Kitabı oku: «Samos», sayfa 3
«Voi, aspettate!» Andreas stava già gridando vicino al molo. Telma e Almice avevano preso i remi e ognuno su un lato remavano con tutta la forza di cui erano capaci. La barca di Andreas, libera, con gli ormeggi rotti e spinta dal vento, si stava allontanando.
«Aspettate, maledetti!» Andreas, che in pochi secondi aveva raggiunto la fine del molo, vide la barca di Almice ormai fuori portata. Si voltò per salire sulla sua imbarcazione e imprecò di nuovo quando la individuò ad una decina di bracciate di distanza, che si allontanava lentamente verso il mare aperto. Non ci pensò due volte, saltò in mare per recuperare la barca.
«Almice, Andreas si è gettato in acqua, vuole recuperare la barca per inseguirci.» Nerisa guardava con timore verso la costa per tenere d'occhio le manovre del vicino.
«Non preoccuparti, l'ho lasciata senza vele. Nerisa, prendi il mio remo e continua a remare con Telma.» Le passò il remo e senza perdere tempo iniziò a issare la vela. L'aveva fatto molte volte, in competizione con altri figli di pescatori. I movimenti automatici resero l’imbarcazione pronta in poco tempo. Le sue sorelle continuavano a remare.
«Andreas è già nella sua barca!» esclamò terrorizzata Nerisa, che non smetteva di guardare lateralmente per vedere se il vicino si stava avvicinando. L'uomo era appena salito a bordo della sua imbarcazione e aveva iniziato a dispiegare le vele. Il vento iniziava a soffiare di nuovo e il mare si agitava con più forza. Le nuvole avevano liberato un ampio spazio attorno alla luna e la sua scarsa luce illuminava la scena. Almice si voltò in tempo per vedere il vicino che alzava le mani verso di loro, probabilmente maledicendo la distruzione che il ragazzo aveva praticato sulle sue vele. Il vento non permise loro di udire la serie di imprecazioni.
«Telma, Nerisa, potete smettere di remare, ora il vento ci spingerà e Andreas non può più raggiungerci.»
«Non so se sia stata una buona idea, Almice, il vento sta rinforzando e le onde aumentano. Temo per noi.» Telma guardava il mare agitato con preoccupazione.
«Fidati di me, conosco gli scogli di questa zona e possiamo navigare senza problemi; faremo rotta verso sud lungo il canale per allontanarci dalla costa e poi ad est, verso Kos. Quindi vedremo come nostro zio ci riceve; nel frattempo, saremo al sicuro da Andreas e da quei romani. Ora provate a dormire un po'.» Nerisa era spaventata per quanto accaduto, così come i suoi fratelli. Prese una delle coperte e si rannicchiò per ripararsi dal vento vicino a Janira, che dormiva ancora profondamente senza accorgersi di nulla. Telma si rannicchiò con un'altra coperta, un po' più lontano dalle sue sorelle, vicino alla prua. Almice, accanto al timone da buon timoniere, guidava la barca, salvandola dalle trappole rocciose che si nascondevano sotto le onde in quella zona dell'isola.
Passavano le ore e il vento soffiava. Le onde acquistavano forza, ma senza minacciare la barca. Nerisa si aggrappava a Janira con forza. Era preoccupata che qualche movimento improvviso della barca potesse farla cadere in mare. Non riusciva a dormire. Non riusciva a smettere di pensare ai genitori. Non capiva cosa le avevano detto i suoi fratelli maggiori. Che senso aveva non poter più vedere i loro genitori? Perché erano stati uccisi? Perché stavano scappando? Troppe domande per una bambina di nove anni. Quanto le sarebbe piaciuto dire a suo padre che voleva diventare una pescatrice come lui. Non aveva mai osato dirglielo perché non c'erano ragazze né donne pescatrici nel villaggio, era un lavoro da uomini. Ricordò come si sentisse invidiosa del fratello quando suo padre gli aveva detto che doveva andare a pescare con lui ogni giorno. Sua madre non l'aveva mai capita; una volta le disse che non voleva aiutarla perché quello che voleva fare era andare in mare con Almice e il padre. Lei la mise in castigo per due giorni vietandole di uscire di casa. Cosa le sarebbe accaduto adesso? Continuò a pensare malinconica ai suoi genitori mentre le lacrime le solcavano le guance con la stessa cadenza con cui le onde colpivano lo scafo della barca.
Telma rimase raggomitolata a prua, con un po' di mal di mare. Non poteva dare credito alla sventura che si era abbattuta su di loro. Incolpava l'oste per aver accolto i romani, incolpava anche il naufrago per essere stato trascinato dal mare sulla loro spiaggia. Pensò che non avrebbe mai più rivisto il suo amato Telemaco, ma fu sorpresa da quanto poco le importasse. Le loro intenzioni matrimoniali erano state cancellate con la stessa rapidità con cui erano accaduti gli ultimi eventi. Discuteva costantemente con sua madre, ma le mancava così tanto. Le mattine passate a preparare metodicamente le vecchie ricette memorizzate da sua madre negli anni. I rimproveri quando Telma improvvisava e cambiava qualche ingrediente. Non capì mai la ragione di quell'odio che a volte la madre sembrava avere nei confronti di tutti, anche se sapeva benissimo che la sua infanzia non era stata facile. Ora si sentiva sola di fronte alle avversità, come una volta in cui era caduta tra gli scogli sulla spiaggia e la marea si era alzata. Aveva insistito che i suoi fratelli si allontanassero e non si preoccupassero per lei, ma Almice era andato in cerca dei genitori, che alla fine l’avevano salvata dalla marea. Chi li avrebbe sostenuti ora? Come si sarebbe presa cura dei suoi fratelli? A volte cominciava a capire i sentimenti che sua madre nutriva per il resto del mondo. Le persone non erano buone, sembrava che aspettassero qualsiasi opportunità per nuocere alla persona che avevano accanto, per approfittare delle sventure degli altri per prosperare egoisticamente. Si sentì un'entità estranea da ciò che la circondava, un essere fragile, circondato da pericoli in agguato ovunque.
Almice iniziò a sentire le braccia stanche. Aveva navigato verso sud per diverse ore virando dolcemente fino a fare rotta verso est in modo che le sue sorelle non si accorgessero del cambio di direzione. Poco dopo essere salpati, dovette ridurre la superficie della vela perché il vento minacciava di peggiorare. Aveva schivato gli scogli della baia e sapeva che Andreas non poteva inseguirli, ci sarebbero volute ore per riparare le vele e non aveva remi per raggiungerli. La sua mente viaggiò fino a quella mattina, quando lo scorpione saltava sul fondo della barca. Sorrise malinconicamente. Vide suo padre parlare con lui animatamente mentre teneva il timone della barca con rotta sicura verso la baia. Sentì il braccio vacillare sul timone e lo afferrò più forte. Sarebbe arrivato a Kos, avrebbe portato le sue sorelle in un buon porto e poi, non sapeva come, avrebbe fatto pagare ad Andreas quel tradimento. Non sapeva se suo zio li avrebbe accolti, ma non gli importava granché. Se suo zio non li voleva con sé, nemmeno loro avevano bisogno di lui. Avevano la barca e lui sapeva pescare, non gli sarebbe mancato il cibo e sarebbero andati avanti. Alzò gli occhi al cielo implorando la protezione degli dèi.
1 III
Dopo mezzanotte, nuvole dense nascondevano la luna timida e l'oscurità aveva preso possesso dell'immensità del mare. Almice non aveva alcun riferimento visivo per seguire la rotta. Ora dubitava delle proprie reali possibilità, di poter realizzare il viaggio proposto alle sorelle. Chiaramente gli mancava l'esperienza per poter pilotare la barca in quelle condizioni, semplicemente si lasciava guidare dall’intuizione. Era passata quasi un'ora da quando non aveva più individuato nessuna stella per confermare la rotta. Il vento non era aumentato; ma poiché avevano lasciato il canale, formato tra l'isola di Samos e la terraferma, le onde erano più intense, schizzavano costantemente sul ponte della barca e l'incrocio a volte era eterno. Telma si sentiva fradicia, era andata a sedersi accanto alle sorelle. Nerisa, da parte sua, continuava ad essere spaventata nel tentativo di confortare Janira, che si era svegliata e piangeva inconsolabilmente chiamando la madre. Almice si lamentava con sé stesso per la rotta che aveva preso, invece di andare dritto verso est e raggiungere il vicino continente. Aveva preferito andare a sud per depistare sia il vicino che i romani, se avessero avuto la nave nell'altra baia. Ora non sapeva con certezza quanto fossero lontani dal continente, che nelle giornate limpide era perfettamente visibile da Samos. Sapeva che l'isola di Kos era a sud di quella di Samos, e quindi era molto difficile perdersi; ma la rotta che aveva tracciato con suo padre durante il viaggio verso l'isola seguiva la costa del continente fino a un'altra estensione che quasi raggiungeva Kos. Alla fine, sembrò che le nuvole concedessero una tregua lasciando passare la luce della timorosa luna, Almice guardò l'orizzonte in mezzo all'oscurità sempre più debole alla ricerca di un punto di riferimento che li avrebbe ricondotti di nuovo sulla buona strada. Improvvisamente la barca virò bruscamente scossa da un colpo di mare. Telma, di soprassalto, afferrò l'albero maestro. Le piccole si aggrapparono alla sorella.
«Almice! Che stai facendo?» Nerisa lo rimproverò.
«Mi dispiace» si scusò il fratello, correggendo la rotta. «Abbiamo terra di fronte, ma è troppo presto perché sia l'isola di Kos, né il continente.
«Non sai dove siamo?» La domanda rese nervoso Almice. Il ragazzo si portò la mano alla fronte cercando di ricordare le descrizioni delle isole vicine fatte dai pescatori del villaggio.
«Suppongo che potrebbe essere l'isola di Agathonisi, non sono mai stato qui con nostro padre. In tal caso, siamo sulla buona strada; sebbene sia una zona pericolosa, con molti piccoli isolotti intorno e potremmo incagliarci, meglio se stiamo lontani dalla costa e aspettiamo fino all'alba.
«Siamo ancora lontani da Kos?
«Se è l'isola che dico io, abbiamo ancora un'intera giornata di traversata o un po' di più. Non possiamo continuare a navigare verso di essa in questo momento. Dobbiamo aspettare ad una certa distanza, in modo da non avere incidenti. Spero che la tempesta si attenui e, se le nuvole si dissipano un po' di più, saprò con certezza la rotta che devo seguire. Riposate un po', Poseidone vuole che le onde ci diano una tregua.»
L'alba si fece attendere. Le bambine rimasero in silenzio, stordite. Nerisa non aveva più chiaro il suo desiderio di essere una pescatrice, non pensava che il mare fosse così duro. Telma, sconvolta dall'oscillazione della barca, rimaneva con gli occhi chiusi pregando dentro sé stessa. Janira si era finalmente addormentata per puro sfinimento. Almice, stanco di combattere contro il mare, si sforzava di tenere la barca lontana dalla costa. Alla fine, la tempesta sembrò essere passata con meno forza di quanto lui avesse stimato, ringraziò gli dèi e si alzò in piedi sulla prua dell'imbarcazione. Questa volta intravide la costa irregolare dell'isola con i suoi frangenti alla luce dell'alba, individuò diversi isolotti. Senza dubbio si trattava di Agathonisi. Si sciacquò la faccia con un po' d'acqua e alzò la vela per prendere un po' di vento. Presto la barca riprese la rotta.
A mezzogiorno stavano già vedendo di nuovo la costa continentale all'orizzonte e il ragazzo variò la rotta verso sud. Fortunatamente, non c'era la minima traccia di Andreas o dei romani, senza dubbio li avevano depistati. Si erano leggermente discostati dalla direzione che volevano prendere all'inizio della traversata, ma l'avevano recuperata. Il problema era che le nuvole si stavano addensando di nuovo minacciando una tempesta simile a quella della scorsa notte. Sebbene le bambine avessero mangiato qualcosa, non erano in buone condizioni. La mancanza di abitudine alla navigazione aveva lasciato tutte e tre con un mal mare che non sarebbe scomparso fino a quando non avessero toccato terra.
Il sole cominciava a calare quando si scatenò un forte vento che costrinse Almice a ripiegare l'intera vela. Telma e il giovane si misero a remare. Le onde peggiorarono e presto cominciò a piovere. Se guardavano verso il mare, il cielo di piombo si confondeva con il mantello d'acqua. Almice prese la decisione di avvicinarsi un po' di più alla costa. Non voleva rischiare l'abbordaggio di una nave sconosciuta, la zona era famosa per i pirati che la attraversavano; ma il rischio di imbarcare acqua era maggiore. La tempesta minacciava di essere molto più intensa rispetto a quella della notte precedente.
Il pomeriggio passò e la tempesta continuava a guadagnare forza, la barca aveva la costa a duecento o trecento passi. Almice non voleva rischiare di avvicinarsi per paura di possibili frangenti, quando subirono un colpo tremendo che gli risuonò nelle orecchie come un secco gemito.
«Cosa è successo!» Telma sobbalzò abbracciando forte le sorelle. Il giovane diede una rapida occhiata al ponte dell'imbarcazione.
«Abbiamo una falla nello scafo.» Almice si alzò rapidamente per cercare di tappare la breccia che si era formata a prua. Non era una grande fessura, ma l'acqua spingeva per inondare lo scafo della barca, non sarebbero arrivati molto lontano se non riuscivano a tapparla. Le piccole iniziarono a piangere di nuovo e la tensione si impadronì di loro un'altra volta.
«Posso aiutarti?» Telma, che aveva lasciato il remo per rassicurare le sorelle, si fece avanti per aiutare il fratello.
«Passami la pece e la canapa, sono laggiù.» Indicò una scatola di legno di abete ancorata sotto una delle sponde.
Telma fu sorpresa dalla capacità del fratello di risolvere quel problema inaspettato. La falla fu riparata, ma la tempesta seguì il suo corso e scoprirono nervosamente che il remo dimenticato da Telma era scomparso rubato dal mare. Con un solo remo, guidare la barca nel mezzo delle onde era una missione quasi impossibile. Almice decise di issare la vela un terzo per poter navigare con il vento e guidare così la barca tra le acque agitate.
Il giorno lasciò il posto alla notte e il vento aumentò. L'impulso che la nave riceveva, anche con una superficie di vele così piccola, le dava una velocità eccessiva. Il breccia continuava a far filtrare acqua, ma al momento non era un problema preoccupante. Almice calcolava che, a quella velocità, prima dell'alba avrebbero raggiunto Kos. La vela era stata forzata al massimo e lui la teneva costantemente d'occhio. I nodi che aveva fatto per mantenere aperta solo una parte della vela si sciolsero senza preavviso e l'intera vela si gonfiò improvvisamente. La nave oscillò bruscamente a prua e un rombo secco risuonò dall'albero maestro. I ragazzi alzarono lo sguardo e fissarono la vela strappata che svolazzava con violenza. La nave andò alla deriva scossa dalle onde forti. I quattro spaventati si strinsero intorno all'albero maestro per resistere ai colpi che subiva l'imbarcazione, pregando che la barca non si avvicinasse agli scogli della costa. Almice prese coraggio e cercò di ammainare la vela traballante con l'intenzione di ripararla, ma i suoi sforzi si rivelarono inutili, scoprì che era un compito impossibile nel mezzo della tempesta. Con il crepuscolo persero di vista il riferimento visivo della costa, la barca fu trascinata via dai capricci delle onde e presto Almice non seppe in quale direzione la tempesta li stesse spingendo.
L'alba sorprese l’imbarcazione dei Teópulos. Era stata una notte lunga e tesa e alla fine erano caduti sfiniti per la stanchezza uno dopo l'altro. Telma fu la prima a svegliarsi e controllò con calma che i quattro fossero ancora a bordo. Nonostante i danni, la barca aveva superato la tempesta. Alzò gli occhi e guardò la vela a brandelli, poi rivolse lo sguardo all'orizzonte, attorno alla barca, ma non vide terra in nessuna direzione. Si sentì di nuovo preda della preoccupazione e svegliò Almice.
«Fratello, svegliati.» Gli mise delicatamente una mano sulla spalla. Almice aprì gli occhi. Sdraiato sulla schiena osservò il cielo un po' nuvoloso, non sembrava che stesse per piovere. Si sedette stiracchiandosi.
«Buongiorno, Telma. Come stai? E le piccole?»
«Stanca, è stata una notte molto lunga, ho ancora mal di mare. Tu ti sei addormentato e poi le piccole si sono fatte i loro bisogni addosso.»
«Sì, sento l'odore.» Diede loro uno sguardo affettuoso. Dormivano ancora. «Ieri sera ero esausto e avevo dei problemi a tenere gli occhi aperti» tentò di scusarsi.
«Almice, sono preoccupata, non si vede terra da nessuna parte, dobbiamo fare qualcosa.»
«Non abbiamo un'altra vela a bordo. Dovremo prendere una delle coperte e usarla come vela.»
«Pensi che funzionerà?» Telma si preparò a raccogliere una delle coperte inzuppate dalla tempesta.
Mezzogiorno si avvicinava e il vento, così forte il giorno prima, non mostrava segni di comparire. Janira, stanca per la brusca traversata, alternava momenti di sonno e veglia a pianti e incubi. Nerisa si era chiusa in sé stessa. Si svegliò poco dopo i suoi fratelli maggiori e, senza una parola, si rannicchiò in un angolo guardando il mare come una statua di pietra. Telma provò a parlarle diverse volte; lei le rispondeva solo con monosillabi, tornando sempre con lo sguardo all'orizzonte. La vecchia coperta legata all'albero maestro della barca era così pesante che non si gonfiava nemmeno con la leggera brezza che si avvertiva. Quasi sempre Almice cercava di orientare la barca verso est, lottando con l'unico remo contro la corrente mentre Telma teneva il timone.
«Una barca!» esclamò Nerisa con un pizzico di speranza nella voce. «Guarda, Almice! Una barca laggiù.» Nerisa indicava insistentemente a babordo. Suo fratello guardò in quella direzione.
«Non sappiamo se sono amici oppure no, Nerisa, è meglio che non ci vedano, dobbiamo agire con cautela» le rispose Almice. In effetti, all'orizzonte si vedeva una piccola vela.
«In questo modo, non arriveremo da nessuna parte, fratello.» Telma si era unita alla conversazione. «Non ci resta quasi più acqua e non sappiamo se abbiamo terra nelle vicinanze. Forse possono aiutarci.»
«È molto rischioso» insistette il fratello, dubitando che sarebbe stata la cosa migliore.
«Almice, sembri nostra madre, che diffida sempre delle persone» lo rimproverò sua sorella maggiore. «Non possiamo rischiare di più, Janira deve riposare o la perderemo. Non abbiamo altra scelta che chiedere aiuto.» Nerisa la assecondava con la testa.
«Va bene, vireremo verso quella barca, forse possono vederci.» Modificò la rotta dell’imbarcazione, togliendo per un momento il timone a sua sorella; quindi, iniziò a remare con l'unico remo verso la barca che sembrava avvicinarsi a loro.
La vela si avvicinò lentamente. I Teópulos diedero per scontato di essere stati individuati. Quando fu a circa cinquecento braccia di distanza, calcolò Almice, la barca virò in modo inequivocabile verso di loro. La sorte era stata decisa, avevano dei soldi, se erano pescatori, supponevano di poter pagare un passaggio per Kos; se non lo erano, sarebbe stato meglio se tutto fosse accaduto rapidamente, pensò il ragazzo. Era una imbarcazione molto più grande della barchetta malconcia di Hermes Teópulos. Una grande vela triangolare la spingeva decisamente verso di loro. Dalla piccola barca si vedevano diverse persone manovrare sul ponte. L'agitazione a bordo avvertì Almice che si stavano preparando all'abbordaggio, iniziarono a piegare la vela.
«Oh, della barca! Chi siete?» La voce proveniva da prua, un uomo di corporatura massiccia alzò le mani con un gesto amichevole. Almice si apprestò a rispondere.
«Veniamo da Samos, la tempesta ha strappato la nostra vela e andiamo alla deriva. Abbiamo bisogno di aiuto per arrivare a Kos.»
«Si vede che la vostra barca è danneggiata, salite a bordo, andiamo verso Nisyros, vicino all'isola di Kos. Immagino che potremo lasciarvi da qualche parte sull'isola.»
Le due imbarcazioni si posizionarono fianco a fianco e i giovani salirono a bordo lasciando la piccola barca vuota, alla deriva. L'uomo corpulento che aveva parlato apparve davanti a loro.
«Buongiorno, ragazzi. Sono Zamar, il capitano di questo guscio. Benvenuti sulla mia barca.» Sorrise maliziosamente. «Questi sono i miei uomini.» Fece un gesto indicando i membri del suo equipaggio. Una dozzina di uomini di varie età, trasandati e sporchi. I fratelli iniziarono a temere che non fossero esattamente pescatori. Alcuni marinai lanciavano occhiate lascive al seno di Telma, che risaltava grazie all'abito della ragazza, ancora inzuppato per la tempesta. La barca era certamente di grandi dimensioni, doveva avere diversi compartimenti per l'equipaggio e un notevole spazio di carico. Non si vedeva nessuna rete.
«Grazie per averci raccolti» ruppe il ghiaccio Almice. «Cosa possiamo offrirvi come ricompensa?»
«Non vi preoccupate di questo ora, andate a riposare, tra un paio d'ore mangeremo e parleremo di tutto.» Il capitano, sorridendo, fece un gesto perché scendessero all'interno della barca. I ragazzi, un po' sospettosi, si sentivano esausti e dopo aver parlato brevemente tra loro finirono per accettare l'invito.
L'interno della nave era spartano, scesero dei gradini di legno e si ritrovarono nella stiva. Su entrambi i lati, alcune anfore immagazzinate si sostenevano a vicenda in modo irregolare vicino a delle cuccette che dovevano servire per far riposare l'equipaggio. Il marinaio che li guidava si diresse a prua e li fece entrare in una piccola stanza. Si congedò da loro lasciando la porta aperta e i Teópulos si rilassarono. Era un piccolo recinto, più piccolo del ponte della sua nave, ma era asciutto e se si sdraiavano ci stavano perfettamente. Almice e Telma erano ancora inquieti, la fatica accumulata durante le ore della fuga aveva messo a dura prova i quattro e presto tutti finirono per arrendersi al sonno.
«Lasciatemi maledetti! Lasciatemi andare! Almice, aiutami!» Le urla di Telma svegliarono i suoi fratelli. La prima cosa che Almice pensò fu che la sorella fosse in preda ad un incubo. Aprì gli occhi e si sedette per capire cosa stesse succedendo.
«Lasciate stare mia sorella!» Il ragazzo balzò in piedi pronto a difenderla, ma un tremendo pugno lo fece cadere sulle bambine, che urlavano spaventate.
«Resta qui, moccioso!» Un marinaio barbuto lo minacciava con i pugni in guardia. Almice si alzò di nuovo e senza pensarci due volte avanzò verso il marinaio e gli diede un forte calcio tra le gambe, prendendolo di sorpresa e facendolo contorcere ululando di dolore. Il giovane gli saltò addosso. Un altro marinaio incrociò la gamba facendogli lo sgambetto e Almice, sprovveduto, cadde a faccia in giù accanto alle scale, ai piedi di Zamar. Il capitano della nave, forte e arrogante, gli stava di fronte. Almice notò il suo naso, un grosso naso aquilino mezzo schiacciato e deviato, il risultato di uno sfortunato scontro con un altro possente avversario. Una grossa cicatrice solcava la sua fronte finendo sopra il sopracciglio dell’occhio sinistro, dandogli un aspetto ancora più fiero.
«Vi ho ordinato di lasciarli riposare. Lasciatela stare!» I marinai si spaventarono quando sentirono l'ordine del capitano alle loro spalle.
«È la nostra ricompensa» recriminò uno degli uomini, quello che teneva stretta Telma per un braccio. Zamar tirò fuori un piccolo pugnale e lo portò con la velocità del pensiero al collo di quello che aveva parlato.
«Lasciala andare! Subito!» Il tono era autorevole e non lasciava dubbi. Il marinaio lasciò andare la ragazza. Telma si accovacciò piangendo accanto al fratello. «Voi tre, salite sul ponte e che non vi veda più in giro qui sotto.» Quindi abbassò lo sguardo sui ragazzi. «Per quanto riguarda voi due, è meglio che torniate nella vostra cabina.» Vi prego di scusare il mio equipaggio, sono uomini di mare e non hanno le maniere adatte a curare gli ospiti. Vi assicuro che non vi daranno più fastidio.»
I due fratelli, ancora scossi, si alzarono e tornarono insieme nella cabina. Abbracciarono le loro sorelle. Nessuno parlò. Spaventati, non sapevano se potessero fidarsi del capitano della barca. Zamar, che al momento li rispettava; si allontanò farfugliando qualcosa tra sé mentre si dirigeva verso il ponte. Passò mezzogiorno e, sebbene avessero un secchio pieno d'acqua nella loro cabina, nessuno scese per offrire loro del cibo. Si guardarono bene dall'andare a chiedere da mangiare. Lasciarono passare la giornata in silenzio, pensando nel loro intimo che era stato un errore salire su quella imbarcazine, guardandosi l'un l'altro con la paura riflessa sui loro volti fino al tardo pomeriggio.
«Si può sapere a cosa stavate pensando, idioti?» Zamar si rivolse ai tre marinai nella privacy della loro piccola sistemazione sul ponte. «Avete solo segatura in testa?» Uno dei marinai, quello che aveva preso Telma, parlò.
«Captano, ci avevi detto che in questo viaggio avremmo avuto il nostro bottino e abbiamo pensato che ...»
Zamar lo interruppe con rabbia:
«Avete pensato! Non avete nemmeno una minima idea di come stanno le cose. Forse non conoscete il valore che questi ragazzini possono avere a Tiro? Sicuramente i quattro sono ancora vergini. E voglio che lo rimangano!» ribadì l'ordine trapassandoli con gli occhi. «È chiaro?» I tre elementi annuirono. «Non hanno idea della navigazione, mi è bastato vedere la loro barca. Vogliono andare a Kos, quindi li porteremo lì.»
«Ma se noi non possiamo avvicinarci a Kos dall'anno scorso, ci cattureranno» lo interruppe l'altro marinaio in tono ironico.
«Non capite niente, stupidi. Meglio per tutti se pensano di essere liberi all'interno della nostra barca, in questo modo non ci daranno problemi finché non arriveremo a Tiro. In questo viaggio non abbiamo avuto molta fortuna con gli abbordaggi, ma questi ragazzi valgono molto più di quanto loro stessi immaginano. So che non siamo in un porto da molto tempo per riposare; ma aspettate, se qualcuno di voi fa loro il minimo danno, lo lascerò nel primo porto dove attraccheremo senza paga né bottino. Spero che vi sia chiaro, ci sono molti soldi in gioco e non lascerò che nessuno di voi rovini tutto pensando come un animale.»
La barca si stava dirigendo verso est. Navigò tutto il giorno; il mare calmo e il dolce vento da nordovest erano favorevoli. Al crepuscolo, il capitano mandò a chiamare i ragazzini nel suo alloggio. Un marinaio andò a cercarli e loro, affamati e diffidenti, si affrettarono a salire in coperta, sbirciando tutto l'equipaggio che trovavano sul loro cammino.
«Avanti, amici miei» disse Zamar sorridendo dalla porta. «Spero che abbiate riposato un po', noi abbiamo lavorato molto qui in coperta e abbiamo pensato che dopo l'incidente di stamattina fosse meglio lasciarvi riposare fino al pomeriggio.» I fratelli entrarono nella stretta cabina e si sedettero insieme su una delle panchine fissate al suolo.
«Buon pomeriggio, capitano» cominciò a parlare Almice. «Perché i suoi uomini si sono comportati così?» Zamar si aspettava quella domanda.
«Dovete scusarli, sono a bordo da molto tempo e talvolta esagerano un po'. Li ho già rimproverati. Bene, ditemi, so che volete andare a Kos, ma non so come siate arrivati fino al punto in cui vi abbiamo raccolto.» Almice gli raccontò rapidamente, senza entrare in molti dettagli, la fuga da Samos e l'odissea affrontata con la loro barca. Apparentemente Zamar stava ascoltando con attenzione mentre calcolava quanto poteva ottenere per ciascuno di loro al mercato degli schiavi di Tiro.
«Così siete dei fuggitivi.»
«No, per niente» chiarì Telma, un po' contrariata dall'osservazione. «Non siamo dei fuggitivi. Abbiamo lasciato Samos perché non avevamo più famiglia lì, il nostro parente più stretto è a Kos.
«Scusatemi, non era mia intenzione offendervi. Comunque sia, ora siete in salvo sulla mia barca. Dai, sono sicuro che avete fame, mangiate un po'.» Si sedette anche lui al tavolo e si servì una succulenta coscia di pollo arrosto. Nerisa e Janira lo imitarono immediatamente mordendo avidamente il cibo. Telma e Almice incrociarono gli sguardi, dubitando per un momento prima di unirsi anche loro al pasto.
La cena passò tranquillamente, i ragazzi riacquistarono le forze e saziarono il loro appetito, erano passati due giorni da quando i genitori erano stati uccisi, due giorni eterni in mezzo al mare. Non erano abituati a mangiare carne, la loro dieta abituale includeva quasi sempre pesce e verdure e la carne veniva assaggiata solo in occasioni eccezionali. Recuperarono il desiderio di andare avanti.
«Vedo che non mangiavate da un po' di tempo.» Zamar si grattò la testa mentre parlava, scavando tra i capelli arruffati.
«Sì, abbiamo portato del cibo, ma in poca quantità; quasi tutto pesce essiccato, pensavamo che la traversata sarebbe stata più semplice. A quest'ora pensavamo di stare a Kos.»
«Il mare fa prendere molti spaventi. Fortunatamente siete vivi, anche se avete deviato abbastanza dalla vostra rotta.»
«Siamo così lontani da Kos?» Almice era sorpreso.
«Non molto, ad un paio di giorni; si capisce che la corrente vi ha trascinato verso ovest. In ogni caso, vi porteremo lì. Non significa deviare troppo dalla nostra rotta.»
«Per questo non si preoccupi, capitano, abbiamo del denaro per pagare il passaggio.» Almice prese le monete dall'interno dei suoi abiti e le offrì a Zamar. Il capitano le osservò, erano monete coniate dai Tolomei.
«Sono pochi soldi, ma sufficienti» si schiarì la gola e cambiò argomento, riponendo le monete nella borsa. «Domani sarà una lunga giornata, sarà meglio che vi ritiriate per riposare.»
«Faremo così, capitano.» rispose Telma alzandosi.
«Ancora una cosa, preferisco che non passiate per il ponte, lo dico per l'equipaggio, sono brave persone, ma è meglio prevenire.» Zamar spogliava la giovane donna con gli occhi mentre parlava. La ragazza aveva sicuramente molto più valore dei suoi fratelli nei mercati di Tiro. Il pirata sorrise tre sé mentre li congedava.
La notte trascorse senza ulteriori incidenti. Janira si addormentò velocemente. Telma e Nerisa erano preoccupate perché la bambina non parlava affatto, in due giorni praticamente non aveva detto nulla, né pianto né giocato. Era come se si fosse chiusa in sé stessa, isolandosi da tutto ciò che la circondava. Almice si sentiva responsabile della situazione di tutti loro, specialmente Janira; dopo tutto, era la più indifesa.