Kitabı oku: «Quattro Destini», sayfa 6
Marco andò dove gli indicava suo padre, piuttosto confuso. “Cosa vuoi che dica?” disse, mentre suo padre si metteva di nuovo le mani dietro alle orecchie.
“Continua solo a parlare – di' quello che vuoi” disse Giuseppe, e cominciò a girarsi, le mani ancora a coppa. “Ora va’ laggiù” disse, indicando una piccola salita poco distante. Marco fece come gli era stato detto, ancora parlando, recitando una poesia che aveva imparato a scuola. Suo padre gli indicò che doveva muoversi sotto alla salita poi gli urlò di parlare a voce più alta. Alla fine, terminò e senza spiegargli quello che aveva fatto mandò via Marco prima di prendere un taccuino e di cominciare a disegnare pieno di eccitazione.
Un paio di giorni più tardi fece rapporto a Gramatika. “Credo che abbiamo la risposta per rilevare gli aerei” disse, aprendo il taccuino su cui aveva disegnato immagini di sezioni di cerchi che davano verso l’esterno con linee che puntavano indietro verso il punto centrale di ogni sezione. “Questi sono specchi acustici. Metteranno a fuoco il suono di un aereo che vola verso l’isola. Se ti poni di fronte a essi qui” indicò il centro focale di una delle sezioni,” il suono sarà riflesso verso di te. Sarà amplificato in modo che tu possa sentirlo piuttosto chiaramente. Ora, se ti muovi attorno in un semicerchio davanti allo specchio, avrai il suono più rumoroso quando sarai in linea con la direzione dell’aereo. Possiamo usarlo per rilevare gli aerei ed essere pronti a sparar loro prima che siamo sopra di noi.”
“Funzionerà?”
“Credo di sì, ma ho bisogno di un po’ più di tempo per ottenere la giusta configurazione. Credo che dovremmo fare le sezioni paraboliche in verticale in modo che il suono venga amplificato.”
“In realtà non capisco molto, ma se credi che funzionerà, procedi e decidi quello di cui hai bisogno. Mi serve una stima dei costi. Se veniamo attaccati, è piuttosto probabile che ci saranno aerei e non solo navi, perciò sembra un’idea interessante.”
Anche se si dimostrò complicato, alla fine Giuseppe era fiducioso che il suo progetto avrebbe funzionato. Propose tre sezioni orizzontali a forma circolare disposte a triangolo con le parti di mezzo curve verso l’interno e ogni punta che toccava la successiva, per permettere il rilevamento degli aerei da ogni direzione. Le sezioni erano curve verso l’interno anche sul piano verticale per concentrare il suono verso un ascoltatore davanti. Fece poi un modello in cartapesta per presentarlo agli altri ingegneri, architetti e costruttori che lo avrebbero creato fisicamente.
Decisero di costruire un modello più grande in cemento per testare l’idea – facendo solo una delle sezioni. Non fu facile – in particolare per ottenere la curvatura giusta – ma non si persero d’animo ed eressero il modello vicino alla stazione aeronautica per testarlo. I primi tentativi non andarono molto bene. Scoprirono che il suono di un aereo in avvicinamento poteva essere udito altrettanto bene anche senza il dispositivo. Giuseppe si rese conto che l’ascoltatore doveva essere posto fuori dalla linea diretta del suono. Fu scavata una trincea davanti al muro e ora l’ascoltatore poteva sentire il suono riflesso senza venire distratto e muoversi lungo la trincea per valutare la direzione giudicando dove il rumore fosse più forte.
“Non va ancora bene,” disse Giuseppe. “Il suono deve essere più concentrato.” Si scervellò su questo problema per alcuni giorni.
“Di che forma ha fatto il muro?” chiese al muratore.
“È una sezione circolare – come ha disegnato lei.”
“Ma la sezione verticale dovrebbe essere parabolica.”
“Parabolica? No, è circolare, proprio come il muro stesso.”
“Ma così non concentrerà il suono nel modo giusto! Deve modificarla.”
Il muratore brontolò, e mandò via Giuseppe mentre rifletteva come sistemare la curvatura. La settimana successiva chiamò Giuseppe perché osservasse il muro revisionato. “È stato maledettamente difficile, glielo assicuro e non sono sicuro che farà alcuna differenza. Comunque, ora ha la sua parabola e c’è un aereo in arrivo. Salti dentro alla trincea e veda se riesce a sentire meglio.”
Giuseppe saltò nella trincea e si sforzò di sentire l’aereo arrivare. Un ronzio distante divenne udibile e alzò la mano per mostrare che lo aveva sentito, muovendosi lungo la trincea fino a quando era arrivato a essere il più rumoroso possibile. Alzò lo sguardo verso il muratore. Indicò nella direzione opposta al muro. “Posso sentirlo ora – sta venendo da laggiù.”
Il muratore guardò verso il mare. Ora poteva sentire l’aeroplano, ma non era esattamente sicuro dove fosse fino a quando non seguì il braccio di Giuseppe che indicava la direzione. “Bene, che Dio mi fulmini, ha ragione!” esclamò, sorpreso e compiaciuto.
Giuseppe uscì dalla trincea e il muratore si congratulò con lui. “Impressionante!” disse.
Una versione a grandezza naturale fu costruita sulla cima di Patella, nella posizione scelta da Giuseppe. Nel corso delle settimane seguenti, testò il “muro acustico” che aveva costruito, usandolo per mappare la direzione di arrivo degli aerei e delle navi – quando i loro motori erano forti abbastanza. Funzionava abbastanza bene, anche se Giuseppe fu deluso nello scoprire che il raggio non era grande quanto aveva sperato. “Se arriva un caccia veloce o un bombardiere, potrebbe essere su di noi prima che abbiamo il tempo di reagire” disse Gramatika.
“Non importa, addestriamo qualche uomo a usarlo – abbiamo altri modi per rilevare gli aerei e abbiamo parecchia forza di fuoco – inoltre, non siamo neppure in guerra!”
Marco fu eccitato per il nuovo dispositivo di suo padre. Voleva mostrarlo a Yiannis, ma la zona era vietata al personale non militare – anche Marco non avrebbe dovuto essere lì.
Nel 1935, l'Italia invase l'Abissinia, a cui seguì l’occupazione militare dell’Etiopia. Questa isolò l’Italia di Mussolini e spinse la nazione ad allearsi con la Germania. Il flusso continuo di navi militari italiane che entravano nell’ampio porto naturale di Lero testimoniava le ambizioni militari della nazione che erano chiare sia a Marco sia a Yiannis. Yiannis era eccitato per la dimostrazione di forza, senza capirne completamente le implicazioni, ma il padre di Marco era molto più ansioso. “È tutto molto bello che la nostra gente se ne vada in giro sentendosi forte e importante, ma non siamo fatti per la guerra – e perché avremmo bisogno di esserlo?”
“Ma papà,” disse Marco, “Mussolini sta promettendo di ricostruire l’impero romano! Non ti eccita tutto questo?”
“Sei eccitato allora?”
“Certo” disse Marco. Sollevando le mani per imitare un fucile immaginario, andò in giro emettendo dei rumori come se “uccidesse” dei nemici immaginari.
Giuseppe rise e schiaffeggiò scherzosamente suo figlio. “Ricorda solamente che quando uccidi le persone nella vita reale, queste non si rialzano di nuovo,” disse, “e che loro ti spareranno.”
“Lo so – ma sarebbe magnifico, no?”
Yiannis fu affascinato quando scoprì che la mamma di Marco, Maria, era tedesca. Lei parlava un buon italiano e anche un greco passabile, ma i suoi capelli biondi, che Marco aveva ereditato, erano insoliti. La Germania negli anni ’30 faceva spesso notizia. Dopo che Hitler aveva preso il potere, la nazione stava chiaramente uscendo dalla Depressione e, anche se le persone fuori dal paese erano sospettose del nuovo regime, ai Nazisti fu dato inizialmente il beneficio del dubbio. Per Yiannis, Maria era una creatura esotica, meravigliosa e sofisticata, e, anche se da adolescente, aveva decisamente una “cotta” per lei. Spesso portava la conversazione su di lei senza in realtà rendersene conto.
“Tua mamma, è tedesca, vero?”
“Lo sai che lo è. Mi hai chiesto la stessa cosa ieri” disse Marco.
“Sì, lo so” arrossì. “È solo…”
“È solo che ti piace! Ah ah – a Yiannis piace mia mamma!”
Yiannis diede un colpetto a Marco sul braccio. “Taci, non è così, sono solo interessato. Se è tedesca, perché non parli tedesco?”
“Lo parlo – beh, un poco. Abbiamo dei parenti lì – un cugino di mamma e la sua famiglia. Vivono da qualche parte nel sud, vicino al confine, credo.”
“Wow – sei mai stato lì?”
“No. Papà non approverebbe.”
“Perché no?”
“Ha paura dei tedeschi –crede che creeranno dei problemi.”
“Cosa ne pensi?”
“Beh, può essere vero, ma è eccitante. Comunque mi piacerebbe scoprirlo da solo.”
“Forse dovresti scrivere a tuo cugino – secondo cugino o quello che è – e chiedergli se puoi andare lì. Non hanno scambi scolastici?”
“Sembra una buona idea.” disse Marco. Pochi giorni più tardi avvicinò sua madre mentre era da sola. “Vorrei viaggiare un po'. Magari visitare qualche altra nazione. Hai un cugino in Germania, vero? Credi che magari potrei andare a fargli visita?”
“Non ho molti contatti con Kurt. È un uomo pieno di rabbia. Tuttavia, ho ricevuto una sua lettera qualche settimana fa dove si vantava che ora gli sta andando piuttosto bene. Mi ha scritto che ha un nuovo lavoro. Ora si è messo in proprio. In realtà suo figlio deve avere la tua stessa età. Si chiama Rolf. Kurt dice che sta studiando per diventare pilota.”
“Wow – grande! Mi piacerebbe veramente incontrarlo. Magari potrei andare a trovarlo. Cosa ne pensi?”
“Non lo so, faremmo meglio a chiedere a papI.”
Marco odiava quando lei si riferiva a Giuseppe in quel modo. Sentiva ormai di essere cresciuto, ora aveva quasi sedici anni. Chiamava suo padre ‘papà’ o ‘padre’ e questo lo sentiva molto più dignitoso, ma Maria si riferiva sempre a lui come ‘papi’ ed era scontenta quando le si rivolgeva non come ‘mami’ ma come ‘madre’.
“Non mi lascerà andare, lo so che non lo farà. È sempre a criticare i tedeschi – credo che per qualche motivo ne sia impaurito,” disse scontrosamente.
“Non credo che sia vero. Il tuo papi è uno degli uomini più coraggiosi che conosca.”
“Sì, lo so, ho già sentito quella storia. Ti ha salvato la vita.”
“Beh, lo ha fatto, non essere così critico. Se non fosse stato per lui…”
“Ma mami” si permise di dire nel modo più adulatorio possibile “dai, a te non dispiacerebbe se andassi in Germania, vero? Potremmo chiedere a zio Kurt. Può semplicemente dire ‘no’ se non ha voglia di incontrarmi – cosa hai da perdere?”
Maria fu d’accordo nel parlarne con suo marito e, quella sera, mentre Marco era fuori con Yiannis, sollevò l’argomento.
“Marco ha chiesto di andare a visitare mio cugino in Germania.”
“Non esiste, è decisamente troppo pericoloso lì.”
“Perché dici così?”
“Ci sono stati dei tumulti, ci sono molte voci sul fatto che radunino gli Ebrei e li mandino via. Hitler è un vero agitatore, così ho sentito. Presto ci saranno grossi problemi lì.”
“Oh, dai, Giuseppe, stai parlando della mia gente. Abbiamo imparato la lezione durante la guerra. Hitler è solo un politico. Mi sembra piuttosto intelligente, sta ispirando la nazione e ci sta facendo di nuovo sentire orgogliosi di essere tedeschi.”
“E sta costruendo strade e sta facendo arrivare i treni in orario e, e e… Ma dove credi che porterà tutto questo?”
“Cosa c’è di sbagliato nel riportare di nuovo in piedi la nazione?”
“Sta andando in lungo e in largo per il paese con collegamenti per poter spostare un esercito. Credimi, è un uomo pericoloso.”
“Beh, e tu? Cosa stai facendo? Sta aiutando a costruire postazioni di artiglieria, alloggi per militari e rifugi antiaerei. Non puoi parlare. Almeno Hitler non ha invaso nessuno.”
“Non ancora, ma lo farà, ricordati le mie parole.”
“Beh, prima che lo faccia, credo che dovremmo lasciare Marco andare lì e incontrare suo cugino – non ha nessun altro parente della sua età. Ed è molto eccitato per il fatto che Rolf stia studiando per diventare un pilota, lo sai quanto gli piacciono gli aerei.”
Giuseppe trovava molto difficile discutere con la sua amata Maria. Con riluttanza fu d’accordo che lei scrivesse a Kurt. “Possiamo offrirgli di ospitare il suo ragazzo qui un altr’anno, magari,” concesse, “mostragli il sole del Mediterraneo. Probabilmente gli piacerà.” Si scaldò all’idea. “Forse posso anche ottenere il permesso per mostrargli le cose che stiamo facendo qui.”
Così Maria scrisse a Kurt, e ricevette come risposta una lettera molto amichevole in cui si suggeriva che Marco venisse a trovarli nel settembre del 1936. “In quel periodo ci sarà con lui un ragazzo inglese, che in precedenza ha invitato Rolf in Inghilterra. Credo che sarà molto istruttivo per tutti i ragazzi incontrarsi.”
Maria lesse la lettera a Marco e a suo padre la sera in cui arrivò. Marco era euforico. “Wow! Meraviglioso. Non vedo l’ora! Mi domandavo se Yiannis potesse venire con me”.
“Oh, non credo proprio che sia una buona idea,” disse Giuseppe, “è greco e non sono sicuro di come lo tratteranno i tedeschi.”
“Ma in realtà non è greco, no?” disse Marco. “Parla italiano bene quanto me e in realtà ora è considerato un cittadino italiano.”
Era vero. Spiros, a causa del suo profondo coinvolgimento con i militari italiani, si era sentito obbligato a prendere la cittadinanza per lui e la sua famiglia. A tutti gli effetti, quindi, Yiannis era un cittadino della nazione più strettamente legata alla Germania nazista e aveva diritto agli stessi privilegi di tutti i cittadini italiani.
“Dovremo chiedere a suo padre” disse Giuseppe. Conosceva già la risposta probabile. Spiros era un grande italofilo, “più italiano degli italiani” come dicevano alcuni dei suoi colleghi più scettici. Aveva sfruttato al meglio l’occupazione italiana ed era rispettato dalle autorità militari per la qualità del suo lavoro.
Tuttavia, Spiros non fu del tutto felice. “Non capisco perché gli italiani si stiano legando con la Germania,” disse. “I tedeschi sono solo dei combina guai e questo Hitler e i suoi uomini sembrano un mucchio di criminali. Mi sembra che il vostro Mussolini stia cercando problemi.”
“Detto tra noi, sono piuttosto d'accordo” disse Giuseppe. “Ma questo cugino di Maria sembra a posto e dice che si prenderà cura dei ragazzi. Gli italiani in questo momento sono popolari in Germania. Dopo tutto, Hitler ha fatto tutto lui per primo. Ha corteggiato Mussolini e ha detto un sacco di cose buone su di noi. In ogni caso credo che i ragazzi saranno abbastanza al sicuro, i tedeschi sono delle persone civili, ne sono sicuro.”
Spiros sentì che non essere d’accordo poteva dispiacere i suoi datori di lavoro italiani, perciò fu d’accordo che la visita andasse avanti nonostante una dolorosa discussione con Despina. Quando le disse del progetto si rifiutò immediatamente di approvarlo. “I tedeschi sono dei barbari! Guarda questo.” Gli mostrò un giornale greco. “Dice che stanno deportando tutti gli ebrei. Nessuno sa dove li stanno portando. Si sono rimangiati tutte le promesse che avevano fatto dopo la guerra e dice che stanno ricostruendo di nuovo un esercito.”
“Non so” disse Spiros. “Chi se ne importa di pochi Ebrei? Sono tutti degli arraffatori. Non riesco a vedere il problema.”
“Questa è una cosa terribile da dire! Il tuo amico Giuseppe è d'accordo con te?”
“In realtà no, non lo è. Ma mi ha detto che le chiacchiere sono esagerate. I tedeschi probabilmente stanno solo buttando fuori gli ebrei orientali – polacchi, lituani, gente da quelle parti. I loro ebrei stanno bene. Molti di loro hanno combattuto in guerra – sono tedeschi come tutti gli altri.”
“Ne sei sicuro, Spiros? Non è quello che stanno dicendo i nostri giornali. Veramente non voglio mandare Yiannis in quel posto. Inoltre, non parla tedesco e presumo che questo ragazzo tedesco non parli italiano. Come andranno d’accordo?”
“Marco sta studiando inglese a scuola e anche Yiannis. Sembra che lì ci sarà un ragazzo inglese che parla anche tedesco. Può operare come interprete. In ogni caso, non farà loro nessun male imparare anche un po’ di tedesco, no?”
“E che se ne farà? Non avremo anche dei tedeschi qui, no?”
“Certo che no ma il mondo sta cambiando. Yiannis imparerà molto andando all'estero.”
“Se vuoi solo mandarlo all'estero perché non lo lasci andare a Roma? O anche in Inghilterra – non mi importerebbe. Ma la Germania” alzò le spalle, “no, non posso essere d’accordo.”
“Non è tuo compito essere o non essere d’accordo, Despina. Io sono il capo famiglia e ho deciso. Se Giuseppe dice che è un posto sicuro, allora lo è. Yiannis andrà. A parte tutto sarebbe un problema per gli affari se rifiutiamo.”
Despina scoppiò in lacrime. Sapeva che non aveva senso discutere con Spiros quando aveva preso la sua decisione. “Affari, affari. Tutto quello a cui pensi sono gli affari. Non ti importa di me. Non ti importa di Yiannis – ti importa solo di quanto denaro fai.”
Spiros sollevò una mano per colpirla, ma si fermò in tempo e sibilò, “ah è così? Allora me ne vado.” Uscì, sbattendo la porta dietro di sé. Despina, furiosa, gettò il suo bicchiere di vino mezzo pieno contro la porta e scoppiò a piangere.
Yiannis che era rimasto di sopra durante la lite, scese e abbracciò sua madre. “Non preoccuparti, mamma,” disse. “Sarò al sicuro. Sono in grado di badare a me stesso. Voglio veramente andare – forse posso capire di più di quello che sta succedendo lì.”
“Sei un bravo ragazzo e ti voglio bene. Non sono in grado di cambiare tuo padre, lo sai. Promettimi solo che non ti caccerai nei guai in Germania. E che tornerai sano e salvo.”
Così fu deciso, e Maria scrisse a Kurt per confermare che due ragazzi – due ragazzi italiani (non fece cenno alla nazionalità di Yiannis) – avrebbero preso i loro passaporti e viaggiato fino al Pireo, il porto di Atene, poi preso il treno – l’Arlberg Orient Express – fino a Budapest via Belgrado. Da Budapest poi avrebbero preso l’Orient Express fino a Monaco dove si sarebbero incontrati dopo quel lungo viaggio.
Rolf scrisse a sua “zia” per ringraziarla per aver organizzato la visita e per confermare che avrebbe incontrato i ragazzi a Monaco. Le chiese di dire ai ragazzi di come non vedesse l’ora di mostrare loro la sua casa. Fece cenno anche del suo amico inglese che sarebbe andato a trovare in primavera prima della loro visita e che sarebbe stato anch’esso presente. “Sarà un incontro veramente internazionale e sarà una possibilità di mostrare tutti gli sviluppi del nuovo terzo.”
Capitolo 5
Inghilterra 1920-1935
La casa di Godfrey a Deal era in un piccolo cul-de-sac lungo il Church Path che andava in città partendo dalla chiesa di San Leonardo. Era tranquilla, arredata con sobrietà ma confortevole, con un piccolo giardino dove suo nonno coltivava uva spina, zucche e patate.
I suoi genitori si erano spostati nella grande stanza libera e a Godfrey era stata data la piccola camera da letto di fianco. Crebbe in quella stanza, che era nata come una stanza per un neonato con una culla e dei peluche, e la condivise per un certo periodo di tempo con la sua sorellina. Più tardi quando a Elizabeth – Lizzie – fu data la sua camera, divenne la tipica camera da letto di un ragazzo con modellini di navi e aeroplani che coprivano il vecchio cassettone dove teneva i suoi vestiti.
Aveva adorato suo nonno – mentre aveva trovato sua nonna un po’ tirannica. Sgridava suo marito perché viziava Godfrey se gli comprava un giocattolo o un gelato, e questo Godfrey lo trovava un po’ ingiusto. Gli volevano però bene e aiutavano Ernest e Margaret facendogli da babysitter quando volevano uscire. La nonna morì nel 1927 e poco dopo il suo adorato nonno la seguì.
Sin dalla più tenera età, Godfrey veniva portato sul lungomare e poi sul vecchio pontile. Da lì suo padre gli indicava gli alberi delle navi affondate alle Goodwin Sands e, in una giornata limpida, la costa della Francia a sole venti miglia, o poco più, di distanza. Dopo di questo c’era un gelato al bar di fronte e una camminata a casa per andare a prendere il tè. Chiedeva sempre a suo padre di raccontargli di quei relitti. "Le navi sono affondate durante la guerra?"
"Alcune, forse, ma le Goodwin hanno fatto affondare parecchie navi anche molto tempo prima."
"Eri su una nave durante la guerra, papà?"
“Sì”, rispondeva suo padre, ma non diceva nulla di più. Godfrey cercò di portare la conversazione su quell’argomento per parecchie volte ma ogni volta suo padre cambiava argomento.
"La tua nave è stata affondata?"
"Sì, ma andiamo a prendere un gelato – con 'i vermicelli al cioccolato'!"
Quell’invito di solito distraeva Godfrey, ma poi non si arrendeva e di nuovo suo padre non parlava della guerra. Tutto quello che seppe Godfrey, quando divenne più grande, fu che Ernest aveva delle cicatrici che provenivano dalle ferite che aveva subito nello Jutland. Era ancora in Marina, ma lavorava in un ufficio a Dover e non andava in mare.
“Perché non sei su una nave?” chiedeva.
“Non tutti gli ufficiali navali lavorano sulle navi. In effetti, ci sono un sacco di navi a terra.”
“Navi a terra – che non galleggiano?”
“Sì. Ad alcuni edifici navali vengono dati i nomi delle navi.”
“È proprio sciocco,” diceva Godfrey.
Prima che imparassero a nuotare, Ernest and Margaret portavano i bambini alla vicina St Margaret’s Bay, dove i nuotatori della Manica, rivestiti di grasso d’oca, partivano per fare il loro gelido viaggio fino alla Francia. C’era una spiaggia sabbiosa poco profonda ideale per imparare a nuotare, ma era sempre la loro madre, Margaret, che veniva in acqua a insegnare.
“Perché papà non nuota?” chiese un giorno Lizzie.
“Oh, sai, non gli piace l’acqua.”
“Ma perché se è così bello? Ti piace, vero mamma?”
“Sì certo, tesoro, ma papà si è molto spaventato durante la guerra, tutto qui.”
“Cosa è successo?”
“Oh, è caduto in acqua dalla nave e hanno dovuto salvarlo.”
“Ed è lì che si è procurato tutte quelle cicatrici?”
“Sì, tesoro – ma sai che non gli piace parlarne, perciò, per favore, non tormentarlo. Comunque tutti e due state nuotando veramente bene ora, no?”
Quando fu cresciuto a Godfrey e a sua sorella fu permesso di andare a piedi in città da soli. D’estate facevano il bagno presso la scoscesa spiaggia di ciottoli – anche se Lizzie non accompagnava suo fratello quando nuotava lontano dalla spiaggia preferendo restare dove toccava. I barcaioli locali cominciarono a conoscerli e avvertirono Godfrey delle forti correnti che potevano prenderti e portarti nelle acque profonde visto che il letto del mare scendeva molto rapidamente. Godfrey, però, era diventato un nuotatore sicuro e stava attento a non spingersi troppo al largo. Se veniva preso dalla corrente sapeva che doveva nuotare attraverso e non contro.
I bambini erano delusi per il fatto che loro padre non volesse mai nuotare con loro. In realtà, Ernest sembrava oltremodo preoccupato per il fatto che Godfrey nuotasse, si agitava e si raccomandava che stesse attento ogni volta che entrava in acqua.
“Puoi andare in spiaggia, certo. Ma, per favore, fa’ molta attenzione quando nuoti lì. Potresti non toccare e molto velocemente essere portato al largo.”
“Lo so, papà, ma sono un buon nuotatore, lo sai”.
“Sì, ma mi preoccupo lo stesso. E prenditi cura di Lizzie – non è una nuotatrice brava quanto te.”
“Perché sei così preoccupato?”
“Penso di avere un po’ paura dell’acqua, tutto qui.”
****
Poco dopo la nascita di Godfrey, i suoi genitori parlarono della sua istruzione. “Credo che dovremmo mandarlo a una scuola privata,” disse Ernest.
“Possiamo permettercelo?”
“Credo di sì. Mio padre si è offerto di aiutarci con le rette e io guadagno un salario discreto. So che hai dovuto lasciare il lavoro, ma possiamo farcela.”
“Hai in mente una scuola in particolare?”
“C’è una buona scuola qui nelle vicinanze, King’s Canterbury. Mi è stato detto che è la più vecchia scuola al mondo ancora attiva – è stata fondata nel 597, pare, da Sant’Agostino.”
“597? Spero che abbiano aggiornato i programmi da allora! Ma, seriamente, non credi che le scuole private siano un po’ da snob?”
Margaret, che non aveva frequentato le scuole private, non era impressionata dalla reputazione di “caccia, pesca e polvere da sparo” della scuola privata.
“Beh, io ci sono andato. Sono uno snob?”
“Certo che lo sei!” disse lei, guadagnandosi un buffetto amichevole dal suo affezionato marito. “In ogni caso è veramente troppo giovane perché si debba decidere ora.”
“In realtà no, dobbiamo prenotare un posto per tempo. Iscriviamolo alla scuola elementare – è a Sturry, vicino a Canterbury; vediamo come va lì e, se gli piace, può andare alle scuole successive. Altrimenti possiamo trovargli una scuola qui.”
Margaret fu d’accordo e ne fu felice di averlo fatto, perché Godfrey andò bene. Nella scuola primaria si interessò allo scoutismo e divenne un valido giocatore di rugby, diventando un componente dei “lupetti” e giocando nella squadra della scuola.
Si iscrisse alla King’s School nel 1934, indossando il tipico vestito con pantaloni a righe, giacca nera e collo a coda di rondine. Era un ragazzo socievole, bravo negli sport, diligente anche se non eccessivamente studioso, e popolare tra i suoi compagni. Aveva ereditato le abilità linguistiche di suo padre e sua madre. La sua materia migliore era il francese e il suo insegnante di lingue lo introdusse al tedesco che imparò velocemente con l’aiuto a casa di suo padre.
Essendo già robusto quando arrivò al King’s, si trovò a far parte della squadra junior di rugby già al primo trimestre, giocando come mediano di mischia. Fu in genere in grado di evitare il bullismo a cui erano sottoposte la maggior parte delle matricole. La scuola aveva ancora l’usanza per cui le matricole ricevevano una piccola paga per fare i servitori dei ragazzi più grandi, ma Godfrey non era interessato. Tuttavia, i ragazzi più vecchi spesso trascinavano i ragazzi più giovani nei loro studi mentre passavano e ordinavano loro di andare al chiosco dei dolciumi al posto loro. La prima volta che capitò a Godfrey lui semplicemente si rifiutò di andare. Un ragazzo più anziano di nome Smythey disse “ci andrai o ti picchierò.”
“Non puoi farlo” disse tranquillamente Godfrey.
“Oh, veramente?” disse Smythey. “E perché no, se posso chiedere?”
“Primo, perché non ti è permesso picchiarmi, solo il capo della casa può farlo, secondo perché, per quanto forte mi picchierai non lo farò e terzo perché te le restituirò.”
“Restituire. Restituire? Tu piccolo bastardo. Razza di screanzato!”
Smythe condivideva il suo studio con un gruppo di bulli. Ascoltarono con interesse questo scambio di battute. Uno di loro disse “piccolo stronzetto, va bene. Va’ avanti, Smythey, picchialo.”
Smythe andò verso Godfrey, le mani sui fianchi, “ultima possibilità, rospetto, andrai o no al chiosco dei dolciumi?”
“Non ci andrò” disse Godfrey.
Smythe sollevò il pugno e mirò al suo volto, ma Godfrey fece un passo indietro ed evitò il colpo. Finì, però, contro uno degli amici di Smythey, che lo spinse in avanti mentre Smythey colpiva di nuovo. Questa volta il colpo lo centrò con violenza sul mento. Sentì i denti sbattere tra loro e barcollò. Le lacrime riempirono i suoi occhi ma riuscì a schivare un secondo colpo e colpì con un pugno i genitali di Smythey. Smythey crollò a terra in preda ai dolori mentre i suoi compagni attaccarono Godfrey ma, prima che riuscissero a raggiungerlo, la porta dello studio si aprì e il capitano della casa, un ragazzo di nome Carter, entrò.
“Che diavolo è tutto questo chiasso?”
“Questo zotico si è rifiutato di andare al chiosco di dolciumi per Smythey e poi lo ha colpito sulle palle.”
“Beh, mostra uno spirito combattivo, devo dire. Però non posso permettere che le matricole disobbediscano alle persone più grandi – altrimenti dove andremmo a finire?” Si girò verso Godfrey. “Perciò fa’ come dice.”
“No”, disse Godfrey. “Non sono uno schiavo, non lo farò!”
“Cosa? Mi stai disobbedendo? Sono il capitano della casa, lo sai!”
“Sì, lo so, ma non fa alcuna differenza, puoi picchiarmi se vuoi, ma non andrò.”
“Veramente? Bene, molto bene. Vieni nel mio studio. Vuoi essere picchiato, sei venuto dall’uomo giusto.”
Fece entrare Godfrey nel suo studio lì vicino dove gli altri responsabili della casa erano in attesa alle loro scrivanie. Avevano sentito il litigio ed erano impazienti di sapere cosa stesse succedendo.
“Questo bambino” sogghignò Carter, “questo bambino si rifiuta di fare quello che gli è stato detto. Credo che si meriti una lezione, no?”
Gli altri sorveglianti furono d’accordo con entusiasmo, anche se uno di loro, uno studente di nome Mitchinson fu meno entusiasta. “Ha mostrato del fegato ad affrontare quella merda di Smythe. Non credo dovresti punirlo per aver fatto quello che tutti vorremmo fare.”
“Dobbiamo imporre della disciplina, temo, Mitch. Piegati su quella sedia, ragazzo.” Prese un bastone da una mensola vicina alla porta dello studio, si allontanò da Godfrey, poi corse verso di lui e colpì con violenza la sua schiena con il bastone. Godfrey sussultò ma non disse nulla. “Bene, ragazzo. Abbassa i pantaloni, poi vedremo quanto sei veramente coraggioso.” Godfrey lo fece con riluttanza e di nuovo il responsabile della casa prese la rincorsa e lo colpì con forza. Anche se voleva urlare per il dolore, Godfrey si sforzò di stare calmo.
Il responsabile colpì altre quattro volte prima che intervenisse Mitchinson. “Dai. È sufficiente. Si presume che se ne diano al massimo sei.” Carter sollevò di nuovo il bastone, ma Mitchinson si mise davanti a lui e afferrò il bastone. “Ho detto che è abbastanza.”
Con riluttanza Carter disse a Godfrey di tirarsi su i pantaloni. “questo ti sarà di lezione” disse.
“In realtà” disse Mitchinson gentilmente, “credo che gli insegnerà qualcosa di completamente diverso da quello che intendevi, giusto? Tra l’altro, quale è il tuo nome?”
“Jenkins” disse Godfrey, stringendo i denti mentre tirava su i pantaloni sul suo posteriore dolorante.
“Bene, Jenkins, faresti meglio a uscire da qui. Brucerà per un giorno o due, temo. A proposito, se ti andasse di unirti all’OTC, vieni a trovarmi. Gestisco la sezione dell’esercito e sono alla ricerca di ragazzi duri per il mio plotone. Credo che potresti essere proprio quello che sto cercando.”
Pochi giorni più tardi, Godfrey incrociò Mitchinson in corridoio. “Hai ripensato a quello che ti ho detto?” chiese.
“Sì. Credo che mi piacerebbe ma mio padre è un ufficiale della marina e so che vuole che faccia parte della sezione navale.”
“Peccato. E tu cosa ne pensi?”
“In realtà ci ho pensato. Non mi piacciono particolarmente i pantaloni a zampa d’elefante. Forse dovrei pensare alla sezione dell’esercito.”
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