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Kitabı oku: «Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 4», sayfa 6

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Non cede alle altre in bellezza la moschea del sultano Ahmed, i di cui quattro piloni, che sostengono la cupola centrale, sono incrostati di marmo bianco scannellato; la tribuna del Sultano è sostenuta da molte colonnette, tra le quali vedonsene alcune di una bella breccia oscura, ed una di verde antico. Anche nella corte trovansi diverse colonne di granito rosso di una non comune grandezza. In questa moschea il Sultano suole recarsi due volte all'anno, per la Pasqua, e per il giorno natalizio del Profeta, perchè la sua posizione riesce comodissima a tutto il suo seguito, che può allargarsi nell'Hippodromo accanto alla moschea.

La moschea del Sultano Maometto II, che conquistò Costantinopoli, è pure un ragguardevole edificio. Quand'io andai a vederla i portici del cortile erano pieni di piccole botteghe di mercerie, ove i mercadanti gridavano come in un mercato, e nell'interno della chiesa gridavano ancora più forte cinque o sei predicatori. Il turbeh, o sepolcro del Sultano posto accanto alla moschea in mezzo ad un piccolo giardino, è una semplice cappella di mattoni, ma il catafalco è coperto da un ricchissimo tappeto. La cappella ed il marciapiede erano affollati di donne che venivano a visitare il sepolcro.

Elegante è la moschea Osmania, ma meno grande delle altre.

Sortendo dalla città verso il porto trovasi ad un quarto di lega di distanza un gentile palazzo del Sultano, passato il quale si giugne al sobborgo d'Eyoub posto lungo la riva del canale del porto. Diede il suo nome a questo sobborgo un santo discepolo del Profeta, venerato come il protettore di Costantinopoli, e le di cui ossa furono miracolosamente trovate nello stesso luogo. Nella moschea di questo sobborgo vien cinta la sciabla al nuovo Sultano; lo che tien luogo della coronazione dei monarchi in Europa. L'ingresso di questo tempio essendo assolutamente vietato a tutti gl'infedeli, niuno lo descrisse, onde cercherò di supplirvi.

Dopo avere attraversata una piazza irregolare si entra nell'edificio, consistente in un cortile al centro, nella moschea alla diritta, e nella cappella dall'altro lato, ove trovasi il sepolcro del santo. Questi edificj sono incrostati di marmo dall'alto al basso, tanto le pareti quanto il suolo.

Il cortile ha la figura d'un paralellogramo, e da tre bande è circondato di portici. Nel centro s'inalzano due pioppi, le cui frondi ombreggiano tutto il cortile.

La moschea non è diversa da tutte le altre moschee imperiali di Costantinopoli, vale a dire che come quella di S. Sofia, è formata di una gran cupola sopra un quadrato; ma questa ha due particolari cose che la distinguono: la prima che i piloni posti agli angoli del quadrato sono assai sottili; che la cupola è sostenuta da sei piloni cilindrici in forma di colonne ai tre lati del quadrato; e che sul muro del fondo si alza una mezza cupola formante una cappella ove trovasi il mehereb, o nicchia dell'Imano: la seconda particolarità si è che la tribuna del Sultano non è come nelle altre moschee alla diritta del mehereb, ma alla sinistra. I muri sono tutti incrostati di rarissimi marmi; il suolo coperto di ricchi tappeti, ed un gran numero di lampade e di candelabri di cristallo e d'argento, ova di struzzo, noci di cocco, ed altri minuti ornamenti tutti guarniti di preziosi metalli e smaltati de' più bei colori, vedonsi sospesi all'altezza di sette in otto piedi.

Nel lato opposto al cortile trovasi una sala ornata di tappeti e di soffà, e di varie iscrizioni che ne ricoprono tutte le pareti. In una piccola nicchia formata nella grossezza del muro della sala viene custodito un pezzo di marmo vergato bianco, e nero che ha l'impronta del piede del Profeta; ed è quella ch'io vidi meglio segnata in tutti i monumenti di tal genere da me veduti ne' miei viaggi. Questa sala è per così dire l'anticamera della cappella, ove conservasi il sepolcro del santo.

La cappella illuminata da belle finestre forma un piccolo tempio coperto di una elegante cupola; le pareti sono coperte d'iscrizioni come quelle dell'anticamera, ed il catafalco del santo posto in mezzo è coperto di una ricca stoffa, e circondato da un cancello d'argento. Dalla banda del capo evvi uno stendardo ripiegato nel suo fodero, che è l'insegna distintiva del discepolo del Profeta: nell'opposto lato trovasi il pozzo da cui si attinge l'acqua con un secchio d'argento che si beve con bicchieri dello stesso metallo; e si vuole che quest'acqua sia miracolosa.

Dopo aver lasciate nell'interno abbondanti elemosine, ed altre alla porta sempre assediata da qualche centinajo di poveri, non molto incomodi a dir vero, perchè essendo registrati non si presenta a chiedere l'elemosina ai fedeli che il solo capo. Non lasciai di visitare il sepolcro della madre dello sventurato Selim III, che consiste in un piccolo tempio incrostato di marmi preziosi, ed ornato al di dentro ed esternamente da colonne e da mondanature del più squisito gusto. Riceve la luce da molte finestre con inferriate dorate; ed ha in sul davanti un vestibolo sostenuto da belle colonne di marmo screziato.

Osservai pure molte altre moschee famose pel loro nome, ma di poco pregevole architettura. A lato alle moschee trovansi i sepolcri de' personaggi illustri, le biblioteche, le scuole, gli ospizj de' poveri, i Khan pei viaggiatori, gli ospitali, ed altri pii stabilimenti, che tutti furono già descritti da altri viaggiatori.

Ho pure voluto vedere una casa, nella cui maggior sala sono disposti i mausolei di una famiglia che possiede alcuni peli della barba del Profeta, tesoro infinitamente più prezioso di tutte le ricchezze dell'India. Questa reliquia si espone alla pubblica venerazione in una cappella situata di faccia ai mausolei. Quand'io entrai, un ministro mi presentò un piattello con un cuscinetto coperto di differenti pezzetti di stoffa paonazza, che spargeva un gratissimo odore: dopo avermi fatto venerare il piattello, mi toccò a più riprese gli occhi, la fronte, il naso e la bocca con un capello steso sopra un pezzo di cera nera, e recitando alcune preghiere ad ogni suo toccarmi, mentre io mi teneva nel più esemplare raccoglimento: dopo di che feci la mia preghiera, e depositai l'offerta, che parve al ministro abbastanza ragguardevole perchè si degnasse esibirmi di ricominciare la ceremonia del piattello, e del capello, che accettai di buon grado, come un singolar favore. Mi diede in oltre una piccola bottiglia d'acqua entro la quale erano stati bagnati i santi capelli, e partii colmo di gioja. I capelli che mi si fecero toccare erano alquanto rossicci, torti, forti, della lunghezza di due dita traverse. Avvezzo a riflettere su tutto quanto mi accadeva, non potei in questa occasione dispensarmi dall'ammirare il miracolo della divina Provvidenza, che si degnò di rendere una intera famiglia ricchissima col solo prodotto d'una piccola ciocca di capelli!

All'indomani mi recai ad un'altra casa ove si venera un pezzetto dell'abito del Profeta. Una guardia di giannizzeri e di sceriffi ne occupava la porta; la casa era piena di donne, che d'ordinario vanno la mattina ad adorare la reliquia, e molte vetture stavano aspettando nella strada: mi fu detto che non potrei entrare che dopo mezzogiorno; onde mi trattenni in una vicina moschea fino all'ora indicatami. Alla porta si distribuiscono a modico prezzo piccole bottiglie dell'acqua in cui si bagnò la reliquia.

Vuole l'usanza che si lascino le pantoffole a' piedi della scala, ove trovasi uno sceriffo incaricato dì riceverle, e di restituirle quando si esce. Si sale da prima in una camera irregolare col palco assai basso, e fattavi la preghiera si entra nella cappella della reliquia: è questa una camera di dieci in undici piedi in quadrato, bassa come un mezzanino, che ha siccome le moschee il suo mehereb con una finestra da ogni lato; il tutto coperto di ricchi tappeti.

Sta entro al mehereb uno sceriffo, innanzi al quale vedesi una piccola tavola coperta di molte stoffe ornate di ricami assai ricchi, e poste le une sopra le altre; l'estremità della reliquia viene mostrata sotto ad una di tali stoffe alla venerazione de' fedeli credenti. Malgrado la religiosa oscurità della camera, ho potuto osservare che la reliquia è un pezzetto di grossa tela di lana di color nero, o bruno cupo, e che non era posta in mezzo alla tavola, ma alla diritta, onde siccome io suppongo, preservarla dagl'innumerabili baci dei divoti. Penetrati questi da un santo terrore, e da profondo rispetto baciano senza troppo riflettere una stoffa ove non è la reliquia, e con questa innocente astuzia viene sottratta ad un'infinità di toccamenti, che a lungo andare le arrecherebbero danno, e la insudicerebbero. Alquanto più riflessivo, quantunque divoto come gli altri, io baciai veramente la reliquia, applicandovi le labbra, la fronte, e le guance; ma in pari tempo ebbi l'avvedutezza di lasciare una larga elemosina per compenso di così straordinario servigio: Dio ne sia lodato!

Questa inapprezzabile reliquia, non meno dei peli della barba del Profeta che aveva venerati nel precedente giorno, non si espone al pubblico culto che in tempo del Ramadan.

El-saraya, o serraglio, palazzo del Sultano, può riguardarsi come un'altra città entro Costantinopoli, tanti sono i palazzi, le case, i terrazzi, i giardini che racchiude nel suo vastissimo circondario. Io non vidi che due porte in così grande circuito, le quali troppo male corrispondono alla maestà del palazzo.

Una di queste, custodita dai bostangì, è posta sopra un cortile, o piazza irregolare, nella quale trovasi una zecca che io non ommisi di visitare. La vite del punzone viene mossa da tre uomini, ed un quarto colloca la moneta sotto il conio. In altra casa dello stesso cortile si conservano molte armi antiche appese alle pareti.

In fondo al cortile apresi un'altra porta egualmente custodita dai bostangì, da eunuchi, e da altri impiegati, che non mi permisero d'inoltrarmi più a dentro. Vidi per altro guardando per questa porta un secondo più spazioso cortile, con molti terrazzi ed altri edificj isolati: ed ecco tutto ciò ch'io posso dire del serraglio del Gran Signore, che altronde essendo stato tante volte descritto da chi lo vide, o pretende d'averlo veduto, non è bisogno ch'io soggiunga il poco che ne so. Avrei bensì potuto ottenere la permissione d'introdurmi; ma non volli impiegare il denaro in così fatti oggetti, perchè se io avessi voluto trattarmi colla magnificenza conveniente al mio grado, avrei sacrificata all'ambizione quella dolce indipendenza che aveva incominciato a godere nella specie di oscurità da me scelta, e dalla quale non desiderava di sortire. Per tale motivo mi tenni lontano dalla corte, e non mi presentai a Moussa Pascià mio amico d'Alessandria, che allora era Kaïmakan del gran Visir, ossia il primo funzionario dell'impero in Costantinopoli quando il gran Visir trovasi all'armata, siccome allora trovavasi di fatto a quella di Adrianopoli: e sono ben sicuro ch'egli mi avrebbe ricevuto come un suo caro fratello se avessi voluto farmi conoscere alla corte.

Uscendo del serraglio attraversai la casa del gran Visir, e vidi nel quartiere terreno una vasta sala, in fondo alla quale vien posto sopra un rialto il soffà di questo ministro in occasione delle pubbliche udienze. La sala è vasta, ma non conveniente a quest'uso.

La principale porta della casa consiste in un arco semplicissimo in faccia alla muraglia del serraglio, notabile per una torre, nella quale recasi talvolta segretamente il Sultano per vedere le pubbliche cerimonie del gran Visir coi ministri stranieri, ec.

Il palazzo di Costantino trovasi nel centro di Costantinopoli, e vien detto il vecchio serraglio: io non potei vederne che le mura che sono altissime; ed è abitato dalle donne rilegate del serraglio.

Quasi tutte le strade di Costantinopoli sono anguste e sporche. I marciapiedi alti quattro o cinque piedi, mal lastricati ed incomodissimi; onde andava quasi sempre a cavallo. Le case hanno tante finestre che pajono gabbie. Ho già detto che sono di legno dipinte con vivacissimi colori, o disposte senza veruna regolarità. Ciò è cagione degli incendj che ogni anno distruggono qualche quartiere della città; ed in tempo della mia dimora fui testimonio di due, che arrecarono gravissimi danni: ma il fanatismo dei Turchi resiste costantemente a così funeste esperienze, e rifabbricano le nuove case com'erano le incenerite, lasciando alla Provvidenza la cura di conservarle. E per tal modo potrà dirsi tra non molto tempo che la città di Costantinopoli fu rifatta ben cento volte.

Ho vedute alcune botteghe di farmacisti come in Europa, una strada d'argentieri, e tutto un quartiere abitato da calderaj, di dove uscii affatto stordito. Passai pure per una lunga strada ove si vendono i vasellami di rame, notabile per la quantità immensa delle merci, e per la bella simmetria con cui vengono disposte nei magazzini.

Costantinopoli è la sola città musulmana in cui sianvi vetture. Quelle di cui io mi valsi sono sospese sopra quattro ruote ben proporzionate, cariche di dorature, coperte di tela bianca o rossa, e tirate da un pajo di cavalli guidati da un cocchiere a piedi a lento passo: sul di dietro della vettura si pone una scaletta di legno che vien collocata alla portiera quando si sale o si scende. I turchi non adoperano domestici, e sembra pure che sdegnino di servirsi delle vetture per girare la città, non avendovi costantemente vedute che donne.

Volli un giorno minutamente esaminare l'Ippodromo, chiamato dai turchi Admeïdan. È questa una piazza irregolare lunga all'incirca duecento cinquanta passi, e larga cento cinquanta; nel centro della quale s'inalza un bell'obelisco egiziano di granito rosso, somigliante alla guglia di Cleopatra in Alessandria; ma meno alto, sebbene gli si diano sessanta piedi d'elevazione: ogni facciata presenta una linea perpendicolare di geroglifici assai grandi. È sostenuto da quattro dadi di bronzo sopra una base o piedestallo fatto di varj pezzi di marmo grossolano mal lavorato, sul quale furono scolpite diverse bizzarre figure in rilievo, tutte in maestà, e del cattivo gusto greco de' secoli di mezzo. Mi fu detto che tali figure rappresentano i discepoli di Gesù Cristo: ma ciò che non ammette dubbio è, che questo piedestallo fa torto a così bel monumento, di cui presto o tardi ne cagionerà la ruina, per esserne le parti affatto mal legate.

A non molta distanza da questo obelisco egiziano se ne vede un altro alzato dai Greci ad imitazione del primo, che credo pure avere le medesime dimensioni; ma essendo formato di piccoli sassi di varie qualità e mal quadrati minaccia ruina, e presenta un singolare contrapposto di debolezza colla solidità dell'altro.

Trovasi presso a quest'obelisco un ospizio pei poveri, minacciato da un giorno all'altro di rimanere sepolto sotto le sue rovine.

Tra i due obelischi vedesi un terzo di colonna di bronzo mancante della parte superiore. Pretendesi che terminasse con tre teste di serpenti, i di cui corpi s'avvolgevano tenacemente intorno al fusto. Il bronzo è sottile assai, ed essendo bucato in più luoghi, si colmò di pietre l'interno vuoto. Il pezzo esistente può essere alto dieci piedi.

Dopo avere esaminati i monumenti dell'Ippodromo, mi diressi al S. O., facendo molte strade. In una piccola piazza osservai stese a terra due bellissime colonne di granito; e ne vidi altre due più piccole di verde antico presso alla porta di una casa affatto eguale alle altre. Vidi camminando molti mercati assai ben provveduti, ma separati gli uni dagli altri da lunghe strade affatto spopolate.

Finalmente giunsi al piede di un'alta torre, coperta d'un cono assai acuto; ed è una di quelle che formano il Castello delle Sette Torri ove si custodiscono i prigionieri di Stato; e come tale soleva ritenersi l'ambasciatore di qualunque potenza che dichiarava guerra al Sultano, e per questo solo motivo veniva imprigionato; ma pare che quest'usanza sia omai andata in desuetudine.

Scesi da cavallo, ed entrai nel primo cortile del castello; ove ben tosto mi si presentò un gran diavolo d'uomo con viso dispettoso; cui avendo domandato il permesso di osservare l'interno, n'ebbi un'assoluta negativa. Rimontai subito a cavallo, ed uscii dalla porta della città vicina alle sette Torri, volendo se non altro formarmi qualche idea di questa fortezza osservandola esteriormente; ma non vidi che un confuso labirinto di torri e di mura le une sopra le altre.

Piegando al nord al luogo delle mura della città, esaminai le opere che difendono dalla banda di terra la capitale dell'Impero. I suoi mezzi di difesa riduconsi ad una fossa quasi affatto colmata, e ridotta a giardini; una prima linea di mura assai bassa, a guisa di parapetto; una seconda linea di più alte mura, ed una terza linea interna ancora più alta, e fiancheggiata da torri altissime.

Queste tre linee di muraglie a scaglioni, coronate di feritoje hanno certa quale imponenza perchè presentano tre ranghi di fuoco; ma che non potrebbero resistere al fuoco ben diretto dell'artiglieria del nemico, il quale avrebbe inoltre il vantaggio di avvicinare le sue artiglierie coperto dalle colline, e dalle siepi dei giardini che vengono fino al piede delle mura. Costantinopoli non sosterrebbe più di otto giorni l'attacco di un'armata di terra. Altronde in uno spazio molto considerabile tra la porta di Adrianopoli, e quella di Top, come pure in un'altra parte tra quest'ultima porta ed il castello delle Sette Torri, i tre ordini di mura sono affatto ruinati, e rimpiazzati da una sola, che sembra piuttosto una semplice muraglia d'un ricinto, che un bastione di una immensa città. Tutto il rimanente delle mura cade pure in rovina.

CAPITOLO LII

Cisterna di Filossène. – Colonna di Costantino. – Mercato delle donne. – Bezesteinn, o grande Bazar. – Quartiere del Fanale. – Alai Kiksoe del Sultano. – Punta del serraglio. – Riva del Mar di Marmara. – Caserma de' bombardieri. – Casa di piacere del Sultano. – Illuminazione del Ramadan. – Festa del Beyrom, o della Pasqua. – Acque di Costantinopoli. – Carattere dei Turchi. – Divertimenti. – Donne. – Clima.

La Cisterna di Filossène fatta a' tempi di Costantino per provvedere di acqua la città, ora non è più che un arido sotterraneo, in cui si formò una filatura di seta. Vi si scende per una cattiva scala che mette capo in un luogo quasi oscuro, sostenuto da più centinaja di colonne, e tutto ingombro dalle macchine destinate a filare e torcere la seta, i cui fili presso che invisibili in luogo così poco illuminato, dividonsi orizzontalmente tra gli ordini delle colonne, in maniera che non si può fare un passo senza arrischiare di romperne delle centinaja; onde rendesi necessaria una guida per girare in questo labirinto.

Preceduto da questa, e seguito dalle mie genti ordinate una dietro l'altra come una compagnia di ciechi, io girai questa specie di sotterraneo, che adesso serve ad usi così diversi da quello cui fu in origine destinato. La volta appoggiata sulle colonne ha di tratto in tratto alcune aperture che adesso fanno le funzioni di abbaìno, e furono aperture per attinger l'acqua.

Ogni colonna è formata di due fusti posti l'uno sull'altro senza verun mastice: il fusto inferiore in vece di capitello, porta uno zoccolo largo un piede all'incirca, sul quale si alza il fusto superiore, cui tien luogo di capitello un'informe figura somigliante ad un cono rovesciato. Le colonne sono d'un marmo grossolano la cui superficie va sciogliendosi. La terra ed i rottami che fino a certa epoca gettavansi per le finestre, hanno colmata quest'immensa cisterna fino a due terzi dell'altezza delle colonne inferiori. La mia guida mi disse, che queste colonne sono più di quattrocento, benchè nella descrizione non se ne contino che dugento dodici: ma la guida deve aver ragione, perchè calcola le colonne inferiori e le superiori. Gli operai chiusi in questa sotterranea officina hanno un cattivo colore ed un ributtante aspetto.

Uscito da questa caverna passai presso alla colonna di Costantino fatta di molti pezzi di porfido rosso, ad eccezione delle parti superiore ed inferiore, che sono formate con sassi di affatto diversa natura, lo che fa torto al resto del monumento. La colonna comincia a disfarsi.

Non dimenticai di visitare il mercato ove si vendono le donne d'ogni colore. È questo un vasto cortile circondato di ammattonati alti tre in quattro piedi, sui quali espongonsi le schiave, e di camerini ove il compratore fa entrare la donna che ha scelto per osservarla più minutamente. Quand'io vi andai era il giorno di Pasqua, e non si teneva mercato. Il luogo è chiuso e ben custodito, e si dice che i cristiani non possono entrarvi.

Il gran Bazar, dello el Bezestein, è magnifico, dividendosi in molte strade tutte coperte di volte altissime, che ricevono la luce dagli abbaìni. Alcune di queste contrade vengono esclusivamente occupate dai mercanti di stoffe di seta riccamente provveduti; in altre non vedonsi che gioje e materie preziose; per ultimo le altre offrono un'infinita varietà di magazzini di ogni genere, di armi, di pelliccie, di bardature, di tele dell'Indie, di tele di cotone e di lana, di libri, sebbene in poca quantità, di oriuoli, e di prodotti di tutte le parti del mondo. Vi osservai in particolare de' bellissimi brillanti, ed una tazza d'oro col suo coperchio egregiamente lavorata. Vi si trovano armi turche ricchissime, ma assai pesanti.

Io cercava nelle botteghe de' libraj la storia dell'impero Ottomano in lingua turca; e me ne fu offerto un esemplare, diviso in due volumi, uno de' quali era affatto nuovo, e l'altro vecchio, pel valore di ottanta piastre: ne volli dare sessanta, ma non si volle rilasciarmelo a questo prezzo, avrei potuto acquistarlo con poche piastre di più, ma per essere un volume vecchio, ed in un paese così frequentemente esposto alla peste, prendeva con ripugnanza oggetti ch'erano stati adoperati da altre persone: e per tale motivo rinunciai di buon grado a tale acquisto.

Il Quartiere della città abitato dai Cristiani greci chiamasi il Fanale. In questo quartiere trovansi le case del Patriarca e delle principali famiglie di questa nazione. Nell'attraversarle osservai alcune case d'un buon aspetto, ma senza lusso esterno. Quella del principe Suzzo, nominato allora ospodaro di Valachia non distinguesi dalle altre. È vietato ai Greci il dipingere esteriormente le loro case con vivaci colori, dovendo farlo con colori cupi; lo che dà loro una cotal aria di tristezza e di monotonia che dispiace.

Durante il mio soggiorno a Costantinopoli m'imbarcai tre volte per visitare le rive del circondario.

La prima volta noleggiai una scialuppa per andare al terrazzo del Sultano posto in sulla riva presso al porto, fuori del ricinto del serraglio.

Questo belvedere, detto Alàï Kiesk, consiste in una piccola casa quadrata, tutt'intorno alla quale gira una galleria sostenuta da colonne di marmo, chiusa soltanto da cortine di grossa tela. Entrai senza trovare veruna persona: il suolo era coperto di tappeti, il palco ornato di pitture, di dorature, ed il soffà montato in argento massiccio, ma senz'altri ornamenti, e senza mondanature; è largo quanto un letto, ed aveva un materasso grossolano coperto con una tela turchina; innanzi al soffà vedesi una fontana di marmo, ma senz'acqua.

Continuai ad osservare dalla scialuppa la punta del serraglio, ove sono molti belvederi coperti quasi tutti di fitte gelosie, ch'io supposi essere gli appartamenti estivi delle sultane. Questi terrazzi sono di diverse altezze, e senza apparente simmetria; e vidi presso uno di tali edificj delle colonne di una breccia preziosa. Entro al serraglio ed a poca distanza dalla punta trovasi un'antica magnifica colonna, che può avere circa sessantadue piedi d'altezza; ma è posta in luogo tanto rimoto che non può vedersi dagli occhi profani, onde non potè prima d'ora essere descritta da veruno viaggiatore: e soltanto in occasione dell'ultimo attacco degl'Inglesi, essendo stati ammessi gli Europei nell'interno del serraglio per regolarvi il servigio della batteria spagnuola, fu disegnato questo monumento, che il rispettabile marchese d'Almanara ebbe la gentilezza di comunicarmi4.

La seconda volta ch'io m'imbarcai fu per esaminare la fronte della città dalla banda del mare di Marmara, che presenta un prospetto veramente magnifico e straordinario di una sorprendente quantità di case e di edificj d'ogni sorte, che stendonsi a perdita d'occhio lungo le rive di questo mare.

Ho già fatto osservare che la punta che mette capo alla bocca del porto viene formata dal serraglio circondato da una semplice muraglia merlata con loggie, terrazzi e giardini posti in diverse distanze.

Al di fuori il piede di questa muraglia vien difeso da una linea di batterie da campagna costrutte nell'indicata epoca sotto la direzione degli ambasciatori di Francia e di Spagna, il generale Sebastiani, ed il marchese d'Almanara. Queste batterie sostenute da quelle delle opposte rive del porto e del Bosforo, assicurano il serraglio da ogni insulto dalla parte del mare. Io non vidi sulle mura del serraglio che una sola batteria; chiamata batteria degli Spagnuoli, la quale fu nell'interno del serraglio servita dagli individui di questa nazione; ciò che prova l'estrema confidenza del Gran Sultano.

Queste mura sono perfettamente simili a quelle che circondano la città in riva al mare. Nell'ultima batteria del serraglio posta a mezzodì vidi alcuni antichi cannoni turchi di una colossale grossezza, alcuni de' quali hanno sette ed otto bocche minori intorno alla grande centrale; e gli altri un piede di diametro: questi servono a tirare palle di sasso, preparate ed ammucchiate presso ad ogni pezzo. Questi grandi cannoni stanno sul suolo senza carro per tirare a fior d'acqua; di modo che qualsiasi bastimento toccato da uno di questi projetti deve necessariamente colare a fondo. Ma perchè queste pesantissime macchine non possono muoversi, difficilmente possono cogliere oggetti mobili. Il rimanente delle mura al di là del serraglio non si trova già più nel medesimo stato di difesa.

M'imbarcai l'ultima volta il primo giorno di Pasqua ad oggetto di osservare il fondo del porto.

Tutti i bastimenti ottomani avevano spiegato il loro paviglione, ma nessuno era pavesato, ed una perfetta calma rendeva inutili i paviglioni. Vi contai circa trenta tra vascelli, fregate e corvette, di cui venti disponibili, e dieci scialuppe cannoniere.

Ammirai il bel frontispizio della caserma de' bombardieri, presso alla quale facevansi delle salve di allegrezza con una linea di mortaj.

Dopo essere passato in faccia alla moschea al quartiere d'Eyoub, ed a varie case di piacere del Sultano, trovai il canale del porto, ristretto e diviso in più canali tra le isole a fior d'acqua, e coperto di giunchi. Di là il battello entrò in un canale d'acqua dolce, che deriva da un villaggio detto Belgrado, tre ore lontano della strada; indi essendo passato sotto due ponti di legno poco discosti uno dall'altro, scesi a terra per vedere una delle case di piacere del Sultano posta a destra del canale, un'ora circa di cammino distante dal luogo del mio imbarco. È questa formata di varie casucce, e di un bellissimo terrazzo con colonne di marmo; i palchi hanno ricche dorature: il centro della gran sala è ornato da una bella fonte, e da un canto vedesi il soffà del Sultano consistente in un materasso ed alcuni origlieri rossi ricamati d'oro posti sopra un rialto, e coperti dal padiglione ottomano in forma di cortina.

Il terrazzo trovasi di fronte ad una cascata, nella quale l'acqua si precipita sopra gradini in forme di conchiglia per tutta la larghezza del canale che può essere di circa settanta piedi: al di sotto vedesi uno stagno quadrato ove cade l'acqua da un secondo ordine di gradini. Vedonsi entro allo stagno tre pergolati isolati assai gentili, ed in faccia al terrazzo una fonte che imita la figura della colonna dei serpenti dell'Ippodromo, e getta l'acqua per la bocca dei serpenti.

In fondo al canale trovasi una fontana di marmo rozzamente lavorata, ed alquanto più sotto ancora un'altra in forma di gran vaso.

Dall'alto della caduta il canale si presenta in retta linea fino a ragguardevole distanza, mantenendo costantemente la stessa larghezza. Due filari di pioppi ne orlano le due sponde.

Questo luogo altra volta chiuso, resta ora aperto al pubblico, ma in uno stato di deplorabile deperimento, non essendo frequentato dal Sultano presente, il quale lo vide una sola volta. Vi sono alcune case ove alloggia un corpo di bostangì, presso alle quali vedonsi pochi cannoni che servono per esercitare gli artiglieri. Le guardie mi accolsero gentilmente, e servirono anche il mio seguito di caffè. Il canale si scarica in un'angusta valle chiusa tra montagnette incolte. Questo luogo vien detto le acque dolci.

S'impiegò un'ora ed un quarto per tornare allo sbarco di Costantinopoli quantunque la barca assai leggiera, ed armata di quattro remi facesse più di una lega per ora.

Nelle notti classiche del Ramadan le moschee sono illuminate, e magnifica è l'illuminazione delle moschee imperiali, e sopramodo bella quella di S. Sofia. In questa circostanza soltanto può aversi una perfetta idea di questa immensa cupola; perchè la luce che v'entra di giorno non basta a far rilevare la grandezza dell'edificio. Molte migliaja di lumicini posti lungo le cornici, sulle mondanature e le parti saglienti dell'interno, altre migliaja sospesi alle volte, ed una infinità di lampade di cristallo e di vetro di varia grandezza, fanno assai meglio comprendere la maestà di questo tempio che la luce del sole; e confesso che io non ne ebbi una compiuta idea fino all'istante che lo vidi illuminato.

Mi riuscì pur nuova la maniera di spegnere tanti lumi. Molti uomini con grandi ventagli di penne agitano l'aria, e ad ogni colpo spengonsene dieci, dodici, venti, benchè distanti otto o dieci piedi dal ventaglio; di modo che in pochi istanti tutto il tempio ritorna oscuro.

Mentre consumansi tanti lumi nelle moschee, ed anco sopra le torri ove non servono a nulla, non se ne trova un solo nelle strade, ingombre di nero fango, ed in mezzo a case ordinariamente dipinte di oscuri colori, che rendono ancora più cupa l'atmosfera; la luna non rischiara parecchie notti del Ramadan, e le profonde tenebre che regnano in tal tempo in tutte le strade mal selciate, più o meno ripide, e sempre bagnate, le fa incomodissime, quantunque si abbia seco una o due lucerne; perchè quelle adoperate comunemente dagli abitanti essendo coperte di tela rendono una così debole luce, che appena distinguonsi le persone che le portano; e la quantità di queste pallide luci che si vedono andare da un luogo all'altro come sospese in così bassa regione dell'aria, le fa rassomigliare ad una danza di spettri. In tempo di notte non ho mai incontrato donne per istrada.

4.Vedi il Viaggio del sig. Pouqueville e circa questo, e circa altre particolarità del serraglio.
Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
28 mayıs 2017
Hacim:
142 s. 4 illüstrasyon
Telif hakkı:
Public Domain