Kitabı oku: «Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 2», sayfa 7
CAPITOLO XXI
Sbarco. – Presentazione al Pascià. – Intrighi. – Descrizione di Tripoli. – Governo. – Corte. – Moschee. – Tribunali. – Caffè. – Viveri. – Giudei. – Commercio. – Misure, pesi, monete. – Clima. – Antichità. – Regno di Tripoli.
Ho di già osservato, che quando giugnemmo nel porto di Tripoli, il capitano era subito sceso a terra, per presentarsi al Pascià, e rimettergli le sue carte, ed alcune lettere di Marocco.
All'indomani mattina il capitano venne a bordo coll'ordine di sbarcare i passaggeri; e si scusò verso di me di non avermi ancora potuto preparare una casa, pregandomi d'aspettare fino a sera. Quando tutta la gente fu sbarcata, tornò dopo mezzo giorno per dirmi di pazientare fino alla susseguente mattina. Io non ignoravo che il Pascià Salaovi di Laraïsch aveva scritto contro di me; e diffidavo pure di due passaggeri ch'erano a bordo, ma ero pienamente sicuro degli altri: lo era ancora dell'equipaggio, e del capitano. Non presi dunque pensiero di nulla, e quantunque mi fossi accorto che il ritardo procedeva da tutt'altro che da mancamento d'alloggio, io rimasi affatto tranquillo. Non tardai a verificare che non erami ingannato ne' miei sospetti. Il susseguente giorno il capitano mi prevenne, che potevo andare a terra. Feci sbarcare i miei equipaggi; e sortendo di nave fui condotto nella casa in cui dovevo alloggiare, la quale trovavasi in faccia a quelle del primo ministro, e del console generale di Spagna.
Mi trovavo già da tre giorni in Tripoli quando il capitano mi portò l'ordine di presentarmi al Pascià. L'udienza fu solenne; ed ebbe luogo in una vasta sala, ove il Pascià stava seduto sopra una specie di trono, o di piccolo soffà alquanto alto, intorno al quale stavano i suoi figli, e molti cortigiani. Gli fu presentato il mio dono, ch'egli accolse dignitosamente, mi colmò di gentilezze, e mi rese ogni sorta d'onori. Rimasi lungo tempo seduto sopra una sedia ch'egli avevami fatta preparare, intrattenendomi col Pascià intorno a diversi oggetti; ed intanto fui servito di tè, d'acqua odorifera, e di profumi. Dopo aver molto parlato ci separammo assai contenti l'uno dell'altro; egli mi porse la mano come ad un amico, e senza permettermi di baciargliela come costumasi con un sovrano; in somma mi diede la più sincera prova d'affezione.
Partendo ordinò a due de' suoi grandi ufficiali di condurmi dal primo ministro, personaggio veramente rispettabile, che aveva quasi affatto perduta la vista. Lunga ed amichevole assai fu la nostra conferenza, onde rientrai in casa assai contento delle due visite che avevo fatte.
Alcune persone di Marocco, e specialmente il Pascià Salaovi avevano scritto dipingendomi coi più neri colori: uno de' passeggieri, forse di commissione dello stesso Pascià, nulla aveva trascurato di tutto quanto poteva rendermi odioso; ma i suoi tenebrosi raggiri furono disprezzati dal Pascià e dalla sua corte, dopo le prese informazioni, e le dichiarazioni fatte da tutte le persone del bastimento. Il passeggiere che era un negoziante Marocchino non ottenne che l'universale aversione. Io ero così sicuro del fatto mio, che presentandomi al Pascià non volli far uso della commendatizia dell'imperatore di Marocco. Avevo precedentemente dichiarato al capitano, ed a qualcun'altro, che in vista della condotta tenuta dal Sultano quando sortii da Laraïsch, rifiutavo la sua protezione: il mio procedere franco e leale, mi rese più rispettabile agli occhi del pascià e della sua corte. Frattanto per cancellare affatto la memoria dell'affare di Marocco, come anco a cagione del Ramadan e d'una indisposizione sopraggiuntami, uscii poche volte di casa finchè rimasi a Tripoli, fuorchè per andare alla moschea, per visite di etichetta, e per fare qualche passeggio a piedi. Le addotte cause non mi permisero di estendere molto le mie ricerche. Dalle poche osservazioni astronomiche ch'io feci, mi risulta la longitudine E. di Tripoli 11° 8′ 30″ dall'osservatorio di Parigi, e la latitudine N. 32° 56′ 39″. La declinazione magnetica osservata 18° 41′ 2″ O.
Tripoli di Barbaria vien detto Tarabla dagli abitanti; ed è una città assai più bella di qualunque del regno di Marocco: è posta in riva al mare, e le sue strade sono diritte, ed abbastanza larghe. Le case regolarmente fabbricate sono quasi tutte bianche. L'architettura s'accosta assai più all'europea che all'araba; ed in ispecial modo le porte quasi tutte d'ordine toscano, i cortili con colonne di pietra ed archi di ottimo stile invece degli arabi acuti che vedonsi a Marocco. I fabbricati di pietra seno frequentissimi, e vedonsi pure alcuni marmi fini ne' cortili, nelle porte, nelle scale, e nelle moschee. Le case hanno finestre verso strada, cosa non praticata a Marocco, ma per altro sono sempre chiuse da fitte griglie.
Osservai nelle case di Tripoli un'usanza assai singolare; cioè, che in quasi tutte le camere per lo più lunghe e strette, trovasi a ciascheduna delle due estremità un palco di tavole press'a poco alto quattro piedi dal suolo, sopra il quale si ascende per angusti scalini. Questi rialti hanno una balaustrata, ed alcuni ornamenti di legno, e si va sotto ai medesimi per una piccola porta. Esaminando quale potesse essere lo scopo di questa singolare disposizione, trovai che ogni camera poteva contenere le masserizie complete di una donna, poichè sopra l'uno collocasi il letto, sull'altro gli arredi de' fanciulli; sotto di uno si pone il vassellame e le altre cose occorrenti al pranzo, e sotto l'altro gli altri effetti della famiglia. Questa distribuzione lascia in mezzo alla sala il luogo necessario per ricevere le visite; ed un uomo in una casa, o in un appartamento composto di tre o quattro camere, può tenere tre o quattro donne con tutte le comodità possibili, ed affatto indipendenti le une dalle altre. Tripoli non ha fontane nè fiumi; e gli abitanti bevono l'acqua che cade dal cielo conservata entro le cisterne, di cui ne è provveduta ogni casa: per i bagni, per le abluzioni, ed altri usi, valgonsi dall'acqua salsa dei pozzi.
La peste distrusse gran parte della popolazione; e vedonsi ancora molte case rovinate in conseguenza di quel flagello che mandò sotterra molte intere famiglie. Di presente il numero degli abitanti può calcolarsi di dodici in quindici mila.
Questa popolazione è composta di Mori, di Turchi, e di Giudei: e perchè da prima il governo era assolutamente Turco, gli abitanti sono più civilizzati che a Marocco. La seta ed i metalli preziosi s'impiegano negli abiti; e la corte si mantiene con estremo lusso. La maggior parte degli abitanti conosce e parla diverse lingue Europee, e lo stesso Pascià parla l'italiano: ciò che a Marocco risguarderebbesi come un peccato più o meno grave.
La società vi è pure più sincera, e più libera che a Marocco; i Consoli Europei mi visitavano frequentemente, e nessuno se ne formalizzava. I rinnegati Europei possono ottenervi avanzamento, ed elevarsi alle prime cariche dello stato: l'ammiraglio o capo della marina Tripolitana è un inglese che sposò una parente del pascià. Gli schiavi cristiani sono ben trattati, hanno il permesso di servire ai particolari, corrispondendo parte dei loro profitti al governo.
Il sovrano di Tripoli conserva ancora il titolo di Pascià, perchè da prima quel paese era governato da un Pascià mandato di tre in tre anni dal gran Signore. Questi efimeri comandanti non altro vedendo nei loro firmani che un mezzo di spogliare inpunemente gli abitanti, si resero in modo insoffribili che questi massacrarono l'ultimo Pascià mandato dalla Porta. Dopo tale rivoluzione accaduta circa ottant'anni sono, scelsero per loro principe Sidi Hhamet Caramanli nativo della Caramania, che fu il fondatore della regnante dinastia. In seguito a Sidi Hhamet suo figliuolo Sidi Ali padre dell'attuale sovrano montò sul trono; ma obbligato da alcune rivoluzioni ad abbandonare la patria, riparossi a Tunisi. Il figlio di Sidi Ali chiamato Sidi Hhamet, come suo avo, prese le redini del governo. Era questi un uomo vizioso, le di cui malvage qualità gli costarono il trono e la vita; e gli succedette Sidi Youssouf, suo fratello, oggi regnante.
Sidi Youssouf, ossia sig. Giuseppe è un uomo di bella presenza di circa quarant'anni. Non è privo di spirito, parla assai bene l'italiano, ama il fasto, la magnificenza, e si mantiene dignitosamente senza trascurare d'essere manieroso e gentile. Sono ormai dieci anni e mezzo che occupa il trono, ed il popolo si mostra di lui contento.
Sidi Youssouf non ha che due consorti propriamente tali: una delle quali sua cugina e bianca, gli ha già dati tre figli e tre figlie; e l'altra è una negra, da cui ebbe un maschio e due femmine. Tiene molte schiave negre, ma veruna bianca. Spiega tutto il lusso e la magnificenza negli abiti delle sue donne, e negli arredi delle loro abitazioni. I figli del pascià assumono il titolo di Bey, e l'uno di essi ha il mio nome Ali-Bey; ma quando dicesi soltanto Bey, intendesi per antonomasia il primogenito, che è di già conosciuto erede del trono.
Fui assicurato che le rendite del pascià non ammontano ad un milione di franchi all'anno.
Il portiere interno del palazzo è uno schiavo negro; e sonovi più di quaranta schiavi cristiani tutti italiani pel servizio interno.
Il giorno di Pasqua nell'istante ch'io entravo in palazzo per vedere il pascià, la sua orchestra che stava entro una camera più interna cominciava a suonare, ma quand'egli mi vide fece segno di far cessare la musica, siccome un divertimento che un grave mussulmano deve risguardare con disprezzo. Nei brevi momenti che io l'udii, la trovai passabile ed infinitamente migliore di quella di Marocco. Mi fu detto che l'orchestra era composta di ventiquattro parti.
I principali impiegati sono l'hasnadàr, ossia tesoriere, il guardian bàchi capo e maggiorduomo di palazzo, il Kiàhia, luogotenente del Pascià, il quale occupa un magnifico sofà nel vestibulo; poi il secondo Kiàhia, cinque ministri incaricati di diversi rami d'amministrazione, l'agà de' Turchi, ed il generale della cavalleria araba. La guardia del Pascià è composta di trecento Turchi, e di cento mammaluchi a cavallo.
Ad eccezione delle guardie, il Pascià non mantiene verun'altra truppa regolata in attività. Allorchè deve sostenere qualche guerra, aduna le tribù arabe che si presentano colle loro bandiere o stendardi in sul davanti; e può in tale circostanza mettere in piedi dieci mila cavalli, e quaranta mila pedoni.
Abbiamo già detto che l'ammiraglio del Pascià è un rinnegato inglese ammogliato con una sua parente. Le sue forze marittime consistono ne' seguenti legni.

A quest'epoca si fabbricavano due altri galeoni, lo che formerà un totale di 13 bastimenti armati.
Tripoli contiene sei moschee del primo ordine con torri, e sei moschee minori.
Magnifica veramente è la grande moschea, e di elegante architettura: il tetto tutto formato di cupolette viene sostenuto da sedici maestose colonne doriche di un bel marmo grigio, che mi fu detto essere state prese sopra un bastimento cristiano. Fu fabbricata dall'avo di Sidi Youssouf. Questo tempio, siccome gli altri ch'io vidi a Tripoli, non sono di quella meschina architettura che rimarcai a Marocco. La loro elevazione non manca d'imponenza; ed in tutte sonovi all'usanza delle chiese Europee, alcune tribune alte per i cantori. Tutte le moschee sono coperte di tappeti, mentre che quelle di Marocco, non esclusa pure la moschea del palazzo imperiale, sono coperte di stuoje: quella di Muley Edris a Fez è la sola che abbia tappeti.
Le torri di Tripoli sono di forma cilindrica, assai alte con una galleria circolare nella parte superiore, di mezzo alla quale alzasi una torricella, o garetta. Dalla galleria il mudden suole chiamare il popolo alla preghiera.
A Marocco il culto è più semplice, e più misto; qui più complicato, e pomposo. Il venerdì a mezzo giorno danno cominciamento alla cerimonia molti cantori che intuonano alcuni versetti del Corano. L'imam sale la sua particolar tribuna, che consiste in una semplice scala come a Marocco, colla diversità che a Tripoli è di pietra, colà di legno. Recita una preghiera sotto voce in faccia alla muraglia, ed in appresso volgendosi al popolo, canta un sermone coi medesimi trilli e cadenze proprie di certe canzoni Spagnuole dette polo andalous. Parte del sermone è variabile, ed il predicatore canta leggendo il suo manoscritto; l'altra parte che è sempre la medesima viene recitata a memoria, con alcune preghiere ed altre formole di pratica, che canta sul medesimo tuono.
L'imam infine del suo sermone voltasi con affettazione verso il meherèb, o nicchia che sta alla sua diritta, cantando una preghiera in più alto tuono: indi voltandosi alla sinistra colla stessa affettazione, ripete la medesima preghiera: scendendo due o tre gradini della scala recita alcune preghiere per il pascià e per il popolo, infine d'ognuna delle quale il popolo risponde amen; finalmente, nel tempo che canta il coro, l'imam scendendo al mehrèb, recita la preghiera canonica col popolo, come costumasi a Marocco. Le grida che si fanno dalle torri per l'adunanza del popolo sono a Tripoli meno gravi che a Marocco, perciocchè in alcune moschee sono i ragazzi che fanno le funzioni di mudden, cosa che non eccita troppa devozione.
Nel tempo del Ramadan non si odono le trombette funebri che si usano a Marocco; ogni notte vengono illuminate le gallerie delle torri ove i mudden cantano alcune lunghe preghiere.
Le moschee possedono case e terreni provvenienti da donazioni volontarie: queste entrate servono al mantenimento dei ministri e degli altri impiegati nelle cose del culto.
Il muftì è il capo della religione, e l'interprete della legge. Stan sotto di lui due kadì, uno per gl'individui del rito ehanefi, l'altro per quelli del rito maleki.
La composizione dei tribunali del muftì e delkadi è veramente una istituzione rispettabile Questi giudici sono incorruttibili, e tutti i loro ministri sono mantenuti coi proventi delle moschee.
Sonovi in Tripoli tre prigioni, una per i Turchi, e due per i Mori, ma sono male governate ed i prigionieri sono obbligati a mantenersi del proprio, o col prodotto della carità pubblica.
I negozianti e gli oziosi sogliono riunirsi in un caffè; ed il basso popolo in due altri d'un ordine inferiore. Da pertutto vi si prende il caffè senza zuccaro.
Vi sono pure alcune taverne ove si vendono vini e liquori dai Mussulmani medessimi, che non si fanno scrupolo di beverne ancor essi malgrado la proibizione della legge. Questo ramo di pubblica entrata produceva all'erario centomila franchi.
Il mercato è assai ben provveduto, ed i viveri si vendono a prezzi moderati. Vi si trovano eccellente pane e carni, non così i legumi. I Tripolitani fanno il couscoussou meno fino che a Marocco; essi usano molti altri grani, alcuni de' quali provengono dall'interno dell'Affrica. Il paese produce l'olio necessario al suo consumo.
La terra è comune come a Marocco, purchè non sia circondata da qualsiasi siepe; e trovansi varj abitanti che possiedono quindici ed anche venti poderi chiusi; e mi fu detto averne uno bellissimo il Pascià. Mancando acque correnti s'innaffiano i giardini coll'acqua salmastra de' pozzi, che si attigne con una macchina posta in moto dai muli.
I Giudei che hanno in Tripoli tre sinagoghe sono assai meglio trattati che a Marocco. Sono circa due mila che vestono alla musulmana, e solo la berretta, e le pantofole devono essere nere, ed il turbante ordinariamente turchino. Si contano fra questi circa trenta famiglie ricchissime, gli altri sono artigiani, orefici ec. Il commercio d'Europa è quasi tutto nelle loro mani: essi corrispondono principalmente con Marsiglia, Livorno, Venezia, Trieste e Malta. Vi sono pure alcuni negozianti mori tra i quali Sidi Mehemet Degàiz primo ministro del Pascià, che ha fama d'avere in circolazione un milione di franchi.
Se sono sincere le notizie che ho potuto raccogliere, la bilancia del commercio di Tripoli coll'Europa è a suo vantaggio, perchè le esportazioni eccedono d'un terzo il valore delle importazioni; ma il suo commercio col Levante e coll'interno dell'Affrica conguaglia i vantaggi di quello d'Europa. Riunirò altrove le particolarità del commercio di questa città con quello degli altri paesi.
Le misure ed i pesi che vi si adoperano sono inesatti come a Marocco, tanto per la grossolana loro forma che per mancanza d'un tipo originale.
Dietro un grande numero di confronti diretti ho trovato i seguenti risultati.
Il pik o gomito di Tripoli, detto dràa è la base d'ogni loro misura: corrisponde a venticinque pollici, nove linee e mezza del piede Parigino.
L'Artàl o rottla a sedici oncie, sei grossi, e 54 grani del peso di Parigi.
La misura dei grani è chiamata ouiva, ma perchè riesce incomoda a cagione della sua grandezza, adoprano d'ordinario un'altra misura che non è che la quarta parte.
Questa misura di capacità, quarto ouiva, è un vaso di legno che ha la figura di cono troncato fatto assai grossolanamente. Dopo fatte le possibili riduzioni trovai che la sua capacità era uguale a pollici cubi di Parigi 1200. Ma perchè si usa di colmare la misura, devono aggiungersi 130. Onde questa misura colla colmata contiene del piede Parigino 1330 pollici cubi.
Tali sono i piedi e le misure da me paragonati; ed avuto riguardo ai mezzi di cui mi sono servito, ho motivo di lusingarmi che i miei risultati siano più esatti di quelli avuti precedentemente.
Le monete in corso a Tripoli sono le seguenti:
In oro
Scherifi – Vale 48 hamissinn: è la moneta di maggior valore.
Nos scherifi – Eguale a 24 hamissinn.
Mahbouh trablessi – Vale 28 hamissinn.
In argento
Yuslik – Vale 10 hamissinn.
Tseaout hamissinn – Eguale a 9 hamissinn, come lo indica il suo nome.
Hamissinn, ossia bou hamissinn – È l'unità monetaria, e la moneta più comune in circolazione; 26 hamissinn valevano allora una piastra Spagnola.
Nos hamissinn – La metà d'un hamissinn come lo indica il suo nome.
Para – dodici para e mezzo equivalgano ad un hamissinn.
In rame
Para – Dodici para e mezzo equivalgono ad un hamissinn.
Nos para – ossia mezzo para, de' quali 25 formano un hamissinn, è la più piccola specie corrente.
Moneta ideale
Piastra – Cinquanta piastre formano un hamissinn.
Tutte queste specie, ed in particolar modo quelle d'argento sono d'una bassa lega, e poco più che rame inargentato.
Il valore rispettivo di queste specie va soggetto ai capricci del momento: di modo che all'epoca in cui io mi trovavo a Tripoli eranvi dei para di buon argento in circolazione, che avevano esattamente lo stesso peso di quelli di rame, e pure gli uni e gli altri avevano lo stesso valore rappresentativo di dodici para e mezzo per un hamissinn.
Gli Europei sono a Tripoli assai ben veduti, e rispettati. Oltre gli agenti delle diverse potenze d'Europa, eravi allora un negoziante Francese, fratello del Console, uno Spagnuolo fabbricatore di navi, un medico Maltese, ed un orologiajo Svizzero.
I Cristiani vi hanno una cappella ufficiata da quattro monaci del terz'ordine di Roma. È cosa assai singolare che questi monaci hanno nella loro cappella una campana, il di cui suono si fa udire ogni giorno in tutti gli angoli della città. Questa chiesupola è mantenuta cogl'incerti, colle donazioni, e con una pensione della corte di Roma.
Si dice che il clima è caldo nella state proporzionatamente alla latitudine, ma che tutte le altre stagioni offrono l'immagine d'una perpetua primavera. Pure, durante la mia dimora, ebbi alcuni giorni freddi, che però mi fu detto essere affatto straordinarj al paese. Dalle mie osservazioni meteorologiche fatte a Tripoli risulta, che il più alto grado di calore fu di 16° 1′ di Réaumur in diverse mattine, e durante la notte.
Questa minorazione di calore sarebbe in Europa poco sensibile, ma qui produce una così piccante sensazione di freddo, come in Europa il freddo dell'inverno, lo che senza dubbio è relativo allo stato abituale dei pori, che sono in questo paese sempre aperti.
Ho veduto regnare quasi abitualmente i venti del quartiere d'O.; cadde molta pioggia, e l'igrometro di Saussure segnò frequentemente 100 gradi, termine della estrema umidità.
Vidi un bel monumento presso alla casa del console di Francia; un arco trionfale inalzato dai Romani, e composto di una cupola ottagona, sostenuta da quattro archi posti sopra quattro pilastri. Il tutto è fatto senza cemento con pietre tagliate di enorme grandezza sostenute dalla propria gravità5.
Questo monumento era ornato di sculture, di figure, di festoni e di trofei d'armi internamente, e al di fuori; ma la maggior parte di tali rilievi fu distrutta: non rimangono adesso che parti isolate incoerenti, che attestano ancora l'antica eccellenza del lavoro.
Sulle facciate al nord, ed all'occidente vedonsi gli avanzi d'una iscrizione, che pare essere stata la medesima in amendue i lati. Questa singolarità rese facile al sig. Nissen console di Danimarca il redintegrarle, riunendo ed ordinando, i frammenti delle due iscrizioni.
Lontano venti leghe da Tripoli vedonsi le ruine dell'antica Leptis, e Lebda; e mi fu detto rimanervi tuttavia molte colonne, capitelli, ed altri interessanti rottami. Il sig. Delaporte cancelliere del consolato generale di Francia che visitò tali ruine ha copiato le iscrizioni.
A maggiori distanze entro terra vedonsi pure le grandiose ruine d'altre città antiche, con catacombe, statue, ed avanzi di edificj d'ogni specie.
La costa di Tripoli stendesi duecento venti a duecento trenta leghe dai confini di Tunisi fino a quelli d'Egitto, ed in tale estensione contansi i seguenti porti.
Trabonca porto situato alla estremità della costa; dodici leghe al di là del quale verso occidente trovasi Bomba, rada con un buon ancoraggio. Rasatin si trova otto leghe più lontano, porto che non ammette che i piccoli bastimenti che vengono a caricar sale. Altre quindici leghe più in là avvi Derna, il di cui basso fondo rende quel porto impraticabile nell'inverno: vi si caricano per Alessandria butirro, cera e lana, in cambio di riso, e della tela di cottone. Gli abitanti di Derna non conoscono altra moneta che quella del Levante, e le piastre spagnuole. Quaranta leghe al di là da Derna vedesi Bengàssi buon porto, ma non praticabile dai grandi bastimenti: pure vi si fa un ragguardevole commercio di lane, di butirro, di miele, di cera e di piume di struzzo, con Marsiglia, Livorno, Venezia, Malta e Tripoli. Cinquanta leghe più in là è situato il Capo Messurat, la di cui cattiva rada è esposta a tutti i venti: vi si caricano datteri per Bengassi.
Tripoli il di cui porto non ha bastante fondo per le navi da guerra, ed è aperto ai venti di N. E. trovasi lontano trent'otto leghe all'O. dal Capo Messurat: vi s'imbarcano lane, datteri, zafferano, soda, senape, donne negre, pelli, penne di struzzo per i porti d'Europa sopra enunciati, e per il Levante. Dieci leghe più occidentale era il vecchio Tripoli, il di cui porto non è ora praticabile che ai piccoli battelli, che caricano la soda per Tripoli. Vedesi finalmente altre ventiquattro leghe più in là Sovàra nella di cui rada le piccole barche vanno a caricare sale e pesce salato per tutta la costa.
In così vasta estensione del regno di Tripoli non si contano che due milioni d'abitanti, perchè la maggior parie del paese è deserto, e tranne gli abitanti della capitale, gli altri sono poveri e sventurati Arabi. L'autorità del governo sul paese è così poco rispettata, che niuno, se non è Arabo, può viaggiare a qualche distanza senza andare in carovana, o fortemente scortato; altrimenti sarebbe infallibilmente derubato, o assassinato.
Gli abitanti di Soàkem, di Fezzan e di Guddemes che sono tributarj di Tripoli, tengonsi in corrispondenza cogli abitanti dell'interno dell'Affrica. Il sovrano di Fezzan viene riconosciuto dal bascià di Tripoli sotto il nome di Scheik di Fezzan. I Fezzanesi sono neri grigi, poveri, ma di un carattere assai dolce. A Tripoli s'impiegano ne' più piccoli esercizj.
Abita due leghe lontano da Tripoli il maggior santo o marabotto del paese detto il leone. Ha un villaggio cinto di mura ove trovasi la moschea; gode il dono della santità ereditaria, come i santi di Marocco: il suo villaggio è un asilo inviolabile per i delinquenti, qualunque siano i loro misfatti, fosse anche l'assassinio del Pascià. Il leone attuale è un uomo d'oltre quarant'anni.
Le montagne più vicine alla città trovansi ad otto leghe verso il S., i di cui abitanti sono tributarj del Pascià.
In vista del pericolo non potendosi viaggiare isolati, molte carovane vanno e vengono di levante a ponente ne' tempi tranquilli. Le grandi carovane di Marocco, di Algeri, di Tunisi, e di El-Gerid quando intraprendono il viaggio della Mecca, riposano quivi quindici giorni: attualmente non possono viaggiare per le turbolenze che agitano quasi tutta la Barbaria e l'Egitto. Questa circostanza mi costrinse ad intraprendere per mare il tragitto di Alessandria, e di continuare in tal modo il mio pellegrinaggio alla casa di Dio.