Kitabı oku: «Storia dei musulmani di Sicilia, vol. I», sayfa 16
LIBRO SECONDO
CAPITOLO I
Fu aperta la Sicilia ai Musulmani da una rivolta militare, della quale si narra variamente l'origine.384
Mettendo a rassegna i cronisti, e principiando dagli italiani, il più antico è Giovanni diacono di Napoli, che visse nella seconda metà del nono secolo; quando passava tanta dimestichezza tra la colonia musulmana di Sicilia e la repubblica di Napoli. Costui compilò la cronica dei vescovi napoletani, cinquant'anni appresso il grande avvenimento che avea spiccato la Sicilia dall'Impero: donde, se i critici volentieri gli accordan fede nei fatti de' tempi suoi, gliene dobbiamo anche in questo.385 Raccontata la congiura di palagio che tolse al supplizio Michele il Balbo e lo promosse al trono (26 dicembre 820), il diacono di Napoli scrive come, immediatamente dopo la liberazione di Michele, i Siracusani, suscitati a ribellione da un Euthimio, uccidessero Gregora lor patrizio. Indi lo imperatore mandava possente esercito che ruppe i Siracusani. Euthimio, rifuggitosi in Affrica con la moglie e i figliuoli, tornò in Sicilia con un'armata di Saraceni condotta da Arcario386 lor duce (827); la quale corse l'isola, assediò Siracusa, sforzolla a tributo, e alfine (831) s'insignorì della provincia di Palermo. Dopo alcuni particolari di quest'ultima fazione, ripigliando il filo degli eventi che succedeano a Costantinopoli e nella terraferma d'Italia, Giovanni fa menzione della guerra civile di Tommaso di Cappadocia (821-824); nè riparla dei Musulmani di Sicilia che quando cominciarono a intromettersi nelle brighe della Penisola. Da quanto ho detto, e dalle date certe che ho aggiunto tra parentesi, ognun vede che il cronista napoletano abbia collocato que' casi di Sicilia, a mo' d'episodio, nell'anno in cui principiarono, e che questo, secondo lui, torni all'ottocentoventuno.387
Il secondo scrittore nostrale che faccia cenno dell'evento, visse dopo cencinquanta anni, verso la fine del decimo secolo; anonimo, ma si sa che fosse di Salerno, e forse monaco e di schiatta longobarda. Ei suol fare fascio d'ogni erba, come notava il Muratori; intreccia negli annali le novellette che correano di quel tempo, e attribuisce ai personaggi della storia discorsi e sentenze di sua fattura. Pertanto lo lasceremmo indietro, se non trovassimo nel racconto le vestigia di alcuni particolari che abbiamo da altri autori degni di fede, da lui non letti per certo. Senza dissimulare nel linguaggio suo l'odio contro i Bizantini, l'anonimo di Salerno ci narra come certo grechetto, dice egli, che reggea la Sicilia, ingiuriasse mortalmente Eufemio, ricchissimo siciliano. Corrotto per danari, il prefetto violentemente toglieva ad Eufemio la fidanzata Omoniza, fanciulla di rara bellezza, per darla in braccio a un rivale. Ed Eufemio, cercando vendetta, si imbarcava coi servi suoi per l'Affrica; andava a profferire la signoria della Sicilia a quel barbaro re; il quale, colmatolo di doni, lo rimandò nell'isola con un esercito. L'ingiuriato amante, così entrato per forza d'armi in Catania e fattavi molta strage, ammazzò tra gli altri il prefetto. Tanto narra l'anonimo salernitano, senza recar la data; ma lavora di rettorica a fingere le ambasce e minacce d'Eufemio.388
Quest'episodio erotico, preso al rovescio con farvi Eufemio offensore invece di offeso, è quasi la sola tradizione che ci tramandino i Bizantini su la guerra di Sicilia. Come sorgente primitiva loro si allega la storia particolare e contemporanea di un Teognosto: opera perduta in oggi.389 Rimanda in fatti a Teognosto, per più ampio ragguaglio del caso di Sicilia, la principale tra le cronache bizantine che possa fare autorità per quel tempo, la Cronografia detta di Costantino Porfirogenito imperatore, scritta per suo comando e da lui messa in ordine e postillata, la quale va in principio della continuazione a Teofane.390 Da questa cronica, che ha data certa della metà del secol decimo, tolsero il fatto Cedreno, autore del duodecimo, che vi mutò appena qualche frase, e Zonara che lo compendiò anche nel duodecimo secolo; per non dir nulla del Curopalata Giovanni Scylitzes, il quale, come ognun sa, trascrisse di parola in parola Cedreno senza nominarlo. Pertanto non diremo altrimenti della testimonianza di così fatti copisti. Ma vuolsi fare menzione d'un compendiatore del decimo secolo, Simone maestro (che era titolo d'officio a corte),391 il quale par abbia avuto alle mani la storia di Teognosto o altri ricordi; poichè si discosta dalla compilazione imperiale. Mentre Michele il Balbo, dice il cronista, si travagliava nella guerra civile di Tommaso di Cappadocia, gli Affricani e gli Arabi occuparono Creta, Sicilia e le Cicladi, regioni uscite “poco innanzi” dalla dominazione bizantina, pei peccati dei popoli e la iniquità dei principi.392 E allora
. accadde che Michele, dicendo forse da senno a Ireneo maestro del palagio “Mi rallegro teco; la Sicilia s'è ribellata!” que' gli replicò: “Strana contentezza è questa, o signore;” e volto a un altro cortigiano gli sufolò all'orecchio tre versi: “Ecco il primo disastro che dovea succedere, preso lo stato dal dragone di Babilonia, balbuziente e amantissimo dell'oro.”393 Dopo ciò, Simone racconta il primo sbarco dei Musulmani in Creta (822?).
La compilazione imperiale, senza segnar data precisa, dà un sincronismo diverso al fatto di Sicilia, portandolo insieme con l'impresa di Orifa nell'Arcipelago (825?). “Tra coteste vicende, dice la compilazione, Eufemio turmarca di milizie394 in Sicilia, invaghito di una donzella che vivea nel chiostro, e che portava da lungo tempo l'abito monastico, avea cerco ancor da lungo tempo di soddisfare all'amor suo, prendendola in moglie: chè l'esempio non era lontano, nè potea parer cosa illecita nè brutta, quando poc'anzi l'avea praticato lo stesso imperatore Michele. Pertanto Eufemio, rapita la vergine dal monistero, portossela, riluttante, a casa.”395 I fratelli di lei se ne richiamavano allo imperatore; e questi ingiungeva allo stratego di Sicilia che, sendo vero il misfatto, si mozzasse il naso al rapitore, secondo il rigor delle leggi.396 Ma Eufemio, risaputo il pericolo, ordiva una cospirazione coi proprii soldati e con altri turmarchi compagni suoi;397 e, sottrattosi allo stratego che andava per punirlo, rifuggissi appo il miramolino398 d'Affrica; promettendo che gli darebbe la Sicilia e pagherebbegli largo tributo, s'ei gli concedesse di prender nome e insegne d'imperatore, e lo aiutasse di genti. Il barbaro principe accettava il partito, e s'insignoriva dell'isola, col favore d'Eufemio non solo, ma sì degli altri che avean messo mano con lui alla ribellione. Pervenuto a salti, come ognun se n'accorge, alla irruzione dei Musulmani in Sicilia, il cronista palatino esce di briga con additare ai lettori Teognosto; nè si sofferma che per raccontare un altro episodio drammatico: la uccisione di Eufemio.399 Parlando dello stratego di Sicilia in quel tempo, ei non ne dà il nome; ma più sopra, nel racconto della guerra di Creta, avea detto che Michele il Balbo affidò il governo della Sicilia a Fotino protospatario e capitano d'Oriente, per racconsolarlo della sventura incontrata in quell'altr'isola (825), ove, mandato contro i Musulmani con grosso esercito, i suoi avean toccato una rotta ed ei se n'era fuggito, come pare, senza combattere.400 Questo Fotino era bisavolo di Zoe imperatrice, madre del Porfirogenito. E ciò spiega perchè la compilazione imperiale aggravi tanto Eufemio, e non faccia parola dei casi della ribellione, nei quali Fotino par sia stato infelice e codardo quanto in Creta.
Venendo alla tradizione musulmana, che ha sembianze assai più genuine, è da avvertire come noi la tenghiamo da tre scrittori: Ibn-el-Athîr, che visse tra il duodecimo e il decimoterzo secolo; Nowairi, del decimoterzo e decimoquarto; e Ibn-Khaldûn, della fine del decimoquarto stesso: dei quali ho detto abbastanza nella Introduzione. Attinsero i fatti del conquisto di Sicilia ad unica sorgente, ignota a noi; se non che possiamo conghietturare che fosse compilazione fatta in Sicilia o nell'Affrica propria nell'undecimo secolo, sopra ricordi scritti ai tempi medesimi degli eventi, come ormai portava la civiltà dei popoli musulmani. Egli è evidente che Ibn-el-Athîr e Nowairi scorciassero entrambi quella cronica, poichè danno il grosso dei fatti nel medesimo ordine, e sovente con le medesime parole; ma dei particolari chi ne presceglie uno e chi un altro, secondo il genio suo: trovandosi in maggior copia appo Ibn-el-Athîr le cose militari e politiche, ed appo Nowairi gli aneddoti. Quanto ad Ibn-Khaldûn, in questo capitolo abbrevia Ibn-el-Athîr, senz'aggiugnervi una sillaba.
La tradizione musulmana corre nel tenor seguente. L'anno dugento uno dell'egira (816-17) secondo il Nowairi, e dugento undici (826-27) secondo Ibn-el-Athîr, il re dei Rûm prepose alla Sicilia il patrizio Costantino401 soprannominato il Suda,402 voce d'origine latina, grecizzata nei bassi tempi, che suona trincea; ed in Creta è nome geografico, noto, com'e' pare, nella guerra dei Musulmani. Il Trincea avendo fatto capitano dei soldati d'armata Eufemio della nazione dei Rûm, uom prode e intraprendente, caporione tra gli ottimati siciliani,403 costui andò ad osteggiare la costiera d'Affrica; presevi mercatanti, vi fece bottino, e lunga pezza s'intrattenne a infestar que' mari. Poscia riseppe avere il principe commesso al patrizio dell'isola di torgli il comando e punirlo d'una colpa che gli era stata apposta: e datane contezza ai compagni suoi d'arme, li accese a ribellarsi con essolui. Donde, approdata l'armata a Siracusa, si azzuffò con le genti di Costantino, lo ruppe; una schiera, inseguitolo infino a Catania, lo prese e ammazzò; ed Eufemio fu gridato imperatore. Il quale chiamò al governo d'alcuna provincia un de' partigiani suoi, barbaro, dicesi, di nazione alemanna, forse Armeno,404 per nome Palata,405 cugino d'un Michele che reggea la città di Palermo; ma i due congiunti, messe insieme loro forze, disdiceano il nome d'Eufemio; movean contr'esso; e vintolo in battaglia, uccisigli mille uomini ed entrati in Siracusa, ei fu costretto a fuggirsi in Affrica con la gente che gli avanzava. Così scrivono di seconda o di terza mano i citati cronisti.406 Il Riadh-en-nofûs, raccolta di biografie d'Affricani, compilata, come s'è detto nella Introduzione, verso la fine del decimo secolo o nell'undecimo al più tardi, sopra memorie scritte del nono, offre l'addentellato alla riferita tradizione, e dà i nomi di Eufemio e del Palata; se non che esclude il supposto delle incursioni d'Eufemio su la costiera d'Affrica, o almeno porta a credere che fossero esercitate contro i Musulmani di Spagna.407
Or i racconti che minutamente abbiamo esposto, messi al cimento dalla critica, lungi dal contraddirsi a vicenda, s'attagliano l'uno all'altro, meglio che non potrebbe aspettarsi in ricordi di origine sì diversa e di una età sì povera di scritti istorici. E prima, il nome del protagonista della rivoluzione siciliana concorda in tutti gli autori: chè se Giovanni diacono il chiama Euthimio, questa voce facilmente si potea confondere con Eufemio nella scrittura, e più nella pronunzia.408 Convengono alsì tutte le memorie su la ribellione, la sconfitta, la fuga di Eufemio in Affrica: e l'Anonimo salernitano che parrebbe men degno di fede, prova pure essergli pervenuto qualche ragguaglio preciso, narrando la uccisione dello stratego in Catania, che sappiam solo da Ibn-el-Athîr e da Ibn-Khaldûn. Delle nozze con la suora o novizia, non pare nè anco da dubitarsi; se non che questa va tenuta circostanza secondaria, anzi pretesto della persecuzione d'Eufemio; poichè la corte bizantina, al par di ogni altro governo dispotico e bacchettone, avea due misure di morale: l'una larga pei principi e lor fautori, e l'altra rigorosa e intollerante, adoperata quando ci entrava di mezzo il furore teologico, la invidia o la nimistà politica. Politico del tutto fu dunque il movimento d'Eufemio, come il dicono i due più antichi scrittori, italiano e bizantino, Giovanni diacono e Simone maestro. Più difficile a fissarne appunto la data. Que' due accennano all'ottocentoventuno; e s'accorda con essi l'anno dell'egira segnato dal Nowairi, e la probabilità grandissima che i capitani dell'esercito siciliano si fossero sollevati, quando Tommaso di Cappadocia chiarito ribelle in Oriente movea contro Costantinopoli; come già lo stratego Sergio turbò l'isola quand'ei seppe Leone Isaurico assediato dagli Arabi nella capitale. E che la ribellione di Sicilia fosse durata cinque o sei anni, sarebbe tanto più verosimile, quanto Michele il Balbo non ebbe mai forze da reprimerla. Nondimeno, io penso che in quel movimento si debba supporre un intervallo nel quale la Sicilia avesse riconosciuto il governo di Costantinopoli; poichè gli Arabi nel loro ragguaglio sì particolareggiato e verosimile, chiamano lo stratego ucciso da Eufemio con un nome e un soprannome che ben s'adattano a Fotino, il quale fu promosso a quell'officio verso l'ottocentoventisei, come si deduce dalla cronica del Porfirogenito. E veramente nella scrittura arabica il nome di Costantino non è molto dissimile da quell'altro; e come assai più ovvio, dovea parer migliore lezione ai copisti. Al tempo stesso il soprannome di Suda sembra coniato apposta per Fotino. Infine la serie di fatti, che salta a piè pari il cronista palatino, par debba riferirsi, come già notai, all'avolo di Zoe imperatrice.
Si potrebbe argomentare da tutto ciò che il movimento siciliano avesse avuto due periodi; l'uno dalla esaltazione di Michele il Balbo alla elezione di Fotino; l'altro dalla persecuzione d'Eufemio alla sua fuga in Affrica. I quali due periodi, sì vicini tra loro, furono, com'avvien sempre, confusi in un solo dalla tradizione verbale e dai compendiatori; e in quel solo primeggiò il nome, rimase infame, d'Eufemio: e il tempo si riferì dagli uni al principio, cioè all'ottocentoventuno; dagli altri al fine, cioè all'ottocentoventisei. Dall'ottocentoventuno all'ottocentoventicinque i condottieri ch'erano arbitri della Sicilia, forse uccisero un primo patrizio Gregora o Gregorio; forse Eufemio si prevalse, al par che gli altri capitani, di quei turbamenti, ma non ne fu motore principale; forse i turbamenti non trascorsero fino all'aperta ribellione; ovvero Michele il Balbo, non potendo con un esercito, la represse con un finto perdono. Ma Fotino mandato a dar sesto alla Sicilia, sendo favorito dell'imperatore e spregiato dai soldati, prosontuoso e codardo, e volendo fare ammenda della fuga di Creta con qualche grande impresa di polizia in Sicilia, diè opera a spegnere i condottieri più baldanzosi, tra i quali primeggiava Eufemio. In luogo di ricercare il crimenlese, chè non si potea fare onestamente nè senza pericolo, trovò un sacrilegio chiarito o incerto; trovò i fratelli della sposa, tiranni domestici delusi, o pacifici cittadini ingiuriati da un soldato che si fea lecito ogni cosa: e per tal modo, col manto della morale e della religione, Fotino si provò a spezzar la prima verga del fascio. Se non che l'accusato era in sull'armi; gli altri condottieri s'accorsero dell'arte grossolana dello stratego, e videro il proprio pericolo in quel d'Eufemio: donde raccesero immantinenti la rivoluzione. Così mi raffiguro l'andamento dei fatti. Io pongo la sollevazione militare contro Fotino nell'anno ottocentoventisei. La sconfitta, la morte di costui, la effimera esaltazione di Eufemio, la sollevazione di due altri condottieri contro di lui e il novello combattimento di Siracusa, ond'ei fu costretto a fuggire, si debbono credere per filo e per segno come li narrano gli Arabi, e collocare nel medesimo anno ottocentoventisei. Soltanto aggiugnerei ch'Eufemio, detto da Ibn-el-Athîr capitano di soldati d'armata, e da tutti gli Arabi guerreggiante su le costiere d'Affrica, avesse dalla parte sua le milizie siciliane che montavano l'armata dell'isola; perchè, tra gli eventi di Costantinopoli e di Creta, non è da supporre che venisse in Sicilia il navilio imperiale. Altri soldati del presidio, stranieri e mercenarii, si sollevarono al certo con Eufemio; ma non andò guari che i loro capitani, massime i due cugini alemanni o armeni, non parendo loro aver guadagnato abbastanza, e corrotti forse dall'oro imperiale, si rivoltarono contro il novello signore, e gridarono il nome di Michele il Balbo. Riportarono la vittoria i traditori; e nondimeno rimase ad Eufemio non poco séguito tra i Siciliani, come lo dice espressamente la cronaca del Porfirogenito, e come si vedrà ancora dalla narrazione degli Arabi. È indi manifesto che i due elementi dai quali nacque il moto militare dell'ottocentoventisei, tosto si separarono. Le armi mercenarie, come pietra che si gitti in alto, ricaddero verso il loro centro di gravità, ch'era il dispotismo di Costantinopoli. Le milizie siciliane tentarono di spiccarsi dall'impero greco, sì come avean fatto un secolo innanti quelle dell'Italia centrale; ma oppresse da forze più ordinate, nè potendo trovar sostegno nello sfacelo della società civile, si gittarono per disperazione al peggior partito: chiamarono un potentato straniero; e affrettaron così la morte della nazione greco-sicola, ch'era andata decadendo e consumandosi, ormai da mille anni, dopo l'entrata di Marcello a Siracusa.
CAPITOLO II
In questo tempo la guerra civile posava appena nello stato aghlabita, nè era spenta per anco a Tunis, principal porto di quello; ma tal commozione, in luogo di portare spossamento e abbandono come in Sicilia, avea raddoppiato l'attività della giovane colonia. Tra gli uomini grandi che producea l'islamismo in sua virtù, segnalavasi allora Abu-Abd-Allah-Ased-ibn-Forât-ibn-Sinân, cadi della capitale, vecchio settuagenario. Oriundo di Nisapûr nel Khorassân, e però di sangue straniero, era cliente costui della tribù arabica dei Beni Soleim; era nato il centoquarantadue (759-60) ad Harrân in Mesopotamia; e 'l padre venendo con l'esercito dei Khorassaniti al racquisto dell'Affrica, l'avea recato bambino di due anni a Kairewân. Fatto soggiorno in quella città, e indi a Tunis, e divenuto colono, forse proprietario, Forât avea potuto dare al figliuolo la dispendiosa educazione che s'apparteneva a giureconsulto. Donde Ased, studiato il Corano in Affrica, ripartì a diciott'anni per l'Arabia; ascoltò a Medina le lezioni di Malek-ibn-Anas, famoso tra i dottori principi dell'islamismo; e venuto quegli a morte, passò in Irak appo i discepoli di Abu-Hanîfa; e compiè poi gli studii sotto Ibn-Kâsim, onor della scuola di Malek in Egitto.409
Pieno la mente di quegli alti pensieri dei dottori orientali, fece ritorno Ased in Kairewân del settecento novantasette, e aprì scuola di dritto leggendovi il Mowattâ del primo suo maestro e un comento ch'ei par n'abbia fatto con la scorta d'Ibn-Kâsim; la quale opera, dal nome dell'autore, fu addimandata l'Asediìa. Crebbe la sua riputazione a tale, che in Affrica il tennero come dottore principe.410 Donde nei moti dell'aristocrazia contro Ibrahim-ibn-Aghlab (810-811), un capo per nome Amrân-ibn-Mogiâled cercò di trarlo a sè con lusinghe, poi con minacce; ma Ased troncò le pratiche rispondendo ai messaggieri di Amrân, che s'egli fosse ito al campo dei sollevati avrebbe gridato: “l'uccisore e l'ucciso cadranno entrambi nel fuoco eterno.”411 Da ciò si vede che, al par degli altri giureconsulti d'Affrica, abborriva sì la guerra civile, ma non parteggiava punto per Ibrahim. Ma quando Ziadet-Allah, tra' due bocconi amari che gli eran porti, amò meglio ingozzare l'opposizione legale dei dotti che la violenza delle milizie, chiamò Ased-ibn-Forât l'anno dugentotrè (818-19) a cadi di Kairewân; persuaso, dicono le biografie, dalle assidue esortazioni d'un Ali-ibn-Homeila; e non veggono che il motivo del consigliere e del principe era di dare un'arra di conciliazione alla parte moderata, nella quale primeggiava di certo Ased. Ziadet-Allah, non volendo punto deporre l'antico cadi, Abu-Mohriz-Mohammed, uom dotto e pio e particolarmente riverito da lui, sforzato quasi a dar la suprema magistratura ad Ased, glielo aggiunse nell'uficio; talchè si videro, con esempio unico o rarissimo, due cadi d'una medesima scuola nella stessa città.412 Tal magistrato fu di grande momento nel nono secolo, quando lo innalzarono a splendore le riforme di Harun-Rascid413 e la crescente civiltà; e quando i principi musulmani non avean per anco ministri di Stato ordinarii e permanenti, e gli interpreti della legge divina s'arrogavano di regolare tutte le umane faccende. Così veggiamo i due cadi del Kairewân fare or da giudici civili e criminali, or da padri spirituali di Ziadet-Allah; da assessori del santo ufizio che venía già in voga appo i Musulmani,414 e da consiglieri di stato. Ben avvenne che interrogati da Ziadet-Allah, sul caso di un zindîk, o, diremmo noi, miscredente che dovea sentenziarsi dal principe, Ased e Abu-Mohriz oppugnassero insieme l'avviso d'un terzo giureconsulto, il quale volea a dirittura la morte dell'accusato: e i due cadi vinsero appo Ziadet-Allah il partito di perdonargli, pentendosi; il che quel virtuoso scettico ricusò.415 Ma del rimanente i due giuristi, poco diversi per età e dottrina e discepoli entrambi di Malek, discordavano sempre, forse per gelosia, certo per indole; per l'animo forte dell'uno e pauroso dell'altro; per lo veder chiaro e lontano del primo e gli scrupoli del secondo. Il dissoluto e crudele Ziadet-Allah richieseli una volta su la misura di voluttà che gli fosse lecita nel bagno; e Ased pensando che il Corano concedeva il più, non volle contendergli il meno; ma Abu-Mohriz, con una distinzione degna del Padre Sanchez, seppe trovar pronto il peccato e accrescere a sè medesimo la riputazione di santo.416
Rifulse in ben altro caso la virtù di Ased. S'eran levate in arme contro Ziadet-Allah, come già narrammo (825), tutte le milizie d'Affrica; e capitanate da Mansûr Tonbodsi, avean messo il campo sotto Kairewân; chiamavano i cittadini a seguirle nella ribellione. Usciti allora a parlamentare i due cadi e condotti dinanzi a Mansûr che sedea tra i caporioni dell'esercito: “Su,” diss'egli ai cadi “siate con noi, s'egli è vero che questo tiranno vi sembri il flagello dei Musulmani!” “È vero: ed anco dei Giudei e dei Cristiani,” rispondeva tremando Abu-Mohriz. Ma Ased: “Non eravate voi stessi,” proruppe “non eravate poc'anzi i suoi partigiani e fratelli? Com'è che adesso ci richiedete di amistà contro di lui, quando nè egli nè voi avete mutato costumi? Ah no: se noi bastammo a tenerlo a segno quand'egli aveavi intorno, tanto meglio il faremo or ch'è solo.” A queste parole scoppiò una tempesta nel campo. I più feroci corsero addosso ad Ased e al compagno, sì che a mala pena rifuggironsi in città. E i cittadini non ascoltaron quel grande:417 tra le ire della rivoluzione e i rancori del principe che la spense, par che Ased per brev'ora sia venuto in uggia agli arrabbiati delle fazioni estreme. E forse fu in questo tempo, e favellando per beffa a qualche sciocco il quale si credea da più di lui perchè più forte gridava, che Ased si vantò della eccellenza dei suoi nomi proprii. “Io son Ased” disse (che significa lione), “e quale belva non cede al lione? Figliuol son io di Forât” (così pronunziavano la voce Eufrate), “nè altro fiume ha miglior acqua. L'avol mio appellossi Sinân” (ch'è de' nomi della lancia), “e questa è in vero fortissima tra le armi.”418 D'altronde, coteste millanterie erano in voga appo gli Arabi, e ve le manteneano le tradizioni poetiche di lor gente. E Ased, ancorchè d'origine straniera, n'era imbevuto, com'uom di lettere ed erudito ch'ei fu, anche meglio che giureconsulto, come pretende un biografo.419 Più che la coltura e la dottrina, la storia dee notare in lui il gran pensiero di racchetare l'Affrica portando la guerra in Sicilia, e la forza d'ingegno e d'animo con che vinse tal partito, e lo mandò ad effetto ei medesimo, a prezzo della propria vita.420
Giunto Eufemio su la costiera d'Affrica, mandava incontanente a Ziadet-Allah in Kairewân a chiedere aiuti, e offrirgli la sovranità della Sicilia;421 in questi termini: ch'ei medesimo tenesse l'isola con titolo e insegne d'imperatore, e ne pagasse tributo al principe aghlabita.422 L'uscito faceva assegnamento sugli avanzi dell'armata siciliana che lo seguitavano, e su i molti partigiani lasciati nell'isola; e fidavasi spezzare le armi del Palata con le armi affricane, e di coteste poi disfarsi con quante magagne gli offrisse il caso o l'ingegno suo. E così pensan sempre i deboli mettendosi a scherzare coi forti; e i più avventurati, come fu Eufemio infino alla sua morte, riescon sì ad aggiustare qualche parte di lor macchina; ma, presto o tardi, necessariamente succede un contrattempo che fa rovinare il tutto, e dà l'acquisto a chi ha in mano la possanza. Da un altro canto, com'e' pare, sbarcavano in Affrica oratori del Palata, mandati a studiare il disegno del nemico:423 e Ziadet-Allah pendeva irresoluto.
Nondimeno adunò a parlamento i notabili del paese, tra i quali fu disputato a lungo su la giustizia e utilità di quella guerra. Ingiusta pareva ai più, reggendo tuttavia la tregua dell'ottocentotredici; ma rispondeasi essere stata violata da' governanti della Sicilia, ritenendo prigioni parecchi Musulmani, com'aveva affermato Eufemio a Ziadet-Allah. Consultati su tal dubbio i due cadi, Abu-Mohriz avvisava si pigliasse tempo a chiarir meglio il fatto; Ased, all'incontro, volea che lì lì se ne domandasse ai medesimi oratori di Sicilia. “E come crederemo” ripigliò Abu-Mohriz “a ciò che diran costoro a carico o a difesa di sè stessi?” E Ased a lui: “Su le parole degli ambasciatori fermossi già la tregua, e su lor parole si spezzerà.” E focoso continuava: “Non vi sbigottite, o Musulmani, ha detto il sommo Iddio, non vi sbigottite; chiamate le genti all'islam, e avrete il primato sopra di quelle! Ubbidiamo dunque al divin precetto, in vece d'appigliarne sì tenacemente alla tregua con gli Infedeli, e rimarremo al di sopra!” Mutato per tal modo da Ased il centro della quistione, e messo innanzi un argomento al quale niun Musulmano potea dir contro, Ziadet-Allah interrogò gli oratori, tra i quali si trovava, forse da interprete, un Musulmano; i quali risposero: “È vero, sono stati imprigionati i vostri in Sicilia, ma a ragione; poich'essi non se ne andarono a tempo debito.”424 Così non sinceraronsi punto i dotti musulmani della infrazione della tregua, nè cessarono di ripugnare alla guerra di Sicilia:425 ma il pretesto v'era; il fanatismo religioso e le cupidigie mondane gli dettero forza di ragione; e il principe, i guerrieri, il popolo trovarono, senza meno, che il solo Ased intendesse bene la legge.
Fu discorsa insieme la utilità della impresa. Messo da altri il partito di infestare la Sicilia, senza farvi stanza nè porvi colonie, levossi a contraddirlo un Sehnûn-ibn-Kâdim. “Quanto v'ha,” dimandava costui “tra la Sicilia e l'Italia?” “Si va e viene due o tre volte dal levare al tramonto del sole,” gli risposero. “E tra la Sicilia e l'Affrica?” ripigliò; e quelli: “V'ha un giorno e una notte di viaggio.” “Oh, se pur avessi l'ale, non vorrei volar su quest'isola,” conchiudea Sehnûn; scherzando sul proprio nome che si dà in Affrica a un uccello assai scaltrito. Quest'arguzia per altro non giovò. I più, a una voce, deliberarono la guerra; ma d'incursione, non di conquisto.426
Allora Ased, che non si era tanto affaticato per una scorreria, pensò di portarla dassè al fine che si proponea, non ostanti tutti i dottori; e indi si fece, senza rispetti, a chiedere il comando dell'oste che ambivano parecchi altri uomini di maggior seguito per nobiltà di schiatta ed esperienza di guerra. E non curando Ziadet-Allah tal novella ambizione del giurista, forse facendosene beffe, quegli si volse al popolo, e andava brontolando: “Ve' che non mi vogliono, perchè mi tengono uom da nulla! Han saputo ben trovar nocchieri che governino le navi; che bisogno or hanno di chi le faccia andare secondo il Corano e la Sunna?”427 Ma tanta riputazione ebbe Ased nell'universale dei cittadini da lui esortati e infiammati alla guerra sacra, che Ziadet-Allah piegossi, con tutta quell'indole sua imperiosa, e fece ammenda della passata ripugnanza. Appresentatoglisi Ased, e chiestogli che, secondo, i sacri statuti, or che l'avea fatto capitano, lo deponesse dal magistrato: “Non fia mai” rispose il principe, “ch'io te ne rimuova. Ben v'aggiungo l'officio di capitano che è di più alto grado, ma vo' che tu ritenga anco il primo, e che sii detto cadi emiro.” E così fu fatto, continua il cronista contemporaneo Ahmed-ibn-Soleiman, nè mai s'è visto prima nè poi nello Stato d'Affrica cumulare in una persona quelle due dignità.428
Si allestiva in questo mentre l'armata nel porto di Susa, ov'Eufemio fu mandato ad aspettare con le sue genti.429 Quando ogni cosa trovossi in puntò, data la posta all'esercito a Kairewân, Ased movea con quello alla volta di Susa; e all'uscita della città l'accompagnavano, per fargli onore, i primarii tra i dotti con la gemâ', ossia municipalità, e tutta la corte del principe; che Ziadet-Allah non volle che rimanesse addietro alcun de' suoi famigliari. A Susa poi si fece la mostra dell'oste. Narra un testimonio di presenza che Ased, commosso dal nobile spettacolo, gli squadroni schierati in faccia, a tergo e ai fianchi, il volteggiare, delle bandiere al vento, l'annitrio dei cavalli, il frastuono dei tamburi, fatto silenzio, orò in queste parole: “Non v'ha altro Dio che il Dio uno, il Dio che non ha compagni. Affè di Dio, valorosi guerrieri, nè avolo nè padre ebbi io che mi lasciassero signoria,430 e pur uomo al mondo non fu mai onorato di eletto séguito al par di questo; nè lo spettacolo che ci sta dinanzi agli occhi io l'ho visto mai, fuorchè negli scritti. Su, dunque, sforzate alacremente gli animi, affaticate i corpi nel cercare scienza, e fatene tesoro, nè siatene sazii giammai, nè mai vinti da' travagli ch'ella v'arreca, e sappiate che ne conseguirete il guiderdone in questa vita, e in quella ch'è da venire.”431 Nè ci danno altro della orazione di Ased i biografi, eruditi che ne presero quel tanto che lor pareva onorasse il mestiere; come i frati cronisti del medio evo notavan solo dei principi il bene o il male fatto al monastero. Duolmi pertanto non avere ricordi più larghi, e dover sopperire con gli sforzi delle generalità, le quali se bastano a tratteggiare i tempi, mal ci aiutano a delineare le fattezze degli uomini, in cui la natura è sì svariata e capricciosa. E veramente da quelle parole di Ased trapela la vanità dell'uomo nuovo e l'orgoglio del dotto, e par vedere Cicerone pavoneggiarsi con la corazza indosso; ma son soppressi al certo, come cosa di minor momento, gli alti sensi che resero sì potente Ased nel tumulto degli animi della colonia, dico il fervore religioso e militare, la virtù del primo secolo dell'islamismo, al quale tornavan sempre col pensiero i giureconsulti di quel tempo, e forse Ased sopra ogni altro. Notevol è che il conquisto di Sicilia, promosso da questo grande, fu l'ultimo al tutto della schiatta arabica, e l'ultimo dello islamismo in Ponente. In Levante, le insegne dell'islam s'eran anco soprattenute da cento anni, nè ripigliarono la via dei conquisti che lunga pezza appresso, in mano della schiatta turca: sopra l'India, cioè, nello undecimo secolo, coi Gaznevidi; sopra l'Europa, nel decimoquinto, con gli Ottomani.
Al tempo di Leone, drungario e turmarca eran titoli di capitani nelle armatette provinciali, non già nel navilio imperiale; op. cit., versione del Maizeroi, p, 146. Il Cedreno dà ad Eufemio il vago titolo di Ἑξηγούμενος.
Lo stesso errore si trova nei MSS. di Nowairi, là dov'ei dice venuto in Sicilia l'828 col patrizio Teodoto un esercito, la più parte, di Alemanni. Quivi è evidente che si debba leggere Armeni. Veggasi il cap. III del presente Libro.