Sadece Litres'te okuyun

Kitap dosya olarak indirilemez ancak uygulamamız üzerinden veya online olarak web sitemizden okunabilir.

Kitabı oku: «La vita Italiana nel Rinascimento. Conferenze tenute a Firenze nel 1892», sayfa 21

Various
Yazı tipi:

LEONARDO DA VINCI

DI
ENRICO PANZACCHI

Signore e Signori!

Il pittore francese Paolo della Roche nella più insigne forse delle sue opere, il famoso Emiciclo che è nell'Accademia di belle arti a Parigi, riprendendo e imitando liberamente il pensiero di Raffaello, nella Scuola d'Atene, ha inteso di rappresentare e disporre in certi gruppi gerarchici gli artisti principali del Rinascimento italiano ed europeo.

A destra del riguardante attira lo sguardo un gruppo, forse il più riuscito di tutta la composizione. Sul davanti Michelangelo siede solo sopra un frammento di basso rilievo antico e guarda triste dinanzi a sè, voltando le spalle agli altri. Dietro di lui, elegante figura giovanile, si leva Raffaello d'Urbino, e lievemente del capo sovrasta a tutti gli altri. Ma guardando bene, si capisce che il protagonista vero di questo gruppo non è nè Raffaello nè Michelangelo. È invece un bellissimo uomo sontuosamente vestito, con una ricca barba, col gesto largo e con quell'obbliquo atteggiamento dei diti della mano sinistra, proprio del pittore che discorre analiticamente dell'arte sua. E quest'uomo ha l'aria d'insegnare a tutti, e tutti hanno l'aria di ascoltarlo con rispetto. Non è il dottore ascetico e austero del medio-evo; è piuttosto, all'aspetto, uno di quei tipi di gentiluomini culti e compiti che Baldassare Castiglione metteva nei dotti e piacenti colloqui alla corte del duca e della duchessa d'Urbino. E tutti, vi ripeto, lo ascoltano. Lo ascolta attentamente frate Bartolomeo della Porta ritto vicino a lui e guardandolo col volto serio e sereno; lo ascolta più lungi Hans Holbein col profilo teutonico e la chioma arruffata; lo ascolta con gli occhi intenti Alberto Durer nel suo sfarzoso abbigliamento signorile. Anche il Domenichino più d'ogni altro premuroso si accosta a lui per non perdere parola. Con l'orecchio è attentamente inclinato verso il maestro; ma nell'inquietudine del suo eclettismo bolognese si vede che egli erra cogli occhi tra Michelangelo e Raffaello.

Quest'uomo sedente o docente, tutti hanno ben ragione di ascoltarlo perchè egli è Leonardo da Vinci, grandissimo fra i grandi, l'uomo più portentoso del Rinascimento italiano, che di portenti ebbe così grande ricchezza.

Ed io, o signore, dovrò parlarvi di quest'uomo? C'è proprio da sentirsi tremare le vene e i polsi! Tanto più, ve lo confesso, perchè anche dopo le copiose pubblicazioni e illustrazioni che si sono fatte dei manoscritti di Leonardo da Vinci in Inghilterra, in Francia, in Alemagna e in Italia; anche dopo le belle fatiche di tanti eruditi stranieri e nostrani, tra i quali non bisogna scordare Gustavo Uzielli e il vostro Milanesi, un libro sopra Leonardo da Vinci ci sarebbe da arrischiarsi a scriverlo: e non sarebbe forse per me un atto di disperata audacia. Ma parlare di lui nel breve tempo d'una conferenza, ma costringere, ma pigiare entro questo breve circolo tanti elementi così disparati, è cosa che io credo impossibile, o che, a ogni modo supera di troppo le forze di cui posso disporre. Però, o signore, io faccio appello colla più viva instanza alla benevolenza vostra, a quella benevolenza che altre volte esperimentai e di cui serbo sempre così vivo il ricordo e la gratitudine.

Ascoltatemi dunque attente e scusatemi se, per la terribilità e vastità del soggetto, invece di narrare io dovrò procedere per brevi accenni, invece di dimostrare, il più delle volte, dovrò contentarmi di affermare; insomma se invece di rendervi intera e rilevata questa colossale e complessa figura, io sarò costretto a darvene una pallidissima immagine, simile ad ombra di gigante fuggente sul muro in una giornata scarsa di sole.

I

Egli era l'uomo dei doni. Difficilmente, percorrendo la storia della umanità, ci potremmo imbattere in un uomo che lo valga. Humboldt avrebbe detto di lui ch'egli era un figlio prediletto della natura. Se fosse vero ciò che narra la leggenda, che le fate vanno alla culla degli uomini predestinati a grandi cose, egli è certo che alla culla di questo bastardo di Ser Piero da Vinci accorsero tutte le fate e vi buttarono dentro tutti i loro doni, e nessuna rimase a casa per dispetto o per dimenticanza.

Cominciamo dai doni fisici. Bellissimo della persona, d'una bellezza temperata di grazia e di maestà; e forte come pochi del suo tempo. Con un movimento del pollice storceva un ferro di cavallo; nella danza, nella lotta, nel nuoto vinceva i campioni più rinomati del suo tempo. Le qualità del suo ingegno darebbero luogo ad una amplissima descrizione; ma sopratutto sorprende quella interezza organica che è tutta propria di lui. Egli non ammette soluzione di continuità nello svolgimento del suo ingegno; e la sua mente vi dà l'idea di una grande tastiera d'organo ove i suoni vanno dai più profondi ai più acuti senza il più piccolo salto di tono, senza la più piccola disarmonia. Egli non si contenta mai; vuole approfondire, sviscerare, esaurire tutti gli argomenti. Nella meccanica, per esempio, egli va colla medesima cura dal girarrosto ad elica (che pare egli abbia inventato) fino al più complicato congegno di idraulica, fino ai più ingegnosi strumenti di guerra, che egli offre per la vittoria ai principi ed alle repubbliche italiane. Come artista egli è lo stesso. Per lui nell'arte non esiste parvità di materia; tutta quanta la gamma artistica egli la vuol toccare, e la tocca e la tratta colla medesima scrupolosità, colla medesima maestria elevandosi di grado in grado alle più meravigliose eccellenze. Leonardo mette ugual cura nel rendere col suo pennello la appannatura dell'acqua in una caraffa ed il volto radioso e sorridente d'una Vergine; mette egual delicatezza e minuziosità nel rappresentare le damascature e l'ordito della tovaglia gettata sulla tavola del Cenacolo come a esprimere la soavità accorata dell'apostolo Giovanni, come a significare la divinità attristata e sofferente del Redentore del mondo. In tutto è sempre eguale a sè stesso e rivela un equilibrio stupendo; il quale equilibrio voi cerchereste forse invano in alcun altro dei suoi contemporanei, così completo e così scrupolosamente mantenuto. Colossi sorgono intorno a lui; ma, se li guardate, questi colossi hanno tutti qualche cosa che turba, molto o poco, la loro stupenda economia spirituale e lascia luogo a desiderare.

Onde, più lo si osserva, più si capisce il fascino che doveva esercitare Leonardo da Vinci sopra i suoi coetanei. Alle sue grandi qualità della mente e dell'estro aggiungete certe particolarità nell'essere e nella vita, che realmente dovevano colpire e quasi impaurire. Aveva del bizzarro, del misterioso, dello strano. Se vergava una lettera la vergava da destra a sinistra, alla maniera degli Orientali. Viveva fantastico, ghiribizzoso; mille cose intraprendeva e poi tralasciava, andando continuamente in traccia di nuovi aspetti di verità, di nuove e insolite forme di bellezza. Racconta il suo biografo che si rinchiudeva volentieri in una stanza dove non lasciava entrare alcun uomo; e in quella stanza egli accumulava insetti, farfalle, ramarri, animali morti d'ogni specie, e là spendeva lunghe ore meditando, sperimentando, osservando, fantasticando a sua posta. C'era in lui qualche cosa come del negromante, del Gilberto, del Raimondo Lullo, del Faust; un Faust però, lasciatemi dire, più sereno, più equilibrato di quello tedesco; sopratutto un Faust onesto e benefico, che studiava la vita e scrutava la natura e cercava di indovinarne le leggi, ma non ad appagamento dei suoi egoismi crudeli e superbi, sì per scoprire utili veri, per cogliere i fiori più eletti della verità e della bellezza e gettarli, a consolazione e ad ornamento, sui passi degli uomini.

E a proposito di Faust, vien subito fatto di indicare un altro lato singolare e argomento di molta curiosità nella vita di Leonardo da Vinci. Questo Faust trovò egli la sua Elena o la sua Margherita nella vita mortale?.. Fra i tanti punti oscuri della vita di Leonardo, questo è rimasto oscurissimo. In tanti volumi di manoscritti ch'egli ha lasciato non ricorre il nome di una donna. Quest'uomo che aveva tutto per essere amato, che, secondo la bella frase del Vasari, colla voce soave “tirava a sè gli animi delle genti„, che professava così vivo il culto della bellezza, e quindi doveva essere così inclinato a sentirne il fascino, quest'uomo non ha una donna nella sua vita. Tutto ciò naturalmente è spiaciuto ai romanzieri e ai poeti, ai quali è parso che questa grande figura mancasse di qualche cosa senza un romanzo o almeno un idillio d'amore. Alcuni quindi, guardando il sorriso così vivo, così suggestivo e quasi invitante della Lisa del Giocondo, hanno voluto fantasticarci su e fabbricare un romanzetto al quale io non credo; non perchè io lo reputi genericamente inverosimile, ma perchè in storia non bisogna affermare se non ciò che è sorretto da qualche maniera di argomenti. Noto anzi un particolare. Il Vasari racconta che per togliere al bellissimo volto di monna Lisa quella fissità e tristezza che hanno quasi sempre i ritratti pel disagio e la noia che invade l'originale nel posare, Leonardo faceva venire intorno alla bella donna dei sonatori e dei buffoni che la mantenevano sempre graziosa ed allegra… Oh! se Leonardo e monna Lisa si fossero intesi d'amore, voi ben vedete, che sarebbe bastato il bello e spiritoso pittore a tenere allegra la sua modella; e non avrebbero pensato ad altra compagnia!

Di quanti hanno cercato di definire la figura di Leonardo da Vinci il più vicino al vero mi pare sia stato Gino Capponi, nel primo volume della Storia di Firenze, ove dice che “in Leonardo vennero a far capo le due correnti per le quali s'era condotta l'Italia, da un lato nelle arti e dall'altro nelle scienze… Con ciò parmi molto fedelmente resa la grande singolarità della figura di Leonardo da Vinci e il suo posto nella storia ideale del nostro Rinascimento. Noi possiamo avere nel medesimo individuo delle attitudini artistiche e delle facoltà scientifiche; può darsi benissimo che tanto le prime quanto le seconde procedano di pari passo in un armonico sviluppo. Ma in Leonardo da Vinci abbiamo qualche cosa di più: abbiamo la compenetrazione di questo doppio ordine di qualità. Non è che lo scienziato vada per la sua via e per la sua via vada l'artista; la via dello scienziato e quella dell'artista non formano che una medesima grande strada regia, che porta verso delle altitudini sconosciute.

Sono meravigliose le scoperte, le antiveggenze di questo genio che non ristava mai dall'osservare nel volume della natura. Guglielmo Libri nella sua storia delle matematiche quando arriva a Leonardo, a questo scultore, a questo pittore, a questo sonatore di cetra, è costretto a fermarsi a lungo e dedicargli quasi un intero capitolo. E le benemerenze di Leonardo verso le matematiche non sono che una parte dei titoli che ha verso la scienza universale. Egli è dei primi, il primo forse, che scuote completamente l'apriorismo della scolastica e che non accetta la concezione del mondo già fatta, già costituita secondo la sentenza degli antichi. – Che importa a me, egli scrive, se non cito gli antichi e se non seguo le loro massime? Io cito la Natura e segno la Natura che è la maestra di quei maestri. – E di tali massime, che esprimono il libero procedimento del suo ingegno nell'osservare, i suoi manoscritti sono pieni. Torna sempre sopra questo concetto: ammira gli antichi, li venera, ma dice che se essi valsero in qualche cosa, se essi scoprirono invidiosi veri, fu perchè essi osservarono la Natura. Dunque egli vuol risalire a questa grande maestra, a questo universale esemplare, e da esso direttamente, non di seconda mano, attingere la verità.

II

Per questo non è di nulla esagerato il dire che Leonardo da Vinci è il primo a cui completamente si addice il titolo di “uomo nuovo„ secondo il concetto di Giordano Bruno. Egli anticipa sopra tutte le scienze e gli scienziati che vennero dopo. Nella metodologia viene prima di Bacone da Verulamio quasi di cento anni. Quello che v'ho detto circa il metodo suo d'osservazione è, in sostanza, il “nuovo organo„ che di poi con tanta pompa di novità il Cancelliere inglese proclamerà al mondo. Nella idraulica anticipa il Castelli; nella geologia Pomponio Leto; nell'ottica egli precede La Porta, prevenendolo nella scoperta nientemeno che della camera oscura; nella caduta dei gravi anticipa di molti teoremi il lavoro di Galileo Galilei; nella intuizione dei tratti della fisonomia come manifestazione delle interne facoltà dell'animo, egli spiana la strada al La Porta e al Lavater. Un'altra anticipazione importantissima ci dà Leonardo. In un passo molto caratteristico egli dice: “Lascio stare i libri sacri, incoronati di suprema verità„; e procede oltre liberamente nelle indagini della natura, tralasciando ogni preoccupazione dogmatica e teologale. Anche in questo delicato argomento, lo spirito di Leonardo precedette di molti anni il Pomponazzo, il Cremonino e lo stesso Galileo Galilei, che con tanto studio e tanta arte, nella sua famosa lettera Alla granduchessa madre, si adoperò a dimostrare che il procedimento teologico e il procedimento scientifico devono andare avanti di pari passo senza intralciarsi l'uno coll'altro, e senza che i dogmi rivelati gravitassero con troppo frequenti intromissioni nel lavoro e nelle conclusioni dello scienziato.

Se non che, per quanto mi ha dettato lo studio amoroso dei manoscritti leonardeschi ora in molta parte editi, io penso che, mentre lo scienziato pare alle volte che dietro a sè ci nasconda l'artista, l'artista invece tiene sempre il campo. È sempre l'Arte la regina della mente di Leonardo. Basta leggere alcune delle pagine del Trattato in cui celebra le lodi della sua prediletta fra le arti, la pittura, per capire da che sovrano entusiasmo estetico fosse riscaldato e mosso l'animo suo. Per cui tante volte, mentre direste alla prima che la indagine scientifica prepari in Leonardo il lavoro dell'arte; la verità vera è invece il contrario: vale a dire che il lavoro della scienza non è altro che un prolungamento, per dir così, della ricerca artistica. E con questa gran differenza che, mentre gli altri artisti suoi contemporanei si fermavano alla parvenza della cose e quella cercavano di ritrarre secondo le regole dell'arte, Leonardo, spinto da un fervore d'animo tutto suo particolare, andava anche al di là della parvenza artistica, e voleva trovare e trovava in fatto la ragion d'essere di questa in una più alta regione speculativa.

Così quand'egli studia la prospettiva lineare ecco che egli a poco a poco si incammina e s'ingolfa nel mondo della geometria: quando studia la prospettiva aerea ecco che l'ottica gli apre i suoi grandi orizzonti, e lì spigola e raccoglie verità nuove e spesso mirabili. Medesimamente la pittura del corpo umano lo traeva ad investigare tutto il magistero della nostra struttura corporea; ed ecco che si associa a Marcantonio della Torre e dà al mondo i primi saggi completi e veramente scientifici di anatomia grafica. Lo stesso gli avviene, o signore, in tutti mai i rami dello scibile. Egli è condotto sulla via delle scienze dalla mano dell'arte. Nel libro VI del Trattato della pittura egli parla delle piante. Pittoricamente parlando, uno si sarebbe fermato alla apparenza di queste piante e ad indicare il modo con cui il pittore deve fedelmente ritrarle giusta i varii stati in cui ce le dimostra ai nostri occhi la natura, sia ch'esse siano sguarnite di foglie nell'inverno o abbiano il primo tenero verde nell'aprile o le foglie diffuse nella pienezza della buona stagione; sia che vengano o battute dalla pioggia o scrollate dal vento o illuminate dal sole e via discorrendo. Invece Leonardo da Vinci vi dà tutto questo per il pittore; ma il suo spirito non può fermarsi qui. Egli procede più oltre investigando e speculando: “La natura ha messo le foglie degli ultimi rami di molte piante in modo che sempre la sesta foglia sia sopra la primiera, e così segue successivamente, se la regola non fu impedita.„ Qui, come vedete, abbiamo qualche cosa di più che una semplice osservazione bastante per gli occhi del pittore. E non è cosa di piccolo momento, o signore, ma una vera e propria legge botanica (la fillotassi) che farà poi la gloria del naturalista Brown. Sempre rimanendo dentro l'ambito della pittura ed andando oltre, Leonardo scrive: “Le parti meridionali della pianta mostrano maggior vigore e gioventù che le settentrionali. Li circoli degli rami segati mostrano il numero degli suoi anni, e mostrano l'aspetto del modo con cui erano volti, poichè più grossi sono a settentrione che a mezzodì. Così il centro dell'albero per tal causa è più vicino alla scorza sua meridionale che alla sua scorza settentrionale.„ Nelle quali parole è pure anticipata una dimostrazione che farà, dopo un secolo, Marcello Malpighi, meritamente salutato dall'universale come l'inventore ed il fondatore della anatomia botanica.

Questi esempi, o signore (e tanti altri che potrei citarvi), riconfermano quello che io vi accennava, cioè che, a guardare bene nella mirabile struttura dell'ingegno di Leonardo da Vinci e in tutti gli atteggiamenti della sua attività, noi vediamo ch'egli si diffonde mirabilmente nel campo dello scibile, ch'egli corre dietro a tutte le forme del vero, ma che la sua stella polare è sempre l'Arte, e che all'Arte egli vuole che convergano gli elementi della sua cultura meravigliosa. Se tale la sua propedeutica artistica, voi avete un primo dato per argomentare subito quale e quanta debba essere stata l'arte di Leonardo da Vinci.

Egli venne in tempi in cui, massime in Italia, la pittura si avvicinava alla sua più alta fioritura, anzi alla sua radiosa maturità. Antonello da Messina aveva già divulgato fra noi il processo della pittura ad olio per il quale delle più smaglianti grazie ed una maggiore evidenza acquistavano i colori; a Firenze nel tempo di Leonardo dipingevano artisti come Sandro Botticelli; nella Umbria tenevano il campo Pinturicchio e il Perugino, preparando Raffaello; a Bologna Francesco Raibolini detto il Francia di grande orafo si mutava in grande pittore; Ferrara aveva avuto il Tura e il Cossa e il Costa. Di là dal Po, Mantegna, svincolatosi dalle dotte pedanterie dello Squarcione, popolava di meraviglie Padova, Verona e Mantova e associandosi e accostandosi al Giambellino, fondeva la robusta evidenza del suo disegno con le grazie del colorito veneziano. Volgeva dunque un momento di grande ricchezza e di grande splendore per l'arte. Egli, Leonardo, doveva coronare e glorificare tutto questo movimento.

E gli si aprivano due vie. Il suolo d'Italia restituiva, come per grazioso miracolo, alcuni dei più bei documenti dell'arte antica: le menti ne rimanevano stupite e irresistibilmente attratte ad imitarli. Leonardo da Vinci, quest'alunno della natura, tutto il tesoro delle osservazioni fatte nel campo della vita portava nel campo dell'arte, e voleva un'arte essenzialmente naturale, che dalla natura prendesse tutto il suo vigore e tutte le sue grazie. È molto notevole, o signore, questo atteggiamento preso di Leonardo nella grande contesa fra il naturale e l'antico, che allora appunto stava per raggiungere il suo momento critico e decisivo. Leonardo portò tutto il peso del suo sapere, tutta la potenza delle sue attitudini artistiche, tutta la sua autorità immensa in favore del movimento naturalista, ampiamente inteso e nobilmente significato.

Osservate in fatti che egli non accetta i “moduli„ che si cominciano ad insinuare nelle pratiche dell'arte, e coi quali si tendeva già a sostituire qualche tipo fisso ed inalterabile al lavoro personale e continuamente vario, al movimento fluido, infaticabile della natura, l'eterno e inesauribile esemplare. Guardate il Cangiasio, il Durer, Leon Battista Alberti escogitano misure e proporzioni determinate al corpo umano; fra Bartolomeo della Porta tira fuori dalla sua mente, o piglia dalla Germania, il manichino. Leonardo scarta tutto ciò. Egli guarda con diffidenza tutto quello che tende a sostituire nell'arte degli schemi già finiti e per così dire cristallizzati all'incessante mutualità che deve passare fra l'animo dell'artista e la natura. Egli primo fra i moderni, comincia già a tracciarvi la storia dell'arte in un modo che ci fa davvero stupire e che dà ragione della sua maniera di sentirne l'essenza. Ascoltiamolo: “Le arti giacquero in Italia perchè fu negletto ogni studio di imitare la natura, finchè venne Giotto fiorentino, il quale nato in monti solamente abitati da capre e simili bestie, cominciò a segnar su per li sassi gli atti di simili capre, delle quali era guidatore; e così cominciò a fare tutti gli altri animali, che nel paese trovava. In tal modo che questi dopo molto di studio avanzò, nonchè i maestri dell'età sua, tutti quelli di molti secoli passati.„ Ecco il giusto criterio naturalista sostituito ad ogni altro criterio! Il tipo dell'artista per Leonardo infatti è Giotto, l'uomo semplice, quasi primitivo, che non guarda, come Nicola Pisano, il sarcofago antico, ma le cose naturali e vive che stanno dintorno a lui e ingenuamente le ritrae. E prosegue a dire: “Dopo, gli uomini imitarono Giotto, e l'arti decaddero.„ L'imitazione sostituita allo studio diretto della natura, quindi perniciosa all'arte. “Finalmente sorse Tommaso fiorentino cognominato Masaccio, il quale mostrò con opere perfette come quelli che pigliano per autore altri che la natura, maestra de' maestri, si affaticano invano.„

Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
28 ekim 2017
Hacim:
390 s. 1 illüstrasyon
Telif hakkı:
Public Domain