Kitabı oku: «Terre spettrali», sayfa 3
CAPITOLO CINQUE
Marie ritrasse immediatamente la mano. Era piuttosto sicura che sarebbe sembrato sgarbato come gesto, ma non gliene importava. Aveva già avuto a che fare con un agente immobiliare insistente prima ancora di avere il tempo di sistemarsi come si deve in casa: una spocchiosa e presuntuosa signora che rispondeva al nome di Stacy Hamlett. Ed eccone un altro, che probabilmente voleva approfittare della situazione disastrosa che si era venuta a creare da quando Marie aveva accettato che June Manor venisse considerato come un luogo potenzialmente infestato.
“Non è un gran favore,” commentò Marie. “Non sono affatto interessata a vendere. Questa casa apparteneva alla mia prozia e l'ho ricevuta in eredità. E, come vede, sto cercando di portare avanti un'attività.”
“Sì, e ne ho sentito parlare. Il bed-and-breakfast sul mare che è infestato dagli spettri, o almeno così si dice, ma forse non davvero,” ironizzò Avery Decker.
“Beh, questo non è proprio corretto da dire, no?”
Decker scrollò le spalle ma era chiaro che non era affatto dispiaciuto di aver detto ciò che aveva detto. Da quel gesto Marie percepì che Decker era molto probabilmente il tipo abituato a parlare alla gente come gli pareva, e che in genere otteneva ciò che voleva.
“Ecco cosa le propongo,” attaccò Decker. “Sono l'ex proprietario di un'impresa edile che vent'anni fa ha fatto buoni affari qui in zona. Negli ultimi cinque anni, sono diventato una specie di promotore immobiliare e ho adocchiato questa casa da parecchio tempo. Neanche la proprietaria precedente era esattamente entusiasta all'idea di vendermela.”
Marie sorrise pensando alla zia June che diceva esplicitamente a quest'uomo di togliersi dai piedi. “Quindi mi sta dicendo che lei compra case, le rivolta come un calzino, poi le vende.”
“È una descrizione rozza e semplicistica, ma sì… il nocciolo è questo. E, inutile dirlo, sono disposto a pagare profumatamente.”
“Non sono interessata.”
“No?” disse Decker, con un largo sorriso, come se fosse pronto a giocare a quel gioco per tutto il giorno. “Ne è sicura? Non cerchi di vendermi un quadro più roseo di quanto non lo sia davvero. Non mi pare affatto che la sua attività se la passi granché bene. Posso alleggerirla di questo fardello.”
“Non è un fardello,” protestò Marie, facendo del suo meglio per non perdere la calma.
“La prego… mi faccia lei un prezzo,” continuò Decker, imperterrito. “Capisco il lato sentimentale, certo, ma conosco anche gli affari e il valore del denaro. Quindi, non faccia complimenti. Mi proponga lei un prezzo.”
Marie appoggiò i gomiti sul banco della reception e lo guardò fisso negli occhi. Voleva fargli capire che lei, a differenza degli altri, non si sarebbe lasciata intimorire. “Dieci milioni di dollari,” sparò.
Decker scoppiò a ridere e si batté una mano sulla gamba. “Signorina Fortune, sa benissimo che è una cifra assolutamente ridicola.”
“Non più ridicola di un perfetto sconosciuto che si presenta in casa mia, nella mia attività, pensando di farmi un favore a comprare la mia proprietà quando non ho assolutamente intenzione di vendere.”
“Suvvia, signorina Fortune, possiamo farci un bel gruzzolo sia io che lei se…”
“Non sono interessata.”
“Guardi, conosco già quattro potenziali acquirenti con le tasche piene di s…”
“Non. Sono. Interessata.” Fece un respiro profondo, cercando di dissipare la rabbia. “Detto questo, ho altre cose a cui badare. Quindi, se vuole scusarmi…”
Decker aveva toccato un punto dolente, ma Marie rifiutava di arrendersi così facilmente. Quando allungò la mano per indicare la porta, finalmente l'uomo schiodò, scuotendo la testa ma senza perdere il suo ampio sorriso dalle labbra. Mentre avanzava verso la porta, di spalle volle aggiungere un'ultima cosa. “Si ricordi il mio nome tra sei mesi, quando starà annegando nei debiti e l'attività starà per andare a gambe all'aria. Forse allora mi potrà convincere a comprarla.”
Poi subito chiuse la porta, per assicurarsi di aver avuto l'ultima parola. Rimasta sola, Marie imprecò sommessamente, portandosi una mano davanti alla bocca. Non era mai stata così rude con nessuno in vita sua. Certo, Avery Decker se lo era meritato, ma era un sentimento che non le era per niente familiare.
Rimase lì impalata per qualche secondo, fissando la porta d'ingresso e cercando di calmarsi. Proprio mentre si allontanava dal banco della reception per tornare nella sala da pranzo e concentrarsi nuovamente sull’assaggio dei dolci di Posey, sentì un rumore di passi, rapidi e pesanti, provenire dal piano di sopra.
Pensò immediatamente ai fantasmi, ma questi passi erano molto più presenti. Più reali. Sentì che si avvicinavano alle scale, per poi iniziare a scenderle. Marie scacciò infine ogni ipotesi paranormale: era soltanto Benjamin. Solo che sembrava un po' spaventato e confuso.
“Dov'è il tuo ospite?” domandò.
“L'ho cacciato via. Tutto bene, Benjamin?”
“Sì. Ma… Credo che di sopra ci sia qualcosa che devi vedere.”
Marie fremeva ancora dalla rabbia per l'incontro avuto con Avery Decker, ma dovette reprimerla con ancora più decisione, per evitare di innervosirsi con Benjamin. Le sfuggì, invece, un commento passivo-aggressivo: “Ancora qualcosa per cui mi toccherà mettere mano al portafoglio?”
“No, niente del genere. Solo… vieni a vedere.”
Benjamin si diresse verso le scale e Marie lo seguì, senza sapere cosa aspettarsi. Di solito Benjamin la scomodava con le sue domande e i suoi aggiornamenti solo quando si trattava di questioni davvero importanti. Marie gli aveva chiarito sin dal principio che non era il caso di interpellarla per qualsiasi decisione di poco conto, che si fidava del suo giudizio e della sua esperienza.
Benjamin la condusse nell'ultima camera del corridoio del piano di sopra, dove stava cambiando la vecchia e malridotta moquette nel ripostiglio. Quando entrarono, Marie notò che la porta dello stanzino era aperta. Per quel che poteva vedere, Benjamin non aveva ancora iniziato.
“Dunque, di che si tratta?” chiese.
“Ero dentro lo sgabuzzino, e stavo iniziando a togliere la vecchia moquette quando ho notato qualcosa di molto strano sulla parete. Guarda tu stessa.”
Marie notò che Benjamin si teneva a debita distanza dal ripostiglio. Non sembrava spaventato, ma decisamente confuso per qualche oscuro motivo. Marie era un po' scocciata e non capiva perché Benjamin non le dicesse semplicemente quale fosse il problema, ma c'era anche un certo eccitante alone di mistero in quella faccenda.
Entrò nel ripostiglio. Era di dimensioni modeste, un po' più grande di un tipico armadio a muro, ma non così spazioso da poterci distendere completamente le braccia. Guardò per terra e vide che Benjamin aveva iniziato a rimuovere la moquette nell'angolo in fondo. Subito notò la stranezza a cui aveva accennato.
A circa sette centimetri dall'angolo, c'era una riga dritta incisa nel muro. Si inginocchiò per osservarla meglio e vide che non si trattava di un'incisione, ma piuttosto di una fessura. Continuava per circa quindici centimetri poi spariva. Per come scompariva all'improvviso, si accorse che la parete non era pitturata, ma ricoperta da carta da parati. Come aveva fatto a non rendersene conto fino ad allora?
“Sapevi che c'era della carta da parati qua?” domandò a Benjamin.
“No,” rispose lui, tenendosi sempre a debita distanza.
“Di cosa pensi si tratti?”
“Credo che sia una porta. Ma non volevo strappare la carta da parati senza il tuo permesso.”
Marie non ci pensò nemmeno un secondo. Allungò la mano e strappò la carta. Venne via più facilmente di quanto si aspettasse. L'operazione richiese diversi passaggi, ma fu completata rapidamente. E più tirava via la carta da parati, più il sospetto di Benjamin si dimostrò fondato.
Quando la carta da parati fu del tutto rimossa, si materializzò, in effetti, una porta. Era rimasta nascosta per chissà quanti anni, e attendeva soltanto di essere aperta.
CAPITOLO SEI
La porta era sottile e piuttosto leggera, fatta di semplice legno grezzo. I cardini sembravano essere stati montati frettolosamente. Anziché un pomello, c'era una maniglia ad anello che ricordò a Marie quella di un castello o di una segreta sotterranea.
I sentimenti di Marie oscillavano tra l’eccitazione e il terrore. Chiaramente, qualcuno aveva voluto nascondere quella stanza. Certo, era stata camuffata in modo piuttosto sciatto, con della semplice carta da parati, ma comunque… era stata nascosta. Si prese un momento per decidere se dovesse aprirla oppure no.
“La vuoi aprire?” domandò Benjamin, sbirciando dalla soglia dello stanzino.
“Credo che dobbiamo,” disse Marie, prendendo finalmente una decisione. “Cioè… è una stanza nascosta nella casa della mia prozia.”
Afferrò la maniglia, sollevò l'anello, e tirò.
La porta cigolò ma si aprì con facilità. Prima ancora che si spalancasse del tutto, ne uscì un olezzo di muffa e polvere. A Marie venne immediatamente da starnutire. Quando poi la porta fu completamente aperta, Marie si ritrovò a osservare una stanza minuscola, grande circa un quarto della camera in cui si trovava. Doveva essere all'incirca tre metri per due metri e mezzo. Non c'erano finestre e, da quel che poteva vedere, nessuna luce. La stanza era stata rifinita grossolanamente; le pareti non erano altro che tavole inchiodate alla struttura della casa mentre il pavimento sembrava fatto da alcuni grossi fogli di compensato imbullonati l'uno sull'altro e inchiodati a terra.
Al centro della stanza c'era un tavolino verniciato costruito con del legname di scarto. Sembrava molto vecchio, così come la sedia che lo accompagnava. Sul tavolino era appoggiato un libro e, giusto accanto, si trovava una candela in parte bruciata dentro un portacandele d'ottone. Sia il libro che la candela erano ricoperti da uno spesso strato di polvere.
Marie entrò nella stanza e avanzò verso il tavolo. Fu sul punto di prendere il libro ma anche solo pensare di volergli cambiare posizione le sembrò inappropriato, così all'ultimo momento ritrasse la mano. Il libro era un po' più grande rispetto a un moderno libro cartonato e il testo sulle pagine era disposto in due colonne. Si avvicinò, gli occhi immediatamente attratti dalle pagine polverose.
Un grido proveniente dal piano di sotto la fece sobbalzare: si allontanò dal tavolo con un salto all'indietro, trattenendo a stento un grido di spavento.
“Ehi, Marie!” Era la voce di Posey. E anche se aveva il tono allegro di sempre, aveva comunque iniettato una bella dose di paura in Marie, specie dal momento che si trovava in quella stanza segreta, gli occhi concentrati su un libro misterioso. Voleva iniziare a leggerlo per scoprire di cosa trattasse, ma sapeva che se avesse posato gli occhi sul volume sarebbe poi stato impossibile staccarsene. Decise dunque di voltarsi e di prestare attenzione a Posey.
“Sì?” rispose, uscendo lentamente dalla stanza.
“Qualcuno ha appena parcheggiato. Forse un cliente. Sembra il tipo di persona che attirava qui Brendan.”
Portare avanti quella conversazione urlando da una parte all'altra della casa le stava facendo venire l'emicrania. E sebbene quella stanza l'affascinasse tanto che non avrebbe voluto allontanarsene, sapeva anche che doveva trattare ogni singolo ospite come se fosse speciale. Era una regola a cui sperava di riuscire ad attenersi sempre, ma era specialmente valida adesso che era sull'orlo di un tracollo finanziario.
Si costrinse dunque a uscire definitivamente dalla stanza. Mentre andava via, Benjamin chiese: “Cosa devo fare ora? Devo sempre sostituire la tappezzeria?”
“Non adesso,” rispose Marie. “Per il momento, accantoniamo la cosa.”
Corse al piano di sotto, sperando di arrivare prima che giungesse l'ospite. Ma era ancora preoccupata dalla scoperta della stanza segreta e del libro che conteneva. E, oltre a quello, era sempre più su di giri all'idea che avrebbero potuto esserci molte altre sorprese in serbo, tutte da scoprire.
Arrivò ai piedi delle scale proprio mentre l'uomo stava varcando la porta d'ingresso. Sistemandosi dietro il banco della reception, Marie si prese il tempo di esaminare attentamente una delle persone più particolari che avesse mai visto. Non fosse stato per i capelli corvini, avrebbe quasi pensato che fosse albino. La sua pelle era bianca come gesso, in un modo che non sembrava affatto naturale. Era quasi come se fosse cosparso di cipria, ma, quando si avvicinò alla reception, Marie si accorse che non era così. Aveva i capelli piuttosto lunghi, impomatati e pettinati all'indietro sui lati fino alla nuca. Indossava un paio di occhiali da sole piccoli e molto scuri che facevano il paio con il resto del suo look, costituito da una giacca nera, maglietta e jeans. Un cappello nero in testa coronava il tutto come la classica ciliegina sulla torta.
“Benvenuto a June Manor,” disse Marie con tono allegro. “Come posso aiutarla?”
“Ci sono stanze libere?” chiese lui. Aveva una voce esile e un lieve accento inglese. Anche le sue labbra erano incredibilmente sottili; quando aveva la bocca chiusa, erano a malapena visibili e assomigliavano a un tratto di matita disegnato lungo la mandibola.
“Certo,” rispose Marie. “Abbiamo una vasta disponibilità al momento, a dire il vero, quindi può approfittare di un'ampia scelta di camere.”
“Eccellente,” commentò lui, senza nessuna reale emozione. “Ho bisogno di una camera per tre giorni. Forse un po' di più, non so ancora quanto rimarrò nella zona.”
“Sicuro. Le assicuro che…”
“Ora, prima di andare avanti con la prenotazione, ho una richiesta da fare. Resterò in camera per la maggior parte del mio soggiorno. E vorrei la massima privacy. Nessuno deve bussare alla mia porta per alcun motivo.”
Non lo disse in modo scortese, ma suonò comunque sgarbato. Ma a Marie andava bene così. Non si può desiderare un cliente più facile, pensò, di un cliente che non vedi quasi mai.
“Ci assicureremo di garantirle tutta la tranquillità e la riservatezza di cui ha bisogno,” lo rassicurò Marie. “Vuole una stanza con vista sull'oceano?”
“La vista non mi interessa. Solo la privacy. E vorrei che non fosse al piano terra.”
Pensando a una camera da dargli al primo piano, le tornò in mente quella stanza segreta che lei e Benjamin avevano appena scoperto. Lo avrebbe sistemato, pensò, all'altro capo, vicino alle scale.
Marie iniziò a registrare il nuovo cliente sul computer della reception. “Che nome metto?”
“È davvero necessario dare un nome? Pagherò in contanti.”
“Beh, ne ho bisogno per il mio registro.” Non era irritata con lui (non ancora, ad ogni modo) ma era perplessa e non sapeva bene come parlargli.
“D'accordo. Il mio nome è Atticus Winslow.” Comunicò quell'informazione piuttosto di malavoglia, estraendo un rotolo di banconote dalla tasca. Mentre le faceva scorrere per prelevare il contante necessario, Marie vide che erano tutti tagli da cento dollari. “Quanto le devo?” chiese.
“Per tre notti, fanno quattrocentoventi dollari.”
Atticus Winslow contò cinque banconote e le diede a Marie. “Tenga pure il resto. Potrà considerarlo un anticipo, nel caso dovessi trattenermi più giorni, altrimenti farà da mancia.”
“Grazie. Ora, ha bisogno d'aiuto con i bagagli?”
“Non ho bagagli.”
“Oh… avevo capito che volesse trattenersi per diversi giorni.”
“Precisamente,” disse lui, guardandola con una certa aria ansiosa.
Marie, ancora disorientata da quell'uomo, gli consegnò la chiave della prima stanza sul lato est del corridoio del primo piano. Lui la prese in un modo che sembrava voler comunicare a Marie che gli stava facendo perdere tempo. Le sembrò sgarbato, ma ripensò al rotolo di banconote da cento che quell'uomo aveva tirato fuori con nonchalance. Atticus Winslow sembrava il tipo di uomo abituato a essere servito e riverito.
“Se dovesse aver bisogno di qualsiasi cosa, mi faccia pure sapere.” Gettò uno sguardo in direzione delle scale e ripensò ancora una volta alla stanza segreta. E se Atticus l'avesse vista? Cosa sarebbe successo se Benjamin fosse stato ancora in quella camera, basito per la scoperta?
Lo guardò allontanarsi, poi vide Posey avanzare nell'atrio. “Ho sentito tutto,” disse sottovoce. “Davvero strano il tizio, vero?”
“A dir poco,” commentò Marie. “Sono stati quindici minuti davvero strani e…”
Il suo telefono squillò e, come sempre, rispose subito. Fece una smorfia, rendendosi conto che non aveva nemmeno avvisato Posey né si era scusata con lei. Ma Posey aveva capito la situazione e aveva già voltato le spalle per tornare in cucina.
“June Manor, qui Marie.”
“Marie?” Era una voce di donna. Sembrava stanca e forse anche un po' agitata.
“Sì… sono io.”
“Ciao, Marie. Sono Anna Grace… e volevo sapere cosa diavolo ha fatto alla mia casa ieri notte.”
CAPITOLO SETTE
“Mi scusi… non capisco.”
Riattraversò il corridoio in direzione di camera sua. Da come era iniziata quella conversazione, era meglio che Posey non sentisse.
“Beh, è esattamente quello che ho chiesto,” ribadì la signora Grace. “Non ho idea di cosa abbia fatto… ma è tutto diverso qui adesso. È inequivocabile.”
“Diverso in che senso?” domandò Marie.
“Oh, è meraviglioso. Sono tornata qui stamattina e mi sembra come se qualcuno, nottetempo, avesse dato una profonda ripulita. Lo sento nell'aria. Anche solo a camminare per casa, sento proprio un'aria diversa. Qualsiasi cosa abbia fatto… grazie.”
“Lieta di aver aiutato.” Ma mentre lo diceva, Marie si sentiva un'imbrogliona. Lei non aveva fatto niente. Era tutto merito di Boo. L'unica cosa che aveva fatto Marie era stata dare un passaggio a Boo per portarlo a Bloom Gardens.
“Posso chiedere una cosa, però?” chiese la signora Grace.
“Certo.”
“Come c'è riuscita?”
Marie aggrottò le sopracciglia. Si accorse, da quella semplice domanda, che più si fosse spinta in quella faccenda, più sarebbe stata costretta a mentire. Non le piaceva mentire e, oltretutto, non ne era mai stata particolarmente capace.
“A essere sincera, non lo so,” disse. “Se ci sono riuscita, non me ne sono nemmeno accorta. È una cosa che è iniziata di recente, l'ho scoperta nel mio bed-and-breakfast.”
“Beh, sono una donna di parola. La pagherò generosamente. Signorina Fortune, glielo giuro, mi sento come se fossi in una nuova casa. Ora… se solo potessi diffondere la notizia che questo posto è cambiato completamente…”
Marie non poté fare a meno di sorridere. “Se trova un'idea vincente, informi anche me. Siamo un po' nella stessa barca, sa.”
Le due donne parlarono dei dettagli per il pagamento, e Marie ancora una volta percepì un vago senso di colpa. Stava per intascare un bel gruzzolo per una cosa che aveva fatto il suo cane. Si chiese cosa avesse in mente esattamente Brendan quando aveva detto alla signora Grace la prima bugia innocente, che conosceva questa specie di disinfestatrice di fantasmi a Port Bliss.
Quando chiuse la chiamata, Marie si sentì confusa. Certo, si sentiva in colpa per aver detto una menzogna, ma c'era anche il sollievo del denaro. Inoltre, sembrava proprio che la piccola performance di Boo a June Manor, dopo tutto, non era stata una semplice combinazione. A quanto pareva, aveva un cane capace di scacciare i fantasmi.
Tornò al banco della reception e gettò uno sguardo in direzione delle scale. Ripensando alla recente scoperta di quella piccola stanza misteriosa e dello strano libro che custodiva, oltre che all'arrivo di Atticus Winslow, Marie ebbe la sensazione che il suo mondo stesse per sfuggire improvvisamente dal suo controllo. La cosa strana era, però, che si trattava per certi versi di un caos positivo. Faceva soltanto ancora un po' fatica ad abituarcisi.
Si diresse nuovamente verso la sala da pranzo, sperando di potersi scusare come si deve con Posey per averla sbolognata in quel modo un po' brusco. Ma a dire il vero non vedeva l'ora di potersi concentrare pienamente sulla stanza segreta nascosta nello sgabuzzino al piano di sopra. A metà corridoio, però, il suo telefono suonò ancora. Alzò gli occhi al cielo e fece un respiro profondo. Cos'altro le riservava quella giornata?
Quando vide il nome sullo schermo, sorrise. E la genuinità di quel sorriso la mise un po' a disagio. Rispose alla chiamata, assumendo un tono scherzosamente scocciato.
“Brendan Peck,” disse seccamente. “Cosa vuoi?”
“Marie! Ma allora sei viva!”
“Ebbene sì, furbone. Ma non grazie a te.”
“Questo mi ferisce. Ma… devo supporre che l'operazione Bloom Gardens è stata un successo?”
“Lo è stato. Ho appena ricevuto una chiamata di ringraziamento dalla signora Grace. Sembrava molto sorpresa e grata. Ma mi sento malissimo per averle mentito, per averle fatto credere che siano miei tutti i meriti per aver… ripulito casa sua.”
“Beh, ma in un certo senso è così, no? Boo è il tuo cane. Ti segue ovunque vai, ti obbedisce e così via. Non credo che sia sbagliato se ti prendi il merito.”
“Sei bravissimo a distorcere la realtà, lo sai?”
“Eh sì, deformazione professionale.”
“Com'è andato il tuo convegno?”
Sembrò sorpreso che glielo chiedesse, ma fu felice di rispondere. Marie rimase ad ascoltarlo, poi toccò a lei iniziare a raccontare. Fu lui a chiedere i dettagli di ciò che era avvenuto a Bloom Gardens. E mentre Marie gli raccontava tutto, si rese conto che era davvero entusiasta di ripercorrere quegli eventi e di descriverli passo dopo passo.
Le fece pensare che, per quel che riguardava le questioni paranormali, ormai era quasi passata dall'altro lato della barricata.
Ebbe la tentazione di raccontargli la scoperta della stanza segreta e del libro al primo piano. Si immaginò che Brendan avrebbe voluto assolutamente sfogliarlo, e fu proprio per quello che invece non gli disse nulla. Voleva prima di tutto capire cosa fosse esattamente quella stanza.
“Beh, senti. Nelle prossime settimane c'è la possibilità che vada a Bangor. Ci sarà una sorta di convegno su Stephen King e io sono praticamente un esperto di Shining, quindi…”
“Dici sul serio?”
“Hai visto il tipo di fan che attiro?”
“Eccome. Ehi, tra l'altro, per caso conosci un certo Atticus Winslow?”
“Non mi dice niente. Pare un nome da vampiro.”
Ripensando all'aspetto dell'uomo, Marie si accorse che in effetti gli si addiceva. “Ad ogni modo… Bangor, dicevi?”
“Dato che sarò di strada, mi piacerebbe passare per un saluto. Mi puoi riservare una stanza tra due settimane?”
“Sarebbe splendido,” disse lei. Poi, pensando alla stanza che aveva appena scoperto, aggiunse: “E penso di avere proprio la stanza giusta per te.”
“Suona promettente.”
“Bene. Possiamo…”
Mentre parlava, il telefono fece un trillo, un suono di notifica con cui non era molto familiare. “No, ma è una presa in giro?” commentò, senza che quell'osservazione fosse rivolta a nessuno in particolare.
“Qualcosa non va?” chiese Brendan.
“No, è solo che il mio telefono oggi non mi lascia mai tranquilla. Un secondo solo…”
Guardò il telefono e vide che sullo schermo era comparso un promemoria. Quando lo lesse, il cuore le si paralizzò un istante. Lo aveva impostato parecchio tempo prima, quasi due anni ormai, ma se ne era completamente dimenticata. Vedendolo, ogni brandello di felicità o gioia che era riuscita a racimolare quella mattina iniziò lentamente a dissolversi.
“Brendan, devo andare. Ma ci vediamo tra due settimane, vero?”
Lui rispose, ma lei quasi non lo sentì. Terminarono la chiamata e Marie osservò di nuovo il promemoria. Leggendolo, non poté fare a meno di pensare che il tempismo era perfetto. In fondo era appropriato che quella scadenza ricorresse proprio ora che abitava a Port Bliss.
Non la fece diventare triste in sé e per sé, ma di certo le butto giù l'umore. Rilesse quel promemoria molto semplice più e più volte, cercando di capire che sentimenti le suscitasse. C'era scritto:
Oggi, sono 25 anni esatti che è scomparsa mamma.
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