Kitabı oku: «Quattro Destini», sayfa 5
Capitolo 4
Lero 1920 – 1935
L'isola di Lero, come molte di quelle che ora sono le isole greche che avevano fatto parte per secoli dell'impero ottomano, aveva mantenuto per tutto il tempo il suo carattere greco. Le persone del luogo erano greche fino in fondo e i turchi li avevano ampiamente lasciati per conto loro. É nota dai locali come l'isola di Artemide, la dea della caccia, conosciuta dai romani come Diana.
Da quando gli italiani ne avevano preso possesso e avevano iniziato a costruire le strutture aeronautiche a Lepida, nella grande baia che chiamarono Porto Lago, avevano impiegato la popolazione locale per farsi aiutare. Questo era un lavoro benvenuto dalle persone che in precedenza avevano tirato avanti con fatica lavorando come pescatori o contadini sotto l'impero ottomano.
C'erano alcuni abili artigiani che avevano sviluppato le case neoclassiche nella città principale, Platanos, e sul lungomare di Agia Marina alla fine del diciannovesimo secolo. Spiros Raftopoulos era uno di questi. Era un esperto costruttore e quando gli italiani misero degli annunci per la ricerca di lavoratori che costruissero la nuova base, fece domanda e fu accettato. Questo significava un considerevole incremento delle sue entrate e così fu in grado di sistemare la casa che suo padre aveva lasciato che andasse in rovina a causa della mancanza di denaro. Fu anche in grado di sposare il suo amore, Despina, e di invitare la sua famiglia e gli amici nella piccola cappella di Agios Isidoros su un'isoletta nel braccio nord della baia di Gourna, a nord di Porto Lago. La cappella era collegata all'isola principale con una stretta passerella che era spesso impraticabile quando i temporali invernali arrivavano da sud. Nell'estate del 1920 Despina diede alla luce il loro figlio, Yiannis, chiamato così secondo la consuetudine greca in onore di suo nonno.
Spiros era diventato ben più di un semplice costruttore. Aveva un talento naturale per la progettazione, aveva imparato il disegno tecnico ed era diventato un progettista molto competente. Il suo lavoro era di aiutare a progettare le fondamenta dei grossi ganci costruiti per sollevare gli idrovolanti ospitati nella baia di Lepida, davanti alla nuova città italiana che gli italiani avevano chiamato Porto Lago. Anche se era un membro apprezzato e rispettato del gruppo, non era molto portato per le lingue e riusciva a comunicare con i manager italiani solo attraverso un interprete. Questo limitava molto la sua utilità al progetto – in particolare perché i loro interpreti non avevano esperienza nelle costruzioni e spesso avevano difficoltà con i termini tecnici.
Leggendo attentamente i progetti, Spiros aveva notato un errore nella progettazione. Controllò e ricontrollò i suoi calcoli per esserne assolutamente sicuro, ma fu in grado di vedere che c'era un potenziale errore nelle specifiche tecniche. Quella sera andò a casa preoccupato sul fatto se avrebbe dovuto sollevare il problema. Non era strettamente il suo reparto, ma si sarebbe sentito un irresponsabile se non avesse evidenziato l'errore. Decise di togliersi il pensiero il mattino successivo.
Giuseppe stava lavorando in ufficio in cantiere quando Spiros venne per esporre la sua preoccupazione sulla progettazione dell'hangar. Si guardò intorno alla ricerca dell'interprete e, rendendosi conto che non c'era, perse la pazienza e fece per andarsene.
“Buon giorno” disse Giuseppe, in greco, “Posso aiutarla?”
“No, non è nulla.” Fece per andarsene, poi si girò sorpreso,” lei parla greco?”
“Un po', sto cercando di imparare. Cosa desiderava?”
“Sto lavorando alle fondamenta dell’hangar. Non sono affari miei, lo so, ma temo che possa esserci un problema con la dimensione dei supporti per il tetto. Forse però ho torto. Non ha importanza.”
Si girò di nuovo verso la porta, ma Giuseppe lo richiamò. “E lei è?”
“Spiros Raftopoulos. Sto lavorando alle basi che tengono questi supporti. Probabilmente un errore mio,” cominciò a perdere la pazienza, “non importa.”
“Le ho progettate io. Quale è il problema?” chiese Giuseppe, con scetticismo, “mi faccia vedere.”
Spiros venne avanti e srotolò sulla scrivania il progetto che aveva con sé. Indicò le massicce travi che sorreggevano il soffitto. “Vede, queste non sembrano forti a sufficienza per reggere quell'ammontare di peso. Lei ha specificato 75 millimetri, ma con questa larghezza, credo che dovrebbero essere di almeno 150 millimetri.”
Giuseppe guardò a lungo il disegno, prese il suo regolo calcolatore per effettuare dei calcoli. Si appoggiò all’indietro e si schiaffeggiò la fronte. “Oh, vedo. Ha ragione, ho scritto la dimensione sbagliata!” disse, imbarazzato.
“Non è un problema, possiamo ancora cambiarle,” disse Spiros. “Non sono ancora state consegnate – potremmo semplicemente correggere l’ordine.”
“Grazie.” Giuseppe, ora molto sollevato, diede un colpetto sul braccio di Spiros in segno di gratitudine. “Per favore mi faccia sapere se scopre qualche altro problema.”
“Spero che non la disturbi il fatto che io venga da lei”
“Certo che no,” disse Giuseppe, “non è affatto un problema!”
Il greco fece un cenno col capo verso di lui. “Bene – grazie” disse solennemente, arrotolando il foglio e andandosene. Giuseppe srotolò la sua copia del progetto e la corresse. Non sarebbe stato per nulla popolare con i suoi capi se l’errore non fosse stato scoperto e il soffitto fosse crollato.
Quella sera, mentre andava verso casa, Giuseppe vide Spiros che usciva. “Spiros” lo chiamò, “vuoi bere qualcosa con me?”
Spiros annuì e sorrise, andando verso di lui. “Grazie, ci vorrebbe proprio.”
Andarono a uno dei nuovi bar a Porto Lago. Dopo che Giuseppe ebbe fatto un brindisi alla salute di Spiros, cominciarono a parlare del lavoro in cui erano entrambi coinvolti. L'italiano fu impressionato dalle conoscenze tecniche di Spiros e, godendosi il loro Ouzo, si accordarono che sarebbe stato un bene se avessero potuto lavorare assieme al progetto.
“Può impedirmi di fare altri errori” disse Giuseppe.
“Sono sicuro che se ne sarebbe reso conto in tempo da solo,” replicò generosamente il greco.
“Grazie. Forse sì ma se non fosse accaduto sarei finito in guai grossi.” Colpì col bicchiere il tavolo e poi toccò di nuovo il bicchiere di Spiros, con il brindisi greco “Γεια μας” (Yamas – alla nostra salute).
Il mattino seguente, Giuseppe disse al suo capo della conversazione avuta con Spiros – senza fare cenno al suo errore. “É un brav’uomo, molto esperto – e anche un bravo disegnatore. Il suo unico problema è che non parla italiano, ma visto che io parlo greco non è un problema. Ci sarebbe veramente utile. Può fare in modo che lavori con me?”
Il capo fu d'accordo, “ho sentito buone cose su di lui. L'unico rapporto negativo che ho avuto è stato riguardo al suo temperamento, perciò stia in guardia.”
Fu detto a Spiros di fare capo a Giuseppe e nel corso delle settimane successive i due lavorarono a stretto contatto. Dopo il lavoro presero l'abitudine di fermarsi al bar per un bicchiere prima di tornare a casa dalle loro famiglie.
****
Quando aveva solo cinque anni, Yiannis trovò un piccolo stampo di metallo su una delle spiagge. Lasciava una forma di conchiglia quando veniva riempito di sabbia e girato. Stava giocando vicino al luogo di uno degli edifici su cui Spiros stava lavorando e trovò un sacco di cemento. Infilò il suo piccolo stampo nel cemento e lo riempì, poi corse tutto eccitato per mostrarlo a suo padre.
Spiros gli urlò contro con rabbia. “Con cosa stai giocando? Potresti gettartelo negli occhi correndo in quel modo. Dammelo!” Gli prese lo stampo e lo gettò in un vicino cumulo di detriti. Poi fece alzare la mano al bimbo, si levò la cintura e gli colpì la mano per tre volte. Il bimbo scappò via singhiozzando.
Quella sera sua moglie, Despina, gli chiese cosa fosse accaduto. “Yiannis è tornato qui in lacrime dicendo che avevi gettato via il suo gioco e lo avevi colpito. Cosa è successo?”
“È stato cattivo. Ha raccolto del cemento e stava correndo in giro. Ho pensato che gli sarebbe finito negli occhi.”
“Sì, capisco, ma perché colpirlo?”
“Deve imparare. É un ragazzo – deve capire la disciplina.”
“Disciplina! Ha solo cinque anni! Sei troppo duro con lui.”
Spiros imprecò e uscì di casa sbattendo la porta. Andò a sedersi al solito bar tenendo il muso. Alcuni dei suoi amici erano lì, ma vedendolo sedersi e guardare in cagnesco dall’angolo, all’inizio furono riluttanti ad avvicinarglisi. Alla fine, uno di loro gli chiese quale fosse il problema.
“Donne” disse. Il suo amico annuì comprensivo. “Vogliono tenere i figli nella bambagia. Despina prende sempre le parti del ragazzo. Ma lui deve imparare.” Raccontò quello che era successo.
Sebbene il suo amico fosse comprensivo, suggerì che forse non avrebbe dovuto essere così duro. “Non è un cattivo bambino e non è realmente disubbidiente. Forse dovresti farti perdonare – e cercare di far calmare la situazione. Se non ti dispiace che te lo dica, dovresti cercare di non arrabbiarti così.”
“Quindi cosa credi che dovrei fare?”
“Non mi hai detto che volevi insegnargli a nuotare? Perché non lo fai? Adesso il tempo è buono,” era ottobre e l'estate si stava prolungando, “passa un po' di tempo con lui. Questo mostrerà a lui – e a sua madre – che ti interessi. Sei un buon nuotatore, potresti insegnargli in poco tempo.”
Il fine settimana successivo, Spiros portò Yiannis sul suo asino sul sentiero che portava dal porto nella parte settentrionale fino a una spiaggia sabbiosa. Poi diede a Yiannis un pezzo di sughero che aveva raccolto sulla spiaggia per usarlo come salvagente. Portò suo figlio nel mare tiepido e lo tenne mentre mostrava al ragazzo come muovere le gambe e muoversi attraverso l'acqua. Poi legò il sughero con un nastro attorno al petto di Yiannis e gli mostrò come usare le braccia e le gambe insieme.
Il ragazzo si dimostrò un nuotatore naturale e, dopo sole poche lezioni, stava nuotando senza aiuti. Suo padre fu orgoglioso di suo figlio e l'incidente con lo stampo e il cemento fu dimenticato.
Anche se ancora molto giovane, Yiannis cominciò a aiutare Spiros in cantiere. Suo padre aveva sviluppato un sistema per creare con uno stampo i blocchi di cemento usati nelle costruzioni, e a Yiannis, all'età di otto anni, fu dato l'incarico di aiutare a distribuire i blocchi a suo padre e agli altri costruttori. Era un lavoro duro, in particolare per un ragazzo. Andava a una delle pile ordinate che erano state portate sul posto da un camion, e lì ne caricava una carriola. La spingeva con fatica verso il luogo dove stava lavorando uno dei muratori, prendeva i mattoni e li impilava pronti per essere usati.
Anche grazie a questo duro lavoro, Yiannis divenne un giovanotto forte e robusto. Era basso, come la maggior parte dei greci, ma muscoloso, con capelli e pelle scura, un bel volto e un atteggiamento serio di uno che è stato costretto a crescere troppo in fretta.
I ragazzi del villaggio che erano capaci di nuotare erano incoraggiati a sfidare le fredde acque del porto il giorno dell'Epifania. In quel giorno di gennaio, i giovani greci gareggiavano per recuperare la Croce gettata dal sacerdote per imitare il battesimo di Cristo. Ogni chiesa – e ce n'erano molte – festeggiava allo stesso modo e i giovani stavano lì in piedi sul molo avvolti in un asciugamano prima di lanciarsi in acqua per vedere chi sarebbe riuscito a recuperare la Croce. Poi sarebbero tornati indietro nuotando, il vincitore che teneva la Croce alta sopra la sua testa, per essere benedetto, tutto tremante, dal prete.
L'anno dopo aver imparato a nuotare, Yiannis chiese se poteva partecipare alla competizione. Sua madre non era molto d'accordo. “É molto piccolo per farlo e non sa nuotare da molto tempo.”
“Stupidaggini” disse Spiros. “É forte per la sua età e ora nuota veramente bene. Starà bene. Puoi portarlo in città e tenerlo al caldo fino a quando dovrà tuffarsi e poi io posso aspettarlo sul caicco e raccoglierlo subito.”
Arrivò il giorno. La chiesa aveva preparato una specie di pergola su una piattaforma in legno che avevano posto sul molo vicino al mare. Era decorata con piante rampicanti e rami di alberi di arance e limoni, con ancora i loro frutti. Il sacerdote, o “Papa”, seguito dalla sua congregazione, arrivò con i suoi paramenti più sacri, indossando una cotta bianco sporco sopra il suo normale abito talare nero, e il tradizionale cappello a cilindro nero ortodosso con un ulteriore pezzo circolare piatto posto al di sopra come un cappello a cilindro rovesciato. Sopra alla cotta c'era una stola ricamata in oro e indossava un grosso crocifisso attorno al collo e un altro lo portava con deferenza tra le sue mani. Era preceduto da un presbitero, che camminava all'indietro portando un grosso libro di preghiere aperto alla pagina di quel giorno particolare. Recitò la liturgia quando salì sulla pergola e la congregazione sul molo rispose quando opportuno, facendosi il segno della croce con devozione mentre parlava.
Il sacerdote alzò la croce e la portò da un lato all'altro, benedicendo le acque a imitazione del battesimo di Gesù da parte di Giovanni il Battista. A questo punto, tutti i ragazzi che stavano tremando vicino all'acqua, gettarono gli asciugamani che li avevano tenuti al caldo e si prepararono a tuffarsi nell'acqua gelida. Yiannis porse il suo asciugamano a sua madre e rimase in attesa, battendo i denti, fino a quando il sacerdote fece un ultimo gesto plateale con la Croce e la gettò nel mare. Tutti i ragazzi si lanciarono verso l'acqua e si precipitarono verso il punto dove era affondata la Croce.
Yiannis si era allenato per la gara e riuscì ad arrivare sul posto nello stesso momento della maggior parte degli altri ragazzi. Lì era poco profondo e lui e gli altri guardarono attraverso l'acqua limpida alla ricerca dell'oggetto di argento scintillante. Stavano tutti schizzando e increspando la superficie perciò era veramente difficile riuscire a vedere. Alcuni ragazzi si tuffarono dove pensavano potesse essere finita. Yiannis, che era stato spinto al limite del gruppo, cercò di guardare dove si stavano concentrando tutti gli altri ma fu spostato a gomitate dai ragazzi più grandi. Quando si girò per cercare di riconquistare il centro del gruppo notò un bagliore sotto di lui e si tuffò. Cercando tra le pietre sul fondo, con le orecchie che schioccavano per la pressione, le sue dita trovarono la forma della Croce. La afferrò e tornò in superficie il più velocemente possibile. La tenne trionfalmente sopra la sua testa mentre la folla sulla battigia festeggiava.
Spiros remò verso di lui e lo aiutò a uscire dall'acqua, avvolgendolo, pieno di orgoglio, con un asciugamano. Yiannis, ora entusiasta e inconsapevole del freddo, tenne la Croce sopra la testa mentre veniva traghettato al molo e aiutato dagli spettatori. Andò dal Papa e gliela consegnò. Il sacerdote disse “sei benedetto in modo speciale oggi” e fece un segno sopra la sua testa.
Quando sua madre lo ebbe asciugato, andarono con il resto della congregazione alla taverna locale e mangiarono capra, cotta su uno spiedo all'esterno, polipo locale e parecchie insalate. Gli uomini bevvero ouzo o il forte Tsipouro mentre le donne bevvero il retsina prodotto localmente. Spiros insistette che Yiannis ora era abbastanza uomo per assaggiare un po' del suo Tsipouro e Yiannis, già un po' stordito per l'eccitazione dopo la sua impresa, si ritrovò del tutto ubriaco.
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Il molo davanti alla base aeronautica era affollato. Aerei erano appena arrivati ed avevano già fatto il pieno di carburante pronti per tornare in Italia. Altri venivano trasportati dalle grandi gru e portati sui ganci per essere ispezionati e riparati. Materiali per la costruzione della nuova base navale più avanti nella baia venivano spostati da una parte all'altra.
Il figlio di Giuseppe, Marco, stava guardando suo padre che sorvegliava lo scarico di una nave da carico che consegnava materiali per la costruzione. Aveva dieci anni, un ragazzo serio e studioso, piuttosto alto per la sua età – specie rispetto ai ragazzi grechi meno ben nutriti – con l’aspetto piuttosto scuro di suo padre e la figura magra sormontata dai capelli chiari ereditati dalla madre.
Uno dei camion di passaggio stava trasportando pile di mattoni di cemento. Quando venne verso Giuseppe e Marco, dovette frenare all'improvviso e sterzare per evitare un gruppo di persone che stavano andando verso uno degli idrovolanti in attesa. Uno dei blocchi in cima alla pila scivolò e si schiantò sul molo sfiorando Giuseppe e Marco. “Ma che…” urlò Giuseppe, mentre Marco, saltando per spostarsi, cadde dal molo direttamente in mare. “Marco”, urlò suo padre. “Non sa nuotare – aiuto!” C'era un salvagente appeso nelle vicinanze e corse per gettarlo in acqua.
Yiannis, che era seduto in cabina, vide quello che stava accadendo. Senza pensarci, aprì lo sportello, saltò sul molo e si gettò in acqua. Nuotò verso il punto dove Marco aveva cominciato ad affondare e si immerse per afferrare la camicia di Marco, proprio come aveva recuperato la Croce. Lottò con il ragazzo che si agitava in preda al panico. Ansimando, tornò in superficie, prese un bel respiro prima che Marco lo tirasse giù di nuovo. Di nuovo si sforzò di tornare in superficie e sentì il pesante salvagente di sughero tirato da Giuseppe colpirlo dolorosamente sulla testa mentre riemergeva. Riuscì ad afferrarlo con la sua mano libera e a tirare Marco in superficie dove emerse facendo un sacco di schizzi alla ricerca di aria. “Calmati – Ti ho” disse, mentre Marco scalciava e muoveva le sue braccia freneticamente.
Gli spettatori sul molo applaudirono quando Yiannis tirò il ragazzo a riva dove Giuseppe e il guidatore del camion stavano aspettando per aiutarli a uscire.
“Che diavolo stava facendo?” urlò Giuseppe al guidatore mentre abbracciava suo figlio. “Avrebbe potuto ucciderci. E chi ha caricato quei blocchi? Avrebbero dovuti essere legati!”
Yiannis alzò lo sguardo “Li ho caricati io. Mi dispiace veramente, quelle persone ci si sono parate davanti all'improvviso.”
“Tu? Chi sei tu?” Si rivolse al ragazzo greco piuttosto trasandato, che vide essere robusto ma più piccolo di suo figlio di una testa.
“Sono Yiannis Raftopoulos. Mio papà sta costruendo i nuovi alloggi militari laggiù” indicò lungo il molo. “Mi ha detto di consegnare questi blocchi.”
“Spiros. Sei il figlio di Spiros?”
“Sì.”
“Lo conosco, è un brav'uomo. Ma non dovrebbe permettere a un ragazzo di fare questo tipo di lavoro. Quei blocchi non erano messi in sicurezza adeguatamente.”
“Lo so, mi dispiace, non me ne ero reso conto.” Yiannis trattenne una sensazione infantile che poteva farlo scoppiare in lacrime. “Non sarebbe caduto se non avessimo dovuto sterzare così improvvisamente.”
Giuseppe ora si stava calmando. “Beh, stai più attento la prossima volta. Comunque, devo ringraziarti. Almeno hai salvato Marco.”
Marco, a cui era stata data una coperta da uno degli steward dell’idrovolante, disse “grazie. Credo che sia giunto il momento di imparare a nuotare!” Porse la mano a Yiannis, “Sono Marco e lui è mio papà.”
“Potrei insegnarti se ti va. Prometto che non ti getterò in mare.”
Giuseppe, ora completamente calmo disse “Sembra una buona idea. Stai bene ora figliolo?”
“Sì, sto bene.”
“Bene, andiamo a casa. Possiamo parlarne domani quando Spiros sarà qui.”
Spiros voleva incoraggiare Yiannis a fare amicizia con i figli degli italiani con cui aveva a che fare. Stava incoraggiando Yiannis a imparare la lingua in modo che non avesse lo svantaggio che lui aveva provato quando gli italiani erano arrivati per la prima volta a Lero, quindi fu felice che Yiannis avesse incontrato il figlio di Giuseppe, nonostante le circostanze. Il giorno successivo i padri e i loro figli si incontrarono. Spiros si scusò molto ma Giuseppe lo riassicurò. “Va tutto bene, siamo stati fortunati, nessuno si è fatto male e il suo ragazzo avrà imparato una lezione.”
“Sì. Lo so. Gli ho dato una bella ripassata di botte. In futuro starà più attento.”
Giuseppe si allarmò un po’ nel sentirlo. “É stato solo un incidente.”
“Certo, ma il piccolo bastardo deve imparare. Non succederò ancora.”
“Bene, vorrei accettare la sua offerta. Può dare a Marco qualche lezione di nuoto?”
“Non so. Abbiamo molto lavoro e per farlo mi serve Yiannis.”
“Guarda, quanti anni ha il ragazzo?”
“10 – perché me lo chiedi?”
“La stessa età di Marco – ma non è un po' troppo giovane per lavorare così duramente? Sono affari tuoi, credo, ma suppongo che imparerebbe meglio la lezione se dovesse fare qualcosa per rimediare. Ecco perché vorrei che desse qualche lezione a Marco. Cosa ne pensi?”
A denti stretti, Spiros acconsentì e si accordarono affinché i ragazzi si incontrassero più tardi alla spiaggia della baia.
Yiannis si dimostrò un insegnante bravo quasi quanto suo padre e aiutò velocemente Marco a superare le sue paure e a imparare a nuotare. Dopo le lezioni, se Yiannis non era desiderato da suo padre per produrre o consegnare i blocchi, andavano a pescare, portando il pesce dal mare sul molo usando dei fili cu cui avevano legato sottili spilli piegati come ami. Come esca mettevano dei pezzi di pane o, se li trovavano, i corpi magri dei mitili che crescevano sugli scogli. Yiannis insegnò a Marco come uccidere velocemente un pesce mettendo le dita nelle branchie e spezzandogli il collo e come rimuovere la lisca e sviscerarlo.
Quando crebbero, cominciarono a “fare le vasche” lungo l’ampia strada sul lungomare della città nuova, flirtando con le ragazze che incrociavano e unendosi agli altri giovani per pavoneggiarsi. La città si stava sviluppando rapidamente ed era piuttosto diversa rispetto a qualsiasi altra città greca. Grandi strade curve ci correvano attorno, racchiudendo futuristici edifici di cemento, curvi a loro volta per adattarsi alle strade. Grandi isolati erano stati costruiti, sia a Porto Lago sia dall’altra parte della baia, per ospitare il personale della base navale e aeronautica. Marco, visto che suo padre lavorava per i militari italiani aveva maggiore accesso alle nuove strutture rispetto agli altri ragazzi e introduceva di nascosto Yiannis per vedere le aree proibite – la postazione antiaerea, il cannone, le torri di avvistamento sulle colline e i tunnel che erano stati costruiti per proteggere il personale militare in caso di guerra.
Marco cominciò ad appassionarsi al volo. Guardava gli idrovolanti andare e venire dal porto ed era in grado di identificarli tutti. Desiderava diventare un pilota – sembrava una vita così esotica. Gli aerei portavano passeggeri dall’Italia verso l’isola e spesso da e per le nuove colonie italiane che si stavano aprendo in Africa.
Venne in possesso di un libro americano che descriveva come costruire un modellino di aliante fatto di balsa e le ali coperte di carta “truccata”. Era piuttosto difficile procurarsi della balsa, ma suo padre ne aveva alcuni fogli rimasti dai suoi modelli di architettura e permise a Marco di usarli. Marco con fatica tagliò il legno nelle forme necessarie per fare le ali, i supporti e la fusoliera. All’inizio lo trovò un lavoro piuttosto frustrante perché, se non stava attento quando tagliava il morbido legno, lo rompeva lungo la venatura e rovinava il pezzo modellato costringendolo a gettarlo via e a ricominciare di nuovo.
Una volta che ebbe tagliato tutte le forme di cui aveva bisogno, chiese a Yiannis di aiutarlo a incollarle. “Vedrai come state tagliati i pezzi delle ali. Devono essere uniti a questo lungo pezzo. Si adatta ai buchi che ci sono in cima.”
Yiannis cercò di mettere i pezzi insieme, ma era troppo maldestro. “Che senso ha tutto questo comunque?” chiese.
“Stiamo costruendo un modellino di aliante” spiegò Marco pazientemente.
“Ma perché? A che scopo? Perché non andiamo a pescare?”
“OK, levati dalle palle Yiannis, lo farò da solo. Va’ a pescare.”
Yiannis, del tutto annoiato, non volle litigare con il suo amico, perciò si fece da parte e guardò mentre Marco fissava insieme con attenzione i vari pezzi prima di incollarli al loro posto. Poi mise una carta rinforzata sulle ali e la fissò usando una colla odorosa chiamata “dope”. Lasciarono il modellino ad asciugare e il giorno successivo Marco invitò Yiannis a venire a farlo volare con lui.
Diede a Yiannis un lungo pezzo di elastico attaccato a un gancio sul fondo del modellino e gli disse di tenere l’altro capo sopra la testa mentre lui camminava all’indietro con l’aliante. Poi si girò, disse “pronto?” e lasciò il modellino. Volò dritto verso Yiannis che dovette accucciarsi per evitare di essere colpito. Ma, una volta passato si alzò in aria, passò sopra di loro facendo un ampio cerchio sopra le loro teste prima di fermarsi e cadere su una roccia per poi andare in pezzi.
Marco corse verso il modellino imprecando mentre Yiannis rideva. “Tecnologia italiana, eh? Si torna al tavolo da disegno, allora?” disse, mentre Marco raccoglieva tutti i pezzi del suo prezioso modellino.
“Merda, merda, merda” disse, cercando di rimettere insieme i pezzi. Rendendosi conto che non sarebbe stato in grado di farlo fino a quando non fosse tornato a casa, disse, “Va bene, andiamo a pescare.” Era depresso e allo stesso tempo eccitato – dopo tutto, prima che si schiantasse, era riuscito a farlo volare.
****
Quando Giuseppe ebbe terminato di lavorare sui grandi hangar per gli idrovolanti, fu chiamato da Gramatika per avere i dettagli del suo incarico successivo.
“Stiamo progettando di posizionare una grossa postazione di artiglieria all’entrata di Porto Lago.” Indicò il punto sulla mappa che era distesa sul tavolo davanti a loro. “Come puoi vedere l’entrata meridionale è molto ripida. Lì abbiamo un faro, ma non c’è un modo agevole per arrivarci se non con la barca. Sull’altro versante c’è una mulattiera che conduce attorno all’isola e c’è una zona pianeggiante vicino all’entrata e questa collina molto alta qui” indicò sulla mappa. “È chiamata Patella e ha una cima ragionevolmente piatta dove possiamo costruire le nostre postazioni di artiglieria. Cosa ne pensi?”
Giuseppe guardò la mappa, osservando le isoipse delle colline. “È piuttosto ripida – potremmo avere dei problemi a costruire una strada fino alla cima.”
“Questo è il motivo per cui voglio che tu vada lì e faccia delle indagini – sappimi dire cosa ne pensi.”
Giuseppe si incontrò quella sera con il suo amico Spiros. “Conosci la collina a Patella – vicino all’entrata della baia?”
“Sì, credo di sì. Abbiamo pescato nella baia al di sotto.”
“Devo andare a vedere – stiamo pensando di costruire una strada lì. Vuoi venire a dare un'occhiata con me?”
Spiros fu d’accordo e il mattino successivo partirono in groppa a un cavallo lungo la strada sterrata che si dirigeva a nord della baia. La strada saliva fino a un punto e poi svaniva in un sentiero sterrato che conduceva lontano dalla baia. Proprio in quel punto c’era un sentiero che risaliva ripidamente sulla collina. Presero quel sentiero. La traccia del sentiero procedeva a zig-zag, restringendosi man mano che si procedeva. Alla fine, raggiunsero un altopiano. Da lì c'era una vista meravigliosa – a sud verso Calimno, a nord verso Patmo, a ovest verso le Cicladi e a est verso le isole che andavano verso la costa turca.
“Wow, una postazione di artiglieria quassù avrebbe un campo di fuoco libero su tutta l’area – nulla potrebbe entrare in porto” disse Giuseppe.
In quel momento un idrovolante arrivò da ovest, planando verso la baia per atterrare e dirigersi verso la stazione aeronautica. “Tranne un aeroplano” disse Spiros. “arriverebbe qui prima che tu possa accorgertene.”
“Ma se potessimo vedere abbastanza lontano, sapremmo che sta arrivando e potremmo abbatterlo con la contraerea.”
“Sì, ma la visuale non è sempre così buona – è spesso nebbioso qui, come oggi e, se l’aereo uscisse dal sole, saresti accecato.”
“Ma potremmo sempre sentirlo, no?”
“Forse, ma quanto distante sarebbe prima di sentirlo?”
Giuseppe si rese conto che Spiros aveva ragione. Ispezionarono comunque la zona e presero nota di dove le armi avrebbero dovuto essere posizionate per avere il miglior raggio di tiro. Poi tornarono in ufficio e Giuseppe riferì quello che avevano trovato. “Avevi ragione, è ideale. Possiamo allargare il sentiero che sale e c’è una grande area in cima dove potremmo installare le armi e costruire degli alloggi per i fucilieri. Si riesce a vedere per miglia – navi e aerei. L’unico problema è che potremmo non vedere quest’ultimi fino a quando non saranno quasi sopra di noi – ma questo è sempre un problema con gli aerei. Vanno semplicemente troppo veloci.”
Gramatika gli ordinò di produrre un piano di costi per fortificare la collina. Successivamente, quando fu approvato dalle autorità militari, fu fatto responsabile dei lavori. Per tutto il tempo, però, continuava a domandarsi come intercettare gli aerei che attaccavano. Ogni giorno andava sulla collina, portando qualche volta con sé il suo giovane figlio. Un giorno stava lavorando sul luogo di un cannone di grande calibro quando notò che suo figlio lo stava salutando con la mano mentre stava salendo l’ultima parte del nuovo sentiero che ora era stato allargato per far passare i camion. Salutò anche lui e poté vedere che Marco stava urlando qualcosa che non era in grado di sentire. Urlò a Marco di parlare più forte, poi si mise le mani dietro alle orecchie per cogliere quello che stava dicendo. Ora era in grado di sentirlo chiaramente – ma all’improvviso non fu più interessato a quello che veniva detto. Si girò, le mani ancora dietro le orecchie. Si rese conto che poteva sentire quasi tutto quello che veniva detto in quel posto.
Guardò verso il mare e notò un idrovolante in lontananza che si stava avvicinando all’isola. Con le mani dietro alle orecchie era in grado di sentire il suo motore, ma quando le tolse il suono scomparve.
Marco arrivò. “Non mi sentivi, papà?”
“Sì, forte e chiaro. Incredibile” disse Giuseppe, distrattamente.
“Incredibile? Bene, allora posso?”
“Puoi cosa?”
“Papà, ti stavo chiedendo se potevo portare Yiannis quassù per vedere quello che stiamo facendo?”
“Cosa? Sì, certo – no. No, è una zona militare, lo sai” disse, quando capì cosa stava dicendo Marco. “Ma torna lì, voglio fare un esperimento. Voglio che tu mi parli. A bassa voce prima – poi che mi parli più ad alta voce che puoi quando te lo dico.”