Kitabı oku: «I Puritani di Scozia, vol. 2», sayfa 6
CAPITOLO IX
»Coraggio, amici! anche un secondo assalto.»
Enrico V.
Tutte le notizie potute nella sera di questo giorno raccogliersi da quei del castello confermarono l'opinione, che l'esercito dei Presbiteriani moverebbe sullo schiarire della domane alla volta di Tillietudlem. Intanto Pique avea visitate le ferite di lord Evandale, che erano bensì molte, ma niuna di esse pericolosa. La copia di sangue perduto fu appunto quella che lo salvò dal sopravvenir della febbre; laonde a malgrado della spossatezza, e comunque tuttavolta assai sofferisse, volle nel mattino susseguente alzarsi di buonissim'ora. Nè essendosi potuto persuaderlo tampoco a rimanere nella sua stanza, venne sorregendosi ad un bastone laddove più ferveano i lavori della difesa, a fine d'incoraggiare colla presenza propria i soldati, di esaminare le fortificazioni ordinate dal maggiore, ed anche, poichè queste poteano temersi troppo ligie agli antichi principj di far la guerra, a fine d'indicare, ove fosse stato d'uopo, qualche utile cambiamento. Nè aveavi al certo chi più atto fosse di lord Evandale a fornire in tal bisogna ottimi suggerimenti. Datosi all'armi fin dalla prima sua giovinezza, segnalato si era co' servigi prestati in Francia e ne' Paesi Bassi; sicchè l'arte militare era stata lo studio principale della sua vita. Nondimeno poche cose trovò da aggiugnere a quanto vide già apparecchiato per fare una valevole difesa, e salvo un blocco che la mancanza di vittuarie potea render fatale, giudicò che non vi sarebbe stato a temere d'un assalto, regolato principalmente da tai nemici quali venivano reputati que' raunaticci combattenti, già presti però a mostrarsi sotto le mura.
Appena spuntava il sole che il ridetto lord stando insieme col maggiore sopra la torre avea data l'ultima occhiata agli apparecchi di difesa, nè più aspettavasi che l'avvicinar del nemico.
I due esploratori, de' quali Jenny fe' parola a miss Bellenden, aveano già dato ragguaglio delle cose osservate a lord Evandale, che le partecipò indi al maggiore; questi nondimeno ostinossi a non voler credere che Morton avesse presa parte pei sollevati.
»Lo conosco meglio di voi, dicea Bellenden al lord: que' vostri due mariuoli non avranno ardito innoltrarsi; gli ha forse ingannati da lontano qualche tratto di somiglianza, o prestarono fede alla prima storiella che venne lor raccontata.»
»Non sono io già del vostro avviso, o maggiore; e credo anzi che il vedremo a capo de' sollevati; e ne proverò più rincrescimento assai che sorpresa.»
»Voi non valete meglio di Claverhouse, gli rispose sorridendo il maggiore. Anche egli ieri mi sosteneva in faccia che questo giovane, fornito parimente di coraggio e di nobile orgoglio, questo giovane che non la cede a chicchessia in buone massime, avea sol duopo d'una circostanza opportuna per farsi capo di ribellione.»
»Quand'io considero in qual modo venne trattato, soggiunse Evandale, quando penso ai sospetti che furono formati sopra di lui, non saprei troppo dirvi se gli rimaneva miglior partito. Saremmo stati infine noi stessi che l'avremmo lanciato, con mani e piedi legati in mezzo ai ribelli: nè potrei dirvi se meritasse piuttosto biasimo o compassione.»
»Biasimo, milord! Che parlate voi di compassione? Se quanto dite fosse vero, il capestro! nè mi disdirei quando anche fosse mio figlio. Compassione?.. Ma voi stesso, o milord, non la pensate così.»
»Vi do la mia parola di soldato, o maggiore, penso così; nè è da oggi in poi solamente che penso essersi abbracciate provvisioni violente troppo e rigorose a danno di questa infelice contrada. Noi, i primi, ci portammo a riprovevoli estremi, noi inacerbimmo gli animi, non dirò solamente della classe subalterna del volgo, ma anche di tutti quelli più ragguardevoli che, spirito di parte o antica divozione ad una dinastia, non incatenarono alle bandiere del re.»
»Io poi non so di politica, mio caro milord, e queste distinzioni son troppo sottili per me. La mia spada non appartiene che al re, e son pronto a sguainarla ogni volta ch'egli il comandi.»
»Spero, o maggiore, vi siate accorto che nemmen la mia sta incollata nel fodero; bramerei però, e lo bramerei con tutto l'animo, non dover farne uso che contra nemici stranieri… Ma lo vedo anch'io; non è buon momento a discutere tale quistione, perchè il nemico si avanza.»
Di fatto l'esercito de' sollevati incominciava a scorgersi sopra d'una collina poco distante dal castello, e a questa volta s'era indiritto, ma fe' pausa prima d'essere a gittata delle batterie della torre, dando a divedere perplessità circa l'avventurarsi a tale saluto. Il ridetto esercito apparve più numeroso di quanto erasi immaginato e giudicandone dal fronte e dalla profondità dei battaglioni, si dovette conchiudere ch'esso aveva ricevuti parecchi rinforzi. Tre o quattro uomini a cavallo che ne sembravano i condottieri s'avanzarono a capo di quelle schiere, e raggiunsero una picciola eminenza vicinissima a Tillietudlem.
Gudyil che, come artigliere, avea qualche perizia in tal genere di fazioni, puntò un cannone alla dirittura di questo gruppo di uomini distaccato, e voltosi al maggiore. »Debbo trarre, mio comandante? vi prometto che qualcun di costoro non si partirà più dal luogo dove è venuto.»
Il maggiore die' un'occhiata a lord Evandale.
»Un momento! disse l'altro. Vedo che spiegano una bandiera bianca.»
Di fatto un di que' cavalieri scese da cavallo, e s'incamminò solo verso il castello, portando una picca sopra cui sventolava un bianco vessillo. Il maggiore e lord Evandale scesero dalla torre, e s'inoltrarono fino all'ultimo palizzato a fine di ricever l'araldo; chè non pensarono espediente cosa dargli accesso entro una fortezza ove erano deliberati a difendersi. Nell'atto che partì il messo puritano, gli altri suoi compagni tornarono ad unirsi all'esercito, quasi presagissero le buone intenzioni che per riguardo loro avea manifestate Gudyil.
L'araldo de' Presbiteriani, giudicandone alla fisonomia e al portamento, sembrava gonfio di quell'orgoglio spirituale, che è il caratteristico di cotal setta. Una specie di sprezzante sorriso ne animava le labbra, e i suoi occhi socchiusi volgendosi al cielo indicavano uomo che ha in non cale le cose terrene, per darsi intieramente alle celestiali contemplazioni.
Lord Evandale non potè starsi dal ridere in riguardando quella grottesca figura, cui si fece a scandagliar meglio per traverso ai vani del palizzato.
»Vedeste mai un simil automa, diss'egli al maggiore; non diremmo che si move per un giuoco di suste? Crediamo che abbia il dono della parola?»
»Oh sì! rispose il maggiore. Colui mi rimembra vari antichi miei conoscenti. Egli è un vero Puritano, dell'effettivo lievito farisaico. – State attento. Tossisce; m'aspetto che fa un'intimazione al castello, non già a suon di tromba, ma con un pezzo di predica.»
Nè s'ingannava nelle sue congetture il maggiore, che nelle precedenti guerre civili aveva avute parecchie occasioni di conoscere il gergo e lo stile di questi fanatici; la sola differenza si fu che in vece d'un pezzo di sermone in prosa, lord Langfern (che era questo inviato) intonò con voce stridula e acuta il seguente squarcio di salmo parafrasato.
»Vostre porte superbe si schiudano,
»Abbassate le vinte bandiere,
»Re mondani. Del re delle sfere
»Le falangi qui volgono il piè.»
»Non ci ho io indovinato?» disse il maggiore a lord Evandale.
Allora presentatisi entrambi all'uscio del cancello, il maggiore domandò al messo a qual fine fosse venuto ululando dinanzi alla porta del castello a guisa di cane che abbaia alla luna.
»Io vengo (si fe' a rispondere senza salutarli e tenendo sempre il tuono medesimo quell'araldo) io vengo a nome dell'esercito religioso e patriottico de' Presbiteriani per favellare al giovane figlio di Belial Guglielmo Maxwell, detto lord Evandale, e al vecchio peccatore indurito, Miles Bellenden di Charnwood.»
»E che cosa avete a dir loro?» chiese il maggiore.
»È forse ad essi ch'io parlo in questo momento?» soggiunse lord Langfern.
»Sì, rispose il maggiore; qual'è la commissione che avete?»
»Eccovi l'intimazione che v'indirigono i comandanti dell'esercito (disse il messo, consegnando uno scritto nelle mani di lord Evandale) ed ecco altra lettera per Miles Bellenden. Glie la invia un giovine che ha l'onore di comandare una fra le divisioni dello stesso esercito. – Leggete alla presta, e possa il cielo far fruttare ne' vostri cuori le parole che siete per leggere! cosa però sulla quale dubito grandemente.»
Era concetta ne' seguenti termini l'intimazione.
»Noi capi dell'esercito presbiteriano, radunato per la causa della libertà e della vera religione, intimiamo a Guglielmo Maxwell lord Evandale, a Miles Bellenden di Charnwood, e a tutti gli altri che ora si stanno in armi entro la rocca di Tillietudlem, il prestarsi immantinente alla dedizione della stessa rocca, concedendo loro il patto d'aver salva la vita, e di poter ritirarsi colle loro armi e bagaglie. Caso che ricusino: gli avvertiamo, come sapremo a ciò costringerli col ferro, e col fuoco: nè vi sarà per essi altra speranza d'ottener quartiere.
S. Iohn Balfour di Burley, quartier mastro generale dell'esercito Presbiteriano per se e per gli altri capi, d'ordine del Consiglio.»
La lettera che Enrico Morton indirigeva al maggior Bellenden era del tenore che segue.
»Mio rispettabile amico
Ho fatto un passo che può portarmi conseguenze sgradevoli, e quella, io pavento soprattutto, d'avventurarmi alla vostra disapprovazione. Mi trovai in carriera, senza averne avuto nè l'idea nè il desiderio nè la previdenza, e costretto da quella oppressione, di cui chiamo in testimonio voi stesso s'io non sono stato la vittima. Non posso però pentirmi di quanto operai, e la mia coscienza è tranquilla sulle conseguenze, quali esse siano, che deriveranno dalla mia presente condotta. M'era egli lecito di vedere più a lungo calpestati i nostri diritti, violata la nostra libertà, fatto oltraggio alle nostre persone, sparso il nostro sangue senza motivo e senza l'appoggio d'alcun giudizio legale? Le colpe de' nostri persecutori trarranno seco il termine della loro tirannide.
Nondimeno Dio, che vede nell'intimo del mio cuore, mi giudichi s'io partecipo alle passioni violente ed odievoli della maggior parte di coloro che combattono nelle nostre file. I miei voti i più ardenti sono per vedere imposto un fine sollecito a questa guerra contro natura, i miei voti sono perchè al lodevole scopo si adoperi l'intervento d'uomini moderati e prudenti d'entrambe le parti, i miei voti sono affinchè si ottenga il ritorno stabile di una pace, che senza diminuire in conto alcuno i diritti costituzionali del re, ponga in vece del militare dispotismo la giustizia delle civili magistrature, e permettendo a ciascuno di onorar Dio giusta i dettami della propria coscienza, incateni l'entusiasmo fanatico colla ragione e colla dolcezza anzichè spignerlo alla frenesia cogli urti della intolleranza e della persecuzione.
Poichè tali sono i principj che mi guidano, voi dovete comprendere quanto ella sia acerba cosa per me l'essere in armi dinanzi al castello della rispettabile vostra parente. Veniamo assicurati ch'è vostra intenzione il difenderlo contro di noi. Permettetemi il porvi innanzi agli occhi che una tale deliberazione non condurrebbe se non se ad un inutile spargimento di sangue. Voi non aveste il tempo bastante agli apparecchi d'una convenevol difesa, e quand'anche i nostri non pervenissero ad impadronirsi per assalto del castello, la mancanza di vittuarie ben tosto vi costringerebbe, voi medesimi, a cederlo. Fosse in un modo o nell'altro, il cuor mi si spezza in pensando alle sciagure ed ai patimenti, cui si troveranno avventurate le persone che vi soggiornano.
Non v'avvisaste ciò non pertanto, rispettabile amico, ch'io volessi vedervi accettar patti intesi in qualsisia modo ad oscurare l'inviolata fama che vi siete e meritata ed acquistata. Adoperate ch'escano fuor del castello quanti soldati reali or vi si trovano, ed io ne farò sicura la ritirata, e mi riprometto che altro patto non si pretenderà da voi fuori di quello d'una assicurazione di neutralità per tutto il corso di questa guerra malaugurata. Voi non avrete l'onere di ricevere sorte alcuna di guernigione, e i dominj di lady Margherita verranno rispettati al pari de' vostri.
Potrei allegarvi molt'altri motivi atti a persuadere sulla ragionevolezza di mie proposte; ma nella tema, attesi i momenti in cui siamo, di apparire colpevole dinanzi a voi, prevedo come ogni ragionamento perderebbe forza sul vostro animo. Conchiudo pertanto accertandovi che, comunque sul conto mio la pensiate, non si partirà mai dal mio cuore la grata rimembranza di quanto io vi debbo, e che avrò per l'istante il più felice della mia vita quello in cui mi riesca convincervi meglio che con parole di tali miei sentimenti. Coerentemente ad essi vi avverto affinchè, se mai, cosa ella pure possibile, nel primo bollore delle idee che or vi commovono, rigettaste le mie proposte, indi la natura degli avvenimenti vi rendesse proclive ad accettarle, non vi stiate dal farmi note le vostre nuove deliberazioni, e crediate che avrò sempre qual mia fortuna, il potervi essere di qualche vantaggio.
S. Enrico Morton.»
Il maggiore lesse tutta la predetta lettera con tale indignazione che non si studiò certamente a nascondere.
»Oh l'uomo ingrato! oh l'uomo perfido! (andava esclamando nel rimettere la stessa lettera a lord Evandale). Ribelle per calcolo, senza avere nè manco la scusa dell'entusiasmo che trascina quegli altri sciagurati fanatici! Ah stolto io! non dovea mai dimenticarmi ch'egli era di schiatta presbiteriana. Doveva accorgermi ch'io accarezzava un giovine lupo; pronto nell'ingrandire a volermi sbranare. Non v'è che dire. Se san Paolo tornasse sulla terra, e fosse presbiteriano, in tre mesi diventerebbe un ribelle. La semenza della ribellione, costoro l'hanno nel sangue.»
»Certamente io sarei l'ultimo, soggiunse lord Evandale, a proporre la resa del castello. Ma… e se ne verranno a mancare i viveri, se non riceviamo i promessi soccorsi!.. Non potremmo almeno profittare di questa via di corrispondenza, che la sorte or ne appresenta, per assicurare una ritirata alle signore del castello?»
»Le signore del castello, rispose il maggiore, soffriranno qualsivoglia estremità, anzichè dovere salvezza a questo ipocrita dalla lingua dorata. Ma s'incominci dal congedare lo spettabile ambasciatore. – Tornate a' vostri comandanti, disse indi a Langfern, e dite loro che ogni qualvolta non avessero una fiducia, di nuovo genere affatto, sulla durezza de' propri cranii, non li consiglio venirli a fregare contra queste vecchie muraglie6. Avvertiteli ancora di non mandarne oltre parlamentari, o li faremo appiccare in contraccambio della morte del tenente Graham, vittima di un loro assassinio.»
Con sì fatta risposta ritornò il messo ai suoi commettenti. Giunto che fu all'esercito, tumultuose grida s'intesero per ogni dove, e dispiegata immantinente la bandiera rossa orlata d'azzurro, tutti presero la via del castello.
Nello stesso tempo sventolarono sulla torre di Tillietudlem e lo stendardo reale e l'antica bandiera della famiglia Bellenden; ed una scarica generale di tutta l'artiglieria del castello portò nelle prime file de' sollevati tal perdita, che disordinò per qualche istante l'esercito.
»Credo, disse Gudyil nel far ricaricare i cannoni, che abbiano trovato il nido del falco tropp'alto per potervi arrivare.»
Cionnullameno l'esercito continuava innoltrandosi, e già una delle sue divisioni trovavasi nel viale che guida al castello. Quand'ella si pensò a gittata d'archibuso, sparò tutte le sue armi da fuoco contro la torre, fazione che tornò inutile affatto; indi una smannata di picchieri condotta da Burley s'avanzò risoluta sino al primo palizzato, e forzatone l'ingresso ferì alcuni di quelli che il difendeano, costrignendo gli altri a ritrarsi fino al secondo. Ma qui si ristette tutto il buon successo ottenuto allora dai Puritani. Perchè il guadagnato terreno li mettea scoperti e senza difesa contro il trarre de' cannoni della torre, intanto ch'essi non poteano nuocere ad un nemico difeso dalle fortificazioni e trinceratosi dietro de' palizzati. Furono quindi obbligati a ritrarsi con perdita; il qual partito però non presero se prima non ebbero distrutta la prima trincea in guisa tale da renderne impossibile il restauramento.
Burley non solamente fu l'ultimo a ritrarsi, ma solo un istante vi rimase, armato d'una picozza di cui si valse ad atterrare l'ultimo pilastro del palizzato senza scompigliarsi per le molte palle che gli fischiavano attorno.
L'infruttuoso assalto rialzò il coraggio dei difensori del castello altrettanto quanto fece accorti i Puritani della saldezza di quella piazza che avean divisato intraprendere. Quindi al tentativo d'un secondo assalto posero innanzi maggiori cautele. Intanto una banda d'ottimi cacciatori che avea Enrico Morton per duce fe' un giro intorno a que' boschi ed aggiunse tal sito, d'onde potea tribolare i difensori del secondo palizzato, intantochè Burley con più forte corpo di truppa gli assaliva di fronte.
Compresosi dagli assediati in qual pericolo tale fazione ostile li conducesse, si diedero ad impedire l'avvicinamento di Morton col trarre sulla banda de' suoi tutte le volte che rimaneva scoperta. E questi per parte loro oppose coraggiosa intrepidezza e valore, del che doveasi soprattutto la lode al giovine duce, il quale facea parimente mostra di sua perizia, e nel collocare i propri soldati quanto al sicuro poteasi dal fulminar del castello, e nell'arrecar molestia ai nemici.
Più volte ingiunse ai suoi combattenti di far bersaglio alle scariche dei loro archibusi piuttosto i dragoni che qualunque altro difensor del castello, e massimamente di risparmiare i giorni del vecchio maggiore, trasportato sempre dalla sua intrepidezza ai siti i più perigliosi. Per tal guisa continuò il suo cammino di macchia in macchia, di dirupo in dirupo fra 'l continuo trarre dei nemici archibusi, sintantochè pervenne al campo ch'egli intendea ad occupare. Potè allora indirigere i tiri contro coloro che difendevano il palizzato, e Burley vantaggiando della confusione cui portò fra essi l'assalto laterale, fece furioso impeto di fronte, e forzata la seconda trincea, spinse i nemici fino alla terza, ed entrandovi insieme con essi gridò con quanto avea fiato »Uccidete! Non quartiere ad alcuno! È nostro il castello.» I più intrepidi fra' suoi soldati, animati da questo grido, precipitosamente il seguirono, mentre gli altri impiegavano il tempo a distruggere il secondo ed il terzo palizzato.
Lord Evandale non potè rattenere più a lungo la propria impazienza. Col suo braccio al collo si fe' capo di quelli che tuttavia rimanevano nel castello, e incoraggiandoli colla voce e col gesto, operò una sortita in soccorso de' suoi che in quel punto Burley strettissimamente incalzava; il qual rinforzo restituì l'equilibrio alla pugna. Perchè certamente stava pe' sollevati una superiorità, a proporzione immensa, di numero; ma tale vantaggio era di pochissimo conto nel terreno ove era la battaglia e dove non potea presentarsi un fronte maggiore di otto o dieci uomini. Male armati oltre a ciò i Puritani, aveano soprappiù lo svantaggio d'ignorare i principj degli assalti e delle difese. La lotta rimase per qualche tempo indecisa, nè alcuna delle due parti potea vantarsi d'un buon successo di qualche importanza; ma in mezzo a cotale scena di confusione poco mancò che un incidente non preveduto ponesse nelle mani degli assedianti il castello.
Cuddy era nel numero de' cacciatori capitanati da Enrico Morton; Cuddy che conoscea a perfezione fino l'ultima macchia, fin l'ultima punta di rupe che trovavasi ne' dintorni di quel castello. Cento volte egli era stato in compagnia di Jenny a raccorre nocciuole ne' boschi di Tillietudlem. Non difettava già di coraggio; ma ad un tempo non era studioso di cercare i pericoli pel diletto semplice d'affrontarli, o per l'ardor della gloria che glie ne potesse derivare. Al primo accorgersi, poichè egli perteneva al retroguado, che dal castello si traeva su la sua banda, prese la sinistra seguito da tre o quattro compagni; e attraversando un fitto bosco che gli era notissimo, pervenne sotto le mura del castello ad un fianco d'esso opposto diametralmente a quello cui l'assalto s'indirigea; angolo di rocca cui nemmeno si era pensato di affortificare, perchè, situato sull'altura d'una scoscesa montagna e cinto d'ogni lato di precipizi, credeasi che la natura lo avesse affortificato a bastanza. Certamente niun esercito avrebbe avvisato di assalire il castello da tale punto, d'onde bastavano gli sforzi di pochi fra gli assediati a precipitare giù dal monte quei che fossero giunti ad inerpicarsi fin là; nè que' di dentro solamente sognavano che pochi uomini affronterebbero tale rischio, mossi da studio di evitarne uno men rilevante.
Quivi appunto era quella tal finestra, d'onde raccomandatosi ai rami d'un vicino salice7 Gibby uscì furtivo del castello per portare al maggiore una lettera di miss Editta.
»Eccoci ad una stazione ch'io conosco assai bene, disse Cuddy, appoggiandosi per pigliar fiato al moschetto. Sono pur tante le volte che ho aiutato Jenny Dennison a calare di contrabbando da questa finestra per venir meco ne' boschi a diporto!»
»E chi ne impedisce ora d'entrare di contrabbando per la medesima via?» soggiunse tosto un compagno di Cuddy, un di que' galeoni non avvezzi a misurar troppo le imprese che affrontano.
»Chi ce lo impedisca non vedo, rispose Cuddy. Ma che cosa poi ne ritrarremo?»
»Che cosa ne ritrarremo? siamo in cinque. Tutti sono fuor del castello. Ce ne impadroniremo intanto che gli altri si battono fra i palizzati.»
»Sia! disse Cuddy; ma badate bene che nessuno di voi tocchi solamente, o Jenny, o miss Editta, o la vecchia signora, o il vecchio maggiore, o nessuno in somma di quei che son del castello. Lavorate addosso ai dragoni, non m'oppongo. Di questi, fatene quel che volete, ma…»
»Su via! rispose l'altro; incominciamo dall'andar dentro, poi vedremo quel che torni meglio operare.»
Spinto così da' suoi compagni Cuddy sembrava avanzarsi di mala voglia. La voce segreta della coscienza gli rimprocciava tale atto come un mal guiderdone alla bontà che lady Margherita usò per lungo tempo così a lui come alla sua famiglia; per altra parte ei non sapea quale accoglienza lo aspettasse nella stanza ove parlavasi di penetrare. Cionullameno ascese il salice. Due compagni vennero dietro lui e a far lo stesso si apparecchiavano gli altri. Angustissima era quella finestra, guernita un tempo di una grata di spranghe di ferro, poi staccatesi, fosse per forza di tempo, o fosse per quella de' subalterni che trovassero tal cosa espediente alle uscite loro clandestine. Divenia quindi facilissimo l'introdursi semprechè non si trovassero di dentro persone ad impedire, ed era di quanto Cuddy, prudente in ogni occasione, voleva accertarsi innanzi commettersi a questa impresa pericolosa. Sordo quindi alle preghiere e alle minacce di quelli che lo seguivano, allungava il collo per fare le sue osservazioni al di là della finestra, allorchè la testa di lui fu veduta da Jenny Dennison, postasi allor di piè fermo in quella stanza, siccome luogo della rocca il più di tutti appartato. Ella mise uno spaventevole grido e corsa al cammino s'impadronì d'una pentola di minestra bollente che stava apparecchiandosi per la colezion de' soldati, e ne irrugiadò il capo a Cuddy e a' suoi compagni.
Fin quando ne udì il primo grido, Cuddy non pensò che a fare la sua ritirata. Buon per lui che in quel momento aveva abbassata la testa, e coperta in oltre dall'elmetto di Bothwell, ereditato da Cuddy unitamente al farsetto di cuoio di bufalo che aveva addosso. Tutto il suo male quindi si ridusse ad alcune vesciche di scottatura nelle poche parti del suo corpo non riparate; ma i colleghi di lui che, per farlo andare innanzi e impedirgli d'indietreggiare, tenevano il naso in alto, furono, qual più, qual meno, arsi dal bollente liquido, talchè pensarono certamente a tutt'altro fuorchè ad impacciare la ritratta a Cuddy, il quale si lasciò cader giù dall'albero ben più presto che non v'era salito, e insieme agli altri tenne il sentiero più breve e men pericoloso onde raggiugnere l'abbandonato retroguardo.
In questo mezzo Jenny, che il solo terrore avea spinta a compiere tale impresa, non cessava pel cessato pericolo dal mandar grida di spavento, e trascorreva tutta la rocca gridando, »al ladro! al fuoco! all'assassino! È preso il castello»! Voci cui ripeteano, tutte l'altre ancelle senza conoscerne la cagione; e ne crebbe tanto il romore che giunse all'orecchio sin del maggiore, comunque inteso alla battaglia de' palizzati. Così questi come lord Evandale vennero allora in timore di una sorpresa sopra qualche altro punto operata; laonde giudicarono buon partito il limitarsi alla difesa dell'interno del castello, ove rientrarono co' propri soldati, abbandonando ai Presbiteriani tutte le esterne fortificazioni.
Fu un trionfo pe' secondi tale ritratta dei Reali, ma un trionfo sol di amor proprio, perchè oltre all'aver provata gravissima perdita, coll'occupare i palizzati non aveano gran che progredito nella probabilità d'impossessarsi del castello, le cui mura grosse e saldissime opponevano tal resistenza che il solo cannone poteva atterrare. L'esercito presbiteriano adunque dopo d'avere compiutamente distrutte quelle trincee, si mise fuor di gittata del cannone della torre a fine di risolvere sul partito che conveniva meglio in appresso.
Per altra parte lo stato degli assediati era tale da ispirar loro tutt'altro che sicurezza. Oltre a' molti feriti, aveano perduti tre de' lor combattenti. Del certo contavano una perdita senza confronto maggiore i nemici, ma considerando di più che l'esercito ogni dì ne ingrossava, sì fatta perdita non poteva tornare ad essi funesta, siccome una, comunque più tenue, lo diveniva ad una guernigione di già affievolita, e priva d'ogni modo di reclutare.
L'accanimento dato a divedere nel secondo assalto dai Presbiteriani poteva giustamente far credere che i capi fossero venuti nella ferma risoluzione di impadronirsi di quella fortezza, tanto più che se avessero avuto tale divisamento, ben secondavali lo zelo de' lor soldati. Quanto offeriva maggiore motivo di tema a que' del castello si era la penuria, nella supposizione che il nemico avesse ricorso ad un blocco per farlo cadere. Perchè tutte le ordinanze date dal maggiore non ottennero che la piazza fosse vittovagliata quant'egli avrebbe voluto, nè v'era vigilanza che fosse atta ad impedire il giornaliero e continuo rubacchiar dei dragoni. Fu pertanto in mezzo a tali sconfortanti meditazioni che il prode Bellenden pensò a far chiudere la finestra d'onde poco mancò a Cuddy che non sorprendesse il castello, e ad estendere tale provvedimento a tutte l'altre finestre, che avessero potuto presentare occasione a non dissimile tentativo.