Kitabı oku: «Samos», sayfa 2

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«Avevamo la situazione sotto controllo» continuò il naufrago più robusto «quando le truppe romane, inviate dal console Appio Claudio, ci sorpresero sbarcando dietro le nostre linee e sconfissero le truppe del re Gerone per poi attaccarci alla nostra base del promontorio Peloro. Il fatto è che l'esercito romano era impressionante, molto ben organizzato; eppure, l'abbiamo quasi sconfitto, ma la battaglia si estese fino al mare e diverse navi, compresa la nostra, furono separate dal gruppo principale. I romani se ne accorsero e una mezza dozzina di trireme romane ci inseguirono per darci la caccia. Senza dubbio hanno pensato che Gerone stesso o un suo parente fosse su una delle nostre navi. Il primo giorno distrussero le altre due navi, noi riuscimmo a fuggire per giorni fino ad avere in vista la vostra isola.» Bevve un po' dell'infusione aromatica per schiarirsi la gola. Alla fine, la scorsa notte ci hanno dato la caccia, ci hanno abbordato di sorpresa e hanno scatenato una carneficina a bordo. Tre di noi, gettandoci in mare, siamo riusciti a sfuggire al massacro a cui siamo stati sottoposti.

«Ma voi siete solo in due» lo interruppe Almice con ansia.

«Sì, hai ragione, Ascipo è annegato poco prima dell'alba.» L'espressione dello straniero era triste.

«Ci dispiace» Hermes voleva scusare suo figlio per l'indiscrezione.

«Non preoccupatevi, sono cose che accadono, il destino che gli dèi hanno in serbo per noi è inappellabile; Melkart ed Eshmun lo sanno bene. Ora dobbiamo prepararci a tornare al più presto nel nostro Paese. Non sappiamo cosa sarà successo in Sicilia.»

«Stamattina, io e mio figlio abbiamo visto una nave romana in navigazione qui vicino.»

«È possibile, i romani sono esperti nel trovare e finire i naufraghi, forse altri compagni sono riusciti a fuggire gettandosi in acqua per cercare di salvarsi la vita.» I bambini erano rimasti con gli occhi spalancati.

«Bene, suppongo che sarete stanchi e vi piacerebbe dormire un poco» lo interruppe Hermes, che non voleva che il naufrago entrasse in dettagli più cruenti di fronte ai figli. Si alzò indicando i bambini. «Noi abbiamo altre faccende, quindi approfittate per riposare, mia moglie ha preparato i letti in modo che possiate dormire comodamente. Domani vedremo come organizzare il vostro ritorno. Forse qualche nave può portarvi in una delle vostre colonie.»

«Vi siamo molto riconoscenti. Fortunatamente abbiamo raggiunto terre in cui Roma ha meno influenza. Hanno ancora paura di quelle che furono le terre del grande Alessandro.»

«In effetti, la nostra isola è governata da Tolomeo d'Egitto, qui non dovete temere nulla dai romani» il loro anfitrione li confortò.

I figli di Hermes e Niobe uscirono di casa, le storie raccontate dai naufraghi li avevano trasportati in altri luoghi di cui non conoscevano nemmeno che l’esistenza. Avevano parlato di battaglie che udite solo nelle storie dei loro dèi e degli antichi eroi greci, battaglie che d'altra parte sembravano distanti nel tempo. Dopotutto, a Samos l'unico pericolo esterno che li minacciava era un abbordaggio pirata, sebbene ciò accadesse solo in alto mare.

Telma, notando come la storia avesse impressionato la sua sorellina, prese Janira tra le braccia e le spiegò con cura che i cartaginesi avevano esagerato un po' con il racconto, che né i romani né nessun altro avevano fatto quelle cose cattive e che non doveva preoccuparsi. Nel frattempo, Nerisa e Almice commentavano la storia raccontata dai naufraghi, immaginando le situazioni vissute dai marinai cartaginesi e i meravigliosi luoghi da cui provenivano.

Hermes lasciò la casa dopo un po' e guardò di traverso Niobe. Lei era ancora arrabbiata e contemplava l'orizzonte con un'espressione seria. Gli dispiaceva che fosse stata così fredda con gli ospiti. Per un momento pensò di convincerla, ma si arrese immediatamente e si rivolse ai figli.

«Telma, Almice, oggi è stata una giornata insolita, andate alla grotta per giocare e al crepuscolo verremo a cercarvi per la cena, così i nostri ospiti avranno riacquistato le forze. Nel frattempo, noi porteremo il pesce ad Andreas in modo che oggi sia lui a consegnarlo alla taverna per venderlo. A quest'ora ne ricaveremo poco, ma sarà meglio di niente.»

I bambini furono d'accordo e andarono in spiaggia per proseguire lungo la riva fino al molo e prendere il sentiero che conduceva alla grotta. Il mormorio del mare poteva essere udito perfettamente da dove si trovavano. La leggera brezza marina si era trasformata in un'aria gioiosa che increspava le onde provocando piccole corone di schiuma sulle loro creste.

Quando arrivarono al molo, Almice si avvicinò alla barca per verificare che fosse ben ormeggiata. Sebbene la caletta fosse ben protetta dal mare, non si poteva mai sapere. Le sue sorelle aspettarono che finisse e raccolsero un'altra rete, già completamente asciutta, per rammendarla nella grotta. L'aria era appena percettibile all'interno della grotta, soffiava dal lato opposto dell'ingresso e questo consentiva una piacevole temperatura nel loro spazio di gioco. Janira e Nerisa continuarono a giocare con le loro conchiglie mentre Telma e Almice iniziarono a lavorare con la rete.

Il pomeriggio trascorse rapidamente per tutti e quattro. Quando Telma e Almice finirono con la rete, presero le bambine e iniziarono a raccogliere piccoli granchi e cirripedi che vivevano tra le rocce sul mare. Le piccole pozzanghere, formate sulle rocce erose quando l'acqua del mare si ritirava dopo la marea, servivano da contenitori improvvisati in cui i granchi erano a loro agio, un po' più al caldo e più protetti che nel mare. La raccolta fu abbondante e divertente. Nerisa trovò un piccolo polpo a poca profondità e si divertirono a cercare di farlo uscire dalle rocce.

«Si sta già facendo buio, Almice, dovremmo andare a casa, non credi?» Telma voleva riposare, l'intera giornata a prendersi cura delle sue sorelle poteva essere estenuante. Inoltre, si rammaricava di non aver potuto portare il pesce alla taverna, così avrebbe visto il bel figlio del padrone di casa. Magari suo padre le avesse organizzato il matrimonio con lui. Doveva farglielo capire più chiaramente la prossima volta che avrebbero parlato.

«Hai ragione, avrebbero già dovuto avvisarci, resta con le piccole mentre porto le reti a casa e chiedo se possiamo tornare per cenare.»

Almice lasciò la grotta scavalcando le rocce dell'ingresso carico di reti. Cominciò a camminare lungo la spiaggia sulla sabbia bagnata verso il molo. Il vento, sempre più fastidioso, schiantava minuscoli granelli di sabbia contro le sue gambe. Lungo la strada immaginava di navigare in mare aperto a bordo di una grande nave e di gettare l’ancora in tutti i porti. Il sole era appena scomparso dietro le montagne e la luce cominciava a declinare. Guardò verso casa sua e scorse la fiamma del focolare dietro le assi consunte che chiudevano la finestra. Oltrepassò il molo e pensò di lasciare le reti nella barca; ma a suo padre non piaceva lasciarle lì di notte da quando un anno fa si erano rotte durante una tempesta, qundi decise di portarle direttamente a casa.

Era già vicino quando un grido soffocato proveniente dall'interno dell’abitazione lo travolse. Avrebbe giurato che fosse suo padre. Ci fu un momento di silenzio, che sembrò un'eternità e poi la porta si aprì di colpo. Almice istintivamente si buttò a terra accanto a un piccolo tamarindo, per paura di essere scoperto. Notò come la sua fronte iniziava a sudare. Tre uomini corpulenti uscirono di casa trascinando un corpo che riconobbe come quello del cartaginese più magro. Parlavano agitati in una strana lingua. I loro vestiti marroni li facevano sembrare più cupi.

Aspettò accovacciato dietro i rami, nascosto tra l'oscurità crescente, che quegli estranei si allontanassero in direzione della piccola pineta dietro la casa. Senza sapere cosa fare, decise di entrare, non si udiva alcun rumore e la porta era rimasta aperta. Depositò le reti di nascosto a pochi passi. Avanzò lentamente, senza fare il minimo rumore. Non si percepiva nessun movimento all'interno.

La paura si impadronì del giovane ragazzo, afferrando e tendendo i suoi muscoli progressivamente mentre gli veniva la pelle d'oca. Almice non sapeva se fosse stato un impulso irrazionale o la sua innata curiosità a fargli finalmente superare le sue paure e avanzare lentamente all'interno della casa. Si avvicinò inquieto, i suoi occhi non riuscivano a capire la scena che apparve davanti ad essi.

1 II

«Adesso basta!» esclamò Telma, irritata mentre Janira lanciava sabbia a Nerisa e a lei sui capelli. Quando arriviamo a casa vedrete, la mamma vi ha detto che non si tira la sabbia sulla testa.»

«Ha cominciato Nerisa» le rispose Janira mentre rideva forte e si caricava le mani con altra sabbia bagnata e incrostata per lanciarla sulle sue vittime.

«Devono essere in procinto di arrivare, sai come diventa la mamma quando la ignori.» Janira sembrò riconsiderare seriamente per alcuni istanti la minaccia formulata; quindi, lanciò due manciate di sabbia sulle sue sorelle. Tutte e tre si misero a ridere.

Almice sentì che le gambe lo sostenevano a malapena. Il grasso cartaginese giaceva disteso su un fianco di fronte alla porta, con una grande ferita che spargeva ancora sangue sul terreno formando una pozzanghera scura che raggiungeva i piedi del ragazzo. Almice lo guardò a malapena, i suoi occhi erano fissi sui genitori, il corpo di sua madre disteso sul tavolo, con un coltello conficcato nel collo. Suo padre, a un passo da lei, giaceva sulla schiena, sul pavimento, aveva una grossa ferita al petto e un profondo taglio rosso al collo. Almice gli si avvicinò, il suo corpo ancora caldo rimase inerte, il giovane riconobbe la morte negli occhi aperti dell'uomo che gli aveva dato la vita. All'improvviso il mondo intero precipitò vertiginosamente su di lui. Corse fuori di casa tra i conati di bile, un sudore freddo si era impadronito di tutto il suo corpo e gli costava fatica respirare. Cos'era successo? Perché avevano ucciso i suoi genitori? Cosa doveva fare? Non c'erano risposte a tutte le domande che gli si accumulavano in testa, cercando di aprirsi un varco come se fossero uno sciame di api. Corse con tutte le sue forze verso la casa di Andreas per chiedere aiuto.

Il loro vicino viveva a breve distanza, circa cinquanta o sessanta passi. Abitava vicino alla casa dei Teópulos, e sebbene la vicinanza tra loro fosse visibile dalla spiaggia, da una casa non si vedeva l'altra, un piccolo e folto gruppo di alberi e arbusti in mezzo le manteneva in un relativo isolamento.

Stava già arrivando dal vicino quando all'improvviso si ricordò dei tre uomini che erano passati pochi istanti prima attraverso la pineta e istintivamente diventò furtivo, avanzò fino al bordo degli alberi cercando di controllare il suo respiro alterato e si turbò ancora di più quando vide il vicino parlare con uno di quegli uomini davanti alla porta. Non sapeva cosa fare, doveva avvertire Andreas di ciò che avevano fatto ai suoi genitori, avvertirlo del pericolo in cui si trovava se fosse rimasto con quegli assassini; ma la paura gli impedì di avvisarlo paralizzandogli la gola. Restò accovacciato tra i rami bassi degli alberi. Andreas sembrava felice e l'altro uomo estrasse una borsa dalla sua tunica e la porse al pescatore, che la soppesò in mano producendo un leggero tintinnio. Sicuramente era piena di monete, pensò Almice serrando i denti. Com'era stato sciocco, all'improvviso gli si tolse il velo dagli occhi, Andreas era complice di quegli uomini. Sicuramente voleva tenere per sé la casa di suo padre e, quando li aveva visti sulla spiaggia la mattina, doveva aver avvisato in qualche modo i romani che stavano inseguendo il naufrago, perché dovevano essere romani gli alleati dei Mamertini come raccontato loro dai cartaginesi, ne era sicuro. Provò rabbia e paura. Doveva avvisare immediatamente le sue sorelle. Cominciò a retrocedere lentamente, senza fare rumore in quella che sembrava un'eternità, timoroso di essere scoperto. Appena poté, si alzò e tornò verso casa. Passò a distanza, la porta era ancora aperta, non voleva guardare. Si mise a correre con tutte le sue forze verso la grotta.

«Era ora, dove ti eri cacciato?» Telma, rimasta all'ingresso della grotta, aveva visto suo fratello avvicinarsi nella penombra. Aveva già perso la pazienza con le sue sorelle ed era ansiosa di andarsene. «Ti stiamo aspettando da un sacco di tempo.»

«Non sapevo cosa fare.» Almice parlava con voce rotta. Le lacrime che gli scorrevano sulle guance misero in allarme Telma.

«Perché piangi? Che cosa è successo?» insistette Telma, perdendo la calma.

«Sono morti.» Furono le uniche parole quasi impercettibili che uscirono dalla gola di Almice prima di scoppiare in lacrime. Sua sorella, riacquistata la sua compostezza, lo abbracciò con amore, cercando di calmarlo e fargli spiegare chi intendesse.

«Siediti, Almice, e dimmi con calma cosa è successo.» Stava cercando di rassicurarlo. Le due sorelline, che avevano smesso di giocare per l'arrivo del loro fratello, si avvicinarono per scoprire cosa fosse successo.

«Mentre stavo tornando a casa, ho visto uscire degli uomini» Almice cominciò a parlare balbettando. «Avevo già sentito un grido e non gli avevo dato alcuna importanza, ma mentre mi avvicinavo ho visto alcuni uomini trascinare uno dei naufraghi.» Tirò su il moccio con il naso. «Ho aspettato un momento che si allontanassero, e quando sono entrato ho trovato nostra madre e nostro padre, li hanno uccisi.» Abbracciò forte la sorella cercando di reprimere i singhiozzi.

«Che sciocchezze dici, fratello?» Telma rimaneva incredula, senza reagire a ciò che udivano le sue orecchie. «Smettila di scherzare, che oggi ho esaurito la pazienza con le tue sorelle» lo rimproverò con una voce alterata mentre lo spingeva via per poterlo guardare in faccia.

«Devi credermi, Telma» le rispose Almice guardandola negli occhi. «È vero, nostra madre ha un coltello piantato dietro la testa e nostro padre non respira e ha anche ferite in tutto il corpo. C'è anche l'altro naufrago, morto.» Chiuse gli occhi per un momento, cercando di calmarsi e riordinare le idee. «Non sapevo cosa fare e sono corso a cercare Andreas. Mentre mi avvicinavo, l'ho trovato che usciva da casa sua, per parlare con uno di quegli uomini» mentre Almice parlava, gli occhi di Telma erano pieni di riflessi acquosi per la crescente angoscia. «Andreas e l'altro parlavano come se fossero buoni amici, poi l'uomo ha tirato fuori una piccola borsa che sembrava piena di denaro e l’ha passata ad Andreas. Ero molto spaventato, quindi sono scappato senza essere visto.»

«Dai, andiamo a casa e basta sciocchezze. Almice, non mi piace che tu faccia questi scherzi di cattivo gusto» lo rimproverò Telma senza voler dare credito alle parole del fratello. Le piccole, che ascoltavano attonite senza capire, iniziarono a piangere.

Il tempo stava peggiorando, il vento cominciava a soffiare insistente spingendo le onde contro la costa. I quattro lasciarono la grotta stretti insieme per proteggersi dal crescente freddo notturno. Cominciarono a camminare lentamente verso casa, in silenzio, Janira non capiva cosa stesse succedendo; aveva visto i suoi fratelli discutere e aveva notato che stava accadendo qualcosa di strano. Restava in silenzio, raccolta in sé stessa come se lei fosse responsabile della situazione. Nerisa piangeva. Telma cercava di confortarla spiegandole che Almice aveva avuto un incubo e che ciò che aveva detto loro nella grotta era falso, sebbene il suo tono non fosse convincente. Almice, silenzioso, non riusciva a trattenere le lacrime che non smettevano di solcare il suo viso.

Dopo un po', arrivarono al molo. Almice fermò Telma prendendole delicatamente il braccio.

«Sarebbe meglio che le piccole aspettassero qui, Telma. Non è bene che entrino in casa.

«Piantala! Almice, sicuramente l'hai immaginato; i nostri genitori stanno bene, non c'è nulla di cui preoccuparsi» rispose Telma con i nervi a fior di pelle.

«Telma, per favore, che non entrino.» Gli occhi supplicanti di Almice alla fine convinsero sua sorella, che già credeva che ci fosse qualcosa di vero in ciò che suo fratello le aveva raccontato. La sorella maggiore si rivolse alle più piccole, non sapendo esattamente cosa dirgli.

«Nerisa, voglio che tu stia qui vicino al molo con Janira, devi smettere di piangere e prenderti cura di lei mentre Almice ed io andiamo a vedere cosa è successo. Sarai in grado di badare a Janira?» La bambina annuì, passandosi il braccio sul naso. Prese la piccola e si sedettero insieme sulla spiaggia. Il vento continuava a soffiare e obbligava a socchiudere gli occhi in modo che la sabbia non li irritasse.

«Janira» Telma si rivolse ora alla bambina, «voglio che tu stia qui con Nerisa per raccogliere altre conchiglie mentre Almice ed io andiamo a casa a cercare nostra madre, okay?» La bambina sorrise e annuì, si sporse verso la sabbia e cominciò a cercare delle conchiglie sotto l'oscurità crescente.

Telma e Almice continuarono a camminare verso la loro casa, lui la prese con forza per mano, notando come tremava. Mentre si avvicinavano, il loro passo rallentava, temendo che qualcuno potesse improvvisamente emergere dall'ombra degli alberi. Arrivarono a pochi passi dall'ingresso. Non osservarono alcun movimento intorno. Era tutto tranquillo; troppo tranquillo, pensò Telma. La porta era ancora aperta, come l'aveva lasciata Almice.

Si fermarono all'ingresso, timorosi di guardare all'interno. Incrociarono gli sguardi e Telma si rese conto che suo fratello le aveva detto la verità. Un sudore freddo cominciò a impossessarsi di lei e sentì il cuore battere forte. Si strinsero le mani con più forza ed entrarono. L'odore amaro del sangue impregnò i loro sensi. Gli occhi di Telma incontrarono il corpo disteso del Cartaginese, proprio come le aveva anticipato Almice. Il suo sangue inzuppava parte del terreno emanando un odore pungente. A diversi passi di distanza, il loro padre. Telma si accovacciò accanto a lui, gli occhi pieni di lacrime, incapace di esprimere una parola; gli sollevò leggermente la testa e lo baciò dolcemente e lentamente sulla fronte. Il contatto delle sue labbra con quel corpo tiepido e inerte le produsse un vortice di emozioni che la fece quasi svenire. Almice posò una mano sulla spalla della sorella, più per confortare sé stesso che per consolarla. Trascorsero alcuni momenti, che sembrarono loro un'immensità piena di sentimenti ed emozioni. Con tutto l'amore di cui era capace, Telma posò il corpo del padre di nuovo sul pavimento. Si rese conto di avere le mani intrise di sangue. Si rialzò con un po' di vertigini, per avvicinarsi alla madre. Almice l'aiutò ad aggirare il corpo del loro padre e ad arrivare al tavolo. Sembrava chiaro che la morte della loro madre fosse stata di sorpresa, da dietro, come una cupa conferma della sfiducia che aveva sempre mostrato per il resto della razza umana; il suo corpo statico e pesante, disteso a faccia in giù sul tavolo, presentava un coltello logoro conficcato alla base del cranio. Sul pavimento, accanto a lei, diversi utensili da cucina, come se gli assassini fossero improvvisamente comparsi in casa mentre lei stava preparando la cena per la sua famiglia. Le panche dei tavoli, rotte sul pavimento, indicavano che c'era stata una specie di lotta, che tutto non era stato così veloce. Telma pensò che senza dubbio il loro padre e il Cartaginese si fossero difesi con tutte le loro forze. Hermes aveva numerosi tagli sulle braccia e sul busto. Sicuramente era stata una lotta impari.

«Telma, cosa facciamo?» Almice, con gli occhi di nuovo pieni di lacrime, interrogò la sorella in attesa di una risposta che gli avrebbe restituito i loro genitori, svegliandoli da quel brutto sogno.

«Non capisco. Non so chi abbia potuto fargli questo. Non hanno mai fatto del male a nessuno.» La giovane donna si passò una mano sul viso per asciugare le lacrime. Il sangue delle sue mani segnò il suo viso.

«Sicuramente erano romani. Ricorda che hanno preso vivo l'altro naufrago. Se fossero stati ladri, li avrebbero uccisi tutti.» I suoi occhi scrutarono di nuovo la stanza.

«Andiamo a chiedere aiuto alla taverna. Telemaco ci aiuterà.» Era convinta che il figlio dell’oste potesse fornire loro riparo e aiuto. Doveva essere così. Non avevano nessun altro. «Quindi ritorneremo dai nostri genitori.»

«Va bene, andiamo. Veloce, perché le bambine sono ancora accanto alla barca, non sarebbe bello se si stancassero di aspettare e venissero qui.»

Uscirono con cautela e si diressero verso il villaggio. Dovevano passare davanti alla casa di Andreas se non volevano fare una grande deviazione. Ricordando la sua conversazione con gli assassini dei loro genitori, decisero di essere furtivi. Già nei pressi alla casa del vicino, sentirono alcuni passi nelle avvicinarsi. Si fermarono al riparo dagli alberi, l'oscurità della notte li aiutava.

«Non dobbiamo lasciare alcuna traccia. Deve sembrare un furto.»

«Non preoccupatevi. Rispetterò l'accordo» rispose Andreas. «Ora mi occuperò del corpo dell'uomo che avete portato e poi andrò a casa di Teópulos per finire il lavoro.»

«Assicurati di lasciare tutto a posto, non voglio testimoni.» Ora Telma e Almice potevano distinguerli perfettamente tra gli alberi. Quello che parlava indossava una tunica marrone che copriva parzialmente un pettorale di cuoio.

«Non preoccupatevi. Mi occuperò anche dei loro figli. So che sono nella grotta della spiaggia e aspetteranno che il padre vada a cercarli, una volta so che si sono addormentati lì. Domani sarà l'argomento della conversazione nel villaggio; i ladri si sono accaniti anche sui figli.» Andreas rise furbo e sputò verso dove si nascondevano i fratelli.

«Dai, brindiamo al lavoro ben fatto.» Il Romano diede una pacca sulla spalla di Andreas. «Non deludiamo mai quelli che ci aiutano. Hai già incassato una parte del compenso, il resto vieni a prendertelo domani al villaggio. Ti aspetteremo nella taverna fino a quando il sole inizierà a sorgere.» I due uomini si allontanarono fino ad entrare nella casa di Andreas.

Telma era in preda all'ira. ‘amarezza e lo stupore avevano lasciato il posto alla rabbia. Suo fratello dovette tenerla in modo che non si alzasse quando udirono le parole del vicino che si incriminava da solo. Attesero in tensione finché gli uomini entrarono in casa.

«Non possiamo più andare alla taverna, Telma.»

«Ma dobbiamo chiedere aiuto, non possiamo andare altrove.»

«Aiuto alla taverna? Hai già sentito che alloggiano lì, che non possiamo avvicinarci, non vogliono testimoni e suppongo inoltre che abbiano ucciso anche l'altro Cartaginese, deve essere il cadavere a cui si riferivano, e che Andreas lo seppellirà qui e poi verrà a cercare noi. Nemmeno Telemaco e suo padre potrebbero aiutarci.»

«Cosa possiamo fare allora, Almice?» La ragazza aveva la testa confusa, non sapeva cosa fare.

«Dobbiamo andarcene, Telma» decise Almice, «prendiamo il necessario e andiamo via con le nostre sorelle. La prima cosa che faranno sarà cercarci per toglierci di mezzo.»

«Dove andremo, Almice? Non abbiamo nessuno a cui rivolgerci, siamo perduti.»

«Sì, che ce l'abbiamo.» Il volto di Almice si illuminò. «Possiamo andare dallo zio Castore. L'anno scorso sono andato a fargli visita con nostro padre. Ti ricordi?»

«Non sappiamo dove vive. Non sappiamo nemmeno se ci vorrà con lui. Ricorda che la mamma non voleva nemmeno vederlo.»

«Vive sull'isola di Kos. So che sarà difficile trovarlo, ma non ci è rimasto nessun altro, penso di ricordare dove si trova la baia dove abita.» Almice abbracciò forte la sorella. Non sapevano da che parte andare; quello che sicuramente non potevano permettersi era perdere altro tempo. «Avanti, Telma, andiamo a casa a prendere un po' di acqua e cibo e andiamo a prendere le bambine, sentiranno già la nostra mancanza.»

Tornarono in casa. La stanza era ancora illuminata dai lumi che Hermes aveva acceso al tramonto. I riflessi delle fiamme giocose si diffondevano per la stanza, tremolando sui corpi inerti dei suoi occupanti. Temendo che Andreas apparisse improvvisamente, i giovani andarono a raccogliere tutte le provviste che potevano portare con sé, evitando costantemente di guardare i corpi dei loro genitori. Almice aveva detto a Telma che la traversata poteva durare un giorno o due, ma era meglio essere organizzati. Il ragazzo si avvicinò a un piccolo buco nel muro dove sapeva che suo padre conservava delle monete di scarso valore, come se si trattasse di un autentico tesoro. Avrebbero potuto averne bisogno. Guardò di lato il padre, sentendosi in colpa per aver preso i soldi che aveva risparmiato con tanto tempo e fatica. Nel frattempo, Telma aveva preso pesce e frutta essiccati riponendoli in un grande cesto, inoltre aveva preso due otri pieni d'acqua che sua madre aveva portato dal villaggio la mattina presto. Un rumore vicino alla porta li distrasse dalle loro occupazioni.

«Cos'è stato?» si allarmò Telma. «Andreas?»

«Un ratto» rispose Almice, disgustato, indicando con l'indice l'animale che fiutava con interesse il sangue del Cartaginese.

«Dai, andiamo ora, Andreas può arrivare in qualsiasi momento.» Almice annuì. Si avvicinò alla madre e la baciò con affetto per l'ultima volta. Quindi si inginocchiò davanti a suo padre e gli chiese forza per guidare le sue sorelle verso un porto sicuro. Anche Telma si congedò da loro teneramente. Prima di andarsene, prese due monete dalla borsa del fratello e le mise in bocca ai genitori in modo che potessero pagare il barcaiolo Caronte nel loro viaggio verso l'Ade. Si alzarono dispiaciuti e se ne andarono di soppiatto verso il molo guardandosi alle spalle nel caso vedessero avvicinarsi Andreas.

Sembrava che il vento si fosse calmato un po' e la luna calante spuntava illuminando debolmente la notte. I fratelli si allontanarono rapidamente pensando a tutto ciò che si lasciavano alle spalle. Almice ricordava tristemente come il padre gli aveva permesso di tenere il timone della barca al mattino. Che cambiamento radicale avevano subito le loro vite in poche ore.

«Abbiamo lasciato là vestiti caldi.» Telma fece il gesto di tornare sui suoi passi.

«Cosa fai? Non possiamo tornare indietro, Andreas potrebbe già essere lì» la trattenne Almice. «Perché vuoi i vestiti?»

«C'è vento e le bambine possono stare male. La temperatura scenderà stanotte, basta guardare le nuvole che il vento sta trascinando.» Indicò le nuvole. «Inoltre, non possiamo lasciare i nostri genitori in quel modo.»

«Tranquilla, ci sono diverse coperte nella barca nel caso ci sia qualche contrattempo, noi quattro possiamo usarle per proteggerci. E per loro non possiamo fare più nulla, è molto pericoloso. Dai, torniamo dalle nostre sorelle.»

Il molo era già visibile nella penombra. Mentre si avvicinavano, un'ulteriore tensione si rifletteva sui loro volti. Non vedevano le bambine da nessuna parte.

«Dove si saranno cacciate?» La voce di Telma suonava grave. «Ho detto loro di non muoversi.»

«Non lo so, potrebbero essere tornate alla grotta.»

«Chiamiamole.»

«No!» La voce di Almice fu perentoria. «Pensa ad Andreas, non ci possiamo fare scoprire. Fammi dare un'occhiata alla barca.»

Avevano raggiunto il molo e non c'era traccia delle loro sorelle. Almice avanzò sulle assi cigolanti finché non raggiunse la barca. Le nuvole avevano coperto di nuovo la scarsa luna ed era difficile distinguere l'interno della barca.

«Sono lì?» chiese Telma in preda all’angoscia.

«Non vedo nulla, aspetta che salgo.» Almice saltò dentro. Non ricordava di aver lasciato le cime così mal posizionate. Le spinse via.

«Siete già arrivati?» Nerisa si stiracchiò tra gli sbadigli. Almice ebbe un sussulto.

«Che spavento mi hai fatto prendere!» Il giovane fece un passo indietro. «Telma, sono qui.» Sentì la sorella maggiore avanzare lungo il molo.

«Dov'è Janira?» chiese di nuovo Almice a Nerisa. «Immagino sia con te.»

«É qui.» Sollevò alcune reti rimaste nella barca, scoprendo la sua sorellina, profondamente addormentata «Avevamo sonno e, per non disturbarvi, ci siamo messe nella barca.» Almice sorrise sollevato mentre Telma saliva a bordo.

«Ci avete fatto preoccupare. Per fortuna state bene.»

«E papà?» Nerisa era inquieta, normalmente a quell'ora a casa già dormivano.

«Tesoro, papà e mamma non sono più qui.» Telma le accarezzò i capelli, cercando di mantenere la calma. «Alcuni uomini sono entrati in casa e li hanno uccisi. Dobbiamo andarcene, non possiamo tornare a casa.» In quel momento, le dispiacque essere così brusca.

«Non può essere.» Cominciò a piangere senza capire. «Voglio andare dalla mamma.» Provò a saltare fuori dalla barca per correre a casa; Almice la trattenne per un braccio.

«Vita mia, non possiamo tornare a casa, non possiamo tornare indietro. Andreas vuole uccidere anche noi.» La abbracciò con affetto.

«Almice, guarda!» esclamò Telma mentre indicava la casa, nell'oscurità si distingueva l'ingresso scarsamente illuminato, Almice osservò il movimento di una sagoma sulla soglia della porta.

«Andreas ci sta già cercando. Telma, prepara la barca.» Lasciò il braccio Nerisa e saltò sul molo. Per un momento pensò che quella potesse essere l'ultima volta che lo calpestava.

«Che cosa hai intenzione di fare, Almice? Andreas arriverà presto.» Il giovane non disse nulla, si diresse deciso verso la barca di Andreas con un coltello in mano e iniziò a fare a brandelli le vele del suo vicino.

«Corri, Almice! Viene da questa parte.» Il ragazzo si girò verso la casa e osservò che la sagoma si ingrandiva sempre di più, il suo vicino li aveva già visti. Le vele erano già strappate, gettò i remi in acqua e saltò di nuovo sul molo.

«Telma, veloce, molla gli ormeggi!» gridò Almice mentre tagliava gli ormeggi del suo vicino e spingeva la barca verso il mare. Si voltò verso la casa e vide come Andreas fosse molto vicino al molo. Telma aveva già la barca libera dalle funi e il giovane la spinse in mare, saltandoci dentro.

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