Kitabı oku: «Terre spettrali», sayfa 2
Chris finalmente alzò lo sguardo. Le sopracciglia aggrottate, aveva un'espressione piuttosto confusa. “Cos'è che hai detto?”
“Proprio così.” Marie portò il suo piatto al lavandino e si versò nuovamente del vino.
“Cosa c'è che non va, Marie?”
“Sono tre minuti che ti parlo e non ti sei nemmeno degnato di guardarmi fino a che non ho accennato a Fortnite.”
“Già… perché tu non parli mai di Fortnite.”
“Lo so. Sono una donna di trentanove anni. Perché mai dovrei?”
Lui sospirò, le diede un'occhiataccia e si alzò in piedi. “Devo andare in bagno.”
Devo scappare, questa conversazione è un campo minato, a Marie sembrò che volesse dire in realtà.
“Sai cosa?” gli urlò lei mentre lui percorreva il corridoio diretto verso il bagno. “Non ti avrei fatto nemmeno entrare nel Big Bright Bed-and-Breakfast di Marie!”
“Il… il cosa?” rispose.
“Il toast era un po' raffermo, ma il tè sapeva sempre di fiori!”
“Marie, va tutto bene? Se hai bisogno…”
“Ah, vai in bagno e basta!”
La porta del bagno si chiuse silenziosamente pochi secondi dopo: era davvero andato in bagno e basta. Marie si lasciò scappare una singola lacrima che subito asciugò.
Prima che avesse il tempo di riflettere sul suo bizzarro comportamento, il telefono di Chris vibrò di nuovo. Non esitò a prenderlo. Sullo schermo vide l'inizio del messaggio. Non proveniva da nessuno dei contatti salvati, ma il prefisso era quello locale. Questo fu ciò che Marie riuscì a leggere: Non starò sveglia tutta la notte, ma lascerò la porta aperta se tu…
Era tutto ciò che l'anteprima sullo schermo bloccato le consentiva di vedere. Ed era sufficiente. Il dolore immediatamente la travolse.
Incapace di resistere, Marie sbloccò il cellulare di Chris. Lo aveva visto digitare la password diverse volte e non ebbe problemi a ricordarsela. Andò direttamente al messaggio e vide che era solo l'ultimo di un lungo scambio. I messaggi erano brevi, ma raccontavano una storia ben dettagliata e molto esplicita.
Li stava ancora scorrendo quando Chris tornò al tavolo. Vide ciò che stava facendo Marie, e rimase in piedi anziché tornare a sedersi. Marie alzò lo sguardo verso di lui e dovette ricorrere a tutta la propria forza di volontà per non piangere.
Invece di scoppiare in lacrime, lanciò il telefono verso di lui facendolo atterrare rumorosamente sul suo lato del tavolo.
“Cos'è questa roba?” sbottò Marie.
“Perché stai leggendo i miei messaggi?”
“Perché una donna con un prefisso di qui dovrebbe lasciare la porta aperta per te stasera?” controbatté lei. “E, oltretutto, non solo stasera, ma per diverse volte nelle ultime settimane.”
Sapeva di essere stato smascherato. Glielo si poteva leggere in faccia, nel modo in cui i suoi occhi sembravano scandagliare l'appartamento alla ricerca di una via d'uscita.
“Marie… è solo… non è niente di serio.”
“Oh, a me sembra qualcosa di molto serio. Forse emotivamente no, ma fisicamente decisamente sì. Di chi si tratta?”
“Una tipa della compagnia di giochi che abbiamo rilevato il mese scorso.”
“E avevi intenzione di dirmelo, prima o poi, o me lo avresti tenuto nascosto?”
Chris portò il suo piatto al lavandino, poi la squadrò. Prese una postura rigida e un tono autoritario.
“Non vedo questo gran problema.”
“Cosa? Mi prendi in giro?”
“Marie… i tempi cambiano. Abbiamo quasi quarant'anni. Le relazioni al giorno d'oggi sono diverse, sai? Non vedo il problema. Che male c'è ad avere due ragazze?”
“Questa è la cosa più stupida che abbia sentito oggi. E, credimi, ne sento di cose stupide al lavoro.”
“Ma lei…”
“Vai via, Chris.”
“Marie, ascoltami.”
“Oh, l'ho fatto. E ho sentito abbastanza. Ora vattene!”
Avrebbe voluto dire un milione di cose, ma le lasciò tutte da parte. Chris aveva già raggiunto la porta prima che Marie potesse anche solo pensare di dire qualcosa su quanto stava accadendo. Sembrava proprio che lui volesse andare via.
Fu in gran silenzio che chiuse la porta, ma per Marie fu come se l'avesse sbattuta.
Rimase per un momento a fissare la porta, combattendo contro le lacrime, domandandosi se quella pessima giornata potesse addirittura peggiorare.
Non appena elaborò quel pensiero, squillò il telefono.
Era un numero sconosciuto, e il prefisso non era nemmeno quello locale. Rispose, aspettandosi che avessero semplicemente sbagliato.
“Pronto?”
“Buonasera. Parlo con Marie Fortune?” Era una voce maschile, austera, dal tono ufficiale.
“Sono io.”
“Signorina Fortune, sono il vicesceriffo Miles della polizia della contea di Winscott.” Il suo tono era secco ma anche un po' esitante. Era strano, perché le sembrava di riconoscere che tipo di chiamata fosse, ma non aveva familiari in quella zona.
A meno che…
Il cuore le si fermò un istante, in attesa della conferma.
“Mi spiace comunicarle che sua zia June è venuta a mancare.”
CAPITOLO TRE
Marie avrebbe voluto prendersi a schiaffi. Meno di trenta secondi prima, aveva osato chiedersi se la sua giornata potesse peggiorare in qualche modo. Ed ecco la risposta. Aprì la bocca, ma non uscì nessuna parola.
“Signorina Fortune, è ancora lì?”
“Ehm…”
Fu tutto ciò che riuscì ad articolare, la mente invasa dai ricordi della sua prozia June.
Zia June era stata una donna molto eccentrica. Era stata lei a pronunciare la prima battuta sconcia che Marie avesse mai sentito, ed era stato sempre da zia June che aveva bevuto alcol per la prima volta (un sorso di whiskey). Era sempre stata innamorata della casa di sua zia. Anzi, era stata proprio quella casa a instillare nella mente di Marie il sogno di aprire, un giorno, un bed-and-breakfast.
June aveva novant'anni, ma non rimaneva mai a lungo nello stesso posto. Aveva vissuto sulla costa del Maine nell'ultima trentina d'anni ma viaggiava spesso in Florida, a Porto Rico e, chissà mai perché, anche in Wyoming. Era sempre stata una dei parenti preferiti di Marie ed erano state parecchio vicine negli anni della scuola media. E quando sua madre era uscita di scena che Marie era ancora adolescente, la prozia June ne aveva fatto in qualche modo le veci, per un po'.
Ciononostante, Marie non la vedeva da quasi due anni, quando June era stata per l'ultima volta di passaggio a Providence. All'improvviso questi due anni le sembrarono un periodo davvero lungo. Ma, stranamente, i giorni e le settimane che aveva passato da bambina a casa di June le sembravano invece incredibilmente vicini, quasi li potesse toccare. Le passavano davanti come un bizzarro caleidoscopio: la quantità folle di libri, l'enorme salotto, le candele, l'odore del lucido per legno e dell'oceano, la sabbia che le scottava le dita. Poteva facilmente richiamare alla memoria i castelli di sabbia che costruiva sulla spiaggia dietro la casa, cercando di imitare le guglie e le colonne della villa alle sue spalle. E poteva ancora facilmente rivivere l'attesa di percorrere quel tortuoso viale che portava alla casa, che la faceva letteralmente sobbalzare dal sedile per l'eccitazione.
Mentre se ne stava lì immobile con il telefono in mano, all'improvviso le sembrò di sentire l'odore del tè oolong e degli scones bruciacchiati che June preparava ogni volta che lei andava a visitare quella vecchia casa sulla costa del Maine, subito dopo Ogunquit.
I ricordi si interruppero quando si rese conto che, di tutti i familiari, la polizia aveva chiamato proprio lei. Non aveva senso.
“Signorina Fortune? Tutto bene?”
La voce del vicesceriffo la ricondusse alla realtà, strappandola al vago reame dei ricordi. “Ci sono. Sto solo… elaborando.”
“Posso immaginare.”
“Com'è successo?” chiese Marie, combattendo le lacrime per la seconda volta quella sera.
“Crediamo che si sia spenta in pace nel sonno. Un pisolino pomeridiano, forse. La sua vicina ci ha chiamati e ci ha detto che June non rispondeva al telefono da due giorni e che non aveva risposto nemmeno alla porta quando lei è andata a bussare. L'abbiamo trovata adagiata sulla sua sedia.”
“Chi altri avete chiamato?”
“A parte la vicina di casa, lei è l'unica.”
“E gli altri familiari? Voglio dire… siamo state vicine, ma non di recente.”
Nel momento stesso in cui menzionò altri potenziali membri della famiglia, però, capì perfettamente. Per come era messa la sua famiglia, aveva senso che fosse lei l'unica a essere stata contattata.
“C'erano il suo numero di telefono e l'indirizzo e-mail sul frigorifero,” spiegò il vicesceriffo Miles. “La vicina ci ha detto che le parlava sempre molto bene di lei. E dal momento che non abbiamo ritrovato né una rubrica, né un telefono, né nulla che contenesse altri contatti, lei è l'unica persona che potevamo chiamare.”
“Già, immagino che non avesse una rubrica,” commentò Marie. “Né un cellulare.”
Il pensiero di zia June che provava a usare un iPhone le fece affiorare alle labbra un tremolante sorriso. June aveva coniato tanti motti, e uno di questi era: “Quando l’angelo Lucifero è stato cacciato dal paradiso, è caduto nella tecnologia.”
“Beh, la vicina ci ha detto di non essere a conoscenza di altri familiari,” continuò Miles. “Le viene in mente qualcuno che potrebbe occuparsi delle disposizioni? Sembrerebbe che la povera donna fosse tutta sola.”
“Lo era. Ma preferiva così. Era una bisbetica fatta e finita.”
“E non c’è nessuno che le venga in mente a cui dovremmo comunicare la notizia?”
Tristemente, no, non c'era. A dire la verità, Marie sembrava essersi completamente paralizzata in un ricordo molto preciso della sua prozia, che le era tornato in mente. Marie si ricordava un giorno d'estate perfetto. Era seduta nella veranda sul retro e guardava le bianche creste delle onde. June era venuta da lei e le aveva detto che sua madre avrebbe potuto non tornare mai più, che era scomparsa e che nessuno sapeva dove fosse.
In un primo momento, Marie aveva pensato che si trattasse di uno dei soliti scherzi di June, come quella volta che l'aveva convinta che il grosso scoiattolo con cui aveva giocato una volta in giardino fosse in realtà un gatto mutante. Aveva insistito con così tanta determinazione e sicurezza che Marie aveva finito davvero per credere, durante tutta l'estate, che quello stupido scoiattolo fosse un gatto.
Ma quella volta l'espressione tetra sul volto di June nel riportare la notizia alla nipotina quattordicenne era stata molto diversa. Dalla linea sottile delle sue labbra, Marie aveva capito che la zia stava dicendo la verità.
La polizia non era mai riuscita nemmeno a ritrovare l'auto di sua madre. Nessun indizio.
“Mi spiace… Signorina Fortune?”
“Mi scusi. L'ho fatto di nuovo, vero?”
“Sì. Va bene così.”
Marie spazzò via il ricordo della scomparsa di sua madre. Stavolta non era di sua madre che si trattava. Aveva sprecato già abbastanza la sua vita a rimuginarci sopra. Questa volta si trattava di zia June, che era stata trovata morta nella sua casa da sogno.
“Mi occuperò io di tutto ciò che è necessario per il funerale,” assicurò Marie. “Un momento… verrà sepolta, vero?”
“Non lo sappiamo ancora. Dobbiamo trovare il suo testamento prima di occuparci di questo genere di cose. Per caso lei sa qualcosa delle sue ultime volontà?”
“Non vorrei mai dover tirare a indovinare. Zia June era… beh, era una persona insolita. A un certo punto diceva di voler donare il suo corpo alla scienza, per servire da modello ai truccatori delle pompe funebri. Un'altra volta voleva che mettessimo le sue ceneri in un fuoco d'artificio e che lo lanciassimo nel mare. Un'altra volta ancora parlava di farsi trasformare in compost per fertilizzare non so quante piante di lillà chissà dove in Virginia.”
Il vicesceriffo Miles ridacchiò. “Doveva essere proprio un bel tipo.”
“Lo era eccome.”
“Allora annoto che posso contattarla in caso di necessità. Lei sta bene, signorina Fortune?”
“Mi riprenderò,” lo rassicurò Marie, e terminarono la telefonata.
Ma, in realtà, non era sicura di quanto fosse vero. Le venne un groppo in gola e sentì le lacrime colmarle gli occhi.
Si sforzò di non esplodere in quel pianto disperato che stava per dirompere. Pensò alla vecchia casa di June, a come i bambini, a quei tempi, dicessero che fosse infestata. Pensò a quel giorno in cui aveva parlato a June di questa diceria, e si erano messe a canticchiare la sigla di Scooby Doo. Quel motivetto le rimase in testa e le provocò brevi scoppi di risa che arginarono le lacrime.
Andò in camera e si gettò sul letto, sopraffatta da tutti gli eventi di quella giornata. Niente più lavoro. Niente più Chris. E adesso niente più zia June.
C'era un solo pensiero che scongiurava il rischio che quella nottata diventasse un vero e proprio festival del pianto: pensare alla villa di zia June e a quel bellissimo litorale. Stava per tornarci, per motivi molto tristi, certo…
Ma stava per tornarci.
CAPITOLO QUATTRO
Sulla strada per Port Bliss, a venticinque chilometri dalla cittadina, Marie vide l'oceano. Le apparve la prima volta superando un incrocio, quando intravide alla sua destra, in lontananza, uno scintillio blu e bianco.
Dopo che lo ebbe visto, l'oceano le servì da bussola. Sapeva dove andare e cosa attendersi. Condusse la sua vecchia ma affidabile Saab più vicino a Port Bliss, avvicinandosi lentamente alla costa. E quando l'autostrada iniziò a costeggiare l'acqua, separata solo da brevi tratti di boscaglia, casette e lingue dorate di sabbia, le affiorò alle labbra un indelebile sorriso.
Cominciò a vedere, sparsi per il paesaggio, piccoli segni che le ricordavano dov'era diretta. Le banchine per la pesca, i cartelli stradali che segnalavano le attrazioni balneari, le barche trainate a rimorchio da modesti pick-up.
Quando le sue ruote toccarono il primo dei due grandi ponti che attraversavano i bacini idrici e le distese di acquitrini, fu difficile non soccombere alla nostalgia. Il suo passato tornava in forze, come se qualcuno stesse sfogliando, proprio davanti a lei, le pagine di un libro molto familiare.
Poteva già vedere con gli occhi della mente la grande vecchia villa di June, con le sue guglie e le sue grandi finestre. Rivide il mare, che le sembrava così vasto e tremendamente profondo quando era bambina.
Poteva raffigurarsi così bene quella casa perché era stata, dopo tutto, l'ispirazione del suo sogno ad occhi aperti di aprire un bed-and-breakfast.
Erano due anni che non vedeva June ma, cavoli, le sarebbe proprio mancata.
Eppure, era onestamente un po' seccata dal fatto che l'immagine della vecchia villa prevalesse, nella sua memoria, persino sul ricordo di June. Sì, c'erano gli scones e il tè oolong, e le battute e gli incessanti scherzi che potevano continuare per settimane, ma era stata la casa il cuore di tutto. Marie rimaneva per ore nella biblioteca del salotto della zia mentre June e sua madre chiacchieravano bevendo un bicchiere di vino o di brandy. Poi si metteva a correre nei corridoi e sgattaiolava in terrazza.
Ridacchiò nuovamente, meravigliandosi di come la mente potesse reagire in modo strano alla morte di una persona cara.
Per lo meno il funerale si tiene a Port Bliss, pensò. Conoscendo June, avrà sicuramente avuto in mente un mucchio di ambientazioni bislacche per quest'evento.
Ovviamente, il pensiero del funerale era triste. Specialmente il funerale di zia June. Quella vecchia pellaccia aveva vissuto come se fosse immortale. Oltre a scherzare su razzi da lanciare e sul fare da modella per i truccatori delle pompe funebri, June aveva anche accennato a farsi ibernare criogenicamente. Parlava sempre di come Walt Disney e qualche giocatore di baseball fossero ibernati da qualche parte.
Man mano che si avvicinava a Port Bliss, Marie si rese conto che quella che sentiva non era nostalgia, o almeno, non esattamente. Non sapeva se esistesse una parola precisa per descrivere quella sensazione di tornare a casa in un posto che però non è mai stato esattamente casa tua. Eppure, era proprio quello che stava provando. Si immaginò che esistesse una parola giapponese per dirlo, perché i giapponesi hanno una parola per qualsiasi cosa.
Mentre i ricordi di zia June continuavano ad attraversarle la mente, un'altra cosa le accadde. Pensò che in qualche modo il tempismo dell'evento avesse un che di cosmico: forse zia June, ovunque si trovasse in quel momento, se la stava ridendo, sapendo che la sua morte aveva attutito il duro colpo del collasso di una relazione. June sarebbe stata proprio capace di fare una cosa del genere. Anzi, non faceva fatica a immaginare che la zia potesse mettersi a infestare l'appartamento di Chris per ripicca. Quel pensiero la fece sorridere.
Nel flusso di tutti quei ricordi, in qualche modo era arrivata al secondo ponte e lo aveva attraversato. Sulla sua destra si estendeva Port Bliss. Era quasi del tutto fuori dalla sua visuale, ma la configurazione era proprio come se la ricordava. A sinistra, molto in lontananza e perlopiù coperto dagli alberi, c'era il faro Boggie. I fari la avevano affascinata per un bel pezzo quando era piccola e aveva sempre pensato al faro Boggie come a una sorta di pietra miliare, quando veniva in visita con sua madre. La sua apparizione indicava che erano arrivate.
Marie ingoiò l'emozione quando raggiunse la fine del ponte. Percorse ancora 800 metri poi arrivò a un incrocio a T.
E lì, ecco finalmente Port Bliss.
Non ci veniva da almeno vent'anni, ma sembrava così familiare. L'unico grande cambiamento sembrava essere l'abbondanza di caffetterie e di negozi di prodotti alimentari biologici.
Tuttavia, alcune cose non erano affatto cambiate. La gelateria di Bruce era ancora al suo posto, all'angolo tra Main e Pine street. Le lettere sbiadite sulla vetrina le scaldarono il cuore e, in tutta onestà, le fecero venire voglia di un bel gelato al gusto Cappuccino Crunch. Anche la libreria Little Things era ancora attiva; un volantino affisso sulla vetrina promuoveva un firmacopie con un autore locale. Si chiese se il posto avesse anche lo stesso odore di un tempo, quello di vecchia carta immersa nel caramello.
Mentre superava queste viste familiari, Marie abbassò i finestrini e respirò profondamente. L'aria salmastra era un po' forte, ma piacevole. Quel sorriso indelebile le si allargò sulle guance, come da molto tempo nessun sorriso riusciva a fare.
Cercò altri punti di riferimento e luoghi simbolo di Port Bliss trovandoli ovunque: la vecchia ancora, collocata come statua all'ingresso dell'unico parco della cittadina; la concessionaria auto Ottoman, con la sua ridicola automobile mascotte disegnata sull'insegna al neon del parcheggio; il ristorante Lamplighter; e il Coastal Treasures, un pittoresco e un po' pacchiano negozio di souvenir.
Proprio come sapeva dove trovare queste attrazioni locali, sapeva anche dove fossero situati gli hotel. Ma non voleva ancora metterci piede. Prima di tutto doveva vedere la casa di zia June. Si sentiva attirata dalla villa come da una calamita, sin da quando aveva ricevuto la telefonata del vicesceriffo Miles.
Fu contenta di constatare che le sue mani e il suo cuore sapevano guidarla perfettamente, conducendo la sua piccola Saab verso il limitare della città. Si ritrovò su Crabapple Road, una strada non contrassegnata che continuava per circa 3 chilometri giù lungo la costa. A circa quattrocento metri, iniziava uno stretto e tortuoso vialetto, in parte asfaltato e in parte sterrato.
In fondo al vialetto, Marie poteva vedere la vecchia villa. Il graduale dislivello della strada faceva sì che la casa si stagliasse sul fondo, come se la sovrastasse. Aveva una bellezza maestosa e un po' gotica: ora, da adulta, le fu facile capire perché fosse così scontato per i bambini del posto pensare che la villa fosse infestata dai fantasmi.
L'oceano non era visibile, ma il tenue sbaffo pastello dell'orizzonte e il blu acceso del cielo sembravano prometterne la presenza sul retro della proprietà. Con le braccia leggermente tremanti, Marie svoltò nel vialetto d'accesso.
Mentre dall'altro lato del parabrezza la casa si faceva sempre più grande, le affiorarono in mente altri ricordi. Si ricordò che dormiva nella stanza per gli ospiti al piano superiore, con la zia June che le rimboccava le coperte dopo averle letto una delle sue strambe favole della buonanotte. Si ricordava persino delle tende della camera, sottili e viola, che proiettavano su ogni oggetto della stanza una strana sfumatura vinaccia, quando filtrava la luce del sole.
Si ricordò dell'enorme conchiglia nella toilette, collocata proprio sopra il gabinetto, e di come si mettesse ad ascoltare il ruggito del mare quando andava a fare le sue cose. Non riusciva a sentirlo molto bene, ma si ricordava che zia June le aveva detto che quando le conchiglie rimanevano troppo tempo lontane dall'oceano perdevano il loro legame con l'acqua e, per questo, non riuscivano più a ricordarsi il suono. Questa conchiglia in particolare, secondo sua zia, ogni tanto suonava “Blue Suede Shoes” di Elvis Presley, se si ascoltava attentamente.
Parcheggiò davanti alla casa e restò a fissarla. Eccola là, l'ispirazione per il suo bed-and-breakfast immaginario, e il fulcro di tutti i suoi più bei ricordi d'infanzia. Fu sul punto di uscire e camminare fino al portico, ma pensò che forse era spingere le cose un po' troppo oltre. Ignorava quali fossero le regole da seguire in questi casi, quando si trattava di proprietà, banche e anziane eccentriche signore da poco defunte.
Rimase seduta, ancorata in un sentimento tra gioia e tristezza. Tutto era come se lo ricordava. Era come se il tempo si fosse fermato da quando era stata lì l'ultima volta, una ventina d'anni prima. Aveva pensato di venire in visita quando aveva saputo che June era caduta e si era slogata una caviglia ma, giusto il tempo di organizzarsi, e quella era già guarita ed era partita per un viaggio a Stoccolma. Dopo questa visita mancata, l'unica volta che aveva visto la zia era stata due anni prima, quando June era venuta a trovarla a Providence, di passaggio durante un altro dei suoi viaggi. A parte queste occasioni, avevano soltanto parlato per telefono. C'erano state anche due goffe chiamate Skype in cui June aveva passato metà del tempo a frignare su quanto odiasse la tecnologia.
Tutto era rimasto così uguale che si sorprese a esaminare il cortile alla ricerca di gatti mutanti somiglianti a scoiattoli.
Non sapeva da quanto tempo fosse seduta lì. Fissò la casa, sentendo la sua influenza avvolgerla come un'ombra. Aveva qualcosa di vittoriano, con minuscole guglie e tetti conici. La facciata esterna era composta perlopiù di mattoni sbiaditi dal tempo, tra i quali crescevano ciuffi di muschio qua e là. Da così vicino, quell'effetto spettrale che impressionava così tanto i bambini del circondario svaniva. Da così vicino, anzi, la casa sembrava calda e invitante.
Fu solo quando riavviò l'auto e fece retromarcia che si rese conto di quanto quella casa le fosse mancata.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per poterci entrare di nuovo. Ma probabilmente, a meno di un miracolo, non sarebbe mai più successo. L'ultima volta che aveva parlato a June, le aveva accennato a come stesse cercando un'organizzazione di buona reputazione a cui donare la casa: forse un centro di riabilitazione, o magari una specie di pensione per animali dove le persone potevano portare i loro amici a quattro zampe quando avevano bisogno di partire per un lungo periodo.
Fossero venute da chiunque altro, Marie avrebbe dubitato di quelle idee. Ma, trattandosi di zia June, entrambe le possibilità sembravano essere assolutamente verosimili. Durante quella conversazione, l'ultima approfondita che avevano avuto, June sembrava alquanto ossessionata dall'idea di lasciare la casa in buone mani.
Quindi, a meno che i futuri proprietari, o, immaginava, il sovrintendente del patrimonio di zia June, le permettessero di entrare e dare una rapida sbirciatina di cinque minuti, era più che probabile che non avrebbe mai più messo piede in quella casa.
Dopo aver raggiunto Crabapple Road, uscendo dal vialetto d'accesso Marie gettò un ultimo sguardo alla casa dietro di sé. La luce del sole si riflesse su una delle finestre della facciata anteriore del vecchio maniero e, per un attimo, sembrò che la casa le stesse facendo l'occhiolino, come se avesse un segreto che si rifiutava di svelare.
Si chiedeva se la zia June si fosse lasciata alle spalle qualche segreto. Riservata com'era stata, la prospettiva era scoraggiante. Ma, con il funerale imminente, Marie non poteva fare a meno di pensare che magari avrebbe sentito uno di questi segreti dalle labbra di qualche sconosciuto… e questo avrebbe potuto alterare il suo ricordo di June.
***
“Che diavolo avete da guardare?”
Era così che iniziava l'ultimo messaggio di June Fortune al mondo.
Fulminò con lo sguardo le circa quaranta persone che si erano riunite attorno alla televisione a schermo piatto nell'aula multifunzionale della chiesa della comunità locale. Lentamente, sul viso di June si disegnò un sorriso, che si irradiò verso tutti coloro che erano venuti a rendere omaggio alla sua vita.
Ci furono diverse risatine soffocate. Poi le risate si fecero più nitide a mano a mano che June, nei venti minuti successivi, si prodigava a spiegare a tutti per quale motivo non dovessero piangere la sua dipartita ma, al contrario, celebrare la sua lunga vita. Disse che stava andando in un posto migliore (scherzando sul fatto che si sarebbe trovata benissimo a Montego Bay per trascorrerci l'eternità), e passò la maggior parte del tempo a fare battute su quanto lunga fosse stata la sua vita.
Quando il video finì, ci furono lacrime e risa a riempire la stanza. Era davvero quello il modo migliore per commemorare la prozia June. La donna aveva lasciato il mondo alle sue condizioni, nella sua casa, e aveva pronunciato un addio degno di uno spettacolo comico.
Marie non era estranea ai lutti. Suo padre era morto quando lei aveva vent'anni. Prima ancora, quando Marie era appena quattordicenne, sua madre era letteralmente svanita nel nulla. Marie aveva anche partecipato al funerale della nonna della sua migliore amica ai tempi delle superiori. Ma qualcosa del funerale della zia June e della veglia funebre sembrava surreale. Le persone come June sembravano non dover morire mai.
Il ricevimento fu organizzato nel centro ricreativo della comunità locale, in una piccola sala che affacciava sull'oceano. Si radunarono tutti sul patio posteriore. Ci fu molto vino e moltissimi dolci. L'impianto stereo suonava musica swing degli anni '40 e '50. Marie provò a passare un momento gradevole, ma le improvvise interruzioni da parte di persone di cui si ricordava a malapena o che non conosceva affatto resero il tutto difficile. Non partecipò alle conversazioni, ma sorrideva e annuiva quando le sembrava appropriato.
“Che pazza, June,” le disse un anziano signore con gli occhi lucidi. “Ma pazza in senso buono, capisci cosa intendo?”
“Sinceramente, pensavo che non sarebbe mai morta,” aggiunse una robusta signora sulla cinquantina. “Era proprio una donna scoppiettante!”
“A proposito di far scoppiare cose, sa che ha seriamente accarezzato l'idea di farsi cremare e di far esplodere le proprie ceneri con dei fuochi d'artificio?”
“Vorrei dire che non ci credo, ma sembra proprio una delle cose che avrebbe fatto!”
Marie fu felice di sentire le persone condividere storie su sua zia. Era chiaro invece che quasi nessuno sapeva chi fosse lei. Alcune persone, infatti, le si avvicinarono e le chiesero come conoscesse June. A quanto pareva, “era la mia prozia” non era una risposta così interessante, dato che non faceva avanzare granché la conversazione.
Marie vagò verso l'estremità del patio, dove c'era meno traffico di persone e una vista spettacolare sull'oceano. Continuò ad ascoltare ancora altri racconti e storie su June. Che fossero storie vere o meno non le importava molto. Era comunque bello sapere che la zia June aveva lasciato un retaggio di questo tipo in una piccola città come Port Bliss.
“Ho sentito dire che una volta ha infilato un biglietto da cinque dollari dentro tutti i libri di Sue Grafton in stock alla libreria Little Things, sia quelli nuovi sia quelli usati.”
“Lo sa che ogni volta che un venditore porta a porta bussava alla sua porta lei si comportava come se fosse posseduta da un fantasma o un demone?”
“Ah! Con quella casa, è facile da credere. Sa che si dice in giro che è infestata, vero?”
“Fantasmi di naufraghi, ho sentito dire.”
E giù altre risate.
Marie guardava l'oceano e trovava piacevole sentire quelle risa. La casa si trovava a due chilometri e mezzo di distanza, proprio in fondo alla costa. Pensò che avrebbe dovuto socializzare un po' di più se voleva trovare il modo di entrarci di nuovo. Pensò che sarebbe stato un bel modo di recuperare energie prima di tornare nel mondo reale e affrontare il fatto che era rimasta senza lavoro e senza un ragazzo.
Ma le era difficile distogliere lo sguardo dall'oceano. Per un momento le sembrò che la stesse chiamando, che le stesse chiedendo di rimanere ancora un po'. Mentre lo fissava si chiese, e non era la prima volta, come sarebbe stato crescere lì. Dopo la morte di suo padre, zia June l'aveva invitata a rimanere con lei fino a che non si fosse rimessa in sesto. Marie non poteva fare a meno di chiedersi come sarebbe cambiata la sua vita se avesse accettato. A quei tempi, aveva pensato che fosse solo una proposta educata e gentile, ma dopo aver ascoltato il videomessaggio che June aveva lasciato si rese conto che aveva ignorato quanto davvero sua zia fosse spontanea e intrepida.
Sì, avrebbe assolutamente potuto vivere a Port Bliss. Sarebbe stato un po' come chiudere un cerchio.
Certo, era disoccupata e aveva poco meno di undicimila dollari di risparmi. Non voleva nemmeno provare a indovinare quanto costasse lì l'affitto. Ma la parte più coraggiosa di lei pensava che avrebbe potuto trovare un lavoro e magari ricominciare tutto daccapo qui. L'ombra del maniero di zia June sempre sopra di lei l'avrebbe certamente aiutata a trovare la motivazione.
Non doveva essere poi così difficile trovare un lavoro decente in un posto come Port Bliss, giusto?
Era un pensiero allettante, così allettante che la spinse a muoversi, nella speranza che qualcuno le potesse indicare dove trovare il rappresentante legale di June. Guarda caso, non dovette cercare troppo a lungo. Mentre stava tornando all'interno del centro ricreativo, una voce la fermò.