Kitabı oku: «La vita Italiana nel Risorgimento (1815-1831), parte II», sayfa 9
VII
La funesta notizia l'ebbe prima, a Parigi, l'Ornato; e da lui, in Torino, il Provana. Questi riaperse il giornale dei Quattro, e con mano tremante, con quello strazio che non ha lacrime, vi scrisse: «Oggi, Santorre mio, ebbi notizia della tua morte. Della tua morte! No, non sarà; no, non è. Tu ottimo uomo, padre amorevole, sì necessario ai tuoi figli! Io, pianta inutile! Scrivo di te a te in questo quaderno da tanti anni non più avvezzo a recare le tue e le mie parole. Oh mio Santorre, oh amico! Son io colpevole del tuo esilio? Oh perdonami! Oh potess'io piangere di te siccome mi addoloro!» E l'Ornato al Provana scriveva: «Non lo rivedremo più su questa terra… Non la rivedremo più quella lealtà d'amico, quella fortezza di prode, quella devozione d'uomo onesto al dovere… Egli ha pagato intero il suo debito, e più che il suo debito… Solo resta ch'egli viva in noi…»
E visse anche nel suo Cousin. Fu per lui che, alcun tempo dopo, il colonnello Fabvier pose nell'isola fatale, proprio al luogo dove si crede che Santorre cadesse, un ricordo «al conte Santorre di Santarosa, ucciso il 9 maggio 1825». Fu il Cousin che nel 1838, ricaduto malato e credendosi vicino a morte, consegnò in pagine fragranti dei più generosi affetti, i ricordi dell'amico proscritto, e li raccomandò al Principe della Cisterna. E fino dal 27 uno dei volumi del suo Platone porta in fronte con la data «Parigi, 15 agosto 1827» questa nobilissima dedica: «Alla memoria del conte Santorre di Santarosa, nato a Savigliano il 18 settembre 1788, soldato a 11 anni, e volta a volta ufficiale superiore e amministratore civile e militare, Ministro della guerra nei fatti del 1821, autore dello scritto intitolato De la révolution piemontaise, morto sul campo d'onore il 9 maggio 1825 nell'isola di Sfacteria presso Navarrino, combattendo per l'indipendenza della Grecia: sfortunato dell'essergli falliti i più nobili disegni. Un corpo di ferro, uno spirito retto, una sensibilità squisita, una energia inesauribile, la superiorità della forza con l'attrattiva della bontà, il più puro entusiasmo della virtù che gl'ispirava secondo le contingenze un'audacia o una moderazione a tutta prova, il disdegno della fortuna e delle gioie volgari, la fede del cristiano coi lumi delle nuove idee, la lealtà del cavaliere anche nelle apparenze della rivolta, le doti di amministratore con l'intrepidezza del soldato, le qualità più opposte e più rare, gli furono inutilmente largite. Mancatogli un conveniente campo d'azione, mancatagli altresì un'intera conoscenza del suo tempo e degli uomini di codesto tempo, egli è passato come un personaggio romanzesco, mentre c'erano in lui un guerriero e un uomo di stato. Ma no, egli non ha prodigata la sua vita per ombre vane; ha potuto ingannarsi sul momento e sui mezzi, ma tuttociò ch'egli ha voluto si adempirà. No: casa Savoia non sarà infedele alla propria storia; la Grecia non ripiomberà sotto il giogo musulmano. Altri hanno avuto maggiore influenza sul mio spirito e le mie idee, ma lui mi ha fatto conoscere l'anima di un eroe: a chi devo di più, è a lui. Io l'ho veduto assalito da tutti i dolori che possano accogliersi nel cuore di un uomo: – esiliato dal suo paese, proscritto, confiscatigli i beni, condannato a morte da coloro che egli aveva voluto servire; sconosciuto, per un momento, e calunniato dalla più parte de' suoi; separato per sempre dalla moglie e dai figliuoli; sotto il peso de' più nobili affetti e de' più dolorosi; senz'avvenire, senz'asilo e quasi senza pane; trovar la persecuzione dove era venuto a cercare un riparo; arrestato, gettato in prigione, in pericolo di esser consegnato al suo Governo, che voleva dire al patibolo: – e l'ho veduto, non solamente incrollabile, ma calmo, giusto, indulgente, sforzarsi di comprendere i suoi nemici invece di odiarli, scusar l'errore, perdonare la debolezza, pensoso più d'altri che di se stesso, imporre a' suoi giudici reverenza, ispirare devozione ne' suoi carcerieri: e quando il patire si faceva più intenso, rimaner convinto che un'anima forte fa a sè il proprio destino, e che sventura vera non vi ha che nel vizio e nella viltà; – pronto sempre alla morte, ma affezionato alla vita per rispetto a Dio e alla virtù; forte del volere esser felice, riuscire quasi ad esserlo per codesta potenza di volontà, per la vivacità e la docilità della sua immaginazione, e la immensa simpatia del suo cuore. – Tale fu Santarosa. – O tu, che io ho troppo tardi incontrato, che tanto presto ho perduto, che ho potuto amare sempre senza misura e sempre senza rammarico, poichè tocca a me di sopravviverti, o Santorre, sii tu per sempre la mia stella».
Così da due Francesi ricevette onoranze supreme l'uomo che aveva cominciato ad essere italiano odiando nei Francesi i violentatori della sua patria. Oggi noi, che per entro alle parole di Vittorio Cousin sentiamo vibrare i palpiti del cuore di chi le scrisse; e di quel cuore altresì che, non più battendo, le sapeva di là dalla tomba ispirare; auguriamone all'avvenire non delle due sole genti latine di qua e di là dalle Alpi; ma di tutte quante la civiltà cristiana, se non dev'essere nome vano, ne concilii e congiunga; auguriamone che la nostra patria, questa patria al cui culto s'immolarono vittime così nobili e pure, questa patria, il cui trionfo è stato rivendicazione di libertà e di giustizia, sia, l'Italia nostra, forte per alleanze, dalle quali, altramente da quella in cui si profanò il nome di Santa, nulla abbia a temere la civiltà, nulla a sperare la barbarie.
VIII
Il nome del Santarosa rimase memoria e simbolo d'ogni più alta e generosa idea. Tale fra noi; tale, affrettiamoci a dirlo, presso i Greci risorti a libertà.
Nel giugno del 1845 la censura austriaca proibiva il libro di Luigi Provana: Studii critici sulla storia d'Italia ai tempi del re Ardoino. E il Provana, sulla lettera che gli partecipava l'onorevole sentenza, scriveva: «Alla memoria onoratissima tua, Santorre Santarosa, amico mio, e quasi fratello, questa sentenza della censura austriaca, emanata contro il mio libro, dedico e consacro, come monumento della mia devozione verso questa nostra patria comune, per la quale tu, più felice di me, ponesti nell'isola di Sfacteria la vita, morendo per l'indipendenza della Grecia».
E fino dal 1869, augurato da assai prima dal Tommasèo che nel Santarosa uomo di pensiero e di azione salutava «il più compiuto italiano del secolo», sorge nella sua Savigliano un monumento: in esso la figura di lui, in divisa di Ministro della guerra, ha nella mano sinistra la Costituzione del 21, e poggia la destra sull'elsa della spada coronata d'alloro. È il Santarosa ministro e guerriero, quale, per generoso sacrificio di sè, mancò al suo Piemonte: al Piemonte di Carlo Alberto finalmente valicatore del Ticino per l'indipendenza d'Italia; al Piemonte cantato da Giosuè Carducci nella visione spiritale dei patriotti del 21 e del 32, che dopo l'espiazione d'Oporto accompagnano dinanzi a Dio l'anima dell'«italo Amleto».
Su gli occhi spenti scese al re una stilla,
Lenta errò l'ombra d'un sorriso. Allora
Venne da l'alto un vol di spirti, e cinse
Del re la morte.
Innanzi a tutti, o nobile Piemonte,
Quei che a Sfacteria dorme e in Alessandria
Diè a l'aure primo il tricolor, Santorre
Di Santarosa.
E tutti insieme a Dio scortaron l'alma
Di Carl'Alberto. – Eccoti il re, Signore,
Che ne disperse, il re che ne percosse.
Ora, Signore,
Anch'egli è morto, come noi morimmo,
Dio, per l'Italia. Rendine la patria.
A i morti, a i vivi, pe 'l fumante sangue
Da tutt'i campi,
Per il dolore che le regge agguaglia
A le capanne, per la gloria, Dio,
Che fu negli anni, pe 'l martirio, Dio,
Che è ne l'ora,
A quella polve eroica fremente,
A questa luce angelica esultante,
Rendi la patria, Dio; rendi l'Italia
A gl'italiani.
IX
Soli undici anni or sono, nel 1886, quando le Potenze occidentali ponevano, anche allora, a tutela di pavidi e tenebrosi interessi, il blocco alla Grecia, un poeta greco, Gerasimo Marcoras di Corfù, oggi venerando settuagenario, cantava:2 «Ahi! quando il glorioso infortunato flutto solcasti, o Italia, con tutto l'Occidente, la tomba del Santarosa cominciò a mandar gemiti. E se l'aere a sera spira dal luogo ove giace il generoso, odesi ancora la divina sua bocca dire queste parole con desiderio immortale: Figliuoli d'Italia! tanta possa in me, anco nel sepolcro, ebbe la patria, che valse a dare una scintilla di vita al mio cadavere. L'esanime mio petto, come se lo spiro dell'aura vitale lo commovesse ancora, dalla sede della morte partecipò, o fratelli italiani, ai vostri dolori da mane a sera. Grande era l'afflizione dell'anima mia, se la soma gravosa dei mali faceva di quando in quando venir meno in voi la primiera fiducia. Ma da questa terra, fatta a me letto di morte onorata, anche nel rigido verno, spunta come erba recente la speranza. Perciò la voce mia come rondine inviai, temendo potessero ahimè! i dolori dell'anima vostra scoraggiarvi per sempre. Vi rammentai la Grecia schiava, che ebbe battesimo in un sacro fiume del prezioso suo sangue; e tosto ottenni che la fiducia di nuovo lampeggiasse in ogni sguardo. Oh! appena rilusse all'Italia il giorno del trionfo, tanta gioia sentì, tutta esultando, la Grecia primogenita figlia della libertà, che si ornò tutta di fiori. Nella divina sua terra, che ancora m'accoglie fra le braccia, allora sentii fiamma di desiderio per la dolce redenta terra d'Italia. Quante volte vedendo una delle nostre navi, che a quella volta celeremente vogava, ho detto con passione: Portatemi, o fratelli, nella bella patria! – Ora non più; ite lontani! Nessuno venga a turbare le ossa mie! Intanto che io lavo con lacrime l'opera vostra misera e paurosa, qui rimarrò».
Rimane ed aspetta. E le navi d'Italia, le navi su cui sventola la croce bianca per la quale gli uomini del 21 vollero anticipare eroicamente l'avvenire della patria, son oggi sospinte un'altra volta verso l'Oriente. Oh non dimentichiamo che lo spirito di Santorre Santarosa aleggia tuttora cruccioso lungo quella sacra marina!
Firenze, 14 aprile 1897.