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Kitabı oku: «Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 4», sayfa 7
Terminato il Ramadan l'ultimo giorno di novembre, si celebrò la Pasqua il 1.º di decembre. Il Sultano fece la festa alla moschea Ahmed Dieamisti, secondo praticarono i suoi predecessori. Desiderando di vedere il suo seguito, volli preventivamente prender posto nella moschea, perchè S. Altezza entra nella tribuna per di fuori; onde recatomi a quattr'ore del mattino in un'altra moschea vicina per fare la preghiera pasquale allo spuntar del sole, venni in appresso a quella d'Ahmed, ove trovai nel cortile due o tremila donne, pochi uomini, alcuni soldati bostangì, i giannizzeri, ed i cavalli del Sultano e del suo seguito. Prima che terminassero le cerimonie la strada era già affollata di gente, oltre due file di giannizzeri. Questi avevano l'ordinario loro abito, ed i bostangì avevano dei caftan rossi con lunghe berrette dello stesso colore. Una dozzina di giannizzeri avevano in dosso una specie di pianeta grigia, ricamata d'argento. Io mi posi nell'angolo interno della porta. Un certo numero di capigi bascialà sfilarono, vestiti di grandi caftan con finte maniche pendenti per di dietro, foderate di ricche pellicce, ed esternamente tessute d'oro ed avevano bellissimi cavalli riccamente bardati.
I personaggi d'alto rango avevano in capo doviziosi turbanti di cerimonia, a guisa di cono troncato e rovesciato, alto circa un piede e mezzo, tutto guernito di mussolina.
Molti ufficiali, e grandi impiegati del serraglio uscirono in appresso con magnifici cavalli; indi il Scheih el-Islam, o Mouftì circondato dai suoi Oulems o Dottori.
Gli tennero dietro dieci o dodici cavalli di apparato del gran Sultano, con bardature coperte di brillanti e di altre pietre preziose; ed in particolare ricchissime erano la briglia e le staffe di uno di questi cavalli. Alcuni altri avevano sulla sella a destra uno scudo del diametro di due piedi, ed a sinistra una sciabla, ricchissima d'oro e di gemme.
Volgendomi dall'altro lato vidi passare a cavallo Moussa Pacha Kaimakan del gran Visir in mezzo a quattrocento in cinquecento ufficiali, impiegati, e soldati tutti a piedi, che quasi lo portavano in aria. Avendomi conosciuto, mi salutò graziosamente, e continuò la marcia volgendo il capo per vedermi; ed uscendo dalla porta mi salutò di nuovo con un leggiero affettuoso sorriso, lo che fece tanta sensazione, che molti ufficiali dei giannizzeri chiesero alle mie genti notizia di me, dicendo che non avevano ancor veduto il sorriso sulle labbra di questo Catone Musulmano. Mi spiacque assaissimo che le circostanze non mi avessero acconsentito di andare ad abbracciare un così affettuoso amico; ma perchè questo riconoscimento avrebbe contrariato il mio piano di condotta, ebbi bastante forza per oppormi alle affezioni del mio cuore, e soffocare le passioni, che in simile circostanza avrebbero potuto vincere altri assai da più di me. In fatti potevo io, dopo aver resistito alle affettuose istanze, ed alle energiche persuasioni del mio più caro amico Mulley Abdsulem, e di suo fratello Mulley Solimano, abbandonarmi all'affetto che mi legava a Moussa Pascià, e forse rimanere oppresso dagli onori onde poteva ricolmarmi in meno di ventiquattr'ore?.. No: perdonatemi, caro amico: so che in quest'istante mi aspettate; ma io vi fuggo: domani abbandonerò Costantinopoli.
Seguiva il Kaimakan un corpo di bostangì a piedi: allora risuonò il grido di viva e comparve il Sultano a cavallo, ma coperto dai grandissimi pennacchi di sei in otto ufficiali che lo circondavano. Per altro potei vederlo in volto, e fargli un saluto, cui egli gentilmente corrispose: la sua tinta mi parve assai pallida e sparuta: aveva un bel caftan color rosso, ma la ricchezza, ed il lampeggiare della rosa e del pennacchio di brillanti che ornavano il suo capo, richiamarono come cosa affatto straordinaria e di una sorprendente ricchezza, tutta la mia attenzione.
Seguivano il sovrano tre grandi ufficiali, uno de' quali portava un altissimo turbante ricco di una rosa e di un pennacchio eguali a quelli del turbante che il Sultano aveva in capo; gli altri due un turbante ciascheduno della dimensione e forma ordinaria. Tutti questi turbanti appartengono a S. Altezza che ne pone in capo ora uno ora l'altro secondo vuole il rituale delle ceremonie della moschea.
Venivano in seguito a cavallo i grandi personaggi dell'Impero con vesti e turbanti ordinarj, e senza verun segno distintivo: mi fu detto essere questi il fiore della nobiltà musulmana, i figli, i nipoti dei principi, ec. Finalmente chiudeva l'accompagnamento un corpo di soldati a piedi.
I turbanti del Kaimakan, del gran Visir, e del Reis Effendì avevano il distintivo di un ricamo d'oro nella mussolina. Notai molti grandi ufficiali negri di orrendo aspetto, vestiti ed equipaggiati così riccamente come gli altri.
Il capo degli eunuchi neri aveva sul turbante lo stesso distintivo del gran Visir. Tutti i principali personaggi avevano a lato un domestico o impiegato che portava avvolto in ricco drappo un turbante di ordinaria grandezza, che sogliono porsi in capo in tempo della preghiera nella moschea invece di quello di ceremonia.
I Turchi ne' tempi del Ramadan e della Pasqua hanno costumanze diverse dagli altri musulmani. Ho di già fatto osservare che nelle notti del Ramadan non illuminano le strade, e che nelle feste di Pasqua non fanno corse di cavalli nè finte guerre, nè giuochi pubblici come negli altri paesi soggetti all'islamismo: tutte le dimostrazioni nelle pubbliche allegrezze riduconsi a passeggiare gravemente da uno all'altro luogo, a visitarsi a vicenda, a mangiare il più che si possa, ed a tirare in determinate ore colpi di cannone nel porto.
Ho veduti i vasti depositi delle acque potabili di Costantinopoli, le quali tutte derivano, attraversando il quartier nord-ovest della città, dal distretto di Belgrado, villaggio popolato pressochè di soli Greci, siccome tutte le terre del circondario.
Trovansi in questo distretto, in tre diversi luoghi, tre grandi muraglie, che chiudendo le valli da una montagna all'altra, formano vasti serbatoj delle acque piovane. Queste dighe vengono dai Turchi dette Bent.
Il più gran Bent è lontano tre leghe all'incirca da Costantinopoli, e può avere cento sessanta piedi di lunghezza sopra, e quindici di grossezza nel piano superiore con una grande scarpa, che ne accresce considerabilmente la grossezza inferiore: è formato di pietre tagliate ed ottimamente conservato; ma perchè non era peranco cominciata la stagione delle pioggie non aveva che le acque d'un piccolo ruscello.
A non molta distanza di questo Bent trovasi il secondo fabbricato dalla sultana Validè, madre di Selim III. La muraglia che abbraccia quasi tanto spazio come il precedente, è più solidamente costrutta, perchè appoggia le due estremità a due solide roccie: sgraziatamente però fu data poca base alla scarpa, per cui a lungo andare potrebbe cedere al peso delle acque.
Negli acquedotti che conducono l'acqua dei bent a Costantinopoli si cercherebbe invano la grandiosità e la magnificenza delle opere romane dello stesso genere, ma non lasciano di essere generalmente fatti con bastante solidità. L'acquedotto di Giustiniano posto nel greco villaggio di Pirgos ha fino tre ordini di archi gli uni sopra gli altri di marmo di nicchi; ma la sua costruzione mostra il decadimento delle arti all'epoca in cui fu fatto: i piloni sono troppo pesanti, gli archi strettissimi, e di diversa luce in larghezza ed in lunghezza come se fatti fossero senza preventivo disegno, e senza calcolare le spinte degli uni sugli altri.
Non molto lontano da questo è l'altro inalzato dal Sultano Solimano Canouni, che io non vidi abbastanza vicino per poterne dare sicura notizia.
Alquanto più sopra di Pirgos trovasi un antico acquedotto fabbricato dai Greci: l'arditezza degli archi, e la bellezza della sua costruzione provano per conto delle arti la superiorità della prima sulla seconda epoca: ma questo bel monumento, da molti secoli affatto trascurato, è già sensibilmente danneggiato nella parte più alta.
Per ultimo andai a visitare un quarto acquedotto fatto recentemente dai Turchi in faccia al Bosforo, presso a Bouyoukdere; i di cui archi fatti sull'andamento di quelli di Giustiniano, sono però alquanto più regolari.
Questi acquedotti formano colle loro projezioni degli angoli colle sinuosità delle montagne, ove i condotti sono posti a terra.
Il distretto di Belgrado è tutto sparso di basse montagne coronate di belle foreste, che stendonsi a ragguardevole distanza, e per quanto mi fu detto, abbondano di selvaggiume.
Il carattere dei Turchi è grave; e direi anzi melanconico. Confrontandolo con quello degli Arabi, credo di poter asserire, che se gli uni e gli altri giugnessero all'incivilimento europeo, gli Arabi avrebbero il carattere dei Francesi, ed i Turchi quello degl'Inglesi.
Le belle arti sono talmente proscritte dai paesi musulmani, che un Turco si crederebbe avvilito se suonasse un istromento, se, fuorchè nelle preghiere, cantasse o danzasse. Essi quasi non conoscono la costumanza di adunarsi in grandi conversazioni per ingannare il tempo. Le donne affatto escluse dal commercio degli uomini, non possono colla naturale dolcezza del loro sesso correggerne i feroci costumi, e spargere la piacevolezza nella società. L'ignoranza quasi assoluta in cui versano i Turchi delle lingue d'Europa, e le limitatissime loro corrispondenze all'estero, li privano delle notizie di quanto accade su questo vario e grande teatro; onde riguardano con occhio d'indifferenza le vicende politiche di questa bella parte del globo. Finalmente la mancanza di libri, e di maestri per imparare le scienze fisiche, e le innumerabili scoperte degli ultimi secoli, li privano di quelle interessanti cognizioni, che sole potrebbero operare il loro incivilimento.
Queste cause unite alla precaria esistenza di un governo dispotico: a quello stato di diffidenza, e dirò meglio, a quello stato di guerra, in cui deve trovarsi ogni paese ove il culto de' governanti è diverso da quello di quasi tutti i governati; a quelle false idee di felicità che ogni turco riceve nella sua prima fanciullezza; fanno sì che quantunque incapace di aprire il suo cuore ad una libera innocente allegrezza, si creda non pertanto felice, ed inoltre più valent'uomo allorquando più si avvicina allo stato de' bruti. Passare l'intero giorno seduto nella più assoluta inazione fisica o morale, fumando la pipa, e prendendo caffè ed altre droghe; ubbriacarsi coi liquori, o con pillole d'oppio; esaurire le forze fisiche e morali con replicati eccessi di godimenti naturali, o contro natura: questi sono i piaceri che formano la felicità dei Musulmani; i quali se degnansi talvolta di porgere attenzione ad uno qualsiasi spettacolo, non è se non quando loro presenti l'immagine degli oggetti de' loro unici piaceri.
Di fatti i Turchi non sono privi di spettacoli; ma quali spettacoli! Quantunque la loro musica non abbia armonia, offre alcune dolci modulazioni; ma trovasi mescolata con tante dispiacevoli discordanze, che non può a lungo andare soffrirsi: e per tal motivo appunto sogliono d'ordinario avere un buffone che di tratto in tratto eseguisce una danza o una ridicola indecente pantomima, terminando sempre col rappresentare un uomo ubbriaco.
Hanno pure de' ballerini la di cui abilità si ristringe al camminare con misura, a fare una semplice contradanza, rapide giravolte, movimenti e pantomime della più sfacciata indecenza, camminando in giro l'uno dietro l'altro col capo imbacuccato in una parrucca a lunghissimi capelli, avendo in mano i crotali o castagnette di metallo; e tutto ciò eseguendosi nel più sgraziato modo che immaginar si possa. Ho veduto alcuni di questi danzatori fare delle pantomime nelle quali rappresentavano le più schifose e lascive attitudini. Hanno ancora le ombre chinesi colle quali rappresentano orrende lubricità.
Tali sono gli spettacoli dei Turchi, cui i grandi, i dotti e lo stesso gran Visir non vergognansi di essere spettatori.
Io sono stato testimonio d'un giuoco di forza assai curioso: un uomo girando rapidissimamente a suono di musica, si attaccava alla cintura un gonnellino, che la velocità del giro faceva spiegare in figura di campana o di ombrello; levavasi in appresso la camicia senza sbottonarsi il farsetto che la copriva, divideva in più treccie la ciocca de' capelli del suo capo, e prendendo a volo una dopo l'altra molte sciable nude che gli presentava un suo compagno, attaccava ogni impugnatura ad una delle sue treccie, e lo vidi in tal modo attaccarne dodici o quattordici, che per la rapidità de' giri, venivano a formare un cerchio o disco orizzontale intorno al suo capo: in appresso prendeva un'altra sciabla ignuda coi denti, ne collocava alcune altre in altre parti del suo corpo, non saprei in qual modo, finchè trovavasi tutto coperto di sciable nude. Continuando a girare colla medesima rapidità senza interrompimento, sguainò una sciabla, e la mise nella guaina colla stessa facilità, e con una sorprendente destrezza. Allora si levò le sciable ad una ad una per darle al suo compagno, si levò il gonnellino, si rimise la camicia senza sbottonarsi il farsetto, e dopo più di un'ora e mezzo di rapidissimi giri, il compagno terminò questo bizzarro spettacolo coprendolo con una gran pelliccia: precauzione necessaria per impedire che non soffrisse passando da così violento moto allo stato di quiete.
A Costantinopoli vengono strettamente custodite le donne di alto rango: ma le plebee sortono sole a loro piacere: nelle strade, nei bazar, nelle cappelle, ai cimiterj, e sulla spiaggia del mare, in qualunque ora del giorno s'incontrano tante femmine che uomini. Tale libertà in così popolata capitale, circondata di giardini, di colli e di boschi, deve singolarmente favorire il libertinaggio; che infatti è in questa città grandissimo. Malgrado il denso velo che le dovrebbe coprire le donne hanno quasi sempre il volto scoperto, perchè ne dilatano in modo i fori destinati al solo uso della vista, che a traverso di tali aperture si vede quasi interamente la loro fisonomia.
Malgrado la sua distanza dell'equatore il clima di Costantinopoli è assai dolce, perchè trovasi al livello del mare, difeso dai venti settentrionali delle montagne di Belgrado, ed affatto aperto al Sud ov'è il mare di Marmara; di modo che quantunque sia sensibile la diversità delle stagioni, non vi si conoscono gli estremi tanto incomodi negli altri paesi posti nella medesima latitudine di questa città.
Avevo disposto ogni cosa per osservare l'eclissi del sole del 29 novembre; e salii per tale oggetto sopra una torre, ma le nuvole si opposero al mio desiderio.
CAPITOLO LIII
Stato attuale della Turchia. – Barbarie dei Turchi. – Giannizzeri. – Stravaganze di questo corpo. – Bostangì. – Cannoniere e bombardieri. – Altre truppe. – Il gran Signore. – Pascià ribelli. – Tesoro pubblico. – Venalità degl'impiegati. – Disperazione dei popoli.
L'impero ottomano è un colosso composto d'una bizzarra mescolanza di parti eterogenee affatto inconciliabili: di Turchi, di Tartari, di Arabi, di Greci cattolici, di Greci scismatici, di Cofti, di Drusi, di Mamelucchi, di Giudei, e di altre razze affatto diverse le une dalle altre di costumanze, di religione, di opinioni, non convenendo in altro che nel profondo inveterato odio che si portano: tali sono gli elementi che compongono quest'immensa massa.
I Cristiani perduti in altri tempi dietro le quistioni scolastiche, gli Arabi divisi dallo stesso motivo, e privi di una costituzione che assicurasse la successione al trono del Califfato, aprirono, per una deplorabile apatia le porte a quella irruzione di Tartari quasi selvaggi, che successivamente distrussero il trono degli Abassidi, e di Costantino, fondando sulle loro rovine l'impero della Mezza-luna.
Il caso, che gli aveva fatte cominciare le loro conquiste nell'Asia allora dominata dai successori di Maometto, rese maomettani questi Tartari idolatri: se avessero invasa prima l'Europa, essi sarebbero adesso Cristiani; perchè ogni culto appoggiato alla sublime idea di un essere supremo ed unico deve egualmente convincere, e soggiogare l'uomo idolatra.
Ecco ciò che ha resi, ed ancora non cessa di rendere i Turchi affatto stranieri alle costumanze d'Europa; se si fossero convertiti alla fede cristiana, sarebbero diventati Europei.
Perchè i Califfi Abassidi accolsero le arti e le scienze, che le irruzioni de' Vandali avevano scacciate dall'Europa, questi Tartari trovarono colla religione gli elementi della civiltà, di cui ne presero a bella prima una leggier tinta, ma i di cui progressi furono in pari tempo contrariati da alcuni dommi, che proscrivendo le belle arti, stabilendo la dottrina del fanatismo, e proclamando odio ed aversione ad ogni individuo opposto all'islamismo, li veniva a privare degli elementi del buon gusto; e facendo loro riguardare come inutili i mezzi, e le combinazioni dell'umana saggezza, li privava dei vantaggi di un'intima comunicazione cogli Europei che soli potevano istruirli. Queste cause aggiunte all'estrema diversità che esiste tra le lingue dell'Occidente e dell'Oriente, all'effeminatezza che addottarono nell'istante medesimo in cui si videro possessori di sufficienti capitali per soddisfare alla propria sensualità, e per ultimo alla mancanza d'educazione dei loro principi, che passano sempre dalla solitudine di un Harem al trono ottomano, paralizzarono i loro progressi verso l'incivilimento.
Perciò, quantunque musulmano, sono costretto di confessare, che i Turchi sono ancora barbari: ne chiedo perdono a coloro che sono di opinione contraria; ma quando vedo una nazione, che non ha la più piccola idea del diritto pubblico, e dei diritti dell'uomo; una nazione che appena conta in mille un solo individuo che sappia leggere o scrivere; una nazione presso di cui non esiste garanzia delle proprietà individuali, e nella quale la vita degli uomini è continuamente in balìa dell'arbitrio; una nazione finalmente, che si ostina di chiudere gli occhi per non vedere la luce, e che scaccia da sè la fiaccola dell'incivilimento che gli si mostra in tutto il suo splendore, per me sarà sempre una nazione di barbari. Che gl'individui ond'è formata abbiano abiti di seta e ricche pelliccie, che stabiliscano fra di loro un ceremoniale, mangino, bevano, fumino ogni giorno cento diverse mescolanze, che si lavino e si purifichino tutte le ore; non lascierò per questo di ripetere; questi sono barbari.
Vero è che trovansi in corte alcuni personaggi, i quali avendo imparate le lingue d'Europa, ne hanno pure addottata in segreto la civiltà, almeno in parte; ma il numero è infinitamente piccolo, paragonato alla massa della nazione.
Concorre pure un'altra cagione a tenere i Turchi nell'attuale stato di barbarie. Gli Arabi avevano il dominio di mezzo il mondo, quando furono soggiogati dai Turchi; i quali diventati perciò padroni dello stendardo del Profeta, dovettero credersi invincibili. Le vittorie ottenute in Europa contribuirono a confermarli in tale opinione, che malgrado le disfatte avute negli ultimi tempi, si propagò di una in altra generazione. Questa superiorità che si arrogano sulle altre nazioni, li move a guardare con sommo disprezzo chiunque non è Turco. Nè gli ambasciadori esteri si lascino illudere dalle apparenze di deferenza e di rispetto che potessero ricevere in Turchia: io conosco gli uomini della mia religione più che tutt'altri, e posso francamente asserire, che il Turco unisce alla barbarie ed all'orgoglio musulmano l'orgoglio e la barbarie particolari della propria nazione.
Tale orgoglio gli fa preferire alle altre professioni quella della milizia: egli è soldato per la sua religione, perchè ogni musulmano deve esserlo; ma lo è pure per iscelta essendo il mestiere più utile, e quello che apre la porta all'indipendenza, ed al dispotismo.
Non è perciò da credersi che il soldato Turco sia un uomo vestito ed armato in un modo uniforme e determinato, un uomo soggetto a certe leggi, a militar disciplina, nudrito e pagato dal pubblico tesoro, come in Europa: egli non è altrimenti tale. Ogni individuo qualunque volta ne lo voglia si arma di una o due pistole, d'un khandiar o grande coltello, e di qualunque altr'arma a suo capriccio, e dice: Io sono soldato. Si attacca in allora a qualche divisione di Giannizzeri, ad un Pascià, ad un Agà, o a qualche altro ufficiale che acconsente di riceverlo al suo servigio: e quando poi è stanco di far il soldato getta le sue armi, dicendo: io più non sono soldato; e niuno lo molesta, o gli rimprovera la sua diserzione.
I giannizzeri possono riguardarsi come il principal nervo della forza ottomana. Il celebre Reis Effendì nel suo trattato della milizia ottomana ne conta nell'impero quattrocentomila, e pargli che verun'altra nazione possa presentare un'egual forza, ch'egli chiama uniforme. Ma cosa è il giannizzero? È un calzolajo, un artigiano qualunque, un contadino, un facchino, che dà il suo nome ad una divisione di giannizzeri, detta orta. Alcune di queste orta non contano più d'un migliajo di uomini, altre venti, o trentamila.
Quando il nome d'un uomo è scritto nella lista, si obbliga a presentarsi qualunque volta l'orta si dovrà riunire. Ma sarà egli fedele alla promessa?.. Ciò dipende dalle circostanze, o dalle combinazioni dell'interesse individuale nell'istante in cui viene chiamato. Non nego che i giannizzeri non abbiano alquanto di ciò che si dice spirito di corpo, pregevole pregiudizio quando non sia troppo esclusivo: ma ciò non basta per consigliargli ad ubbidire alla chiamata de' loro capi, se vi si opponga il loro personale interesse, che è sempre la molla principale delle loro azioni. Quindi allorchè trovano utile il motivo della chiamata, prendono subito le armi e si presentano; nel contrario supposto o non si movono, o si presentano soltanto per formalità, tornando subito tranquillamente a casa loro.
Se trattasi di adunar l'orta per fare qualche tumulto, o ribellione, tutti accorrono, perchè tutti sono sicuri della vittoria, o del saccheggio. Lo stesso non accade quando trattasi di andar contro ad un nemico straniero; perchè in caso urgente il governo trovasi costretto di proclamare che il Sainjaàk Scherif, ossia lo stendardo del Profeta sarà portato all'armata, onde riscaldare in tal modo il fanatismo religioso, che deve tener luogo dei sentimenti d'onore e dell'entusiasmo patriottico, che non esiste.
Questa risorsa politica non lascia di dare qualche vantaggioso risultamento, chiamando maggior numero di uomini intorno a questo palladio, che i maomettani sogliono riguardare come un sicuro pegno della vittoria. Ma perchè lo zelo religioso va di età in età facendosi minore; quando non sia secondato da un interesse personale diretto ed immediato, gli effetti di questo stratagemma saranno sempre minori. L'ultima volta che uscì di Costantinopoli il Sainjeak Scherif si credeva di vederlo seguito da trenta o quarantamila giannizzeri, ma non lo accompagnarono che tremila. Questo così famoso corpo non è dunque paragonabile alle guardie nazionali degli stati Europei, nè ad altro corpo qualunque organizzato e disciplinato; e non può riguardarsi che come una leva in massa del popolo. Le vittorie de' giannizzeri negli andati tempi non furono che il risultamento di una grande massa di uomini armati sopra popolazioni disarmate, o sopra masse più piccole ed egualmente male organizzate. Oggi che la tattica militare ha combinati i più piccoli mezzi per calcolare i risultati con una quasi certezza morale, chiara cosa è che le truppe turche non potranno opporre una costante resistenza ad un corpo di truppe europee meno numeroso ma meglio disciplinato. Non farò parola di qualche caso particolare che può fare eccezione alla regola, perchè ci condurrebbe ad un'analisi, ed a disamine affatto straniere al mio argomento.
I giannizzeri hanno delle particolari costumanze che meritano di essere conosciute.
I trofei militari più rispettati da questa truppa sono le pentole di cuojo nelle quali fanno cuocere la vivanda, che consiste in riso condito col butirro, detto dai Turchi pilaw. Queste pentole, oggetto della più alta venerazione, allorchè vengono trasportate da un luogo all'altro, ottengono da tutti coloro che trovansi sulla strada le dimostrazioni di rispetto che devonsi al principe; e guai a colui che non si affretta di ossequiarle: egli sarebbe all'istante punito dalla guardia che le accompagna. Sono queste il punto d'unione di ogni divisione di giannizzeri; al campo si portano con grande apparato ornate d'orpello e di altre inezie; e se un'orta ha la disgrazia di perdere le sue marmitte, viene riguardata come un corpo disonorato.
Quando i giannizzeri vanno con affettata premura a ricevere le razioni, si può essere sicuri che l'orta è soddisfatta; e per lo contrario è una prova di malcontento quando vi si recano con aria di non curanza. Se poi arrivano a non presentarsi alle distribuzioni, allora convien pensare ad ogni modo a soddisfarli, onde impedire le imminenti violenze.
Quando sono estremamente malcontente le divisioni dei giannizzeri, portano le loro marmitte innanzi al palazzo del Sultano, e le pongono sotto sopra la terra. A questo segnale di sedizione i giannizzeri si armano e si adunano per dettare la legge al governo, chiedendo le teste dei ministri o capi dello stato, che vengono loro accordate all'istante senza verun esame, o destituendo lo stesso Sultano come fecero poc'anzi collo sventurato Selim III. E finchè questa indisciplinata milizia non abbia riprese le sue marmitte, tutta la città trovasi in disordine e piena di spavento.
Quando il Sultano accorda pubbliche udienze agli ambasciatori, per dar loro un'alta idea della sua potenza fondata sulla soddisfazione delle sue truppe, si fanno prima dell'udienza distribuire le razioni ai giannizzeri che accorrono tumultuariamente per riceverla in presenza dell'ambasciatore. Nello stesso modo per dare ai ministri delle corti straniere una idea della giustizia sovrana, il gran Visir giudica alcune cause in loro presenza; come per dispiegare innanzi ai loro occhi la magnificenza imperiale, li ammettono ad un banchetto col gran Visir, coprendoli di ricche pelliccie, mentre ne vengono date altre meno preziose alle persone addette all'ambasciata.
È in conseguenza dell'importanza delle marmitte nel corpo de' giannizzeri, che il nome turco de' capi delle orta equivale a distributore della zuppa. Tutti i militari di questo corpo portano sopra la fronte attaccata alla berretta di gala una placca d'ottone, entro la quale pongono un grossolano cucchiajo di legno di cui si servono per mangiare il riso, e che viene a formare una parte essenziale del loro uniforme.
Le persone incaricate in alcune circostanze del castigo de' giannizzeri sono i distributori dell'acqua, i quali camminano armati di un bastone fornito di lunghe coreggie.
Ogni orta possiede alcune tavolette maggiori di un piede quadrato, che vengono portate in cima ad un bastone e scarabocchiate di pitture emblematiche dell'orta. Queste tavolette accompagnano le marmitte.
Quando l'orta marcia in campagna, le marmitte sono accompagnate da alcuni giovani affatto coperti di grandi haik, cui si dà il titolo di el Harem. Riguardandole come una specie di talismano, e di sacro pegno, hanno sempre la scorta d'una guardia particolare, che sta in una tenda vicina a quella delle marmitte; e queste guardie non fanno verun altro servigio, nè vengono sottoposte ad alcun lavoro; ed i giannizzeri dell'orta si farebbero uccidere tutti per difenderli e salvarli dalle mani del nemico; perchè la perdita delle marmitte è ciò che di più obbrobrioso può accadere ad un'orta.
I giannizzeri passano a capriccio da una all'altra divisione.
Risulta dal fin qui detto, che i giannizzeri lungi dall'essere le truppe del sovrano, non sono che una inquieta e rivoluzionaria milizia che si fa giustizia colle proprie mani, anche contro il principe a cui serve.
È vero che alcuni giannizzeri ricevono fino dalla fanciullezza una specie d'educazione militare: ma tanto è limitato il loro numero che nulla influisce sulla massa generale del corpo. Altrettanto può dirsi della loro disciplina, ed organizzazione nelle caserme di Costantinopoli.
Per contrabilanciare la potenza dei giannizzeri, i Sultani armarono gl'impiegati dei loro giardini, delle loro case di piacere, e ne fecero una specie di guardie del corpo col nome di bostangì, ossia giardinieri; cui sono affidate le loro persone. Questo corpo composto di alcune migliaia d'uomini, ha resi ai loro Sovrani molti importanti servigi: ma nelle ribellioni d'ordinario si uniscono al giannizzeri, che sono più forti; e questo contrappeso diventa allora inutile al Sovrano, come sì è veduto nella rivoluzione che balzò dal trono lo sventurato Selim III.
Il corpo de' cannonieri e bombardieri è formato di quarantotto compagnie bene organizzate; ma perchè sulle batterie trovansi ancora varj carri antichi con ruote di tavole poco atte al maneggio principalmente delle grosse colubrine, di que' cannoni di mostruoso calibro stesi a terra per tirar palle di sasso, e di quegli altri cannoni di più bocche; non possiamo farci una troppo vantaggiosa idea della loro scienza, perchè s'impiegano nel servigio di pezzi quasi inutili uomini e munizioni, che più utilmente sarebbero impiegati nel servigio di pezzi ben montati di un discreto calibro.
Il rimanente delle truppe che compongono le forze ottomane in tempo di guerra, sono squadroni più o meno numerosi di genti armate mandati dalle provincie agli eserciti; gli avventurieri volontari che vogliono far fortuna, i fanatici di buona fede, e quelli che hanno interesse di parerlo; e per ultimo il contingente di uomini armati che alcuni possessori di feudi sono obbligati di mandare al campo.
Tutto ciò forma una mescolanza, una così strana confusione, che nel fondo un'armata turca non è diversa da un ammasso di orde arabe, e quindi incapace di produrre assai vantaggiosi risultati. Se a tanta irregolarità s'aggiungano i grossi equipaggi che i Turchi si tiran dietro, e l'immensa quantità di domestici e d'impiegati non combattenti che seguono l'armata, potremo formarci un'idea dell'estrema difficoltà di dare a così pesanti e disordinate masse la precisione richiesta dai movimenti militari di una campagna.
