rabbia, dello spirito di un'altra persona, della sua anima ed energia che lo invadevano, possedendolo completamente. In quel momento era diventato un'altra persona.
Sam aprì completamente gli occhi e, in quel preciso istante, sentiva, sapeva che erano color rosso brillante. Sapeva che non erano più i suoi. Sapeva che ora erano quelli di Kyle.
Sentiva l'odio di Kyle, il suo potere scorrergli dentro, in ogni centimentro del suo corpo, dai piedi, attraverso le gambe e le braccia, fino su alla testa. Sentiva il desiderio di Kyle di distruzione pulsargli in ogni poro, come un'entità vivente, come un'entità nel suo corpo da cui non poteva liberarsi. Era come se non fosse più in grado di controllarsi. Una parte di lui sentiva la mancanza del vecchio Sam, di chi era prima. Ma un'altra parte di lui sapeva che non sarebbe mai tornato ad esserlo.
Sam sentì un sibilo, un rantolo, ed aprì gli occhi. Il suo viso giaceva a terra, nel deserto; guardando in alto, vide un serpente a sonagli, a pochi centimetri di distanza, sibilare contro di lui. Gli occhi dell'animale incontrarono lo sguardo di Sam, come se stesse comunicando con un amico ed avvertisse una energia simile. Sentiva che la rabbia del serpente combaciava con la sua— e che stava per colpire.
Ma Sam non aveva paura. Al contrario – si scoprì colmo di una rabbia che non solo eguagliava quella del serpente, ma la superava. E i suoi riflessi erano più veloci.
Nell'istante in cui il serpente stava per colpire, Sam lo battè sul tempo: allungò una mano, afferrò il rettile per la gola a mezz'aria e gli impedì di mordere fermandolo a due centimetri di distanza dal volto. Guardò il serpente dritto negli occhi, così vicino da poter sentire persino il suo respiro, le lunghe zanne distanti solo un paio di centimetri e bramose di penetrare la sua gola.
Ma Sam lo bloccò. Lo strinse più forte, sempre più forte, e lentamente la vita scivolò fuori dall'animale. Divenne floscio nella sua mano, stritolato a morte.
Sam s'inarcò scagliando l'animale in mezzo al deserto.
Poi balzò in piedi e prese coscienza di quanto lo circondava. Intorno a lui, non c'erano altro che sporcizia e rocce – un'infinita distesa di deserto. Guardandosi intorno, notò due cose: innanzitutto, vide un gruppo di bambini piccoli, vestiti di stracci, che lo guardavano con curiosità. Appena si voltò nella loro direzione, questi si sparpagliarono, correndo via come se stessero guardando un animale selvaggio che resuscitava dalla tomba. Sam percepì la rabbia di Kyle scorrere dentro di lui e desiderò ucciderli tutti.
Ma la seconda cosa che notò gli fece cambiare idea. Il muro di una città. Un immenso muro in pietra, che si estendeva per centinaia di metri in aria, e sembrava infinito. Fu allora che Sam realizzò: si era svegliato nella periferia di un'antica città. Dinnanzi a lui si innalzava un'enorme porta ad arco, sotto cui passavano dozzine di persone, con indosso abiti primitivi. Sembrava di essere all'epoca romana, in cui tutti indossavano toghe o tuniche. Notò anche del bestiame vagare ovunque; poteva avvertire il caldo e il rumore proveniente dalla folla di là dalle mura fin da dove si trovava.
Sam fece pochi passi verso la porta e immediatamente i bambini si sparpagliarono, come se fuggessero un mostro. Si chiese quanto apparisse spaventoso. Ma non gli importava davvero. Sentì il bisogno di entrare in quella città e capire perché si era ritrovato lì. Ma, a differenza del vecchio Sam, non sentiva il bisogno di esplorarla: piuttosto, intendeva distruggerla. Fare quella città a pezzi.
Una parte di lui provò a scuotersi di dosso quella sensazione, tentando di riportare indietro il vecchio Sam. Si obbligò a pensare a qualcosa che potesse riportarlo indietro. Si costrinse a pensare a sua sorella Caitlin. Ma era confuso; non riusciva a richiamare alla mente il suo volto, per quanto tentasse. Provò a ripensare ai sentimenti che avvertiva per lei, alla loro missione in comune, al loro padre. Sapeva, nel profondo del suo essere, di volerle ancora bene, di volerla ancora aiutare.
Ma quella piccola parte di lui fu presto sopraffatta dalla nuova parte malvagia. Riusciva a malapena a riconoscere se stesso. E il nuovo Sam lo obbligò ad abbandonare quei pensieri e a proseguire, entrando in città.
Sam attraversò la porta della città, facendo a gomitate tra le persone che incontrava sul suo cammino. Un'anziana signora, che trasportava un cestino sulla testa, gli si avvicinò troppo, e lui le colpì forte una spalla, facendola volare, e rovesciando la cesta, con la frutta che finì per sparpagliarsi ovunque.
“Hei!” gridò un uomo. “Guarda che cosa hai fatto! Chiedile scusa!”
L'uomo si affrettò verso a Sam e, stupidamente, afferrò il suo cappotto. Avrebbe dovuto accorgersi del fatto che quel cappotto era strano, nero, di pelle ed aderente. Avrebbe dovuto intuire che gli abiti di Sam appartenevano ad un'altra epoca—e che Sam era l'ultimo uomo con cui avrebbe dovuto litigare.
Sam guardò la mano dell'uomo, come se fosse un insetto, poi si fece avanti, afferrò il suo polso e con la forza di cento uomini, lo piegò all'indietro. Gli occhi dell'uomo si spalancarono per la paura e il dolore, mentre Sam continuava a girare. Alla fine, l'uomo si voltò di lato, e cadde in ginocchio. Sam continuava a girare, fino a quando non sentì un rumore spaventoso e l'uomo urlò, con il braccio rotto.
Sam si tirò indietro e finì l'uomo, colpendolo con un forte calcio al volto, lasciandolo incosciente al suolo.
Un piccolo gruppo di passanti, che aveva osservato la scena, fece subito spazio a Sam, consentendogli di proseguire. Nessuno sembrava osare avvicinarsi a lui.
Sam continuò a camminare, fendendo la folla, e si trovò presto immerso del tutto in quella moltitudine di persone, che riempiva la città. Non era certo di che direzione prendere, ma sentiva che nuovi desideri lo sopraffacevano. Sentiva il bisogno di nutrirsi. Voleva sangue. Sentiva il bisogno di uccidere qualcuno.
Sam lasciò che i suoi sensi prendessero il sopravvento, e si fece guidare verso un vicolo particolare. Appena superato l'accesso, si accorse che il vicolo diveniva più stretto, più cupo, sempre più sovrastato dagli edifici circostanti e distante dal resto della città. Era chiaramente una parte squallida della città, e, mentre lui proseguiva, la folla divenne più sospetta.
Mendicanti, ubriachi e prostitute riempivano le strade, e Sam dovette sgomitare con diversi delinquenti: uomini grassi, non rasati, senza denti che gli si ritrovarono davanti. Si assicurò di urtarli e colpirli forte alle spalle, facendoli volare in ogni direzione. Saggiamente per loro, nessuno si fermò a sfidarlo, tranne che urlare un indignato: “Hei!”
Sam continuò a camminare e presto si trovò in una piccola piazza. Lì, al centro, c'era un cerchio composto da circa una dozzina di uomini, allegri, che gli davano le spalle. Sam si fece strada per vedere quale fosse il motivo di tanta allegria.
Nel bel mezzo del cerchio, c'erano due galli, che combattevano tra loro ed erano ricoperti di sangue. Sam osservò la scena, e vide che gli uomini scommettevano, scambiandosi delle antiche monete. Lotta tra galli. Lo sport più antico del mondo. Così tanti secoli erano passati, ma nulla era realmente cambiato.
Sam ne aveva avuto abbastanza. Stava diventando ansioso, e sentiva il bisogno di scatenare un po' di caos. Si diresse al centro del ring, proprio verso i due uccelli. Appena lo fece, la folla esplose in un urlo d'indignazione.
Sam li ignorò. Invece, si fece avanti, afferrando uno dei galli per la gola, lo sollevò in alto e lo fece roteare sulla sua testa. Ci fu un rumore secco e lo sentì afflosciarsi nella sua mano, con il collo spezzato.
Sam sentì i suoi canini allungarsi, e li infilò nel corpo del gallo. Iniziò a succhiare il sangue, che uscì fuori, colandogli lungo la faccia e le guance. Finalmente, gettò via l'uccello, insoddisfatto. L'altro gallo scappò via, quanto più in fretta possibile.
La folla stette a guardare Sam, chiaramente scioccata. Ma questi erano dei tipi bruschi e rozzi, non persone che fuggivano via facilmente. Accigliati, si prepararono a combattere.
“Hai rovinato il nostro divertimento!” uno di loro scattò.
“La pagherai!” un altro urlò.
Diversi uomini robusti estrassero dei piccoli stiletti e puntarono verso Sam, dritti contro di lui.
Sam a malapena trasalì. Osservò la scena, quasi come se accadesse al rallentatore. I suoi riflessi erano un milione di volte più rapidi e si fece semplicemente avanti, afferrò il polso di un uomo a mezz'aria, girandolo all'indietro con la stessa mossa e rompendogli un braccio. Poi, piegandosi all'indietro, gli diede un calcio al petto, facendolo volare e tornare nel cerchio.
Quando un altro uomo si avvicinò, Sam gli si fece sotto, battendolo sul tempo e, prima che questo potesse reagire, affondò i canini nella sua gola. Sam bevve avidamente, con il sangue che scorreva ovunque, mentre l'uomo urlava per il dolore. Nell'arco di pochi istanti, lo privò della vita, e l'uomo scivolò a terra, esanime.
Gli altri si immobilizzarono, terrorizzati. Finalmente, dovevano aver realizzato che erano in presenza di un mostro.
Sam fece un passo verso di loro, e tutti si voltarono e scapparono via. Sparirono rapidamente, e, in un solo istante, Sam fu l'unico rimasto nella piazza.
Li aveva battuti tutti. Ma, per Sam, non era abbastanza. Non c'era fine alla morte, al sangue e alla distruzione che lui bramava. Voleva uccidere ogni singolo uomo in quella città. Ma anche quello non gli sarebbe bastato. La sua mancanza di soddisfazione lo frustrava all'infinito.
Tirò indietro la testa, guardò il cielo e ruggì. Era l'urlo di un animale finalmente liberato. Il suo grido di angoscia si elevò nell'aria, riecheggiando sulle pareti in pietra di Gerusalemme, più forte delle campane, più forte delle urla di una preghiera. Per un unico breve istante, scosse le pareti, dominando l'intera città – e da un capo all'altro, gli abitanti si fermarono, ascoltarono e appresero a temere.
In quel momento, seppero che un mostro era in mezzo a loro.
CAPITOLO QUATTRO
Caitlin e Caleb percorsero il ripido fianco della montagna, diretti al villaggio di Nazareth. Inizialmente camminarono sulla roccia nuda, scivolando piuttosto che camminando e sollevando polvere. Man mano, il terreno cominciò a cambiare, la roccia fu sostituita da mucchi di erbacce, palme occasionali, poi vera erba. Alla fine, si ritrovarono in un uliveto, mentre si facevano sempre più vicini alla città.
Caitlin guardò attentamente i rami e vide migliaia di piccole olive, che splendevano al sole, e si meravigliò di quanto fossero belle. Più si avvicinavano alla città, tanto più rigogliosi erano gli alberi. Caitlin guardò in basso, ammirando, con una prospettiva a vista d'uccello, la valle e la città.
Un piccolo paesino insediato al centro di un'enorme vallata, Nazareth poteva a malapena essere definita una città. Lì sembravano esserci poche centinaia di abitanti, solo poche dozzine di piccoli edifici, tutti su un solo piano e fatti di pietra. Molte di esse apparivano costruite in calcare bianco, e, già da lontano, Caitlin poteva vedere gli abitanti martellare enormi blocchi di calcare nelle zone intorno alla città. Riusciva a sentire il leggero picchettio dei loro martelli riecheggiare, e notava anche la leggera polvere di calcare spandersi nell'aria.
Nazareth era circondata da una cinta muraria irregolare in pietra, alta forse tre metri, che appariva antica persino in quel momento storico. Al centro, si ergeva un'enorme porta ad arco. Nessuno vi era di guardia e Caitlin sospettava che non avessero alcuna ragione per farlo; dopotutto, quella era una piccola città nel bel mezzo del nulla.
Caitlin si ritrovò a chiedersi perché si fossero svegliati in quell'epoca e in quel luogo. Perché Nazareth? Lei ripensò e provò a ricordare che cosa sapeva di Nazareth. Ricordava vagamente che una volta aveva studiato qualcosa su questa città, ma proprio non riusciva a rammentare. E perché il primo secolo? Era davvero un grande salto indietro rispetto alla Scozia medievale, e si ritrovò a sentire la mancanza dell'Europa. Quel nuovo paesaggio, con le sue palme e il caldo del deserto le appariva così estraneo. Più di ogni altra cosa, Caitlin si chiedeva se Scarlet si trovasse al di là di quelle mura. Lo sperava – lei pregò – che lo fosse. Aveva bisogno di trovarla. Non poteva riposarsi fino a quando ciò non fosse successo.
Caitlin s'incamminò verso la porta della città con Caleb e vi entrò trepidante. Sentiva il suo cuore battere forte al pensiero di trovare Scarlet – e di scoprire perché fossero stati spediti in quel luogo, tanto per cominciare. Suo padre poteva essere lì dentro, in attesa?
Appena entrarono in città, lei fu colpita dalla sua vivacità. Le strade erano affollate da bambini che correvano, gridavano e giocavano. C'erano cani randagi che correvano liberamente, così come galline. Pecore e buoi camminavano per le strade, e fuori da ogni abitazione c'era un asino o un cammello legato ad un palo. Gli abitanti vagavano qua e là, con indosso tuniche primitive e vesti, trasportando ceste di cibo sulle loro spalle. A Caitlin sembrava di essere entrata in una macchina del tempo.
Mentre avanzavano in quelle strade strette, passando dinnanzi a piccole case ed a donne anziane che lavavano I panni a mano, le persone si fermavano a guardare. Caitlin comprese che sembravano proprio fuori luogo camminando per quelle strade. Abbassò lo sguardo e notò i suoi abiti moderni – il suo completo di battaglia aderente in pelle— e si chiese che cosa avrebbero pensato di lei quelle persone. Dovevano vederla come un'aliena, piombata lì dritta dal cielo. Non poteva biasimarle.
Di fronte ad ogni casa c'era qualcuno che cucinava, vendeva qualcosa o lavorava al proprio manufatto. Passarono dinnanzi a diverse famiglie di falegnami: un uomo era seduto fuori dalla sua casa, segando, martellando per fabbricare svariati oggetti, dai telai dei letti, alle cassettiere o agli assi per aratri. Davanti ad un'altra casa, c'era un uomo che costruiva un'enorme croce, spessa decine di centimetri e lunga tre metri. Caitlin comprese che su quella croce qualcuno doveva essere crocifisso. Rabbrividì e distolse lo sguardo.
Quando svoltarono in un'altra strada, videro che l'intero isolato pullulava di fabbri. Ovunque erano presenti incudini e martelli, e il tintinnio del metallo risuonava in tutta la strada, ogni fabbro sembrava riecheggiare il lavoro degli altri. C'erano anche fornaci di argilla, nelle quali gigantesche fiamme riscaldavano lastre di metallo, facendole diventare color rosso fuoco; qui si stavano forgiando ferri di cavallo, spade, e ogni sorta di altro arnese metallico. Caitlin notò i volti dei bambini, neri e sporchi di fuliggine, che, seduti al lato dei loro padri, li guardavano lavorare. Era meravigliata che lavorassero già a quell'età.
Caitlin cercò ovunque un segno di Scarlet e di suo padre, o un qualsiasi indizio del perché fossero lì ma senza successo.
Si ritrovarono a percorrere un'altra strada ancora, e questa era affollata di muratori. Qui, gli uomini scheggiavano enormi blocchi di calcare, ricavando statue, ceramica ed gigantesche lastre piatte. All'inizio, Caitlin non si rese conto di che cosa stessero facendo.
Caleb si avvicinò e puntò con il dito.
“Sono macine per il vino,” lui disse, leggendole la mente, come sempre. “E macine per le olive. Le usano per schiacciare l'uva e le olive, per estrarre vino e olio. Vedi quelle manovelle?”
Caitlin osservò attentamente e ammirò l'artigianato, le lunghe lastre di calcare, il complesso meccanismo degli ingranaggi. Fu scioccata nel vedere quanto i loro macchinari fossero sofisticati, persino per quell'epoca e quel luogo, e di quanto fosse antica l'arte di vinificare. Eccola lì, migliaia di anni indietro nel tempo, e le persone già producevano vino, olio d'oliva, proprio come avveniva nel secolo XXI. E non appena guardò le bottiglie di vetro, mentre venivano lentamente riempite di vino ed olio, si rese conto che assomigliavano proprio alle bottiglie di olio e vino che lei stessa aveva utilizzato.
Un gruppo di bambini corse, passando loro davanti e rincorrendosi tra loro, ridendo, e non appena lo fecero innalzarono nubi di polvere, coprendo il volto di Caitlin. Lei guardò verso il basso e si rese conto che le strade non erano lastricate in quel villaggio – probabilmente era, comprese, troppo piccola per potersi permettere delle strade lastricate. Ed in ogni caso, sapeva che Nazareth era stata celebre per un motivo in particolare, e la infastidiva di non riuscire a ricordare che cosa fosse. Ancora una volta, incolpò se stessa per non aver prestato più attenzione durante le lezioni di storia.
“E' la città in cui visse Gesù,” Caleb disse, leggendole la mente.
Caitlin si sentì arrossire ancora una volta, perché lui riusciva a leggerle i pensieri così facilmente. Non negava alcunché a Caleb, ma non le piaceva il fatto che lui le leggesse la mente, quando si trattava di comprendere quanto lei lo amava. Poteva essere imbarazzante.
“Lui vive qui?” lei chiese.
Caleb annuì.
“Se siamo arrivati in questa epoca,” Caleb disse. “Chiaramente, siamo nel primo secolo. Posso vederlo dal loro abbigliamento, dall'architettura. Sono stato qui una volta. Sono un'epoca e un luogo difficili da dimenticare.”
Gli occhi di Caitlin si spalancarono a quel pensiero.
“Pensi davvero che lui potrebbe essere qui adesso? Gesù? Camminare qui in giro? In questo tempo e in questo luogo? In questa città?”
Caitlin riusciva a malapena a concepirlo. Provò ad immaginare di svoltare l'angolo e imbattersi casualmente in Gesù, per la strada. Il pensiero sembrava inconcepibile.
Caleb aggrottò il sopracciglio.
“Non lo so,” lui disse. “Non sento che lui è qui ora. Forse lo abbiamo mancato.”
Caitlin era esterrefatta al pensiero. Si guardò intorno con un nuovo senso di stupore.
Poteva essere lì? lei si chiese.
Era senza parole, e sentì un senso d'importanza persino maggiore della loro missione.
“Potrebbe essere qui, in questa epoca storica,” Caleb disse. “Ma non necessariamente a Nazareth. Ha viaggiato molto. Betlemme. Nazareth. Cafarnao—e Gerusalemme, naturalmente. Non so nemmeno di sicuro se siamo nella sua epoca esatta o meno. Ma se lo siamo, lui potrebbe essere ovunque. La Palestina è grande. Se fosse qui, in questa città, lo sentiremmo.”
“Che cosa vuoi dire?” Caitlin chiese, curiosa. “Come sarebbe?”
“Non so spiegarlo. Ma tu lo sapresti. E' la sua energia. E' diversa da qualsiasi altra cosa tu abbia vissuto prima.”
Improvvisamente, nella mente di Caitlin si formulò un pensiero.
“Lo hai davvero incontrato?” lei chiese.
Caleb scosse lentamente la testa.
“No, non da vicino. Una volta, ero nella stessa città, nello stesso tempo. E l'energia era sorprendente. Diversa da qualsiasi altra cosa abbia mai provato prima.”
Ancora una volta, Caitlin fu stupita da tutte le cose che Caleb aveva visto, di tutte le epoche ed i luoghi in cui era stato.
“Esiste un solo modo per scoprirlo,” Caleb disse. “Dobbiamo scoprire in che anno ci troviamo. Ma naturalmente, il problema è che nessuno ha cominciato a contare gli anni, proprio come facciamo noi, se non dopo molto tempo dalla morte di Gesù. Dopotutto, il nostro calendario annuale si basa sull'anno della sua nascita. E quando lui viveva, nessuno contava l'anno basandosi sulla nascita di Gesù—la maggioranza delle persone non sapeva nemmeno chi lui fosse! Perciò, se chiedessimo alla gente in che anno siamo, penserebbe che siamo pazzi.”
Caleb si guardò attentamente intorno, come se fosse alla ricerca di indizi, e anche Caitlin lo fece.
“Senso che lui si trova in questa epoca storica,” Caleb disse lentamente. “Non solo in questo luogo.”
Caitlin esaminò il villaggio con un nuovo rispetto.
“Ma questo villaggio,” lei disse, “sembra così piccolo, così umile. Non è come una grande città biblica, come avrei immaginato. Sembra solo una qualunque altra città del deserto.”
“Hai ragione,” Caleb rispose, “ma è qui che lui visse. Non era affatto un luogo grandioso. Era qui, in mezzo a queste persone.”
Continuarono a camminare e finalmente, svoltarono dietro un angolo, giungendo ad una piccola piazza posta proprio al centro della città. Era una semplice piazzetta, intorno alla quale c'erano piccoli edifici, e al centro era scavato un pozzo. Caitlin si guardò intorno e scorse pochi uomini anziani seduti all'ombra, appoggiati a bastoni, che guardavano in direzione della piazza cittadina, vuota e polverosa.
Si diressero verso il pozzo. Caleb si avvicinò e girò la manovella arrugginita; lentamente la corda rovinata dalle intemperie tirò su con un secchio d'acqua.
Caitlin si avvicinò anche lei, raccolse l'acqua fredda con le mani e si bagnò il viso. Era così rinfrescante nella calura. Si bagnò di nuovo il viso, poi si bagnò i lunghi capelli, e fece scorrere le mani dentro. Erano pieni di polvere ed erano unti, e l'acqua fredda sembrava il paradiso. Avrebbe dato di tutto pur di fare una doccia. Poi, si abbassò a prendere dell'altra acqua, e bevve. La gola era secca, e ciò fu un toccasana. Caleb fece lo stesso.
Alla fine si appoggiarono entrambi con la schiena al muro del pozzo, e si guardarono intorno. Non sembravano esserci edifici particolari, segnali speciali o indizi su dove recarsi.
“E ora dove si va?” lei chiese infine.
Caleb si guardò intorno, strizzando gli occhi al sole, tenendosi le mani sugli occhi. Sembrava non avere idee, proprio come lei.
“Non lo so,” lui disse piattamente. “Sono disorientato.”
“Nelle altre epoche e negli altri luoghi,” lui proseguì, “sembrava che chiese e monasteri contenessero sempre indizi. Ma in questa epoca storica, non ci sono chiese. Non c'è la cristianità. Non ci sono cristiani. Fu solo dopo la morte di Gesù, che le persone cominciarono a creare una religione in suo nome. In questa epoca storica, esiste una sola religione. La religione di Gesù: il giudaismo. Dopotutto, Gesù era ebreo.”
Caitlin provò ad elaborare il tutto. Era tutto così complesso. Se Gesù era ebreo, lei si rese conto, dunque questo doveva significare che doveva stare pregando all'interno di una sinagoga. Improvvisamente, ebbe un pensiero.
“Perciò allora, forse il miglior posto in cui cercare è dove Gesù pregava. Forse dovremmo cercare una sinagoga.”
“Penso che tu abbia ragione,” Caleb disse. “Dopotutto, l'altra unica religione praticata all'epoca, se vogliamo proprio definirla così, era il paganesimo—l'adorazione degli idoli. E sono certa che Gesù non pregherebbe in un tempio pagano.”
Caitlin si guardò di nuovo intorno nella città, strizzando gli occhi, cercando un qualsiasi edificio che sembrasse una sinagoga. Ma non ne trovò nessuno. Erano tutte semplici case.
“Non vedo niente,” lei disse. “Tutti gli edifici mi sembrano uguali. Sono solo tutte delle piccole case.”
“Nemmeno io,” Caleb esclamò.
Ci fu un lungo silenzio, mentre Caitlin provava ad elaborare il tutto. La sua mente era affollata di possibilità.
“Credi che mio padre e lo scudo siano in qualche modo connessi a tutto questo?” Caitlin chiese. “Credi che andare nei posti in cui si trovava Gesù ci condurrà da mio padre?”
Caleb chiuse quasi gli occhi, mentre sembrava riflettere a lungo.
“Non lo so,” il marito rispose infine. “Ma chiaramente, tuo padre sta custodendo un segreto molto importante. Un segreto non soltanto per la razza vampira, ma per l'intera umanità. Uno scudo o un'arma, che cambierà la natura dell'intera razza umana, per sempre. Dev'essere molto potente. E suppongo che se qualcuno dovrà guidarci da lui, allora si tratta di qualcuno di molto potente. Come Gesù. Per me, avrebbe senso. Forse, per trovare l'uno, dobbiamo trovare l'altro. Dopotutto, è la tua croce che ha consentito l'accesso a molte chiavi e che ci ha condotti qui. E quasi tutti i nostri indizi si trovavano in chiese e monasteri.”
Caitlin provò a mettere insieme tutti i pezzi del puzzle. Era possibile che suo padre conoscesse Gesù? Era uno dei suoi discepoli? L'idea era sconvolgente, e il suo senso di mistero attorno a lui s'infittiva.
Lei si sedette sul pozzo, guardando intorno nel villaggio dormiente, stupefatta. Non aveva idea nemmeno di dove cominciare a cercare. Nulla le veniva in mente. E per di più, disperava di trovare Scarlet. Sì, voleva trovare suo padre più di tutto; sentiva che le quattro chiavi praticamente stavano bruciando nella sua tasca. Ma non vedeva alcun modo ovvio per utilizzarle— ed era difficile persino concentrarsi su di lui, con il pensiero di Scarlet in mente. L'idea che fosse tutta sola lì fuori la distruggeva. Come poteva sapere se era al sicuro?
Ma, alla fine, non aveva nemmeno idea di dove cercare Scarlet. Provava un crescente senso di disperazione.
Improvvisamente, vide un pastore oltrepassare la porta e camminare lentamente verso la piazza della città, seguito dal suo gregge di pecore. Indossava una veste bianca e lunga, e il capo era coperto da un cappuccio, che lo riparava dal sole: sembrava che si dirigesse verso di loro, con in mano un bastone. Inizialmente, a Caitlin sembrò che li cercasse. Ma poi capì: il pozzo. Stava soltanto venendo a prendere dell'acqua da bere, e loro si trovavano proprio lì.
Appena arrivati nella piazza, le pecore sciamarono tutte intorno a lui, riempiendo la piazza, dirette verso il pozzo. Sapevano che era il momento di abbeverarsi. Nell'arco di pochi istanti, Caitlin e Caleb si trovarono nel mezzo del gregge, con gli animali che li spingevano via così da potersi avvicinare all'acqua. Il loro belato impaziente colmò l'aria, mentre aspettavano che il loro pastore desse loro da bere.
Caitlin e Caleb si spostarono lateralmente, mentre il pastore si avvicinava al pozzo, tirando la corda arrugginita, e sollevando il secchio lentamente. Mentre lo sollevava, si abbassò il cappuccio.
Caitlin fu sorpresa nel vedere che era giovane. Aveva lunghi capelli biondi, una barba bionda e lucenti occhi blu. Sorrise, e lei poté scorgere le rughe illuminate dal sole, intorno agli occhi, e sentire il calore e la gentilezza che promanavano dalla sua persona.
Il pastore afferrò il secchio, pieno d'acqua fino all'orlo, e, benché fosse visibilmente assetato, la fronte imperlata di sudore, si voltò e lo rovesciò nell'abbeveratoio alla base del pozzo. Le pecore si fecero avanti, belando, spingendosi tra loro mentre bevevano.
Caitlin improvvisamente avvertì che forse quell'uomo sapeva qualcosa, che forse era apparso sulla loro strada per una ragione. Se Gesù viveva in quell'epoca, si chiese, forse quell'uomo aveva sentito parlare di lui …