Kitabı oku: «Ora e per sempre», sayfa 6

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Emily fece una pausa, lasciando che l’informazione filtrasse nella sua mente. Quando Amy ed Emily erano studentesse a New York, avevano messo in piedi un’intera fantasia sull’andare a vivere nell’ex chiesa, circondate da tutti i bar più cool del Lower East Side che adoravano frequentare. Ma era stato quando avevano vent’anni. Non era più il sogno di Emily. Era andata avanti.

“Ma io sono felice qui,” disse Emily. “Non voglio tornare a New York.”

Ci fu una lunga pausa dall’altra parte della linea. “Vuoi dire mai?” chiese alla fine Amy.

“Voglio dire per almeno sei mesi. Finché i miei risparmi non finiscono. Poi dovrò sistemarmi altrimenti.”

“Come dormire sul mio divano di nuovo?” Un accenno di ostilità aveva fatto capolino dal tono di Amy.

“Mi dispiace, Amy,” disse Emily sentendosi sgonfia. “È solo che non è più quello che voglio.”

Sentì sospirare la sua amica. “Resti davvero lì?” disse alla fine. “Nel Maine? In un’inquietante vecchia casa? Da sola?”

Emily allora capì quanto fosse davvero sicura di voler restare, quanto le sembrasse assolutamente giusto per lei. E dirlo a voce alta ad Amy l’aveva reso reale.

Fece un respiro profondo, sentendosi sicura di sé e con i piedi per terra per la prima volta da anni. Poi disse semplicemente, “Sì.”

3 MESI DOPO

CAPITOLO OTTO

Il sole primaverile filtrava dalla tenda di Emily, svegliandola delicatamente come un bacio. Le lente e languide mattine erano un qualcosa che Emily si godeva sempre di più man mano che passavano i giorni. Aveva imparato ad apprezzare la quiete tranquilla di Sunset Harbor.

Emily si rigirò nel letto e batté le palpebre per aprire gli occhi. La camera che una volta era dei suoi genitori ora era praticamente sua. Era stata la prima stanza che aveva sistemato e rinnovato. La vecchia coperta mangiata dalle tarme era sparita, rimpiazzata da una bellissima coperta patchwork in seta. Il bel tappeto color panna era morbido e viscoso sotto ai suoi piedi quando uscì dal letto, reggendosi a un palo del letto a baldacchino per mettersi in piedi. I muri profumavano ancora di pittura fresca quando raggiunse il comò ora lucido e laccato per tirarne fuori un vestito floreale primaverile. I cassetti erano ordinatamente riempiti di abiti, la sua vita era di nuovo organizzata.

Emily ammirò il suo riflesso nello specchio a figura intera, che era stato restaurato e pulito professionalmente, e poi aprì del tutto le tende, deliziata dal modo in cui la primavera era arrivata a Sunset Harbor con un turbinio di colori; azalee, magnolie e giunchiglie erano fiorite nel cortile, gli alberi che delimitavano la sua proprietà si erano riempiti di lussureggianti foglie verdi e l’argento dell’oceano che poteva vedere dalla finestra era sfavillante. Aprì la finestra e respirò profondamente, saggiando il sale dell’aria.

Mentre si sporgeva all’esterno, notò un movimento con la coda dell’occhio. Allungò il collo per vedere meglio. Era Daniel, che si occupava di una delle aiuole. Era completamente concentrato sul suo lavoro, un’abitudine che Emily aveva imparato a conoscere nei tre mesi che avevano lavorato insieme alla casa. Quando Daniel cominciava qualcosa, tutta la sua attenzione era lì, e non si sarebbe fermato finché non avesse finito. Era una qualità che Emily rispettava in lui, anche se a volte le sembrava di esserne del tutto esclusa. C’erano stati molti momenti negli ultimi mesi in cui avevano lavorato fianco a fianco tutto il giorno senza dirsi neanche una parola. Emily non riusciva a capire che cosa ci fosse nella testa di Daniel; era impossibile da leggere. L’unico segnale che le diceva che non provava ripugnanza verso di lei era che tornava giorno dopo giorno, spostando i mobili quando lei glielo chiedeva, smerigliando pavimenti, laccando il legno, rifoderando i divani. Ancora si rifiutava di accettare dei soldi, ed Emily si chiedeva come esattamente si mantenesse se trascorreva le sue giornate con lei lavorando gratis.

Emily si ritirò dalla finestra e uscì dalla camera. Il corridoio del piano di sopra adesso era pulito e organizzato. Aveva tolto i quadri polverosi dal muro e li aveva sostituiti con una serie di stampe dell’eccentrico fotografo britannico Eadweard Muybridge, foto che erano tutte incentrate sul catturare il movimento. Aveva scelto una serie di ballerine perché per lei erano incredibilmente belle, il momento della transitorietà, il movimento, era poesia ai suoi occhi. Era stata strappata via anche la carta da parati macchiata di ditate, ed Emily aveva dipinto il corridoio di un bianco vivido.

Emily scese di buon passo di sotto, sentendo sempre più la casa come casa sua. Gli anni trascorsi da imbucata nella vita di Ben sembravano adesso improvvisamente molto lontani alle sue spalle. A Emily pareva che questo fosse il modo in cui avrebbe sempre dovuto vivere.

Il telefono era al suo solito posto sul tavolino presso il portone. Sembrava aver finalmente trovato una routine – svegliarsi con calma, vestirsi, controllare il telefono. Ora che era arrivata la primavera, aveva una nuova parte della routine, che era andare in paese per fare colazione e bere il caffè prima di controllare i mercatini delle pulci locali in cerca di articoli che voleva mettere in casa. Oggi era sabato, ciò significava che ci sarebbero stati più negozi aperti dove andare, ed era intenzionata a trovare altri mobili.

Dopo aver mandato un messaggio a Amy, Emily afferrò le chiavi della macchina e uscì. Mentre attraversava il cortile si guardò intorno in cerca di Daniel, ma non lo vide. Negli ultimi tre mesi la sua presenza era diventata un’altra fonte di stabilità per lei. A volte le pareva che ci fosse sempre stato, a distanza di braccio appena.

Emily salì in macchina – che aveva finalmente fatto riparare – e percorse la breve strada fino al paese, superando una bianca carrozza trainata da cavalli. Cavalcare i pony era una delle attività turistiche di Sunset Harbor – Emily si ricordava di aver fatto giri in carrozza quando era bambina – e la loro presenza indicava che la città stava finalmente uscendo dalla sua lunga ibernazione invernale. Mentre guidava, notò che era apparso un nuovo ristorante lungo la strada principale. Un po’ più giù lungo la strada, il comedy club stava aprendo per molte e molte ore. Non aveva mai visto un posto trasformarsi così completamente sotto agli occhi. Il nuovo fervore e via vai le ricordò le sue vacanze estive dell’infanzia più di qualunque altra cosa finora.

Emily si fermò in un piccolo parcheggio vicino al porto. Ora si stava velocemente riempiendo di barche, con gli alberi che emergevano e si inabissavano con la delicata marea. Emily guardò le barche con un rinnovato senso di pace. Le sembrava davvero che la sua vita stesse appena cominciando. Per la prima volta da molto tempo vide per sé un futuro che voleva: vivere nella casa, renderla bellissima, essere soddisfatta e felice. Ma sapeva che non sarebbe durato in eterno. Aveva appena i soldi per mantenersi per tre mesi. Non volendo che il sogno della sua vita finisse troppo presto, Emily aveva deciso di vendere alcuni oggetti antichi presenti nella casa. Finora si era separata solo da quelli che non rientravano nei suoi piani per la casa e come sarebbe dovuta apparire, ma pure vendere quelli era stata un’agonia per lei, come se stesse dando via un pezzetto di suo padre.

Emily prese un caffè e una ciambella dal nuovo ristorante, poi si avventurò al mercato delle pulci al chiuso di Rico. Era lo stesso posto che suo padre visitava ogni estate. Il posto era ancora di Rico, l’anziano proprietario. Emily era felice che non l’avesse riconosciuta il primo sabato che ci era andata (metà per la vista malandata e metà per la memoria in calo) perché così aveva avuto l’opportunità di presentarsi da zero, di farsene un’opinione sua invece di conoscerlo attraverso l’ombra incombente della presenza di suo padre.

“Buongiorno, Rico,” disse entrando nel buio negozio.

“Chi è?” disse una voce incorporea da qualche parte dell’oscurità.

“Emily.”

“Ah Emily, bentornata.”

Emily sapeva che fingeva solo di ricordarsi di lei tutte le volte che veniva in negozio, che la sua memoria tra le sue visite svaniva, e non poteva fare a meno di notare quanto fosse ironico il fatto che alla persona di Sunset Harbor a cui lei piacesse di più lei piaceva solo perché non riusciva a ricordarsi bene chi fosse.

“Sì, dalla casa grande in West Street, sono qui per prendere un set di sedie per la sala da pranzo,” disse guardandosi intorno, cercando l’uomo.

Alla fine saltò fuori dal bancone. “Ma certo, me lo sono scritto qui.” Posò gli occhiali sul naso sottile e strizzò gli occhi sul libro aperto sulla scrivania, cercando gli sgorbi scritti a mano che gli avrebbero detto chi fosse davvero Emily e che le aveva davvero venduto sei sedie per la sala da pranzo. Emily aveva imparato dopo il suo primo giro in negozio (quando si era prenotata un grande tappeto solo per scoprire che non c’era più quando era andata a ritirarlo) che se Rico non si scriveva qualcosa, quella cosa non era accaduta.

“Già già,” aggiunse. “Sei sedie per la sala da pranzo. Emily. Ore nove. Sabato dodici. È oggi, vero?”

“È oggi,” rispose con un sorriso. “Vado a dare un’occhiata dietro e le prendo, posso?”

“Oh sì, oh sì, mi fido di te, Emily, sei una buona cliente.”

Sorrise da sola mentre usciva sul retro. Non conosceva il designer delle sedie, ma l’istante in cui le aveva viste aveva saputo che erano quelle giuste per la sala da pranzo. In qualche modo sembravano sedie tradizionali – in legno, con quattro gambe, uno schienale, una seduta – ma erano state progettate in modo particolare, con gli schienali più alti di quelli delle normali sedie per sale da pranzo. Erano dipinte in nero lucido, che sarebbe calzato a pennello con il nuovo schema monocromatico della stanza. Rivederle adesso la entusiasmò, e volle portarle a casa al più presto in modo da vederle al loro posto.

Le sedie erano pesanti, ma Emily aveva scoperto di essere diventata più forte negli ultimi mesi. Tutto il lavoro fisico necessario alla casa le aveva sviluppato dei muscoli che mai era riuscita a ottenere faticando in palestra.

“Fantastico, grazie, Rico,” disse mettendosi a trascinare le sedie verso l’uscita. “Ci vieni alla vendita di oggetti usati a casa mia più tardi? Vendo i due tavolini da parete Eichholtz Rubinstein, hanno bisogno di un po’ di cure. Ti ricordi di avermi detto che potresti essere interessato a prenderle e farle restaurare da Serena?”

Serena era una spumeggiante e giovane studentessa di arte dall’energia sconfinata che si faceva due ore di macchina dall’Università del Maine ogni poche settimane solo per dare una mano in negozio a sistemare i mobili. Indossava sempre i jeans, i lunghi capelli scuri le ricadevano su una spalla, ed Emily non poteva fare a meno di sentirsi gelosa della forza interiore fiduciosa e calma che possedeva a un’età così giovane. Ma dato che era amichevole con Emily nonostante le occhiate diffidenti che Emily le aveva lanciato all’inizio, Emily adesso era amichevole con lei.

“Sì, sì,” rispose Rico illuminandosi, sebbene Emily fosse certa che avesse dimenticato tutto sulla sua rivendita dell’usato. “Serena farà un salto da te.”

Emily lo guardò mentre se lo annotava sul taccuino. “La vecchia casa in West Street,” gli ricordò, giusto per essere sicura che non dovesse provare l’imbarazzo di chiederle l’indirizzo. “Ci vediamo più tardi!”

Emily caricò le sedie nuove nel baule e poi tornò a casa attraversando il paese, gioendo della vista dei fiori primaverili, dell’oceano scintillante e dei cieli di un azzurro limpido. Quando parcheggiò a casa rimase colpita da quanto fosse cambiata. Non solo per via della primavera, che aveva portato il colore al luogo e aveva reso l’erba verde del prato rigogliosa e fitta, ma per via del fatto che era vissuta, che era di nuovo amata. Il compensato se n’era andato, le finestre erano adesso pulite e ridipinte di fresco.

Daniel aveva già iniziato bene sistemando sul prato tutto quello che lei pensava di vendere oggi. C’erano così tante cose che a lei sembravano spazzatura ma dopo averle cercate su Google era venuto fuori che erano tesori per altri. Aveva catalogato tutti gli articoli della casa che non voleva tenere e poi aveva controllato su internet per scoprire il loro reale valore prima di postare su Craiglist quello che voleva vendere. Era rimasta scioccata nel ricevere un messaggio da una donna di Montreal che stava organizzando un viaggio fin lì unicamente per comprare una catasta di libri di Tintin.

Durante le nottate in cui Emily aveva enumerato il contenuto della casa, aveva cominciato a capire che cosa suo padre ci avesse trovato in quel suo strano hobby. La storia dei pezzi, le storie che si portavano dietro, tutto divenne fascinoso agli occhi di Emily. La gioia nello scoprire un oggetto d’antiquariato tra cose di poco valore dava un’eccitazione che non aveva mai provato prima.

Non che non ci furono delle delusioni, nel frattempo. Un’antica arpa greca che Daniel aveva estratto dalla sala da ballo e che Emily aveva valutato 30.000 dollari era, purtroppo, in uno stato di rovina tale che uno specialista gli aveva detto che non si sarebbe mai più potuta suonare. Ma aveva dato a Emily il numero di un museo locale che accettava donazioni, e lei si era commossa nello scoprire che con l’arpa avevano affisso una targa che diceva che era stato un dono di suo padre. Era un modo per mantenere viva la sua memoria.

Guardare il cortile riempì Emily di un misto di tristezza e speranza; era triste dover dire addio ad alcuni oggetti con cui suo padre aveva ingombrato la casa, ma aveva anche speranza per la nuova casa e per l’aspetto che avrebbe avuto un giorno. Il futuro sembrava improvvisamente luminoso.

“Sono tornata,” urlò trascinando le sedie in casa.

“Sono qui!” disse Daniel, e la sua voce veniva dalla sala da ballo.

Emily mise giù le sedie nell’ingresso e andò a cercarlo. “Sei stato bravissimo a portare quella roba in cortile,” gridò attraversando la sala da pranzo e la porta segreta che portava alla stanza. “Posso aiutarti con qualcosa?”

Appena entrata nella stanza si fermò di colpo, la voce le si spense improvvisamente in gola. Daniel indossava una canotta bianca e aveva in mostra muscoli che lei finora aveva solo immaginato. Era la prima volta che poteva dare una vera occhiata al suo fisico e la vista la lasciò senza parole.

“Sì,” disse, “puoi prendere l’altro lato di questa libreria e aiutarmi a portarla fuori. Emily?” La guardò e si accigliò.

Lei si accorse di guardarlo a bocca aperta e serrò la mandibola, poi tornò in sé. “Sì. Certo.”

Si avvicinò a dove stava lui, incapace di sostenere il contatto visivo, e prese il suo lato della libreria.

Ma non riuscì a impedire allo sguardo di scivolare sulle sue braccia muscolose quando si gonfiarono nello sforzo di reggere il peso della libreria alzandosi in piedi.

Emily sapeva di essere attratta da Daniel, accettava il fatto di esserlo stata dalla primissima volta che si erano conosciuti, ma per lei era più misterioso che mai. In effetti, era più misterioso adesso perché aveva trascorso così tanto tempo in sua compagnia senza rivelare molto su di sé. Tutto quello che lei sapeva era che c’era qualcosa in lui che Daniel teneva celato alla vista, una specie di oscurità o un trauma, una specie di segreto da cui stava scappando che gli impediva di avvicinarsi. La stessa Emily sapeva come ci si sentiva a scappare da una vita passata traumatica, quindi non gli aveva mai fatto domande. E poi lei ne aveva abbastanza di segreti sotterrati nella casa che non avrebbe avuto il tempo di scavare in cerca di quelli di Daniel. Quindi lasciava che la sua attrazione sobbollisse sotto la superficie, sperando che non traboccasse e che non desse il via a una reazione a catena a cui nessuno dei due era preparato.

*

I primi clienti cominciarono ad arrivare appena dopo mezzogiorno, mentre Emily e Daniel se ne stavano sulle sdraio a bere limonata fatta in casa. Emily notò subito che Serena era tra loro.

“Ehi!” fece Serena salutando con la mano, prima di saltellare verso Emily e abbracciarla.

“Sei qui per i tavoli da parete, vero?” disse Emily mentre si separavano, Emily un po’ a disagio dall’intimità fisica a cui Serena era così brava a dare il via. “Sono qui dietro l’angolo, te li prendo.”

Serena seguì Emily attraverso il dedalo di mobili disposti sul prato. “Quello è il tuo ragazzo?” chiese mentre camminavano, guardando dietro di sé in direzione di Daniel. “Perché, scusa se te lo dico, è molto sexy.”

Emily rise e guardò anche lei oltre la spalla. Daniel stava parlando con Karen del negozio di alimentari, sempre nella sua canotta bianca, col sole primaverile che gli danzava sui bicipiti.

“Non lo è,” disse.

“Non è sexy?” urlò Serena. “Ragazza mia, sei cieca?”

Emily scosse la testa e rise. “Intendevo dire che non è il mio ragazzo,” spiegò.

“Ma è sexy,” implorò Serena. “Sai, puoi dirlo a voce alta.”

Emily fece un sorrisetto. Serena doveva pensare che fosse una moralista totale.

Arrivarono ai due tavoli che Serena era venuta a prendere. La donna più giovane si accucciò per guardarli bene, lasciando ricadere i capelli scuri su una spalla, svelando al di sotto una pelle caramello baciata dal sole. Era bella in un modo unico per una ragazza giovane – con un bagliore e una severità che nessun quantitativo di trucco avrebbe potuto ricreare.

“Pensi di provarci?” chiese Serena rialzando lo sguardo verso Emily.

Emily quasi si soffocò col respiro. “Provarci con Daniel?”

“Perché no?” chiese Serena. “Se non lo fai tu, lo faccio io!”

Emily raggelò, improvvisamente sentiva freddo dappertutto nonostante il sole primaverile. Il pensiero della bella e spensierata Serena con Daniel la riempì di una gelosia così pungente che la prese di sorpresa. Riusciva a immaginare che lui se ne sarebbe innamorato velocemente, perché chi non l’avrebbe fatto? Come avrebbe potuto un uomo di trentacinque anni resistere a una giovane donna come Serena? Era praticamente scritto nel loro DNA.

Serena d’un tratto mosse le sopracciglia e mostrò a Emily un largo sorriso. “Sto scherzando! Uao, sembra che ti abbia detto che è morto qualcuno!”

Emily non poté fare a meno di sentirsi un po’ infastidita per lo scherzo di Serena. Gli scherzi erano solo un’altra cosa a cui i giovani e gli spensierati potevano prendere parte. Ma per gli esausti come lei, era difficile divertirsi.

“Perché scherzi su questa cosa?” chiese Emily cercando di non lasciar trapelare la sua angoscia.

“Volevo vedere la tua faccia mentre lo dicevo,” rispose Serena. “Vedere se ti piace o no. E direi di sì, comunque, e dovresti assolutamente fare qualcosa. Sai, uno con quell’aspetto non resta single a lungo.”

Emily alzò un sopracciglio e scosse la testa. Serena era troppo giovane per capire quanto potessero essere complicate le cose tra due persone, o per conoscere il bagaglio emotivo che più invecchiavi più ti schiacciava.

“Ehi,” disse Serena, guardando lontano. “Hai avuto occasione di dare un’occhiata al granaio? Scommetto che c’è una tonnellata di roba interessante là dentro.”

Emily guardò dietro di lei. Dall’altra parte del prato, il granaio svettava nell’ombra, solo e dimenticato. Non aveva ancora avuto occasione di esplorare le costruzioni esterne. Daniel le aveva parlato delle serre e di come avrebbe voluto sistemarle per farci crescere dei fiori da vendere, ma il costo era troppo alto. Il granaio e le altre costruzioni, comunque, non li aveva menzionati, e lei semplicemente se ne era dimenticata.

“Non ancora,” disse rigirandosi verso Serena. “Ma ti farò sapere se trovo qualcosa che tu o Rico vorreste.”

“Fantastico,” disse Serena rialzandosi, un tavolino per braccio. “Grazie per questi. E non dimenticarti di provarci col signor Supersexy. Sei ancora giovane!”

Emily ruotò gli occhi e rise da sola mentre guardava la ragazza che se andava con andatura da spaccona. Aveva avuto tanta fiducia in se stessa quando aveva vent’anni? Se sì, non se lo ricordava. Amy era sempre stata quella sicura di sé, Emily era la più timida delle due. Forse era per quello che si ritrovava sempre in relazioni così disastrose, e che era rimasta incastrata con Ben così a lungo; per la paura di non essere capace di trovare qualcun altro, per l’angoscia all’idea di attraversare il difficile disagio di conoscere qualcuno di nuovo.

Emily guardò Daniel, osservando il modo in cui parlava con i clienti, la cautela delle sue maniere, e il modo in cui si perdeva così velocemente nel suo personale mondo quando era di nuovo solo. Per la prima volta da quando lo aveva conosciuto, Emily riconobbe in Daniel qualcosa di se stessa. Ed era qualcosa che le faceva venir voglia di conoscerlo di più.

*

L’interesse di Serena per il granaio aveva dato l’avvio alla curiosità in Emily. Più tardi quella sera, una volta che la rivendita dell’usato fu finita per quel giorno, si avventurò verso le costruzioni esterne. Nella luce tenue, i prati della casa sembravano ancora più belli, e la cura che Daniel gli aveva dato si faceva più manifesta. Aveva mantenuto un cespuglio di rose che vi cresceva da quando Emily riuscisse a ricordare.

Oltrepassando la serra rovinata ebbe un flash, un ricordo, di pomodori rosso brillante che crescevano in vasi, di sua madre in un morbido cappello per il sole che teneva in mano un annaffiatoio grigio. C’erano stati alberi di mele e di pere dietro alle serre. Forse Emily ne avrebbe piantati degli altri un giorno.

Oltrepassò le serre rovinate e raggiunse il granaio. La porta era chiusa con un lucchetto. Emily tenne il lucchetto arrugginito nella mano, cercando di farsi venire in mente dei ricordi sul granaio. Ma non ne arrivò nessuno. Come per la sala da ballo nascosta, il granaio era un segreto che non aveva mai pensato di esplorare da bambina.

Lasciò andare il lucchetto – ricadde con un rumore sordo – poi fece il giro per vedere se c’era un’altra entrata. La finestrella sudicia era rotta ma non abbastanza grande perché potesse passarci attraverso. Poi notò una riparazione; una delle assi era stata chiaramente rotta o imputridita e un pezzo di compensato sottile gli era stato inchiodato sopra – una misura temporanea che non era stata adattata. Emily poteva immaginarsi suo padre là fuori, col martello in mano, a coprire il buco con un pezzo di compensato, pensando che sarebbe tornato per un lavoro fatto bene il giorno dopo. Ma non lo aveva fatto. Appena dopo aver sistemato il danno al granaio, aveva deciso di andarsene per non tornare più.

Emily sospirò profondamente, frustrata dall’intrusione di un ricordo immaginario. Aveva abbastanza angoscia reale con cui fare i conti; non poteva lottare anche contro il dolore finto.

Con poche manovre, Emily riuscì a far leva e spostare il compensato, svelando un buco più grande di quanto si aspettasse. Ci passò attraverso facilmente e si ritrovò nel granaio buio. C’era uno strano odore stantio nell’aria che Emily non riusciva a collocare. Quello che riusciva a vedere, comunque, era ciò che le stava attorno. Il granaio era stato convertito in una camera oscura di fortuna, un luogo dove si sviluppavano fotografie. Cercò di ricordare se era un hobby che suo padre aveva avuto, ma la sua mente era vuota. Si era divertito a fotografare la famiglia, quello lo ricordava, ma non tanto da voler imbastire un’intera camera oscura allo scopo.

Emily si avvicinò al largo e lungo tavolo dove c’erano diversi vassoi uno accanto all’altro. Aveva visto abbastanza film da sapere che lì venivano versati i liquidi di sviluppo. Poi c’era un filo stendibiancheria tirato attraverso il tavolo con delle mollette ancora appese da dove venivano appese le foto ad asciugare. Tutto quanto era molto curioso per Emily.

Vagò per il granaio ancora un po’ per vedere se c’era qualcos’altro di interessante lì dentro. All’inizio vide molto poco a cui far caso. Solo bottiglie di liquido di sviluppo, vecchi barattoli di bobine, lenti lunghe e macchine fotografiche rotte. Poi trovò una porta, anche quella chiusa da un lucchetto. Emily si chiese dove portasse e cosa ci fosse lì dietro. Cercò in giro una chiave ma non riuscì a trovarne neanche una. Durante la ricerca scoprì una scatola piena di album di foto, tutti accatastati a casaccio uno sopra l’altro. Prese il primo, soffiò via la polvere dalla copertina e lo aprì.

La prima immagine era in bianco e nero, un primissimo piano di un quadrante di orologio. La successiva, anche quella in bianco e nero, mostrava una finestra rotta e una ragnatela che la attraversava. Emily voltò ogni pagina, corrugando la fronte a ogni figura. Non le sembravano professionali, più che altro parevano scattate da una mano inesperta, ma trasmettevano una malinconia che sembrava rivelare l’umore del fotografo. In effetti, man mano che studiava le foto, le pareva sempre più di guardare all’interno della testa del fotografo invece di analizzare i soggetti che aveva scelto di catturare. Le foto la facevano sentire quasi claustrofobica, anche se si trovava in un grande granaio, e profondamente infelice.

Improvvisamente ci fu un rumore alle sue spalle. Girò su se stessa, con il cuore che martellava, e lasciò cadere l’album ai suoi piedi. Lì, nel passaggio attraverso il quale anche lei era entrata nel granaio, c’era un piccolo terrier. Era chiaramente un randagio, con il pelo arruffato e non curato, e stava lì a guardarla, confuso dal fatto che qualcuno si trovasse sul suo territorio.

Ecco spiegato l’odore, pensò Emily.

Si chiese se Daniel sapesse del randagio, se l’avesse visto mai aggirarsi nel prato. Decise di chiederglielo il giorno dopo durante la rivendita dell’usato – così come della scoperta della camera oscura – e si ritrovò eccitata all’idea di avere una ragione per parlargli.

“Va tutto bene,” disse a voce alta al cane. “Me ne sto andando.”

Il cane inclinò la testa di lato mentre ascoltava le parole. Lei sollevò l’album per rimetterlo nella scatola, poi vide che una foto era caduta dalle pagine. La raccolse e vide che era la foto di una festa di compleanno. Dei bambini piccoli erano seduti attorno a una tavola e c’era una gigantesca torta rosa fatta in modo che in mezzo sembrasse esserci un castello. Improvvisamente Emily capì che cosa stava guardando – era una foto del compleanno di Charlotte. Del quinto compleanno di Charlotte. Dell’ultimo compleanno di Charlotte.

Emily sentì le lacrime bruciarle gli occhi. Teneva la foto stretta nelle mani tremanti. Non aveva dei veri ricordi dell’ultimo compleanno di Charlotte, così come aveva pochi ricordi della stessa Charlotte. Era come se la sua vita fosse stata spaccata in due – la prima parte era la vita di quando Charlotte era viva, la seconda parte era la vita dopo la sua morte, la parte in cui tutti erano crollati, in cui il matrimonio dei suoi genitori alla fine era andato in pezzi dopo che lo stress dovuto ai loro silenzi era diventato troppo, e il gran finale in cui suo padre era sparito dalla faccia della terra. Ma tutto questo era accaduto a Emily Jane, non a Emily, non alla donna che aveva deciso di diventare, la persona che aveva tirato fuori dai rottami. Guardando la foto qui, la prova della vita con Charlotte, Emily si sentì più vicina alla bambina che si era lasciata alle spalle di quanto avesse mai fatto.

Il cane abbaiò, ed Emily rialzò lo sguardo di scatto. “Okay,” disse, “Ho capito. Me ne vado.”

Invece di rimettere l’album nella scatola, Emily arraffò tutto quanto, notando nel mentre che anche la scatola sotto era piena di fotografie, poi arrancò attraverso il granaio prima di passare a fatica di nuovo dentro al buco. La sua mente esplodeva di pensieri. La sala da ballo nascosta, la camera oscura segreta, la porta con il lucchetto nel granaio, la scatola piena di foto… quali altri segreti nascondeva quella vecchia casa?

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