Kitabı oku: «Un Amore come il Nostro », sayfa 10
“Volevo solo vedere che cosa stai scrivendo,” rispose lui con innocenza.
Keira lo chiuse di colpo. “Beh, non farlo. È privato!”
“Come può essere provato?” disse lui ridendo. “Lo pubblicherai per farlo leggere a tutto il mondo!”
Ma Keira non ne vedeva il lato divertente. Shane era arrivato fin troppo vicino a scoprirla. Ne fu turbata.
“Sì, dopo che sarà corretto,” rispose. “Non voglio che tu veda la prima bozza.”
Era una mezza verità. Anche se le sue prime bozze erano veramente imbarazzanti, il motivo principale era che non voleva che Shane leggesse cosa aveva scritto. Senza una spiegazione, e tolto dal contesto, l’avrebbe messa in una pessima luce. E a pensarci bene, anche con una spiegazione l’avrebbe fatta sembrare una persona orribile.
“Oltretutto è per un pubblico specifico. Sei un americano single tra i ventiquattro e i trentaquattro anni? No? Esatto.”
Si sedette con uno sbuffo, incrociando le braccia.
“Mi dispiace,” disse Shane, capendo di averla fatta arrabbiare. “Non sbircerò più. Ero solo curioso. Sei sempre tanto impegnata che volevo vedere su che cosa. Voglio dire, tu mi hai visto suonare il violino ma io non ho letto una sola frase che tu hai scritto. E mi hai anche visto fare il mio lavoro di guida turistica. A me piacerebbe vederti nel tuo ruolo di giornalista.”
“Forse un’altra volta,” rispose rigida Keira.
Finirono il loro cibo, di umore più serio di quanto non fosse stato all’arrivo. Keira si sentiva orribilmente colpevole per la sua parte in quel cambiamento. Se lei non fosse stata una serpe con così tanto da nascondere, in realtà Shane non avrebbe fatto nulla di sbagliato.
Ritornarono verso Lisdoonvarna con l’auto. Quella volta Keira tenne il telefono per sé. L’incidente con il portatile era ancora troppo vicino per la sua tranquillità mentale. Cosa sarebbe successo se Nina le avesse mandato una frase corretta, o un’opinione su qualcosa di crudele che aveva scritto. Se Shane avesse letto le sue parole, per lei sarebbe stato terribile.
Arrivarono in città e Keira parcheggiò. Quando rientrarono nel Bed & Breakfast, scoprirono che Orin si era deciso a riapparire. Apparve leggermente a disagio quando li guardò entrambi, ma era amichevole come sempre.
“Qualcosa da bere?” chiese.
“È un po’ presto per me,” rispose Keira. “E devo correggere qualche frase. Mi metterò in un angolo con il computer, ma voi due fate pure.”
Mentre Orin versava una pinta per sé e una per Shane, Keira aumentò la distanza tra di loro. Si sentiva così male tradendo tutti che le era quasi impossibile condividere i loro festeggiamenti. Si era fatta trasportare troppo da quella faccenda dei fidanzati? Quando Shane era stato solo un tizio sexy per cui aveva una cotta, le cose erano un po’ più semplici. Almeno non si era sentita come se se gli dovesse qualcosa, come l’onestà. Quel pensiero le fece ribaltare lo stomaco.
Keira lesse l’ultima mail di Nina, che conteneva le correzioni del pezzo che le aveva mandato quella mattina. Con suo sollievo, erano buone notizie. A Joshua piaceva e voleva che andasse avanti in quel modo.
“Ha davvero usato il verbo ‘piacere’?” scrisse Keira a Nina.
Arrivò la sua risposta. “Lo so. Però credo che il dottore gli abbia aumentato la dose di Advil, quindi non prenderla a cuore.”
Keira rise tra sé e sé. Era bello essere in contatto con Nina. La riportava con i piedi per terra, le ricordava da dove veniva e perché era lì. Senza il pungente senso dell’umorismo e i messaggi frequenti della sua amica Keira si sarebbe lasciata trasportare più di quanto non avesse già fatto.
Si mise a lavoro sul portatile nel suo angolo mentre Shane e Orin bevevano e chiacchieravano allegramente.
“Quindi Keira,” la chiamò Orin. “Shane dice che sei piuttosto protettiva della tua scrittura.”
“Solo della parte brutta,” rispose lei.
Non voleva che quello tornasse a essere un argomento di conversazione e fece del suo meglio per non abboccare all’amo. Si sentiva già abbastanza male così come era per il pezzo che aveva spedito. Ma Orin, come Shane, non aveva intenzione di lasciar perdere.
“Non deve essere una prima bozza,” suggerì. “Che ne dici di qualcosa stampato nel numero del mese scorso?”
Keira si tese. Si stavano avvicinando troppo perché potesse stare tranquilla. Ma che altra scelta aveva? La sua precedente scusa a Shane era stata che non voleva che leggesse niente di incompleto. Niente bozze. Ma sul numero del mese prima c’era un suo articolo, e anche nel mese prima ancora. Forse se fosse andata sul sito del Viatorum avrebbe potuto fargli leggere un pezzettino del suo lavoro. Forse sarebbe bastato per distrarli.
“Va bene,” si arrese. “Ecco un articolo che ho scritto per la parata del mese scorso. Non è molto buono, vi avviso.”
Shane e Orin si avvicinarono. Apparirono colpiti dal design elegante del sito, anche se Keira sapeva che almeno Shane doveva pensare che fosse snob.
All’improvviso Shane si tese e le rubò il portatile, strappandoglielo dalle mani. Stava ridacchiando come se fosse uno scherzo, e Keira si rese conto, guardando il volto sorridente di Orin, che lo avevano pianificato. Si erano coalizzati contro di lei per prenderle il portatile e leggere che cosa aveva scritto del festival.
“Non farlo!” lo supplicò Keira.
Non ne avevano idea. Pensavano che fosse un divertimento innocente. Erano convinti di giocare con lei, di aiutarla a superare la sua modestia. Ma Keira conosceva la verità. Le si torse lo stomaco per la paura di ciò che stava per succedere.
Era troppo tardi. Shane iniziò a leggere ad alta voce l’ultimo pezzo che aveva spedito. Da allegra e gioviale che era, la sua voce divenne avvilita e profondamente ferita.
“Soffocante ospitalità irlandese?” lesse, alzando su di lei occhi tristi e afflitti. “Catapecchia buia e sporca? È questo che pensi di noi?”
“Mi dispiace,” sussurrò Keira, con un peso sul cuore.
Shane la guardò con volto addolorato. “Che cosa è questo? Perché sei così cattiva?”
“Era il mio incarico,” cercò di spiegargli Keira. “Ma non è veramente quello che provo. Devo fingere di essere una snob per l’articolo, ecco tutto. Ma non sono io. Mi dispiace.”
“Quindi stai dicendo che non conta solo perché non lo pensi sul serio?” rispose Shane, con voce turbata.
“Mi dispiace così tanto,” ripeté Keira. Era tutto ciò a cui riusciva a pensare. “Lo so che non è una scusa.”
“Esatto, hai ragione,” ribadì Shane. “Ci stai insultando. Pensavo che questa fosse una rivista di viaggio. Che genere di rivista di viaggio rovina completamente i posti che recensisce?”
Keira si morse il labbro. “È meno turismo e più, uhm, viaggi e stile di vita, immagino?”
“Viaggi sarcastici e stile di vita ironico,” commentò Shane. “Che senso ha?”
Keira si sentiva malissimo. Scrollò le spalle. “Non lo so È stupido. Superficiale. E io sono stata una sciocca a essermi fatta trascinare. Che cosa posso dire per farmi perdonare? Da tutti e due. A parte che mi dispiace davvero.”
Fu il turno di Orin di parlare. “Credi che essere dispiaciuta basti? Io ho messo il cuore e la mia anima in questa attività. Questo potrebbe rovinarmi.”
Lei spostò lo sguardo su Orin. Sembrava così deluso. E Keira si sentiva altrettanto delusa da sé.
“Mi dispiace davvero,” bisbigliò. “Non farei mai niente che potrebbe rovinare la vostra attività. Non c’è così tanta gente che legge la rivista. Non credo che ne sarebbero influenzati. Voglio dire, tanto i nostri lettori non verrebbero comunque in un posto come questo.” Keira chiuse di scatto la bocca, realizzando quanto sembrasse sgradevole quello che aveva appena detto, e come lo avrebbero interpretato loro due.
Shane la guardò freddamente. “Un posto come questo?” ripeté.
Keira si sentì gelare. Aveva rovinato tutto.
Shane scolò ciò che restava della sua birra e prese il cappotto dallo sgabello.
“Dove stai andando?” chiese Keira, con lo stomaco torto dall’ansia.
Shane tenne la voce tranquilla. “Non ti serve più una guida. Hai visto tutto ciò che c’è da vedere. Credo che sia meglio se ci separiamo adesso. Puoi andare avanti da sola.”
“Shane!” gridò Keira, allungando una mano verso di lui, piena di rimpianti.
Fu inutile. Lui si girò e uscì dal pub. Keira guardò verso Orin. L’uomo scosse la testa e distolse lo sguardo.
Keira si sentiva come se le fosse crollato tutto il mondo in testa.
Corse alla porta del corridoio e l’aprì in fretta, per correre su nella sua camera. Non appena entrò, afferrò il telefono e chiamò Bryn.
Non appena la sorella le rispose, Keira scoppiò a piangere.
“Sorellina,” disse Bryn, con dolcezza. “Che cosa è successo? È Shane?”
“Sì,” ammise lei. “Ma non solo Shane. Anche Orin. Hanno letto il mio articolo e ora mi odiano.“
“Orin non è quell’uomo anziano?” disse Bryn, sembrando confusa. “Perché ti importa della sua opinione?”
“Perché è mio amico.” Il cuore di Keira era pesante, pieno di senso di colpa e vergogna. “Sinceramente non so se posso rimanere ancora qui. È il pub di Orin. E che senso avrebbe? Non posso scrivere niente di buono. Ora che tutti mi odiano non capisco che senso abbia stare qui.”
“E quindi, a chi importa se qualcuno di odia?” la sfidò Bryn. “Non sei lì per fare amicizia! Sei lì per la tua carriera. Non è cambiato niente. Sei solo tornata a come erano le cose quando sei arrivata.”
“Sono cambiata, Bryn,” pianse Keira. “Non so più nemmeno come si scrive. È tutto inutile.”
“Non ci credo,” rispose Bryn, rifiutando la sua dichiarazione. “Sei una scrittrice fantastica, sorellina. Lo sei sempre stata. E sei una combattente. Non scappi dai tuoi problemi, li affronti a testa alta. Parla con Shane. Tieni duro.”
Keira tirò su con il naso. “Pensavo che lo ritenessi un dongiovanni. E un rimpiazzo. Perché ti importa se metto a posto le cose con lui o meno?”
“Non lo so,” disse Bryn, sbuffando rumorosamente. “È solo che sembra che tu ti stia divertendo moltissimo e ti stia godendo la compagnia di un uomo fantastico. Non lasciare che una piccola cosa come questa rovini tutto. Che cosa hai qui a New York che ti aspetta, comunque? Dovrai dormire sul mio divano!”
“Fantastico,” borbottò Keira, imbronciata. “Quindi sono praticamente bloccata tra l’incudine e il martello.”
“Non sai mai che cosa può succedere,” disse Bryn. “Vai e fai la tua magia con le parole su Shane. Sono certa che puoi riconquistarlo.”
Ma Keira non era così sicura di potere. Non pensava che ci fosse un modo per tornare indietro dalla situazione in cui si era messa. Shane era apparso tanto ferito. Non l’avrebbe mai perdonata. Lei aveva rovinato l’unica cosa buona che le era rimasta.
CAPITOLO QUATTORDICI
Il mattino seguente, Keira non fu sorpresa quando non trovò nessuna colazione ad attenderla sul bancone del bar. Neanche quando Shane non si presentò per portarla in una nuova escursione, non rimase sorpresa. Lo si torse lo stomaco per il dispiacere.
Sapeva che avrebbe dovuto assistere ugualmente a qualche evento del festival, ma si sentiva troppo intorpidita per farlo. Senza Shane sarebbe stato troppo deprimente. Quindi tornò al piano di sopra nella sua camera e si nascose dal mondo esterno.
Avrebbe voluto andarsene, scappare via da quel posto, dall’intero paese, e dimenticarsi di tutto. Ma rimanevano ancora quattro giorni al suo soggiorno. Sapeva che nemmeno una telefonata di suppliche a Heather le avrebbe garantito un cambio del giorno della partenza. Persino se Heather stessa fosse stata favorevole alla sua richiesta (e Keira sapeva che non lo sarebbe stata in ogni caso) Joshua lo avrebbe proibito. Avrebbe detto qualcosa su quanto era già costata alla compagnia. Che c’era la sua testa sul ceppo del boia, e non quella di Keira, o qualcosa di altrettanto drammatico. L’ultima cosa che voleva in quel momento era una qualche interazione con lui.
Era in crisi. Avrebbe voluto avere un metodo per comunicare con Shane ma non aveva nemmeno il suo numero. Se le avesse dato un’occasione, forse avrebbero potuto parlare e risolvere la situazione.
All’improvviso si ricordò l’itinerario che Heather le aveva dato. L’assistente di Josh aveva pianificato tutto meticolosamente. Di certo doveva aver incluso il numero di Shane da qualche parte!
Keira cercò l’itinerario di Heather nella borsa. Lo trovò e scorse il documento, alla ricerca del numero. Ed eccolo lì! Era indicato come: ‘La Guida’. Quanto le sembrava strano ripensare a lui come la sua guida turistica, quando era diventato qualcosa di così diverso, molto di più.
Sentiva il nervosismo crescere mentre faceva il suo numero a telefono. Ascoltò lo squillo e poi partì la segreteria telefonica. Dopo averci riflettuto per un istante, Keira decise di lasciare un messaggio.
“Ehi, Shane, sono Keira. Possiamo parlare?”
La sua voce era incerta, più nervosa di quanto avrebbe voluto. Perse la sua sicurezza e riappese prima di riuscire a dire altro. Ciò che voleva fare veramente era chiedere perdono. Implorarlo. Ma non le era servito a molto in precedenza e ormai le sembrava di aver perso tutta la sua forza interiore.
Il suo telefono emise un bip, indicando l’arrivo di un messaggio. Si tese, sperando che non fosse Joshua. Pregando che fosse Shane. Non era nessuno dei due. Invece era un messaggio di Nina.
Ho avuto un’idea. Devi vedere con chi ti accoppierebbe il sensale. Sarebbe un fantastico paragrafo conclusivo, non credi?
Il cuore di Keira perse un colpo. Il pensiero di chiedere a William di trovare la persona giusta per lei le dava la nausea. Non voleva nemmeno pensare di uscire con un altro uomo. Voleva solo che le cose tornassero come prima con Shane.
Ma Nina aveva ragione. Già così era consumata dal blocco dello scrittore. Forse una visita a William le avrebbe dato l’ispirazione che le serviva. Un pessimo appuntamento le avrebbe fornito l’idea per uno o due paragrafi finali dell’articolo.
Keira non era certa del come, ma in qualche modo riuscì a uscire dal letto e a incamminarsi per le strade di Lisdoonvarna. Si avviò lentamente verso casa di William, guadagnando tempo. Ma nonostante la lentezza, inevitabilmente si ritrovò ben presto davanti alla casa color arancio brunito.
Fece un profondo respiro e bussò. Maeve rispose.
“Keira?” disse. “Mi stavo chiedendo quando ti avremmo vista.”
Il commento le diede una stretta allo stomaco. Era stato davvero tanto ovvio a tutti che le cose con Zachary sarebbero finite? Era sembrata un tale disastro senza speranza che una visita al sensale sarebbe stata inevitabile?
Seguì dentro Maeve e la donna dai capelli fiammeggianti se ne andò per preparare del tè. William alzò lo sguardo dalla scrivania e sorrise verso di lei.
“Accomodati,” disse. “Sei qui per trovare la persona giusta per te, suppongo?”
Keira scrollò leggermente le spalle in segno di assenso e si sedette, piena di trepidazione.
William iniziò a sfogliare il suo librone pieno di nomi, prendendosi il suo tempo. Maeve versò a Keira una tazza di tè, che la donna bevve in silenzio.
All’improvviso, William chiuse il libro con uno schianto. Il verdetto era arrivato. Ma ciò che disse dopo scosse Keira fin dentro l’anima.
“Nessun uomo per te.”
“Non capisco,” disse Keira.
“Non ho le capacità di trovare qualcuno per te. Non posso trovare la persona che fa te.”
“Che significa che non puoi trovare una persona per me?” rispose Keira, sconcertata.
“Beh,” iniziò William, “non è così facile trovare un partner adeguato. Non quando vorrei che ogni coppia fosse la nuova Sylvia e Simon.”
“Chi sono Sylvia e Simon?” volle sapere Keira, insultata dall’incapacità di William di trovarle un uomo adatto.
“Li ho fatti incontrare cinquant’anni fa al festival,” spiegò lui. “Si innamorarono tanto che si sposarono mentre erano ancora qui. Sono sposati da allora.”
Le mostrò la loro fotografia; una coppia felice e allegra in bianco e nero, con sorrisi da un orecchio all’altro nel giorno del loro matrimonio. Riconobbe l’ufficio di William sullo sfondo della foto grazie ai cupidi dipinti sulle pareti.
“Si sono sposati qui?” chiese, sorpresa. “Proprio qui nel tuo ufficio?”
“Davanti,” chiarì William. “La maggior parte degli anni tornano a Lisdoonvarna per venire a fare due chiacchiere e per festeggiare.”
Keira gli restituì la foto. “Beh, non sto cercando un marito,” ribatté. “Voglio solo un appuntamento. Per ispirazione per il mio articolo. Di certo puoi farlo?”
William apparve poco colpito dalla sua ammissione. Incrociò le braccia. “Questo sarebbe un uso improprio dei miei servizi,” le disse.
Keira lasciò l’ufficio di William sentendosi frustrata e con l’ego ferito. Pensò che era proprio da lei, che anche il sensale non riuscisse a trovarle nessuno. Doveva essere praticamente una lebbrosa.
L’unica cosa positiva di tutta la faccenda era che quando Keira si sedette per scrivere, quella sera, riuscì a buttar giù due intere pagine amare sull’argomento dell’impossibilità di trovare un partner. Nina le adorò. Persino Joshua sembrò gradirle, anche se Keira dovette chiedersi quanto del suo buon umore fosse dovuto agli antidolorifici. O quello, o doveva trovare molta gioia nelle sue miserie. Keira concluse che quell’ultima possibilità fosse la più probabile.
CAPITOLO QUINDICI
Quando arrivò il penultimo giorno di Keira a Lisdoonvarna, la donna si svegliò con il cuore greve. Era difficile credere che il suo aereo sarebbe partito il giorno seguente, che il mese era quasi finito, e che presto sarebbe tornata a New York. Non era certa di come avrebbe reagito a tutti i grattacieli e alle file di taxi dopo la pittoresca tranquillità dell’Irlanda.
Mentre si faceva la doccia e si preparava per la sua ultima giornata completa, la storia di William sulla coppia felicemente sposata le ritornò in mente. Forse se in qualche modo fosse riuscita a rintracciare Simon e Sylvia, e sentire la loro versione della storia, avrebbe avuto le ultime informazioni che le servivano per l’articolo. Perché doveva esserci altro, oltre all’amore a prima vista e i cinquant’anni di felicità coniugale. Si rifiutava di credere che funzionasse così, che potesse davvero essere tanto semplice.
Il problema era che Keira aveva solo il ricordo di una foto scattata cinquant’anni prima su cui contare per trovarli.
Controllò i soliti ritrovi, i pub e i negozietti all’angolo. Tutti coloro con cui parlò conoscevano Simon e Sylvia personalmente o avevano sentito parlare di loro. Ma nessuno sembrava sapere se fossero venuti quell’anno. E ogni volta che chiedeva un modo per entrare in contatto con loro, la reazione era immediato sospetto.
La donna del pub accanto a quello di Orin sembrava conoscerli bene, ma non aveva alcuna intenzione di aiutare Keira.
“Sei la giornalista, vero? L’americana?” chiese con aria d’accusa, incrociando le braccia.
“Sì,” ammise Keira con un sospiro. Ormai si stava abituando alla mancanza di fiducia della gente. Si era sparsa la voce dell’articolo che aveva scritto e di come li aveva insultati tutti. Era molto più difficile trovare volti amichevoli di quei tempi.
“Allora non ti dico niente. So che persona sei. Lo racconteresti male per il tuo pezzo.”
Keira uscì dal pub con il cuore pesante.
Nonostante il suo fallimento, non aveva particolare voglia di tornare al St. Paddy’s Inn. Orin continuava a parlarle a malapena. Quindi si ritrovò a vagare senza una direzione per le strade.
Proprio al limitare della città trovò un piccolo spiazzo erboso che non aveva mai notato prima. C’era un cartello che lo dichiarava un parco, il più piccolo d’Irlanda, a cui Keira poteva credere perché era lungo e largo appena quanto un autobus. C’era un albero solitario, una panchina e una statua della Vergine Maria. Keira si accasciò sulla panca. Allo stesso tempo, lo sguardo le cadde sulla piccola targhetta dorata che vi era attaccata.
Simon & Sylvia.
Non riusciva a crederci. Gli Amanti di Lisdoonvarna avevano creato il proprio parchetto, con la loro panchina e il singolo albero. Era assurdamente romantico.
Keira decise allora che tutto ciò che avrebbe dovuto fare era rimanere sulla panca ad aspettare che arrivassero. Di certo prima o dopo sarebbero passati di lì. Quindi doveva solo essere paziente. Non era come se avesse altri posti dove andare.
Aspettò e aspettò, di tanto in tanto sentendosi sciocca, e in altri momenti in uno stato di calma zen per via della sua abilità di rimanere paziente. L’aria divenne più fredda mentre il sole iniziava a calare. Presto la gente si sarebbe riversata in strada, uscendo dai loro hotel e i bed & breakfast per una notte di festeggiamenti. Ma Keira restò dove era. Aveva già sentito le loro storie. Ora voleva quella di Simon e Sylvia, certa che sarebbe stata quella che le serviva per concludere l’articolo.
Doveva essersi addormentata a un certo punto perché all’improvviso si accorse di due volti che la scrutavano. Si raddrizzò a sedere per la sorpresa, con la schiena che le doleva. Per quanto tempo era stata a russare su quella panca?
Solo allora Keira si accorse che i due volti che la stavano studiando, un uomo e una donna di una certa età, erano familiari. Era la coppia anziana che aveva visto alla corsa dei cavalli con i carri, quando lei e Shane erano ancora stati amici, prima che rovinasse tutto, costringendosi a ricevere un altra ferita sul cuore, vicina a quella causata da Zach.
“Voi non siete Simon e Sylvia, vero?” chiese Keira.
L’uomo e la donna si guardarono l’un l’altra.
“Certo che sì,” disse Simon, sorridendo. “Dobbiamo essere famosi, Sylvs, se ci conoscono anche dall’altra parte del mondo.”
La donna ridacchiò. “Era ora. Lo sai che ho sempre voluto andare da Oprah.”
“Vi stavo cercando,” esclamò Keira. “Sono una giornalista, sto scrivendo un articolo sul Festival dell’Amore. E voi siete la coppia d’ora, il suo fiore all’occhiello.”
Sylvia sembrò illuminarsi ancora di più quando sentì quelle parole. “Siamo famosi sul serio, Si!”
“Posso farvi qualche domanda?” chiese Keira.
“Ma prego.”
Si sedettero ai suoi due lati, circondandola. Era quantomeno imbarazzante.
Keira tirò fuori il taccuino e la penna. Poi si fermò.
“Devo essere onesta,” annunciò. “L’articolo che sto scrivendo non è un pezzo molto lusinghiero.”
Simon allora si accigliò, confuso. “Perché no?”
“Oh no,” aggiunse Sylvia. “È una cinica.”
Simon sembrò triste per lei. “Mi spezza il cuore il comportamento dei giovani d’oggi. Nessuno ha fiducia in nessun altro. Nessuno cerca di far durare più i rapporti. Pensano che sia tutto lussuria e passione. Ma quelle durano solo i primi anni. Poi inizia il vero lavoro.”
Keira iniziò a scrivere le sue parole. “Quindi hai trovato il matrimonio un duro impegno?”
Al che Sylvia rise. “Santo cielo, no! Non duro. Ma sì, un impegno. Ma l’impegno è gratificante. Sono certa che anche tu sarai d’accordo.”
Keira non ne era più certa. Aveva trovato tutta quell’esperienza estenuante e faticosa. Ma continuava a importarle di più la carriera che la sua vita amorosa.
“Immagino di sì,” ammise.
“E anche quando si fa dura,” continuò Simon, “non ti infastidisce perché vuoi che funzioni. Nella coppia entrambi lavorate per lo stesso scopo, per il successo del matrimonio.”
Keira annotò come i due sembravano condividere gli stessi pensieri, e come uno li iniziasse e l’altra li concludesse. Era come se fossero stati insieme tanto a lungo da aver dimenticato dove cominciava uno e finiva l’altra.
“Immagino di essere più interessata alle parti difficili,” disse Keira. “Entrambi avete detto di esservi impegnati durante la relazione. Che cosa è stato complicato per voi?”
“La maggior parte delle cose,” disse Sylvia, con gli occhi che le brillavano per il divertimento. “Ci sono stati molti compromessi. Dovevamo dipingere la cucina di verde o di blu? Avremmo dovuto invitare sua madre per Natale o la mia?”
“Dovete aver avuto altri screzi, a parte questi,” disse Keira. Le sembrava molto banale. “Sylvia, dimmi, hai dovuto scegliere tra la maternità e la carriera?”
“Oh, sì,” disse la donna. “Per un po’, quando i bambini erano piccoli e avevano bisogno di me. Ero un’infermiera, vedi. Ma quando arrivi alla mia età e ti guardi indietro, una pausa di cinque anni nella carriera non sembra una gran cosa. Niente di importante.”
Keira prese appunti, poi guardò Simon. “E tu hai apprezzato il sacrificio fatto da Sylvia per dare alla luce i vostri figli?”
“Ma certo!” esclamò lui. “I nostri figli significano tutto per me, per tutti e due.”
“Anche Simon ha fatto dei sacrifici, durante quel periodo,” aggiunse Sylvia. “Ha dovuto lavorare doppiamente duro per supportare la famiglia. Entrambi siamo scesi a compromessi per fare ciò che volevamo.”
Keira cercò i lati negativi nella loro storia, di leggere il male tra le righe, ma erano troppo maledettamente piacevoli. Condividevano un atteggiamento tranquillo che doveva derivare da anni di pazienza e compromessi.
Ripiegò all’indietro la copertina del taccuino. “Pensate di essere entrambi persone migliori per esservi trovati a vicenda?” chiese.
Non lo domandava più per l’articolo, ma per se stessa, per la sua stessa curiosità. Aveva sempre pensato che mettere su famiglia significasse arrendersi. Impegnarsi per sempre con una sola persona era come cedere una parte di sé. Ma stava cominciando a capire che non doveva essere così, che unirsi alla persona amata in matrimonio rendeva entrambi più forti, migliori, più gentili. C’era una forza nell’unione. Semplicemente prima non se n’era mai accorta.
Simon e Sylvia si scambiarono un sorriso.
“Certo che sì,” affermarono in coro.
Keira riusciva a vedere l’amore e l’adorazione nei loro occhi mentre si lanciavano uno sguardo. L’aveva già visto prima, negli occhi di Calum e Eve quando si guardavano. E nella coppia che aveva visto alla gara dei cavalli con i carri, la donna polacca e il suo nuovo fidanzato.
L’aveva visto anche in qualcun altro, e cioè negli occhi di Shane quando lo aveva guardata. Era stata sul punto di trovare il vero amore, solo per rovinare tutto dando la priorità al suo articolo sarcastico? Aveva fatto ciò di cui l’aveva accusata Zach, aveva dato più di sé a Joshua che alla loro relazione?
“Ho bisogno di un consiglio,” ammise all’improvviso.
“Chiedi pure,” disse Simon. “Nel corso degli anni siamo diventati una specie di posta del cuore, non è vero, Sylvs?”
La donna annuì per confermare.
“Credo di aver trovato qualcuno,” spiegò Keira. “Una brava persona. Ma ho ferito i suoi sentimenti. Ho detto delle cose orribili.”
“Ti sei già scusata?” chiese Simon. “La parola scusa fa miracoli. È una delle più grandi lezioni che si imparano durante il matrimonio, che anche quando sei certa di avere ragione, spesso hai torto!”
“Non ne ho ancora avuto l’occasione,” disse Keira, cupa. “Mi sta ignorando. Non lo vedo dal litigio.”
“Lo hai chiamato?” chiese Sylvia.
“Non risponde al telefono,” disse. “E anche se lo facesse, non ho idea di che cosa potrei dirgli per convincerlo a perdonarmi.”
“Sii sincera,” la esortò Simon. “Parla con il cuore. Se le tue intenzioni sono pure, lui riuscirà a capirlo. Che poi reagisca o meno è una questione diversa, e non è una cosa che possiamo garantirti. Ma se gli dai l’occasione di perdonarti riuscirai a dormire più tranquilla, sapendo che hai fatto tutto in tuo potere per fare ammenda.”
Keira spostò lo sguardo da Simon a Sylvia e viceversa. Il loro saggio consiglio le risuonò nelle orecchie. Non avrebbe potuto aggiungerli al suo articolo. Erano davvero innamorati. E più che in ogni altro momento del suo viaggio in Irlanda, si rese conto di credere veramente all’amore. Non solo come qualcosa che poteva succedere, non come un compromesso fatto per paura della solitudine, ma come una cosa pura e bellissima che doveva essere nutrita, adorata e curata come un giardino.
Keira si alzò dalla panchina, improvvisamente motivata.
“Grazie, ragazzi,” disse. Fece per correre verso il St. Paddy’s Inn, ma si girò rapidamente e aggiunse: “Buon anniversario!”
Mentre la salutavano, Keira si avviò, di nuovo piena di energia e uno scopo. Perché voleva quello che avevano loro. Voleva un anniversario d’argento e uno d’oro. Voleva il compromesso e il sacrificio. Il rispetto e la pazienza. Voleva crescere e provare tutto ciò che l’amore, il vero amore, aveva da offrire. E sapeva con chi voleva provarlo. Doveva solo convincerlo a fare lo stesso.