Kitabı oku: «Trovata », sayfa 3
Ansiosa e tesa ad un tempo, si schiarì la gola e si rivolse al pastore: “Mi scusi?”.
L'uomo si voltò e l'intensità del suo sguardo la trafisse.
“Stiamo cercando qualcuno. Mi chiedevo se lei potesse sapere se vive qui.”
L'uomo quasi chiuse gli occhi, e, in quell'istante, Caitlin percepì chiaramente che lui stava guardando attraverso di lei. Fu inspiegabile.
“Lui vive,” l'uomo rispose, come se le leggesse la mente. “Ma non è più qui.”
Caitlin riusciva a malapena a crederci. Era vero.
“Dov'è andato?” intervenne Caleb. Caitlin sentì l'intensità nella sua voce, e poté percepire quanta disperazione ci fosse nel desiderio di sapere.
L'uomo posò ora lo sguardo su Caleb.
“In Galilea,” il pastore rispose, come se fosse una cosa ovvia. “Verso il mare.”
Caleb quasi chiuse gli occhi.
“Cafarnao?” Caleb chiese con esitazione.
L'uomo annuì in segno di risposta.
Gli occhi di Caleb si spalancarono per l'ammissione.
“Ci sono molti seguaci lungo la strada,” l'uomo disse in maniera misteriosa. “Cercate e troverete.”
Improvvisamente, il pastore abbassò la testa, si voltò e cominciò ad allontanarsi, seguito dalle pecore, riattraversando la piazza.
Caitlin non riusciva a lasciarlo andare. Non ancora. Doveva saperne di più. E sentiva che stava portando qualcosa indietro.
“Aspetta!” gridò.
Il pastore si fermò, voltandosi a guardarla.
“Conosci mio padre?” gli chiese.
Con sorpresa di Caitlin, l'uomo annuì lentamente.
“Dov'è?” Caitlin domandò.
“Tu devi scoprirlo,” rispose. “Sei la sola che possiede le chiavi.”
“Lui chi è?” Caitlin chiese, desiderosa di sapere.
Lentamente, l'uomo scosse la testa.
“Sono soltanto un pastore lungo la strada.”
“Ma non so nemmeno dove cercare!” Caitlin rispose, disperata. “Ti prego. Devo trovarlo.”
Il pastore sorrise.
“Sempre, il miglior luogo dove cercare è proprio dove ti trovi,” lui disse.
E, detto ciò, si coprì la testa, si voltò e riprese ad attraversare la piazza. Passò attraverso la porta, e, un istante dopo, scomparve, seguito dalle sue pecore.
Sempre il miglior luogo dove cercare è proprio dove ti trovi.
Le sue parole riecheggiavano nella mente di Caitlin. In qualche modo, sentiva che si trattava più di un semplice indovinello. Più ci pensava, più sentiva che aveva un significato letterale. Come se le avesse detto che c'era un indizio proprio lì, dove lei si trovava.
Improvvisamente, Caitlin si voltò e cercò nel pozzo, il luogo in cui era rimasta seduta. Ora, sentiva qualcosa.
Sempre il miglior luogo dove cercare è proprio dove ti trovi.
S'inginocchiò e fece scorrere le mani lungo l'antica e liscia parete in pietra. La tastò tutta, ed era sempre più certa che ci fosse qualcosa, che fosse stata condotta ad un indizio.
“Che cosa stai facendo?” Caleb chiese.
Caitlin cercò freneticamente, controllando tutte le fessure poste nelle pietre, cercando di trovare qualcosa.
Infine, quando già aveva esplorato metà del muro del pozzo, si fermò. Trovò una fessura che era leggermente più grande delle altre. Grande abbastanza da consentirle di infilarci un dito. La pietra intorno ad essa era leggermente troppo liscia, e la fessura era proprio leggermente troppo grande.
Caitlin si abbassò e l'aprì. Presto, la pietra cominciò a ondeggiare e poi a muoversi. La pietra si mosse, venendo fuori dalla base del pozzo. Dietro di essa, improvvisamente si rivelò una piccola cavità nascosta.
Caleb si avvicinò, guardando da sopra la sua spalla, mentre lei esplorava quel buco buio. Caitlin sentì qualcosa di freddo e metallico nella sua mano, e la tirò fuori lentamente.
Sollevò la mano alla luce, e aprì lentamente il suo palmo.
Non riusciva a credere a quello che teneva in mano.
CAPITOLO CINQUE
Scarlet era bloccata con Ruth, alla fine di quel vicolo cielo, le spalle al muro; spaventata, vide il gruppo di bulli lanciare il loro cane contro di lei. Pochi istanti dopo, l'enorme cane selvaggio caricava, ringhiando, puntando dritto alla sua gola. Tutto avvenne così rapidamente, che Scarlet non ebbe il tempo di capire che cosa fare.
Prima che potesse reagire, improvvisamente Ruth ringhiò e caricò il cane. Balzò in aria, e lo incontrò a mezz'aria, conficcandogli le zanne nella gola. Ruth atterrò sopra di lui, trattenendolo a terra. Il cane doveva essere due volte più grosso di Ruth, ma la lupa lo bloccò senza sforzo e non lo lasciò più andare. Tenne le zanne conficcate nella sua gola con tutta la forza di cui era capace, e presto il cane cessò di lottare, morto.
“Tu piccola bastarda!” gridò il leader del gruppo, furioso.
Sopravanzò il gruppo e caricò Ruth. Sollevò un bastone, lavorato ad un'estremità fino a formare la punta di una lancia, e lo scagliò contro la schiena esposta di Ruth.
Scarlet reagì d'istinto, entrando in azione. Senza nemmeno pensare, scattò dirigendosi verso il ragazzo, raggiunse ed afferrò il bastone a mezz'aria, proprio prima che colpisse Ruth. Poi, lo tirò verso di lei, si abbassò e gli diede un forte calcio nelle costole.
Lui si piegò in due, e lei gli diede un altro calcio, stavolta al volto con un movimento circolare. Il ragazzo crollò a terra, sbattendo con il viso sulla pietra.
Ruth si voltò e caricò verso il gruppo di ragazzi. Balzò in aria, e infilò le zanne nella gola di un ragazzo, tenendolo a terra. Il che lasciò liberi soltanto tre del gruppo.
Scarlet restò lì, guardandoli, e improvvisamente, una nuova sensazione s'impossessò di lei. Non aveva più paura; non voleva più fuggire da loro; non voleva più indietreggiare e nascondersi; non voleva più la protezione di sua madre e suo padre.
Qualcosa nacque dentro di lei, mentre attraversava una linea invisibile, superava un punto critico. Sentiva, per la prima volta in vita sua, che non aveva bisogno di nessuno. Tutto ciò che le serviva era se stessa. Invece di temere il momento, comprese improvvisamente, lo assaporava.
Scarlet si sentì colma di rabbia, che attraversava ogni fibra del suo essere dai piedi, su per il corpo, fino alla testa. Era un'emozione elettrica che non comprendeva, che non aveva mai vissuto prima. Non voleva più scappare da quei ragazzi. Non voleva nemmeno che loro se ne andassero.
Adesso, bramava vendetta.
Mentre i tre ragazzi erano lì, a guardare in stato di shock, Scarlet caricò. Avvenne tutto talmente in fretta, che lei riuscì a malapena ad elaborarlo. I suoi riflessi erano tanto più veloci dei loro, da far sembrare che i suoi avversari si muovessero al rallentatore.
Scarlet saltò in aria, più in alto di quanto non fosse mai arrivata, e diede un calcio al ragazzo al centro, puntandogli i piedi nel petto. Lo fece così volare all'indietro, come un proiettile lungo il vicolo, fino a quando finì per schiantarsi nella parete e cadde.
Prima che gli altri due potessero reagire, lei saltò e diede una gomitata ad uno di loro nel volto, poi balzò e diede un calcio all'altro nel plesso. Caddero entrambi, privi di sensi.
Scarlet restò lì, con Ruth, respirando affannosamente. Si guardò attorno, e vide che tutti i cinque ragazzi erano a terra, intorno a loro, immobili. E poi, realizzò: era lei la vincitrice.
Non era più la Scarlet che conosceva una volta.
*
Scarlet vagò nei vicoli per ore, con Ruth al suo fianco, ponendo quanta più distanza possibile tra lei e i ragazzi. Percorse vicolo dopo vicolo nella calura, perdendosi nel labirinto delle strette strade laterali nella vecchia città di Gerusalemme. A mezzogiorno il sole le faceva ribollire la testa e la bambina stava cominciando a vaneggiare; ma si sentiva così anche a causa della mancanza di cibo e acqua. Poteva vedere Ruth respirare affannosamente accanto a lei, mentre si facevano largo nel mezzo della folla, e poteva vedere che anche lei stava soffrendo.
Un bambino passò accanto a Ruth e afferrò la sua schiena, strattonandola giocosamente, ma troppo forte. Ruth si voltò e scattò, ringhiando e mostrando le zanne. Il bambino urlò, pianse e corse via. Non era da Ruth comportarsi a quel modo; in genere, era così tollerante. Ma sembrava che il caldo e la fame stessero prendendo il sopravvento anche su di lei. Stava anche incanalando la rabbia e la frustrazione di Scarlet.
Per quanto ci provasse, Scarlet non sapeva come allontanare il suo residuo senso di rabbia. Era come se qualcosa dentro di lei fosse stato liberato, e lei non riusciva a spegnerlo. Sentiva pulsare le vene e ribollire la rabbia, mentre passava davanti a venditore dopo venditore, mostrando tutti i tipi di cibo che lei e Ruth non potevano permettersi; la sua rabbia cresceva sempre di più. Iniziò anche a capire qualcosa di più sulle sensazioni che stava vivendo, su quegli intensi morsi della fame: non erano affatto la classica fame. Si trattava di qualcosa di diverso. Qualcosa di più profondo, più primitivo. Lei non voleva del semplice cibo. Voleva del sangue. Aveva bisogno di nutrirsi.
Scarlet non sapeva che cosa le stava accadendo, e non sapeva nemmeno come riuscire a gestirlo. Annusò un pezzo di carne e si fece largo tra la folla, per raggiungerlo, guardandolo. Ruth la seguì.
Scarlet fece a gomitate per raggiungere il suo obiettivo e, immediatamente, un uomo risentito nella folla la spinse via.
“Hei ragazza, guarda dove vai!” scattò.
Senza nemmeno pensare, Scarlet si voltò e spinse l'uomo, che era due volte più grosso di lei ma finì per volare all'indietro, colpendo diversi banchetti di frutta, mentre cadeva al suolo.
Si ritrovò scaraventato a terra, scioccato, a guardare Scarlet provando a comprendere come una ragazzina così piccola potesse avere tanta forza. Poi, con uno sguardo di timore, si voltò saggiamente e se ne andò via in fretta.
Il venditore guardò con rimprovero Scarlet, percependo il pericolo.
“Vuoi della carne?” l'uomo scattò. “Hai i soldi per pagarla?”
Ma Ruth non riuscì a contenersi. Balzò in avanti, affondò le zanne nell'enorme pezzo di carne, e lo inghiottì. Prima che chiunque potesse reagire, lei balzò in avanti di nuovo, puntando ad un altro pezzo.
Stavolta, il venditore si mosse e tentò di colpire forte Ruth sul naso.
Ma Scarlet sentì la mano sopraggiungere. Infatti, qualcosa di nuovo stava accadendo al suo senso della velocità, al suo tempismo. Appena la mano del venditore cominciò ad abbassarsi, Scarlet vide la sua stessa mano colpire, quasi senza che se ne accorgesse, afferrando il polso dell'uomo prima che colpisse Ruth.
Il venditore guardò Scarlet, con gli occhi spalancati, scioccato che una ragazza così piccola potesse avere una stretta così forte. Scarlet strinse il polso dell'uomo, così forte che l'intero braccio cominciò a tremare. Lei si trovò a guardarlo con rimprovero, incapace di controllare la sua furia.
“Non osare toccare la mia lupa,” Scarlet esplose contro l'uomo.
“Mi … dispiace,” l'uomo disse, con il braccio tremante per il dolore, e gli occhi spalancati per la paura.
Finalmente, Scarlet mollò la presa, e si precipitò via dal posto, con Ruth sempre al suo fianco. Si era appena allontanata, con la massima rapidità possibile, quando sentì un fischio dietro di sé, poi delle grida frenetiche che chiedevano l'intervento delle guardie.
“Andiamo, Ruth!” Scarlet disse, e le due si precipitarono lungo il vicolo, perdendosi in mezzo alla folla. Almeno Ruth aveva mangiato.
Ma la fame di Scarlet era fortissima, e lei non sapeva se sarebbe stata in grado di contenerla ancora a lungo. Non sapeva che cosa le stava accadendo, ma, mentre percorrevano ujna strada dopo l'altra, si ritrovò ad esaminare le gole delle persone. Focalizzò lo sguardo sulle loro vene, vide il sangue pulsare. Si scoprì a leccarsi le labbra, volendo – avendo bisogno – di affondare i propri canini. Bramava l'idea di nutrirsi del loro sangue, ritrovandosi ad immaginare come sarebbe stato quando il sangue sarebbe sgorgato dalle loro gole. Lei non capiva. Non era più umana? Stava diventando un animale selvaggio?
Scarlet non voleva far del male a nessuno. Razionalmente, provò a fermarsi.
Ma fisicamente, qualcosa stava prendendo il sopravvento su di lei. Stava emergendo, dai piedi, dalle gambe, attraverso il suo busto, su alla testa, fino alle labbra ed alle punte delle dita. Era un desiderio. Un desiderio inarrestabile, inesauribile. Stava prendendo il sopravvento sulla sua mente, dicendole che cosa pensare, come agire.
Improvvisamente, Scarlet scorse qualcosa: a distanza, da qualche parte dietro di lei, un gruppo di soldati romani le stavano dando la caccia. Il suo nuovo ipersensibile udito l'avvertì del suono dei loro sandali, che calpestavano la pietra. Capì che distavano pochi isolati.
Quel suono servì soltanto ad irritarla ancora di più; si confondeva nella sua testa con quello delle grida dei venditori, delle risate dei bambini, con l'abbaiare dei cani…. Stava diventando tutto eccessivo da sopportare per lei. Il suo udito stava diventando davvero troppo intenso, e lei non riusciva a sopportare la cacofonia dei rumori. Anche il sole stava diventando sempre più forte, come se stesse splendendo proprio su di lei. Era davvero troppo. Si sentiva come se si trovasse sotto il microscopio del mondo e stesse per esplodere.
Improvvisamente, Scarlet si tirò indietro, sopraffatta completamente dalla rabbia, e sentì una nuova sensazione nei suoi denti. Sentì i suoi due incisivi allungarsi e diventare due nuove zanne affilate, sporgenti. Capiva a stento che cosa fosse quella sensazione, ma sapeva che stava cambiando, mutando in qualcosa che poteva a malapena riconoscere o controllare. Scorse improvvisamente un grosso e grasso uomo ubriaco, barcollare nel vicolo. Scarlet sapeva che doveva nutrirsi o morire. E qualcosa dentro di lei voleva sopravvivere.
Scarlet si sentì ringhiare e ne rimase scioccata. Il suono, così primitivo, stupì persino lei. Si sentì come se fosse al di fuori del suo corpo, quando balzò, saltando in aria, diretta proprio verso l'uomo. Lo vide, come al rallentatore, voltarsi verso di lei, con gli occhi spalancati per la paura. Sentì i due nuovi canini affondare nella sua carne, nelle vene della sua gola. E, un istante dopo, sentì il suo sangue caldo all'interno della sua gola, riempirle le vene.
La ragazza sentì l'uomo urlare, solo per un momento. Perché un istante dopo, era caduto al suolo e lei era sopra di lui, intenta a succhiargli tutto il suo sangue. Lentamente, cominciò a sentire una nuova vita, una nuova energia, colmare il suo corpo.
Lei voleva smettere di nutrirsi, lasciarlo andare. Ma non ci riuscì. Ne aveva bisogno. Le serviva per sopravvivere.
Aveva bisogno di nutrirsi.
CAPITOLO SEI
Sam correva attraverso i vicoli di Gerusalemme, ringhiando, rosso per la rabbia. Voleva distruggere, fare a pezzi ogni cosa che apparisse sulla sua strada. Non appena passò davanti ad una fila di venditori, si fece avanti e abbatté i loro banchetti, facendoli cadere con un effetto domino. Urtava deliberatamente le persone, quanto più forte possibile, facendole volare in ogni modo. Era come una palla demolitrice, fuori controllo, che attraversava i vicoli colpendo ogni cosa che gli apparisse dinnanzi.
Esplose il caos; le urla si innalzarono ovunque. Le persone cominciarono a notare la situazione ed a fuggire, nel tentativo di allontanarsi dal suo raggio di azione. Era come un treno merci della distruzione.
Il sole lo stava facendo impazzire. Lo colpiva sulla testa come un'entità vivente, riempiendolo con sempre più rabbia. Non aveva mai saputo che cosa fosse quel sentimento prima di quel momento. Nulla sembrava soddisfarlo.
Vide un uomo alto e magro, e saltò verso di lui, affondando i canini nel suo collo. Succhiò il sangue per una frazione di secondo, poi si allontanò per affondare i denti nel collo di un'altra vittima. Passò da una persona all'altra, affondando i denti e succhiando il sangue. Si muoveva così in fretta, che nessuno di loro ebbe il tempo di reagire. Caddero tutti sul pavimento, uno dopo l'altro, e lui lasciò una scia di cadaveri al suo passaggio. La sua mente era offuscata e sentiva il suo corpo cominciare a gonfiarsi con il loro sangue. Ma ancora, non era soddisfatto.
Il sole lo stava portando sull'orlo della follia. Aveva bisogno di ombra, e al più presto possibile. Scorse un grande edificio a distanza, un palazzo elegante ed elaborato, costruito in calcare, con colonne ed enormi porte ad arco. Senza neanche pensarci, corse nel bel mezzo della piazza, dirigendosi verso di esso, e ne aprì le porte con un calcio.
Era più fresco lì dentro, e, finalmente, Sam poteva respirare. Il solo allontanare il sole dalla sua testa fece la differenza. Fu in grado di aprire gli occhi, e lentamente, la vista riprese a funzionare.
Dozzine di persone stupite stavano osservando Sam. La maggioranza era seduta in piccole piscine e faceva il bagno, mentre altre camminavano intorno, a piedi nudi sul pavimento in pietra. Erano tutte nude. Fu allora che Sam realizzò: era all'interno di un bagno pubblico. Un bagno pubblico romano.
I soffitti erano alti e ad arco e lasciavano filtrare la luce; c'erano grandi colonne ad arco ovunque. I pavimenti erano in splendente marmo, e piccole piscine riempivano la grande stanza. Le persone oziavano, apparentemente rilassandosi.
E fu così, finché non videro. Si alzarono rapidamente, e la loro espressione mutò in paura.
Sam odiava vedere quelle persone—quelle persone oziose, ricche, poltrire come se non importasse loro nulla del mondo. Avrebbe voluta fargliela pagare. A tutti loro. Piegò la testa all'indietro e ruggì.
La maggioranza di quelle persone ebbe il buon senso di filare via da lì, precipitandosi ad afferrare asciugamani e vesti, nel tentativo di uscire al più presto possibile.
Ma non ne ebbero la possibilità. Sam si lanciò in avanti, puntando alla donna a lui più vicina, e affondò i denti nel suo collo. Lui succhiò tutto il sangue e lei cadde a terra, e rotolò in una vasca, tingendola di rosso.
Lo fece ancora ed ancora, saltando da una vittima all'altra, uomo o donna. Presto il bagno pubblico si riempì di cadaveri, corpi che fluttuavano ovunque, tutte le piscine tinte di rosso. Ci fu un improvviso schianto contro la porta, e Sam balzò a vedere che cosa fosse.
Dozzine di soldati romani ingombravano l'entrata. Portavano le classiche uniformi: tuniche corte, sandali, elmi con piume e brandivano scudi e spade corte. Altri ancora impugnavano archi e frecce. Le puntarono proprio contro Sam.
“Resta fermo dove sei!” il leader gridò.
Sam si voltò ringhiando e, con un balzo alla massima velocità, si scagliò contro di loro.
La risposta non si fece attendere. Dozzine di frecce vennero scagliata in aria, puntando dritto verso di lui. Sam le vide avvicinarsi come al rallentatore, scintillanti, le loro punte d'argento scagliate proprio contro di lui.
Ma era più veloce di tutte le loro frecce. Prima che potessero raggiungerlo, era già balzato in alto nell'aria, sorvolandoli con un salto mortale. Riuscì agevolmente ad annullare la distanza —dodici metri – prima che gli arcieri riuscissero a reagire.
Sam atterrò, scalciando il soldato posto al centro dello schieramento al petto, con una tale forza da mandarlo a colpire quelli intorno a lui, come una fila di domino. Una dozzina di soldati caddero a terra.
Prima che gli altri potessero reagire, Sam si avvicinò e sottrasse due spade dalle mani dei soldati. Saltò e squarciò in ogni direzione.
La sua mira era perfetta. Tagliò testa dopo testa, poi si voltò, colpendo i sopravvissuti al cuore. Passò attraverso la folla, come se fosse burro. Nell'arco di pochi secondi, dozzine di soldati caddero al suolo, senza vita.
Sam s'inginocchiò, e affondò i canini nei cuori di ognuno, bevendo e bevendo. S'inginocchiò lì, accovacciato come una bestia, ingozzandosi di sangue, nel tentativo di colmare la sua rabbia, ormai illimitata.
Sam terminò, ma non era ancora soddisfatto. Sentiva il bisogno di combattere interi eserciti, di uccidere masse di umanità in una volta sola. Avrebbe avuto bisogno di ingozzarsi per settimane. E anche allora, non gli sarebbe bastato.
“SANSONE!” gridò una strana voce femminile.
Sam si fermò, immobilizzandosi. Era una voce che non sentiva da secoli. Era una voce che aveva quasi dimenticato, che non si sarebbe aspettato di sentire di nuovo.
Soltanto una persona al mondo avrebbe potuto chiamarlo Sansone.
Era la voce di colei che lo aveva tramutato.
Lì, al di sopra di lui, guardando in basso, con il sorriso dipinto sul suo splendido viso, c'era il primo vero amore di Sam.
Lì c'era Samantha.
Ücretsiz ön izlemeyi tamamladınız.