Kitabı oku: «Un’Impresa da Eroi», sayfa 10
CAPITOLO QUATTORDICI
Thor era seduto al tavolo di legno, lavorando agli archi e frecce che giacevano là sopra, in pezzi. Accanto a lui sedeva Reece, insieme a diversi altri membri della Legione. Erano tutti ricurvi sulle loro armi, concentrati ad intagliare gli archi e stringere i lacci.
“Un guerriero sa come legare il suo arco,” gridava Kolk, camminando avanti e indietro lungo le file di ragazzi, chinandosi su di loro, esaminando il lavoro di ciascuno. “Deve essere tirato al punto giusto. Troppo largo e il colpo non raggiungerà il segno. Troppo stretto e fallirete la mira. Le armi si rompono in battaglia. Le armi si rompono in viaggio. Dovete sapere come ripararle. Il guerriero più valoroso è anche un maniscalco, un falegname, un calzolaio, un riparatore di qualsiasi cosa si possa rompere. E non conoscerete sufficientemente bene la vostra arma, fino a che non l’avrete riparata da soli.”
Kolk si fermò dietro a Thor e si chinò ad osservare da dietro le sue spalle. Tirò di colpo l’arco di legno dalla mano, ferendogli il palmo con il filo.
“Il filo non è abbastanza tirato,” lo rimproverò. “È storto. Usa un’arma come questa in battaglia e sei certo di morire. E di far morire il compagno accanto a te.”
Kolk sbatté l’arco sul tavolo e proseguì. Diversi altri ragazzi ridacchiarono. Thor arrossì e riprese il filo, tirandolo più teso che poté, arrotolandolo attorno all’estremità dell’arco. Era al lavoro su quella cosa da quattro ore, l’epilogo di una giornata estenuante di lavoro e compiti servili.
Molti degli altri si stavano esercitando, allenandosi e combattendo con le spade. Guardò fuori e in lontananza scorse i suoi fratelli, tutti e tre, che ridevano mentre facevano schioccare spade di legno. Come al solito Thor si sentiva come se loro stessero ottenendo la parte migliore, mentre lui rimaneva indietro, alla loro ombra. Non era giusto. La sensazione di non essere benvoluto lì cresceva dentro di lui, l’idea di non essere un vero membro della Legione.
“Non ti preoccupare, ci farai la mano,” disse O’Connor accanto a lui.
I palmi delle mani di Thor gli dolevano per gli innumerevoli tentativi, tirò indietro lo spago un’ultima volta, questa volta con tutta la sua forza, e alla fine, con sua sorpresa, esso schioccò. Lo spago era perfettamente fissato nella scanalatura, dopo quello sforzo che gli aveva imperlato la fronte di sudore. Provò un profondo senso di soddisfazione ora che aveva il suo arco saldo come doveva essere.
Le ombre si stavano allungando quando Thor si asciugò la fronte con il dorso della mano, chiedendosi quanto sarebbe durato ancora tutto questo. Meditò su cosa significasse essere un guerriero. Nella sua testa se l’era immaginato diverso. Aveva pensato che si trattasse solo di allenamenti, tutto il tempo. Ma capiva che anche quello era tutto parte dell’allenamento.
“Neanche per me questo è ciò per cui ho firmato,” disse O’Connor, come se gli avesse letto nel pensiero.
Thor si voltò e si sentì rassicurato dal perenne sorriso dell’amico.
“Vengo dalla Provincia del Nord,” continuò. “Anche io ho sognato per tutta la vita di far parte della Legione. Credo di aver sempre immaginato continui allenamenti e duelli. Non tutti questi umili incarichi. Ma migliorerò. È solo perché siamo nuovi. È una forma di iniziazione. Sembra che ci sia una gerarchia qui. Inoltre siamo i più giovani. A quanto vedo che quelli di diciannove anni non fanno questo. Non può durare per sempre. E dopotutto è una pratica utile da imparare.”
Si udì il suono di un corno. Thor guardò oltre e vide il resto della Legione che si raggruppava accanto ad un grande muro di pietra nel mezzo del campo. C’erano lì delle corde tirate, a distanza di pochi metri l’una dall’altra. Il muro doveva essere alto circa dieci metri, e ammucchiati alla sua base vi erano cataste di fieno.
“Cosa state aspettando?” gridò Kolk. “MUOVETEVI!”
I soldati dell’Argento comparvero tutt’attorno a loro, gridando, e prima che Thor potesse capire, tutti saltarono dalle loro panche e corsero attraverso il prato fino al muro.
Presto furono tutti radunati lì, in piedi davanti alle corde. C’era un vociare eccitato nell’aria, che serpeggiava tra tutta la Legione. Thor era affascinato dal fatto di essere finalmente incluso tra gli altri, e si portò verso Reece, che era in piedi accanto ad un altro amico. O’Connor li raggiunse.
“Torverete in battaglia molte città fortificate,” disse Kolk con voce tonante, mentre guardava i volti dei ragazzi. “Fare breccia nelle fortificazioni è lavoro per un soldato. In un normale assedio vengono usate corde ed uncini da guerra, molto simili a quelli che abbiamo lanciato oltre questo muro. E scalare un muro è una delle cose più pericolose che potrà capitarvi in battaglia. In pochi casi sarete più esposti di così, più vulnerabili. Il nemico vi verserà addosso piombo fuso. Vi tireranno frecce. Scaglieranno pietre. Non si scala un muro fino a che il momento non è opportuno. E se il momento arriva, dovete scalare per la vostra vita o altrimenti rischiare la morte.”
Kolk fece un respiro profondo, e poi gridò: “COMINCIATE!”
Tutt’attorno a lui i ragazzi scattarono in azione, ciascuno diretto verso una corda. Thor si lanciò verso una ancora libera e stava per afferrarla quando un ragazzo più vecchio arrivò per primo, spingendolo da parte. Thor incespicò ed afferrò la prima che gli capitò tra le mani, una cordicella spessa e nodosa. Il cuore gli martellava in petto quando iniziò a farsi strada risalendo il muro.
La giornata si era fatta umida e i piedi di Thor scivolavano sulla pietra. Ciononostante procedeva piuttosto veloce e non poté fare a meno di notare che era più veloce di molti altri: si portò in testa, mentre procedeva nella sua arrampicata. Per la prima volta quel giorno iniziava a provare una sensazione di orgoglio.
All’improvviso qualcosa di rigido gli colpì la spalla. Guardò in alto e vide diversi membri dell’Argento in cima al muro che lanciavano pietre, bastoni e ogni genere di oggetto. Il ragazzo attaccato alla corda accanto a Thor allungò una mano per coprirsi il volto, ma perse la presa e cadde all’indietro, volando a terra. Precipitò per quasi dieci metri ed atterrò su un cumulo di fieno lì sotto.
Anche Thor stava per perdere la presa, ma riuscì in qualche modo a tenersi saldo. Venne scagliata una mazza che colpì Thor con violenza sulla schiena, ma lui continuò a salire. Era a buon punto e stava iniziando a pensare che sarebbe potuto arrivare addirittura per primo lassù, ma all’improvviso sentì un forte calcio nelle costole. Non riusciva subito a capire da dove provenisse, ma quando guardò in basso vide uno dei ragazzi vicini a lui che oscillava di lato. Prima che Thor potesse reagire, il ragazzo gli sferrò un altro calcio.
Questa volta Thor lasciò la presa e si ritrovò sbilanciato all’indietro, nell’aria, a sbracciarsi. Atterrò di schiena nel fieno, frastornato ma incolume.
Thor balzò su mani e ginocchia, trattenendo il fiato, e osservò: tutt’attorno a lui ragazzi piombavano dalle corde come mosche, atterrando nel fieno, calciati o spinti da altri, oppure spazzati via dai membri dell’Argento che stavano in cima. E quelli che non mollavano si ritrovavano la corda tagliata, così da cadere a terra pure loro. Nessuno raggiunse la cima.
“In piedi!” gridò Kolk. Thor balzò in piedi, e così fecero gli altri.
“SPADE!”
I ragazzi corsero tutti insieme verso una grande rastrelliera di spade di legno. Thor si unì a loro e ne afferrò una, sorpreso da quanto pesante fosse. Pesava almeno il doppio di qualsiasi altra arma avesse mai sollevato. Riusciva a malapena a reggerla.
“Spade pesanti, iniziate!” gridò una voce.
Thor guardò davanti a sé e vide l’enorme bestione, Elden, quello che l’aveva attaccato la prima volta che aveva incontrato la Legione. Thor lo ricordava troppo bene: la sua faccia ancora gli faceva male per le botte che aveva ricevuto da lui. Avanzava verso di lui con la spada ben alta e un’espressione feroce stampata in volto.
Thor sollevò la sua spada all’ultimo momento e riuscì a parare il colpo di Elden, ma la spada era troppo pesante e lui era a malapena in grado di risollevarla. Elden, più grande e più forte, gli sferrò un calcio nelle costole.
Thor crollò in ginocchio, dolente. Elden si preparò per colpirlo in faccia, ma Thor riuscì ad allungare una mano e fermare il colpo all’ultimo momento. Ma Elden era troppo veloce e troppo forte: oscillò e sferrò un altro colpo alla gamba di Thor, buttandolo a terra su un fianco.
Una piccola folla di ragazzi si riunì attorno a loro, gridando ed incitando, mentre il loro duello diventava il centro dell’attenzione. Sembrava che tutti facessero il tifo per Elden.
Elden calò la spada un’altra volta sbattendola forte a terra, ma Thor rotolò via ed il colpo mancò per un pelo la sua schiena. Thor ebbe un momento di vantaggio e ne approfittò: girò attorno e colpì il bestione con forza dietro al ginocchio. Fu un colpo leggero, ma sufficiente per farlo cadere all’indietro, sulla schiena.
Thor colse l’occasione per balzare in piedi. Anche Elden si alzò, rosso in volto, più furioso che mai e i due si trovarono faccia a faccia.
Thor sapeva che non sarebbe potuto rimanere semplicemente lì a guardare: prese lo slancio e ruotò. Ma la sua spada da esercitazione era fatta di uno strano legno, troppo pesante, così che la sua mossa fu anticipabile. Elden lo bloccò con facilità per poi colpirlo con violenza alle costole.
Centrò un punto molle e Thor si inginocchiò, lasciando cadere la spada, senza fiato.
Gli altri ragazzi gridarono di giubilo. Thor rimase in ginocchio, disarmato, e sentì la punta della spada di Elden premuta contro la sua gola.
“Arrenditi!” ordinò Elden.
Thor sollevò lo sguardo verso di lui, il sapore salato del sangue tra le labbra.
“Mai,” disse sprezzante.
Elden fece una smorfia, sollevò la spada e si preparo a scagliarla di nuovo verso il basso. Non c’era nulla che Thor potesse fare. Era giusto sotto la traiettoria di un forte colpo.
Mentre la spada scendeva, Thor chiuse gli occhi e si concentrò. Avvertì il mondo che rallentava e si sentì trasportare verso un’altra dimensione. Era finalmente capace di sentire l’oscillazione della spada nell’aria, il suo movimento, e provò il desiderio di fermare l’universo.
Sentì che il corpo si scaldava, percepì un formicolio e, mentre si concentrava, capì che qualcosa stava accadendo. E lui era in grado di controllarlo.
All’improvviso la spada si immobilizzò a mezz’aria. Thor era riuscito in qualche modo a fermarla utilizzando il suo potere.
Mentre Elden se ne stava lì, tenendo la spada, confuso, Thor usò il potere della sua mente per afferrare e stringere il polso di Elden. Spremette sempre più forte nella sua mente e dopo pochi istanti Elden gridò e lasci cadere l’arma.
Tutti i ragazzi si ammutolirono e rimasero immobili, guardando Thor con gli occhi sgranati per la sorpresa e la paura.
“È un demone!” gridò uno di loro.
“Uno stregone!” gli fece eco un altro.
Thor si sentiva sopraffatto. Non aveva piena coscienza di ciò che aveva appena compiuto. Ma sapeva che non era normale. Si sentiva allo stesso tempo orgoglioso e imbarazzato, rincuorato e spaventato.
Kolk avanzò entrando nel cerchio e si mise tra Thor ed Elden.
“Questo non è luogo da incantesimi, ragazzo, chiunque tu sia,” disse a Thor con tono di rimprovero. “È un luogo per battaglie. Hai infranto le nostre regole del combattimento. Avrai modo di pensare a ciò che hai fatto. Ti manderò in un luogo realmente pericoloso e staremo a vedere quanto bene ti difenderanno i tuoi incantesimi lì. Farai rapporto alla guardia di pattuglia al Canyon.”
Vi fu un sussultò nella Legione e tutti rimasero in silenzio. Thor non capiva esattamente cosa ciò significasse, ma sapeva che qualsiasi cosa fosse, non poteva essere niente di buono.
“Non puoi mandarlo al Canyon!” protestò Reece. “È appena arrivato. Potrebbe farsi male.”
“Io faccio al ragazzo tutto quello che voglio,” disse Kolk a Reece con una smorfia. “Tuo padre non è qui ora per proteggere te. O lui. E io sono a capo di questa Legione. E tu faresti bene a tenere a freno la lingua: non pensare di poterti permettere di parlare così liberamente e fuori luogo un’altra volta solo perché sei uno della famiglia reale.”
“Bene,” rispose Reece. “E allora andrò con lui!”
“E anch’io!” intervenne O’Connor, facendo un passo avanti.
Kolk li guardò, e scosse lentamente la testa.
“Pazzi. È una vostra scelta. Andate con lui se lo volete tanto.”
Kolk si voltò e guardò Elden. “E tu non pensare di cavartela cos facilmente,” gli disse. “Questo duello l’hai iniziato tu. Anche tu hai un prezzo da pagare. Tu starai di pattuglia con loro stanotte.”
“Ma signore, non può mandarmi al Canyon!” protest Elden, con gli occhi grandi di paura. Era la prima volta che Thor lo vedeva spaventato da qualcosa.
Kolk si avvicinò ad Elden e si portò le mani ai fianchi. “Non posso?” disse. “Non solo posso mandarti lì, posso anche spedirti via una volta per tutte, fuori da questa Legione, negli anfratti più lontani di questo regno, se continui a rispondermi in questo modo.”
Elden distolse lo sguardo, troppo confuso per rispondere.
“Qualcun altro vuole andare con loro?” chiese Kolk.
Gli altri ragazzi, più grandi, più vecchi e più forti, guardarono tutti da un’altra parte, spaventati. Thor ebbe un fremito guardando quei volti tutti nervosi, e si chiese quanto terribile potesse essere il Canyon.
CAPITOLO QUINDICI
Thor camminava lungo la strada di terra battuta, affiancato da Reece, O’Connor ed Elden. I quattro non si erano quasi scambiati parola da quando erano partiti, ancora scioccati. Thor guardava a Reece e O’Connor con un sentimento di gratitudine che mai aveva provato prima. Non poteva credere che avessero messo la loro vita in pericolo a quel modo per lui. Sentiva di aver trovato degli amici sinceri, quasi dei fratelli. Non aveva idea di cosa ci fosse in serbo per loro al Canyon, ma qualsiasi cosa avessero dovuto affrontare, era felice di avere loro al suo fianco.
Cercava di non guardare Elden. Lo poteva scorgere calciare sassi e bruciare di rabbia: era evidente quanto fosse seccato e arrabbiato di essere lì, in pattuglia con loro. Ma Thor non provava pietà per lui. Come Kolk aveva detto, era stato lui ad iniziare tutto. Ben gli stava.
I quattro, un gruppo messo insieme alla bell’è meglio, procedevano lungo la strada seguendo le indicazioni. Camminavano da ore, era tardo pomeriggio e le gambe di Thor si stavano facendo pesanti. Aveva anche fame. Aveva ricevuto solo una piccola ciotola di zuppa d’orzo per pranzo e sperava che ci fosse del cibo ad attenderli ovunque stessero andando.
Ma aveva preoccupazioni maggiori di quella. Guardava la sua nuova armatura, e sapeva che non gliel’avrebbero data se non per importanti motivi. Prima di farli partire, i quattro erano stati riforniti di una nuova armatura da scudiero, in pelle e maglia di ferro. Avevano ricevuto anche piccole spade verdi di metallo grezzo, non certo il metallo raffinato usato per forgiare le spade dei cavalieri, ma certo meglio di niente. Era rassicurante avere un’arma efficiente appesa alla vita, oltre ovviamente alla sua fionda, che Thor ancora portava con sé. Ciononostante sapeva bene che se quella notte si fossero imbattuti in reali pericoli, le armi e l’armatura che avevano non sarebbero state sufficienti. Desiderò avere l’armatura e le armi di fattura superiore dei suoi compagni della Legione: spade medie e lunghe del miglior metallo, lance corte, mazze, pugnali, alabarde. Ma quelle erano armi per i ragazzi di fama e onore, per famiglie famose che si potevano permettere cose del genere. Non certo per Thor, il semplice figlio di un pastore.
Mentre camminavano lungo la strada interminabile, nel secondo tramonto, lontani dagli accoglienti cancelli della Corte del Re, in direzione del distante confine del Canyon, Thor non poteva fare a meno di pensare come tutto ciò fosse colpa sua. Per una qualche ragione, alcuni degli altri membri della Legione sembravano non gradire la sua presenza, rea come se ne risentissero. Non aveva senso. E questo lo metteva in una condizione di scoramento. Per tutta la vita lui non aveva desiderato altro che di unirsi a loro. Ora si sentiva come se vi fosse entrato con l’inganno: sarebbe mai stato realmente accettato dai suoi pari?
Ora, in cima a tutto, era stato scelto per andare a servizio nel Canyon. Non era giusto. Non l’aveva iniziato lui il duello, e quando aveva usato i suoi potere, qualsiasi cosa fossero, non l’aveva fatto apposta. Ancora non era in grado di comprenderli, non sapeva da dove provenissero, come lui riuscisse a richiamarli, o come fosse possibile fermarli. Non avrebbero dovuto punirlo per questo.
Thor non aveva idea di cosa significasse prestare servizio al Canyon, ma dall’espressione degli altri era evidente che non era nulla di desiderabile. Si chiedeva se lo avessero allontanato con l’intenzione di ucciderlo, se questo fosse il loro modo di eliminarlo definitivamente dalla Legione. Era determinato a non arrendersi.
“Quanto può essere distante ancora il Canyon?” chiese O’Connor, rompendo il silenzio.
“Mai abbastanza,” rispose Elden. “Non saremmo in questo casino se non fosse per Thor.”
“Hai iniziato tu il duello, ricordi?” lo interruppe Reece.
“Ma io ho combattuto regolarmente, lui no,” protestò Elden. “E poi, se lo meritava.”
“Perché?” chiese Thor, desideroso di ricevere la risposta che gli bruciava dentro da un po’. “Perché me lo meritavo?”
“Perché non appartieni a questo posto, non sei uno di noi. Il tuo posto nella Legione l’hai rubato. Tutti noi siamo stati scelti. Tu hai duellato per entrare.”
“Ma non è proprio questo ciò di cui si occupa la Legione? Combattere?” rispose Reece. “Direi che Thor si merita il suo posto più di tutti noi altri. Noi siamo stati semplicemente presi. Lui ha lottato e combattuto per guadagnarsi ciò che non gli era stato concesso.”
Elden scrollò le spalle, indifferente.
“Le regole sono regole. Non è stato scelto. Non dovrebbe essere con noi. Ecco perché ho lottato contro di lui.”
“Beh, non sarai tu a mandarmi via,” rispose Thor, con voce vibrante, determinato a farsi accettare.
“Staremo a vedere,” borbottò Elden con voce cupa.
“E con questo cosa vorresti dire?” chiese O’Connor.
Elden non disse altro, continuò invece a camminare in silenzio. Lo stomaco di Thor si strinse. Non poteva fare a meno di sentirsi come se avesse attorno troppi nemici, anche se non capiva perché. Quella sensazione non gli piaceva affatto.
“Fai a meno di badarlo,” gli disse Reece, con voce abbastanza alta da poter essere udito. “Non hai fatto niente di sbagliato. Ti hanno mandato a servizio nel Canyon perché riconoscono che in te c’é del potenziale. Vogliono temprarti, altrimenti non se ne preoccuperebbero. Sei sotto i loro occhi perché mio padre ti ha rivolto la sua attenzione esclusiva. Tutto qui.”
“Ma cosa significa prestare servizio al Canyon?” chiese Thor.
Reece si schiarì la voce e parve preoccupato.
“Non ci sono mai stato neanche io. Ma ho sentito delle storie. Da alcuni dei ragazzi più vecchi e dai miei fratelli. È un servizio di pattugliamento. Ma dall’altra parte del Canyon.”
“Dall’altra parte?” chiese O’Connor con il terrore nella voce.
“Cosa intendi con ‘dall’altra parte’?” chiese Thor, non capendo.
Reece lo osservò attentamente.
“Non sei mai stato al Canyon?”
Thor sentiva che gli altri lo stavano guardando e scosse la testa insicuro.
“Mi prendi in giro,” disse bruscamente Elden.
“Davvero?” insistette O’Connor. “Mai una volta in vita tua?”
Thor scosse la testa, arrossendo. “Mio padre non ci ha mai portato da nessuna parte. Ne ho sentito parlare.”
“Probabilmente non sei mai uscito dal tuo villaggio, ragazzo,” disse Elden. “Vero?”
Thor alzò le spalle, in silenzio. Era proprio così ovvio?
“Davvero,” aggiunse Elden, incredulo. “Incredibile.”
“Taci,” disse Reece. “Lascialo stare. Questo non ti rende migliore di lui.”
Elden guardò Reece con un ghigno e portò la mano al suo pugnale; poi però si rilassò. Evidentemente, anche se era più grande di Reece, non voleva provocare il figlio del Re.
“Il Canyon è l’unico mezzo che tiene al sicuro il regno dell’Anello,” spiegò Reece. “Non c’è altro tra di noi e le orde che popolano il resto del mondo. Se i barbari delle Terre Selvagge dovessero fare irruzione all’interno, sarebbe la fine. Tutto l’Anello si affida a noi, gli uomini del Re, perché lo proteggiamo. Abbiamo pattuglie che lo sorvegliano tutto il tempo, soprattutto da questa parte, e talvolta dall’altra. C’è solo un ponte che lo attraversa, un’unica via di accesso e uscita, ed i migliori membri dell’Argento stanno di guardia lì giorno e notte.”
Thor aveva sempre sentito parlare del Canyon, aveva udito storie spaventose delle cose malvagie che si trovavano dall’altra parte, l’enorme Impero del male che circondava l’Anello, e sapeva quanto tutti loro vivessero vicini al terrore. Era quello uno dei motivi per cui aveva voluto essere parte della Legione del Re: per contribuire a proteggere la sua famiglia ed il suo regno. Odiava l’idea che là fuori vi fossero altri uomini che costantemente lo proteggevano, mentre lui viveva comodamente tra le braccia del Regno. Volveva fare la sua parte, aiutando a combattere le orde malvage. Non poteva immaginare niente di più valoroso di quegli uomini che sorvegliavano il passaggio del Canyon.
“Il Canyon è ampio un miglio e circonda l’intero Anello,” spiegò Reece. “Non è facile fare irruzione. Ma ovviamente i nostri uomini non sono l’unico mezzo per tenere a bada le orde. Ci sono milioni di quelle creature là fuori, e se volessero oltrepassare il Canyon, con buona forza di volontà lo farebbero in un momento. I nostri uomini sono solo un aiuto supplementare allo scudo di energia del Canyon. Il vero potere che li tiene a bada è il potere della Spada.”
Thor si voltò. “La spada?”
Reece lo guardò.
“La Spada del Destino. Conosci la leggenda?”
“Questo campagnolo non ne ha probabilmente mai sentito parlare,” intervenne Elden.
“Certo che la conosco,” rispose seccamente Thor, sulla difensiva. Non solo la conosceva, ma aveva anche trascorso molti giorni riflettendo su quella leggenda. Aveva sempre desiderato vedere la spada. La favolosa Spada del Destino, la spada magica la cui energia proteggeva l’Anello e riempiva il Canyon di una potente forza che teneva a bada gli invasori.
“La spada si trova nella Corte del Re?” chiese Thor.
Reece annuì.
“Si trova con la famiglia reale da generazioni. Senza di essa il Regno non sarebbe nulla. L’Anello verrebbe annientato.”
“Se siamo protetti allora perché preoccuparsi di pattugliare il Canyon?” chiese Thor.
“La spada blocca solo le minacce maggiori,” spiegò Reece. “Una singola creatura malvagia potrebbe intrufolarsi qua o là. Ecco perché i nostri uomini sono necessari. Un essere da solo, o addirittura un piccolo gruppo, può essere capace di attraversare il Canyon: potrebbero essere così audaci da attraversare il ponte, oppure potrebbero agire con discrezione e scendere le pareti del Canyon da una parte per risalire poi dall’altra. Il nostro compito è quello di tenerli fuori. Anche una sola creatura può causare un sacco di danni. Anni fa uno di loro entrò ed uccise la metà dei bambini di un villaggio prima di essere catturato. La Spada fa il grosso del lavoro, ma noi siamo una componente indispensabile.”
Thor ascoltò attentamente, riflettendo. Il Canyon sembrava così grande, il loro compito così importante: stentava a credere di essere parte di un’impresa così grande.
“Ma anche così non ho spiegato tutto benissimo, disse Reece. “C’è ben di più riguardo al Canyon, non solo questo,” disse, e poi rimase in silenzio.
Thor lo guardò e vide qualcosa di simile alla paura o al dubbio nei suoi occhi.
“Come posso spiegarmi?” disse Reece, faticando a trovare le parole giuste. Si schiarì la voce. “Il Canyon è molto più grande di tutti noi. Il Canyon è…”
“Il Canyon è un posto da uomini,” risuonò una voce.
Si voltarono tutti al suono di quella voce e allo scalpitare di un cavallo.
Thor non poteva crederci. Lì, trottando al loro fianco, ricoperto dalla maglia di ferro e con lunghe armi scintillanti pendenti dai fianchi del suo incredibile destriero, c’era Erec. Sorrise loro, tenendo poi gli occhi fissi su Thor.
Thor lo guardò scioccato.
È un posto che ti renderà uomo,” aggiunse Erec, “sempre che tu non lo sia già.”
Thor non aveva più visto Erec dal giorno dell’incontro al torneo, e si sentì così rassicurato dalla sua presenza, dall’idea di avere un vero cavaliere lì con loro, mentre andavano verso il Canyon, niente meno che lo stesso Erec. Si sentiva invincibile con lui al suo fianco, e pregò che li seguisse.
“Cosa ci fai qui?” chiese Thor. “Ci accompagni?” domandò, sperando di non apparire troppo zelante.
Erec rise.
“Non ti preoccupare, giovane,” disse. “Vengo con voi.”
“Davvero?” chiese Reece.
“È tradizione che un membro dell’Argento accompagni i membri della Legione al loro primo pattugliamento. Mi sono offerto volontario.”
Erec si voltò a guardare Thor.
“Del resto, tu mi hai aiutato ieri.”
Thor si sentì scaldare il cuore, incoraggiato dalla presenza di Erec. Si sentì anche più valorizzato agli occhi dei suoi compagni. Eccolo qui, accompagnato dal più grande cavaliere del regno, in direzione del Canyon. Buona parte della sua paura stava svanendo.
“Ovviamente non uscirò in pattugliamento con voi,” aggiunse Erec. “Ma vi scorterò attraverso il ponte, fino al vostro campo. Sarà compito vostro avventurarvi di pattuglia, da soli, fuori da qui.”
“È un grande onore, signore,” disse Reece.
“Grazie,” gli fecero eco O’Connor ed Elden.
Erec guardò verso Thor e sorrise.
“E dopotutto, se sarai mio primo scudiero, non posso lasciarti morire proprio adesso.”
“Primo?” chiese Thor, con il cuore che gli fece un guizzo.
“Feithgold si è rotto una gamba nell’incontro al torneo. Sarà fuori combattimento per almeno otto settimane. Ora sei tu il mio primo scudiero. E il nostro allenamento deve cominciare, o no?”
“Certo signore,” rispose Thor.
La mente di Thor stava fluttuando. Stentava a crederlo. Per la prima volta da un po’ di tempo, si sentì come se la fortuna avesse finalmente virato dalla sua parte. Ora era primo scudiero del più grande cavaliere in assoluto. Si sentiva come se avesse superato di un balzo tutti i suoi amici.
I cinque continuarono, diretti verso ovest al tramonto del sole, con Erec che avanzava lentamente sul suo destriero al loro fianco.
“Immagino che tu sia stato al Canyon?” gli chiese Thor.
“Molte volte,” rispose Erec. “Il mio primo pattugliamento: avevo la tua età, in effetti.”
“E com’è stata?” chiese Reece.
I quattro ragazzi si voltarono e lo fissarono con profonda attenzione, mentre continuavano a camminare. Erec proseguì per un po’ in silenzio, guardando dritto davanti a sé, la mandibola serrata.
“La tua prima volta in un’esperienza che non dimenticherai mai. È difficile da spiegare. È un luogo strano ed estraneo, mistico e bellissimo. Dall’altra parte si trovano pericoli inimmaginabili. Il ponte per attraversarlo è lungo e ripido. Ci sono molti di noi che pattugliano, ma ti senti sempre da solo. È natura allo stato puro. Un uomo si sente annientato quando si trova all’ombra del Canyon. Sono secoli che i nostri uomini sono di guardia lì. È un rito di passaggio. Senza di esso non puoi capire pienamente cosa sia il pericolo, non puoi diventare Re.”
Tacque di nuovo. I quattro ragazzi si guardarono tra loro, frastornati.
“Dovremmo aspettarci una schermaglia dall’altra parte, allora?” chiese Thor.
Erec scrollò le spalle.
“Tutto è possibile, una volta giunti nelle Terre Selvagge. Improbabile. Ma possibile.”
Erec guardò Thor.
“Vuoi essere un grande scudiero e un giorno un grande cavaliere?” chiese, guardandolo dritto negli occhi.
Il cuore di Thor accelerò.
“Sì, signore, più di ogni altra cosa.”
“Allora ci sono delle cose che devi imparare,” disse Erec. “La forza non è abbastanza, l’agilità non è sufficiente, essere un grande lottatore non basta. C’è qualcos’altro, qualcosa di più importante di tutto questo.”
Erec rimase in silenzio e Thor non stava più nella pelle.
“Cosa?” chiese. “Qual è la cosa più importante?”
Devi avere uno spirito vigoroso, rispose Erec. Non avere mai paura. Devi entrare nel bosco più buio, partecipare alla battaglia più pericolosa, con completa serenità. Devi portare questa serenità con te, sempre, in qualsiasi momento e ovunque tu vada. Mai timoroso, sempre in guardia. Mai fermo, sempre diligente. Non hai più il lusso di aspettarti che gli altri ti proteggano. Non sei più un cittadino comune. Ora sei uno degli uomini del Re. Le qualità principali di un guerriero sono coraggio e serenità. Non avere paura del pericolo. Aspettatelo. Ma non cercarlo.”
“Questo è l’Anello nel quale viviamo,” aggiunse Erec, “il nostro Regno. Sembra che noi, con tutti i nostri uomini, lo proteggiamo dalle orde del mondo. Ma non è così. Siamo protetti solo dal Canyon, e solo dalla stregoneria al suo interno. Viviamo nell’Anello di uno stregone. Non dimenticarlo. Viviamo e muoiamo per magia. Non c’è sicurezza qui, ragazzo, da nessun versante del Canyon. Togli la stregoneria, togli la magia, e non siamo niente.”
Camminarono in silenzio per un po’ di tempo, e Thor ripensava e ripensava nella sua mente alle parole di Erec. Sembrava che Erec volesse mandargli un messaggio nascosto: era come se gli stesse dicendo che, per quanto potere avesse, per quanto potere fosse in grado di richiamare, non era niente di cui vergognarsi. Piuttosto, era qualcosa di cui poteva andare fiero e la fonte di tutta l’energia nel regno. Thor si sentiva meglio. Aveva pensato di essere stato mandato lì, nel Canyon, come punizione per aver utilizzato la sua magia e si era sentito in colpa per questo. Ma ora sentiva che i suoi poteri, qualunque cosa fossero, sarebbero potuti diventare fonte di orgoglio.