Kitabı oku: «Un Amore come il Nostro », sayfa 11

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CAPITOLO SEDICI

Mentre Keira correva verso il bed & breakfast, udì il telefono che le squillava nella borsa. Lo prese, chiedendosi se Shane la stesse finalmente richiamando, come se in qualche modo fossero connessi telepaticamente. Invece era il nome di Joshua quello che vide lampeggiare sullo schermo.

Alla fine si era deciso a gridarle addosso. La sua dose di antidolorifici per la gamba rotta doveva essere stata ridotta.

Riprendendo fiato, Keira rispose alla chiamata.

“Tic tac, Keira,” esordì minaccioso Joshua, senza neanche prendersi la briga di salutare. “Non sei neanche lontanamente vicina alla conclusione. Dove è la mia bozza finale? Devo vedere come viene tutto insieme con l’appuntamento disastroso che ti ha organizzato il sensale.”

Il consiglio di Simon e Sylvia risuonava ancora nelle orecchie di Keira. Prese una decisione su due piedi. Non avrebbe più assecondato le richieste di Joshua. Non ci credeva, e l’articolo sarebbe sembrato falso. Doveva scrivere con il cuore, raccontare la sua verità. Avrebbe cancellato tutto ciò che aveva scritto fino a quel momento e avrebbe iniziato da capo. Avrebbe scritto qualcosa di cui potesse essere fiera. Avrebbe abbandonato l’ironia, il sarcasmo, l’arroganza accondiscendente. Perché quel posto le aveva insegnato qualcosa di molto più importante. Il potere dell’amore.

“Non sono riuscita ad averlo, ricordi? Si è rifiutato di trovare un uomo per me.” Sorrise tra sé e sé quando lo disse, capendo che cosa aveva fatto William quando non le aveva trovato un partner. Le aveva impedito di cadere nelle stesse trappole di sempre, di perdere tempo con persone inadatte. Sapeva davvero che cosa stava facendo e Keira era finalmente disposta ad accettarlo.

“Allora come finirai l’articolo?” gridò Joshua, con vice esasperata.

“Non preoccuparti. Ho qualcosa in mente che ti lascerà senza parole.”

Era certa che sarebbe stato così. Solo non nel modo in cui lui si aspettava.

“Prima dimmi di che cosa si tratta,” le ordinò. “Voglio essere certo che tu stia prendendo la direzione giusta.”

“Ho appena incontrato una coppia che si è sposata qui,” spiegò Keira. “Gli Amanti di Lisdoonvarna, li chiamano.”

“Okay, e quindi? Quale è il problema? Sono entrambi orrendamente brutti? Ex-truffatori? Quale è la loro storia? Come la racconterai?”

Keira nascose un sorriso. “Diciamo solo che avevano degli aneddoti interessanti e dei consigli per una giovane donna.”

“Che sarebbe…?” la sospinse Joshua. Non sembrava che ci stesse cascando.

Proprio in quel momento raggiunse il bed & breakfast. “Senti, vuoi che scriva questo pezzo o che ne parli e basta? Perché so cosa sarebbe meglio che facessi.”

Joshua emise un grido infuriato. “Va bene, Swanson. Fai quello che ti pare. Lo hai sempre fatto. Dio, se potessi tornare indietro nel tempo per impedire a quel caffè macchiato di cadere e alla mia gamba di rompersi, avrei fatto in modo che questo incarico non ti fosse MAI affidato! Porti solo guai. Ho dovuto controllare ogni minimo dettaglio di questa cosa dal mio letto!”

Keira si limitò a roteare gli occhi. Aveva sentito abbastanza lamentele da parte di Joshua.

Alla fine riuscì a chiudere la chiamata ed entrò nel pub affollato. Orin era dietro al bancone del bar, come al solito. Alzò lo sguardo, e poi lo distolse di nuovo non appena la vide entrare. Keira aveva preso l’abitudine di nascondersi da lui, imbarazzata, e di scappare nella sua camera. Ma quella volta si avviò con sicurezza verso il bar.

“Che cosa posso darti?” chiese Orin, sembrando sorpreso di trovare Keira davanti a lui.

“Volevo scusarmi,” disse lei, incoraggiata dalle parole di Simon e Sylvia. “Mi dispiace moltissimo per quello che ho scritto. Stavo cercando di ottenere l’approvazione delle persone sbagliate, come il mio capo a New York. Ma ho capito che fare delle cose per convincere gente cattiva ad approvarti è come essere cattiva io stessa.”

Orin la guardò intentamente, come per assorbire le sue parole. Keira si sentiva sempre più felice ogni secondo che passava. Scusarsi, ammettere la sua colpa, era catartico.

“Volevo che fossi il primo a sapere che non pubblicherò più l’articolo,” continuò. “Lo ritirerò. Il mio editore ha la bozza più recente, ma è un’amica. Le chiederò di cancellare la sua copia così che il mio capo non possa averla. Sarà completamente eliminato, tutto quello che ho scritto.”

Allora Orin si accigliò. “E invece che cosa farai? È comunque il tuo lavoro.”

“Non mi importa,” disse lei, e con sua sorpresa si accorse che diceva sul serio. Non le importava veramente. Non voleva scrivere articoli inutili e sgradevoli solo per fare buona impressione su Joshua. “Anche se mi costasse il lavoro, preferirei la tua amicizia e rispetto a quelli di Joshua!”

Orin sorrise all’improvviso. Uscì da dietro il bancone e la abbracciò stretta. Keira sentì di nuovo quell’ondata di amore paterno che aveva perso quando aveva tradito la sua fiducia.

“Sono molto felice si sentirlo, Keira,” disse. Poi la liberò dall’abbraccio. “Ma lo sai chi ha davvero bisogno delle tue scuse? Qualcuno che probabilmente sta vivendo nella speranza di un tuo ripensamento prima che parta?”

“Shane,” finì Keira per lui.

Orin annuì. “Shane. Dovresti chiamarlo.”

Keira si morse il labbro, pensando al messaggio che gli aveva lasciato sulla segreteria telefonica. Era stato inadeguato. Non aveva nemmeno accennato a delle scuse vere e proprie.

“Lo so,” ammise. “Ma gli ho lasciato un messaggio e lui non ha risposto alla mia telefonata. Non credo che voglia sentirmi mentre lo imploro di perdonarmi.”

Orin la guardò severo. “Un messaggio? Ti arrendi dopo un unico contrattempo?”

“Non voglio sembrare una stalker,” si lamentò Keira.

“Preferisci rischiare che pensi che non te ne importa niente? Perché potrebbe pensare che sia così, invece.”

Orin aveva ragione. Un solo messaggio in segreteria era patetico. Doveva dimostrare a Shane quanto teneva a lui. E stava esaurendo il tempo che aveva per farlo.

CAPITOLO DICIASSETTE

A piano di sopra, nella sua stanza, Keira aveva il telefono stretto in una mano tremante e stava cercando di calmare il suo respiro affannato. Fece il numero di telefono di Shane, desiderando che rispondesse, che smettesse di tenerla a distanza. Ma non fu così. Ripartì la segreteria telefonica.

“Shane, sono di nuovo io. Lo so che non vuoi parlare con me, ma ascoltami, va bene? Devo dirti così tante cose. So che non c’è niente che io possa dire per cambiare le cose, e capirò se non vorrai accettare le mie scuse. Ma io tengo davvero tanto a te, Shane. E domani partirò. Non voglio che ci separiamo così, malamente. Ho bisogno di farti sapere quanto mi dispiace. Vorrei tornare indietro nel tempo e non scrivere una singola parola di quel pezzo tremendo. Mi sbagliavo. Mi stavo comportando come la snob che tu pensavi che io fossi. Ma è tutto cambiato adesso. Ti prego, parliamone. Non voglio andarmene senza salutarti come si deve.”

Riappese. Lasciare quel messaggio era stato estremamente difficile. Ma Simon e Sylvia non le avevano detto che la miglior linea d’azione era l’onestà? Era sembrata nervosa perché lo era, e non c’era niente di sbagliato nel farlo sapere a Shane.

Si sedette sul letto e fissò il telefono, facendo respiri profondi. Non era mai stata tanto tesa, non quando Zachary si era infuriato dopo che gli aveva detto che sarebbe partita per l’Irlanda, nemmeno quando Joshua l’aveva chiamata e insultata di fronte a tutto lo staff. Ora capiva che era perché non le importava di nessuna di quelle cose neanche la metà di quanto fosse stata convinta. E invece le importava davvero di Shane. Perché ci aveva impiegato tanto a capirlo? Ad accettare i suoi sentimenti per lui? Si era praticamente ridotta all’ultimo secondo! Se Shane non avesse richiamata quello stesso giorno sarebbe stato troppo tardi. Il giorno seguente sarebbe tornata a casa e non avrebbe avuto più occasioni di fare ammenda.

Intrecciò le dita e fissò il telefono, cercando di costringerlo mentalmente a suonare. Cosa che all’improvviso fece.

Il cuore le saltò in gola. Afferrò il telefono, ma non era Shane a richiamarla. Era Zachary.

Vedendo il suo nome si infuriò immediatamente. Come osava chiamarla?

Stava per rifiutare la telefonata, non volendo né sentire la voce di Zach né occupare la linea in caso Shane avesse deciso di richiamarla, ma si fermò per un breve istante di riflessione. Perché Zachary la stava chiamando? Le cose tra di loro erano finite male. Che si rifacesse vivo dopo tutte quelle settimane di silenzio la preoccupava. Forse aveva qualcosa a che fare con l’appartamento che avevano affittato insieme? E se fosse stato qualcosa di peggio, come una malattia che avesse colpito sua madre o sua sorella? E se gli fosse stato diagnosticato un male incurabile?

Rendendosi conto che si stava agitando con quelle illazioni, Keira accettò con riluttanza la chiamata.

“Non credevo che mi avresti risposto,” disse Zach.

Era strano sentire di nuovo la sua voce.

“Non ero sicura che l’avrei fatto,” rispose lei. “Non sei esattamente la persona che vorrei sentire ora.”

“È un po’ crudele,” disse Zach.

“Lo è?” Lo sfidò Keira. “Ti aspettavi veramente che sarei stata cordiale dopo il modo in cui mi hai trattata?”

Zach sospirò. “Non ti sto chiamando per rivangare il passato.”

“Certo che no!” esclamò Keira. “Ti getterebbe in cattiva luca, se non ricordo male.” Si scoprì improvvisamente furibonda. Tutta la rabbia che aveva avuto dentro di sé in quelle settimane emerse bruscamente.

“Keira, puoi stare zitta per un secondo?” Disse Zach. “Devo parlarti.”

Lei fu sul punto di riprenderlo per la sua maleducazione, ma quel tono di voce la preoccupò. “Che cosa è successo? Va tutto bene?”

La sua mente partì ai mille all’ora immaginando tutte le cose tremende che avrebbe potuto dirle. Per quanto odiasse Ruth, non le piaceva comunque l’idea che fosse morta all’improvviso in un incidente d’auto.

“Sì. È solo che, beh, domani tornerai a casa, vero?”

Sembrava nervoso. Keira si chiese il perché.

“Atterro domani a mezzogiorno del fuso orario di New York. Ma non preoccuparti, non verrò all’appartamento se ti sembra strano. Posso stare da Bryn per un po’ e poi organizzare un momento per venire a riprendere la mia roba.”

Ci fu silenzio dall’alto capo della linea. Poi Zach parlò di nuovo.

“È questo il fatto, Keira,” disse. “Sto pensando se non sia troppo frettoloso che tu faccia le tue valige e ti trasferisca altrove. Voglio dire, non ci siamo nemmeno rivisti dopo esserci lasciati o qualcosa così.”

Keira si accigliò, confusa. “È una cosa nuova delle relazioni moderne che mi è sfuggita?” chiese sarcastica. “Non sapevo che fosse usanza incontrarsi faccia a faccia dopo una rottura.”

“Penso solo che sarebbe una buona idea. Voglio dire, a telefono potrebbero essere state dette cose che non si intendevano, nella furia del momento.”

Keira era sempre più perplessa. “Ti stai riferendo a qualcosa di specifico?”

Un’altra lunga pausa.

“Voglio dire, come facciamo a sapere che è davvero finita se tu sei stata via per tutto un mese? Non ci siamo visti né parlati, a dir la verità. Potremmo pensarla diversamente se ci rivedessimo un’altra volta.”

“Non credo che la penserò diversamente a proposito del tuo tradimento,” sbuffò lei. “No, potrei essere persino più arrabbiata se ti vedessi di persona. Potrebbe rendermi più facile immaginare la scena.”

“Keira, per favore,” disse Zach, “È molto difficile per me.”

“Che cosa c’è di difficile?” esclamò lei, esasperata. “Non mi stai dicendo niente.”

“Sono stato piuttosto chiaro,” ribadì Zach.

“No, che non l’hai fatto!” Non riuscì a evitare di pensare al consiglio che le avevano dato Simon and Sylvia a proposito delle scuse, dell’accettare i propri difetti rendendosi conto di avere spesso torto, e di parlare onestamente e dal cuore. Zach sembrava incapace di fare tutto ciò.

“Sto dicendo che dovremmo riprovarci,” disse lui alla fine. “Vedere come vanno le cose. Torna all’appartamento e beviamo insieme qualcosa, che ne dici? Parliamoci faccia a faccia.”

Il cipiglio di Keira si approfondì. “Vuoi dire tornare insieme?” Non riusciva a credere a quello che aveva sentito. Era spiazzata.

“Certo,” rispose Zach, “Forse.”

La sua evasività la stava irritando. Non riusciva nemmeno a dire un sincero ‘sì’ perché sarebbe stato un modo indiretto per ammettere che aveva avuto torto fin dall’inizio. Non che per lei avrebbe fatto alcuna differenza. Con Zach aveva chiuso. Quella telefonata non era altro che una conferma di ciò che sapeva già.

“Perché diavolo vorrei fare una cosa del genere?” disse. “E perché vorresti farlo tu, a ben pensarci? Non sarò mai il tipo di ragazza che tu hai bisogno che sia. Lo sai, priva di ambizione. Che mette le tue necessità sopra le mie.”

“Non ho mai voluto che tu fossi così,” scattò Zach. “Sono sempre di sostegno alla tua carriera.”

Keira non riuscì a trattenersi dallo scoppiare in una risata. “Già, perché dare a qualcuno un ultimatum tra l’accettare una fantastica occasione di lavoro o rimanere insieme a loro è l’azione di un fidanzato molto solidale.”

“Adesso mi prendi in giro. Non ho mai dato un ultimatum.”

Keira gettò le braccia al cielo, esasperata. Zachary sembrava avere l’abilità di riscrivere la storia ogni volta che desiderava, per supportare qualsiasi posizione ne avesse bisogno. Era assurdamente irritante.

“Credo di sapere che cosa è successo,” disse. “La tua storiella con Julia è finita e ora ti stai chiedendo con chi altro te la potrai spassare. Beh, ascoltami bene. Non sarà con me.”

“Ora sei volgare. Non si tratta solo di sesso. Quello che c’era tra di noi era fantastico.”

Ed ecco che lo rifaceva, reinventava il passato.

“Forse per te,” disse seccamente Keira. “Ma non per me.”

“Senti, ecco che cosa ti propongo,” disse Zach, come se non la stesse affatto ascoltando. “Ti vengo a prendere in aeroporto. Possiamo berci un caffè e mangiare qualcosa per pranzo. E parliamo come due persone adulte.”

Lei fece un profondo respiro. “Zach, non succederà. Sei letteralmente l’ultima persona che voglio vedere quando tornerò a New York.”

“Ora stai esagerando,” controbatté lui. “Vediamo solo come va stando di nuovo insieme. Sono certo che voleranno ancora le scintille.”

“Non mi stai ascoltando,” gridò Keira, mentre le ultime briciole della pazienza che le rimanevano svanivano nel nulla. “NON voglio più stare con te. NON voglio vederti, parlarti o prendere un maledetto caffè con te. Perché io NON ti amo.”

“Non ti sto chiedendo di amarmi,” rispose Zach. “Non è come se l’amore facesse parte della faccenda in precedenza.”

“Allora che senso ha?” gridò Keira, capendo una volta che l’aveva detto quanto fosse vero. “Perché dovrei prendermi la briga di stare con qualcuno se non è davvero importante per me?”

Il volto di Shane si materializzò nella sua mente mentre lo diceva. Il suo desiderio per lui crebbe.

“Perché ci divertivamo,” rispose Zach. Aveva preso a parlare più rapidamente, il nervosismo chiaro nella sua voce. Forse finalmente stava comprendendo.

“È questo il punto,” disse Keira. “Insieme non ci divertivamo. In effetti eravamo decisamente incompatibili. Se non ami qualcuno dopo essere stato con lui per due anni non lo farai mai, e non perché l’amore nel mondo moderno è diverso, è perché… semplicemente tra di noi non c’era. Mi dispiace, Zach, ma ora l’ho capito.”

“Non capisco,” rispose Zachary. “Sei all’estero da un mese e cosa, hai trovato te stessa? È un po’ cliché, non credi?”

Lei si rese conto di quanto poco le importasse delle sue critiche. Mantenerlo felice non era più neanche lontanamente tra le sue priorità.

“Forse per te,” disse. “Ma non mi importa. È come è. Sono cambiata. E tra di noi è finita. Io e te. Definitivamente.”

Ma sembrava che Zach non stesse recependo il messaggio. “Che ne dici se ti lascio un paio di giorni per riacclimatarti a New York?” suggerì con voce speranzosa.

“NO!” gridò Keira. “Ascoltami. Sto dicendo di no. Non ti amo. Non l’ho mai fatto e non lo farò mai. Sono innamorata di qualcun altro.”

Quelle parole le sfuggirono dalle labbra, e lei rimase a bocca aperta, sconvolta e sorpresa di udire se stessa. Ma era vero, giusto? Era innamorata di Shane. Era quello che aveva scoperto da quando era arrivata lì. L’amore era reale, perché lo aveva trovato in lui.

“Chi?” volle sapere Zach.

“Nessuno che conosci.”

“Qualcuno in Irlanda?” Il suo tono era cambiato. Keira sentiva lo scherno nella sua voce. “È destinata a finire male, non credi?”

Keira scrollò le spalle e prese un profondo respiro. “Immagino di sì.” Non era rimasto nient’altro da dire. Amare Shane ma non poter stare insieme a lui non significava che sarebbe tornata da Zachary. Non sarebbe mai stato così. “Ora devo andare. Addio, Zach.”

Chiuse la telefonata prima di sentire la sua risposta.

Risedendosi sul letto, Keira fissò di nuovo il telefono che aveva in mano. Ma non lo avrebbe più supplicato mentalmente di suonare. Ne aveva avuto abbastanza di sedere immobile nella sua camera aspettando che Shane abboccasse all’amo. Aveva ammesso a se stessa di amarlo. Non poteva più rimanere lì a sperare che decidesse di farsi vivo. Non aveva più tempo. Lui doveva saperlo, e lei doveva dirglielo.

Si alzò e uscì dalla camera, poi corse giù per le scale. Nel pub, fece un cenno a Orin dietro al bancone del bar.

“È andato a casa, vero?” gli chiese. “Da sua madre e da suo padre?”

Il volto di Orin si contorse per l’indecisione. “Mi ha detto di non fartelo sapere.”

Ahia. Quello la ferì. Ma Keira era determinata.

“Non me l’hai detto tu. L’ho capito da sola. Tu hai solo fatto di sì con la testa.”

Orin guardò a destra e a sinistra, come per controllare che non ci fossero testimoni. Poi annuì rapidamente.

Keira gli sorrise, trionfante. Poi si affrettò fuori dal pub, armata di tutto ciò che le serviva: una destinazione, un obiettivo e il cuore palpitante.

CAPITOLO DICIOTTO

Keira stringeva tra le mani il volante della sua auto a noleggio. Riusciva a ricordare solo vagamente dove doveva andare grazie ai buffi cartelli dei nomi delle città, che la facevano ripensare a come Shane aveva mandato le foto a Bryn e a Nina per lei, e a come avevano riso insieme quel giorno. Si stava comportando come una matta, viaggiando verso un posto che aveva visitato una volta sola, per presentarsi alla porta di un uomo che conosceva da meno di un mese per confessargli il suo amore? Già, sembrava decisamente folle nella sua testa. Se solo Bryn l’avesse vista in quel momento.

Era mezzogiorno e Keira si accorse che non aveva pranzato e non aveva alcun modo di procurarsi del cibo nelle prossime ore. Ma non le importava. Poteva fare a meno del sostentamento.

Il viaggio sembrò durare per sempre. Tutta l’adrenalina che le attraversava il corpo non aiutava, dato che aveva l’effetto di far sembrare più lento il passaggio del tempo. Di tanto in tanto controllava il telefono, sperando che Shane la richiamasse e tranquillizzasse almeno in parte la sua paura di essere rifiutata. Ma non fu così. Si chiese se avesse ascoltato il suo messaggio vocale più recente, e se l’aveva fatto che cosa ne aveva pensato. La odiava? Sarebbe rimasto poco colpito, o persino offeso, quando lei si fosse presentata a casa sua come una donna posseduta? Ma poi ripensò a Simon e Sylvia, al loro consiglio, le loro parole e il loro amore. Erano loro a spingerla a continuare. Tutti i suoi ricordi del festival confluirono insieme nella sua mente, ognuno un gradino che l’aveva portata più vicina a quel punto, trasformandola sempre di più in un’inguaribile romantica.

Impiegò in tutto quattro ore per ritrovarsi in una strada che riconosceva, la via principale del paesino di Shane. Ricordò le battute che aveva fatto sui diversi luoghi della città. L’‘ufficio postale’. Il “nightclub”. L’asino Doris. Il cuore le sobbalzò nel petto per l’anticipazione.

Si contorse nel sedile, alla ricerca dell’unica stradina sterrata che portava alla fattoria di famiglia. Tutto sembrava uguale alla volta precedente: strade che erano poco di più che solchi fangosi lasciati dalle ruote di trattori. Poi all’improvviso la vide. Non era certa di che cosa le disse che quella era la strada che stava cercando, dato che era identica alle ultime tre che aveva superato, ma qualcosa dentro di lei la chiamava, e lei l’ascoltò.

Girò il volante sulla sinistra e il motore borbottò in segno di protesta dato che non aveva cambiato la marcia. Di conseguenza si ritrovò a sfrecciare sulla sterrata a una velocità tremendamente eccessiva.

Davanti a sé notò qualcosa che bloccava la strada. Ebbe a malapena il tempo di pigiare il piede sul freno. L’auto si fermò di colpo dietro a un intero gregge di pecore.

Keira fu sbalzata in avanti, tirando la cintura con il petto. Poi rimbalzò all’indietro sullo schienale del sedile. Sentì l’auto spegnersi, poi cadde il silenzio.

Si prese un istante per controllare come stava, per respirare e accertarsi di non aver niente di rotto, nell’auto o nel proprio corpo. Certa di essere tutta intera, Keira lanciò un’occhiata fuori dal parabrezza verso i didietro di un centinaio di pecore. Passare in mezzo a loro era impossibile.

Senza perdere un secondo a meditare sulla sua mossa seguente, Keira aprì la portiera e balzò fuori dall’auto, abbandonandola al centro della sterrata. Dovette strisciare lungo le siepi per riuscire a superare le pecore, che sembravano muoversi come una lenta fiumana. L’odore era poco gradevole, e le pecore non sembravano gradire la sua intrusione. Keira non si era mai accorta di quanto sembrassero minacciose da vicino. La fissarono cautamente, e lei non poté fare a meno di pensare che la stessero squadrando. Deglutì e continuò a spintonarle per superarle.

Presto si ritrovò al centro del gregge. Ovunque guardasse c’era solo lana bianca, così tanta che non riusciva a vedere al di sotto della sua vita. Però sentiva le palline di cacca di pecora che si sfaldavano sotto i suoi piedi.

Alla fine trovò la luce in fondo al tunnel. Era quasi alla fine del gregge. Usò le braccia per aiutarsi a oltrepassare gli animali, come se si stesse dando la spinta in mezzo all’acqua. Poi all’improvviso fu libera. Non perse tempo e corse per il sentiero fino alla casa.

Quando arrivò all’abitazione, ansimava per la fatica. Era coperta di sudore e l’odore di cacca di pecora l’aveva seguita fino a lì. Quando abbassò lo sguardo vide che i suoi jeans ne erano coperti, saturati fino alle caviglie. Ma anche se sapeva di avere l’aspetto di qualcosa emerso da una palude, non si scoraggiò.

Si lanciò verso la porta del casolare e iniziò a bussare.

La porta si aprì e all’ingresso si parò Hannah. Spalancò gli occhi quando vide l’aspetto di Keira.

“Keira?” esclamò. “Sei tu?”

Keira fece un profondo respiro, cercando ancora di riprenderlo dopo la sua corsa fino a lì. Tutto ciò che riuscì a fare fu annuire.

“Che cosa ti è successo?” gridò Hannah.

Lei ansimò a fatica la parola ‘pecore’. Puntò con il pollice la strada alle sue spalle.

“Oh, no,” disse Hannah, guardando lungo la sterrata. “Le pecore sono scappate di nuovo.” Lanciò uno sguardo dietro di sé, dentro al casolare. “Papà! Le pecore sono scappate!”

Keira agitò le braccia, cercando di attirare l’attenzione della ragazza. C’era in ballo una faccenda molto più importante delle pecore in fuga!

“Shane,” riuscì a balbettare. “È qui?”

Hannah si interruppe e la fissò sospettosa. “Forse…”

Keira si raddrizzò a fatica, il dolore nel suo fianco acquietato.

“Gli puoi dire che sono qui?” chiese. “Hannah, ti prego? Ho fatto un casino, lo so. Ma devo davvero parlare con lui.”

Hannah incrociò le braccia per sembrare più minacciosa. Era troppo carina perché avesse effetto, ma Keira non glielo avrebbe detto.

“Ci penserò,” disse stringendo le labbra. “Ma non ti prometto niente.”

Chiuse la porta, lasciandola sui gradini della veranda. Keira tese le orecchie oltre l’ingresso, sentendo i rumori dall’altra parte, e il suono delle sorelle di Shane che discutevano animatamente.

La porta si aprì di nuovo e rivelò Calum, con tanto di stivali e il cane da pastore della famiglia ai suoi piedi.

“Ciao, Keira,” disse, sorridendo apertamente. “Sto andando a risolvere il problema delle pecore fuggite.”

Poi si avviò in fretta lungo la sterrata. Keira guardò attraverso la porta aperta e vide le sei sorelle di Shane nel corridoio luminoso e caldo, strette insieme con aria cospiratrice, che parlavano rapidamente.

“Ma Shane ha detto che non vuole vederla,” stava dicendo Neala.

“È stato solo nella foga del momento,” replicò Mary. “Cambierà idea quando saprà che ha fatto tutta questa strada per lui.”

“Dovremmo almeno dirgli che è qui,” concordò Elaine.

“Ma avete visto anche voi quanto si è arrabbiato quando ha ricevuto il suo messaggio in segreteria,” aggiunse Siobhan.

Keira si sentiva in colpa a origliare in quella maniera. Tossicchiò per annunciare la sua presenza. Le sorelle si voltarono, allarmate a vederla davanti al loro ingresso.

“Scusate,” disse lei scrollando le spalle. “Vostro padre doveva sistemare la faccenda delle pecore e ha lasciato la porta aperta.”

Tutte e sei le sorelle la fissarono. Alla fine fu Neala a parlare.

“Keira, dovresti andartene,” disse. “Shane non ti vuole vedere.”

Ma poi Hannah la interruppe. “Ragazze, dovremmo darle una possibilità. Non credete?”

Ci fu un momento in cui le sorelle si scambiarono sguardi, mordendosi le labbra e meditando. Poi alla fine cedettero.

“Suppongo stia a lui,” disse Aisling facendo spallucce.

Hannah sembrò emozionata mentre correva a recuperare Shane. Keira si sentiva un nodo allo stomaco al pensiero di rivederlo, dopo il modo tremendo in cui si erano lasciati.

E all’improvviso lui fu lì, in piedi in cima alle scale.

Vederlo di nuovo spedì un lampo di desiderio attraverso Keira. Le si seccò la bocca, i palmi delle mani presero a sudarle e il suo cure a battere ancora più rapidamente nel petto, rimbombandole contro le costole.

Shane osservò la scena sotto di sé, guardando il gruppo di donne che lo fissava speranzoso dal fondo delle scale. Keira desiderò disperatamente non avere un pubblico. Era già abbastanza imbarazzante così come era.

Shane iniziò a scendere lentamente le scale, avvicinandosi a lei. “Che ci fai qui, Keira?”

La scrittrice guardò i volti delle sorelle, uno dopo l’altro. Tutte la stavano fissando come falchi.

“Potremmo parlare in privato?” chiese.

Shane raggiunse il fondo delle scale e incrociò le braccia “Non credo sia rimasto niente da dire. Penso che tu ti sia già ampiamente espressa con l’articolo.”

“Oh, ma c’è,” esclamò lei. “Fidati di me. Ho così tanto da dire.”

Shane si fermò e sospirò. “Va bene. Ragazze, potreste lasciarci da soli?”

Le sorelle si guardarono l’un l’altra, visibilmente deluse di essere tagliate fuori dal dramma. Ma eseguirono l’ordine e uscirono dal corridoio per entrare in cucina, richiudendosi piano la porta alle spalle. Anche se se ne erano andate, Keira si aspettava che fossero assiepate insieme dall’altra parte della porta per origliare la conversazione, quindi non si sarebbero perse molto.

Con la porta della cucina chiusa, portò tutta la sua attenzione su Shane. Lui sollevò un sopracciglio.

“Beh?”

Keira si fece coraggio. “Non scriverò quell’articolo. Non sono io, non è quello che penso. Stavo cercando di fare colpo sulla persona sbagliata, ma ora so che cosa è importante.”

Shane incrociò le braccia. “Che sarebbe?”

Keira lasciò che le parole sgorgassero dalle sue labbra, la verità, la pura follia dei suoi sentimenti per lui. “Tu, Shane,” balbettò. “Tu e io. È cambiato tutto da quando sono venuta qui, ero solo troppo testarda per capirlo. Non volevo che fosse vero.”

“Che cosa non volevi che fosse vero?”

“Il fatto che mi stavo innamorando di te.”

Le sopracciglia di Shane si sollevarono fino ai suoi capelli. Keira si tese. Non era mai stata più coraggiosa in tutta la sua vita, molto più della volta in cui si era offerta volontaria per l’incarico durante la riunione con Elliot. Era spaventoso ed esilarante allo stesso tempo.

“Tu mi ami?” disse Shane, sembrando sconvolto e incredulo.

Keira alzò le braccia in segno di noncurante rassegnazione. “Già. E domani parto. Non volevo andarmene senza che lo sapessi. E dato che non rispondevi alle mie telefonate, ho deciso di venire qui a dirtelo.”

Non stava andando come Keira aveva sperato. Shane non le stava gettando le braccia al collo né la stava coprendo di baci. Non aveva sorriso e non l’aveva stuzzicata. Il ragazzo allegro di cui si era innamorata non era ancora tornato.

Shane tirò su con il naso. “Che cosa è questo odore?”

“Credo di essere io,” confessò Keira. “Le pecore sono scappate e hanno bloccato la strada. Ho dovuto attraversarle a forza.” Abbassò lo sguardo sui suoi jeans macchiati e si sentì arrossire per l’imbarazzo.

Spostò speranzosa lo sguardo su Shane. Per la prima volta l’uomo permise alla sua dura corazza di incrinarsi, e un sorrisetto divertito gli apparve brevemente sulle labbra. Ma lo nascose subito.

“Devo dire,” iniziò, “che l’attraversamento forzato di un gregge di pecore è il modo più particolare con cui qualcuno mi abbia mai confessato il proprio amore.”

“Particolare in maniera positiva?” chiese con esitazione Keira.

Il sorriso di Shane prese il sopravvento. Sembrava che avesse deciso di smettere di nasconderlo. Poi iniziò a tremare per le risate. Presto prese a ridere rumorosamente e senza alcun controllo. Nonostante tutto, Keira si unì a lui. La risata di Shane era sempre stata contagiosa e in quel momento teso più che mai.