Kitabı oku: «Storia dei musulmani di Sicilia, vol. I», sayfa 21
CAPITOLO VIII
Innanzi l'impresa di Ased-ibn-Forât i Musulmani aveano piratescamente assalito le costiere occidentali della Penisola, come si narrò nel primo libro. Le varie fortune degli eserciti in Sicilia a volta a volta poi rigettavano in terraferma qualche mano di avventurieri, o troppo audaci in lor correrie, o disperati dopo alcuna sconfitta, o costretti a fuggire per furor di parti; i quali, battezzatisi per necessità, stanziarono, com'è probabile, presso Amalfi e Salerno: e rimaneanvi, nè cristiani nè musulmani, fino all'ottocento cinquanta.602 Forse vissero ai soldi di quei piccoli Stati che si rubacchiavano a vicenda; forse furon mezzani alla repubblica napoletana, quando si volse a chiedere aiuto in Sicilia l'ottocentotrentasei.
In questo tempo la colonia di Palermo, assestata dal savio e forte Ibrahim-ibn-Abd-Allah, avvezza ormai a fazioni navali e fatta amica dei Napoletani, incominciò in ben altra guisa a infestare la terraferma. Consigliata, o no, da' Napoletani, assaltò la costiera dell'Adriatico, l'ottocento trentotto, credo io, ma non trovasi data nella cronica. Ciò che ne sappiamo è, che i Musulmani improvvisamente occupavano Brindisi; che Sicardo principe di Benevento vi sopraccorrea con grosse torme di cavalli; e che pugnossi fuor la città. I Musulmani si affidarono a uno stratagemma adoperato già nelle guerre di Sicilia. Scelto il luogo che parve opportuno, vi scavaron fosse, le coprirono di sarmenti e di terra, e appressandosi l'esercito nemico, si chiusero nelle mura. Un dì, appresso il pranzo, irrompon fuori con grande schiamazzo e fragor di stromenti; attirano il nemico nelle insidie; e quivi, dando la carica i cavalli di Sicardo e traboccando nei fossati, grande numero di Beneventani, Salernitani, e altre genti rimasero morti sul campo. Poi, come i Longobardi s'armavano a furia per ogni luogo apprestandosi a vendicare questa strage, i Musulmani, fitto fuoco a Brindisi, tornarono con l'armata in Sicilia. Tanto narra l'Anonimo Salernitano che visse alla fine del secolo seguente, e pur merita fede in questo caso, avendo avuto alle mani tanti ricordi municipali, ignoti a cronisti più antichi di lui. Il fatto non mi sembra identico con quel che riferisce Giovanni Diacono, l'aiuto cioè dei Musulmani alla città di Napoli assediata da Sicardo. E veramente le circostanze di coteste due fazioni non possono stare insieme; e disconvengono anco i tempi, dovendo porsi l'aiuto di Napoli l'ottocento trentasei, e il combattimento di Brindisi poco innanzi la morte di Sicardo.603
Tra questa sconfitta e la morte, il tiranno beneventano ottenne singolar favore dal cielo, dicono i cronisti narrandoci tuttavia le orribilità sue: assassinii, stupri, tradimenti, ruberie, carnificine. Avendo appreso che la superstizione potesse far ammenda dei delitti, Sicardo mandava a cercare per ogni luogo ossami di santi; spesso a rubarne: e n'avea raccolto un tesoro, quando gli capitò alle mani una reliquia miracolosissima, s'altra mai ne fu. Le navi longobarde che giravan le isole dando la caccia ai Saraceni, l'ottocento trentotto, approdate a Lipari, trovaron bello ed intero il corpo di San Bartolommeo, che chiuso in uno avel di marmo era venuto a galla dalle foci del Gange alle isole Eolie; dove riconosciuto, e come no? ebbe culto e altari, finchè i Musulmani non guastarono ogni cosa. In più lieve barca viaggiarono le reliquie da Lipari a Salerno, onde poi furono tramutate a Benevento.604 Barca, credo io, non del navilio di Sicardo, che o non n'ebbe mai, o non avrebbe osato mandarlo sì presso alla Sicilia; ma piuttosto dei mercatanti della costiera i quali venissero a trafficare coi Musulmani, prendere a baratto il bottino delle chiese, e vendere schiavi italiani.605 Perciò mi sembra notevole il fatto, e perciò l'ho ricordato.
Stanchi alfine di quella insolente tirannide, i cittadini di Benevento uccisero Sicardo (839); e, lasciato Siconolfo fratel suo nella prigione ove egli l'avea messo, esaltarono un Radelchi, ch'era dei primarii oficiali dello stato. All'incontro, Salerno, Capua e altre città, per procaccio, com'e' parmi, de' grossi feudatarii longobardi che mal soffrivano la dominazione di Benevento, gridarono principe Siconolfo, testè liberato dai suoi partigiani. La successione disputata portò a guerra civile, che forte incrudelì mescolandovisi i Musulmani. I quali, al saper quelle discordie, fatto un general movimento, dice l'Anonimo Salernitano, piombarono su la Calabria.606 E prima que' di Sicilia, non aspettata pur la primavera, occuparono Taranto; e si trovarono a un tratto signori dell'Adriatico. Perocchè Venezia, sollecitata l'anno innanzi da Teofilo ch'era ormai costretto a mendicare cotesti aiuti, s'era mossa a gagliardo sforzo, tra le lusinghe dello imperatore, i danari che vi recò il patrizio Teodosio, e il sentire già in pericolo la navigazione sua: avea armato sessanta legni da guerra. Veleggiando, com'e' pare, alla volta di Sicilia, s'imbatteano a Taranto nell'armata musulmana; la quale uscita a combattere, li ruppe con orribile strage: dicono gli annali de' Veneziani che tutta lor gente vi restasse morta o presa. Nell'inseguire i fuggenti, spinsersi i Musulmani infino all'Istria; addì trenta marzo ottocento quaranta saccheggiarono e arsero Osero nell'isola di Cherso; saltarono su la riva opposta, sbarcarono alle foci del Po presso Adria, ma senza frutto; ad Ancona fecero prigioni e poser fuoco alle case; e poi, incrociando alle bocche dell'Adriatico, presero molte navi mercantili di Venezia reduci di Sicilia e d'altre regioni.607 Intanto su la punta della penisola avean espugnato parecchi luoghi e lasciatovi presidio, come va interpretata la frase degli annali arabici, che quest'anno dugento venticinque dell'egira (11 novembre 839 a 29 ottobre 840) i Musulmani conquistavano la Calabria.608 Nel medesimo tempo osteggiarono la Puglia, ritraendosi che Haiâ liberto di Aghlab, principe d'Affrica, assalisse Bari, ma ne fosse respinto.609 L'armata musulmana, l'anno appresso, mostrossi di nuovo nel golfo del Quarnero, e di nuovo diè una sanguinosa rotta ai Veneziani, presso l'isoletta di Sansego.610 In coteste fazioni non combatteron soli i coloni di Palermo. Per certo li rinforzava la gente venuta d'Affrica in Sicilia l'ottocento trentanove;611 e v'eran anco quegli audacissimi corsari della colonia di Creta, che due anni appresso si veggono stanziare a Taranto. Affricani, Siciliani, Cretesi erano la più parte compagnie di ventura, come quelle accorse l'ottocento trenta in Sicilia; disposti ad operare insieme in alcuna impresa di momento, e far le minori ciascuno per sè. E però fondarono in terraferma le picciole colonie independenti, di cui si farà ricordo. I condottieri usurparon titolo di principi, che gli scrittori cristiani danno talvolta per nome proprio: così senza dubbio Sultano; così Saba, che parmi corruzione di Sâheb. Ed è il nome attribuito all'ammiraglio che trionfò a Taranto.612
Ma Radelchi, condotto alla stremo da Siconolfo, che gli avea tolto la Calabria e non poca parte di Puglia,613 si gittò agli aiuti dei Musulmani. Per Pandone gastaldo di Bari, fe' chiamare un di que' condottieri per nome Khalfûn, uom berbero, liberto della tribù araba di Rebi'a;614 le cui genti Pandone fe' accampar lungo la marina e sotto le mura. E una notte i Baresi, che abbastanza non se ne guardavano, videro saltare in città quelle frotte scalze, mezzo ignude, male armate, e i più di sole canne, scrissero i Cristiani,615 maravigliati di quelle lor lance, di canne indiane, sottili e salde come d'acciaro. Saccheggiarono; uccisero chi resistea: Pandone tra gli altri fu gittate in mare, perchè volea parlare sopra il diritto delle genti. Radelchi, non potendo far altro, li lasciò padroni di Bari; se li tirò dietro; ed espilò i tesori delle chiese per pagar loro gli stipendii. Mandolli una volta con Orso suo figliuolo sopra il castel di Canne o di Canosa, chè dubbio è il nome;616 dove sopraggiuntili Siconolfo, li ruppe sì fieramente che pochi ne camparono. Khalfûn, crepatogli il cavallo nella fuga, salvossi a piè, a mala pena, entro Bari. Nondimeno, i Musulmani agevolmente riforniti di gente, prendean aspra vendetta; scorrean predando e guastando infino a Capua; e ardean la città, che fu rifabbricata di lì a pochi anni al ponte del Casilino, non lungi dall'antico sito.617
Donde Siconolfo avvisandosi, dice Erchemperto, di spezzare con un mal conio il mal nodo dell'albero, chiamò contro gli Agareni libici di Radelchi gli Ismaeliti spagnuoli di Creta, capitanati da un Apolofar618 che avea fermo le stanze a Taranto. Siconolfo li assoldò con espilar le chiese peggio che non avesse fatto Radelchi: le due generazioni di Musulmani a gara si godeano il denaro de' Cristiani amici e la roba dei nemici; e mandavano a vendere in lor paesi i prigioni d'ambo le parti. Tra loro non si sa che mai combattessero, o il fecero come i nostri condottieri del decimo quinto secolo. Nè anco si parla di loro alla giornata delle Forche Caudine, ove scontratisi l'ottocento quarantatrè i due rivali longobardi, Siconolfo sbaragliò i Beneventani con grandissima strage. L'aiutavano bensì i Cretesi nelle scorrerie ch'ei più vaste assai fece dopo questa vittoria; onde ridusse Radelchi alle due sole città di Siponto e Benevento.619
Narrasi che tornando a Salerno Siconolfo ed Apolofar, dopo alcuna di queste fazioni, messisi per diletto a spronare a gara i cavalli, il principe volle mostrar nuova prodezza della gente germanica all'altro che piccino era della persona, ma destro, animoso e baldanzoso. Smontati al palagio, mentre salivano per le scale, Siconolfo lo levò di peso per un braccio, e ripostolo tre gradini più su, lo abbracciò e baciò, per addolcire o aggravare tal insolenza. E il Musulmano, quando la rabbia gli permesse di parlare, proruppe esser finita da quel dì ogni amistade tra lui e Siconolfo: lo giurò per Allah; nè scuse valsero a ritenerlo che con tutti i suoi non se ne tornasse a Taranto. Di lì manda ad offerirsi a Radelchi; corre a Benevento; fa cavalcar sue gualdane alla volta di Salerno: le quali giunsero al fiume Tusciano, come s'addimandava, ad otto miglia verso mezzodì; e lasciarono in quelle parti terribile memoria del nome di Apolofar. Del quale aneddoto io non veggo perchè si debba dubitare; stando bene quel villano scherzo a un principe longobardo che si tediava già dei Cretesi, non avendone più bisogno. Il Cronista poi racconta la fine di Apolofar: segnalatosi per gran valore nella difesa di Benevento; preso a tradigione da Radelchi; impavido e altero, sì che sputò in faccia al traditore pria di andare alla morte.620
La tradizione popolare che troviamo in questa cronica, se pur aggiunse qualche bel colpo di lancia, qualche arguto detto, qualche drammatica commozione, non alterò la importanza degli avvenimenti. Taranto fu abbandonata di certo dai Cretesi; leggendosi negli annali arabi di Sicilia che i Musulmani la rifornissero di presidio l'anno ottocento quarantasei: il che ben s'attaglia con l'episodio di Apolofar, assediato in quel tempo entro Benevento. L'altra compagnia di Berberi e Arabi d'Affrica che tenea Bari e aiutava Radelchi, si mantenne, ma non si segnalò, dal quarantatrè al quarantasei, tacendone in questo tempo gli scrittori cristiani; e allora appunto veggiamo la colonia di Sicilia travagliarsi nell'assedio di Messina e nell'aspra guerra di Val di Noto; onde non potea mandare rinforzi in terraferma. Mancandovi dunque quelle armi che l'ottocento quaranta e il quarantadue erano parute sì terribili, i due principi longobardi continuarono rabidamente a straziarsi, ma senza frutto; che nè Siconolfo avea possa di espugnare Benevento, nè Radelchi di ripigliare la provincia.
Con novello furore i Musulmani assalivano l'Italia meridionale l'ottocento quarantasei. Insuperbiti per aver tagliato a pezzi l'esercito bizantino (a. 845) in Sicilia, spinsero agli assalti, con evidente unità di disegno, le forze della colonia siciliana e dell'Affrica. Le prime si mostrarono a un tempo sul mare Ionio e sul Tirreno: da una parte poneano grosso presidio a Taranto,621 dall'altra si afforzavano al capo della Licosa che termina a mezzodì il golfo di Salerno; e occupavano Ponza, nè curavansi ormai se spiacesse ai Napoletani. Perchè, non temendosi più nel Tirreno i Bizantini, e non contandovi per anco le bandiere di Pisa e di Genova, signoreggiavano quel mare la confederazione di Napoli e la colonia di Palermo, con forze non disuguali, con interessi comuni e interessi contrarii: fieri amici che avean riguardo, non paura l'un dell'altro; tenean la mano all'elsa della spada, e talvolta la sguainavano, ma presto tornavano in pace. Dopo la presa di Ponza, Sergio console di Napoli vi approdò con le sue navi e quelle di Gaeta, Amalfi e Sorrento; scacciò i Musulmani da quell'isola e dalla Licosa. Rifuggitisi in Palermo, i Musulmani tornarono con più forte armata, occuparono il castel di Miseno sì presso a Napoli,622 e pur non furono sturbati. Probabil è che l'armata andasse ad accompagnare gli stormi di barche usciti in questo tempo dall'Affrica per venire sopra Roma.
Superate agevolmente le fortificazioni che pochi anni innanzi Gregorio IV avea fatto costruire ad Ostia, del mese di agosto gli Affricani giugneano alla città eterna. Non osando assalirla, dettersi a saccheggiare le basiliche di San Pietro e di San Paolo, poste in quei dì fuor le mura: ma lo stuolo che spogliava la chiesa di San Paolo, affrontato dai contadini, fu scemato orribilmente, e tutto l'esercito s'ebbe indi a ritrarre. Marciò verso lo Stato di Benevento, ove potea trovare i suoi fratelli d'Affrica e di Sicilia; depredò per via Fondi; del mese di settembre, si pose all'assedio di Gaeta: e qui fu visto valorosamente combattere contro gli Infedeli Bertario, poi fatto abate di Monte Cassino. A Gaeta sopraggiunsero da un lato le genti di Lodovico, chiamate in fretta dopo l'assalto di Roma; dall'altro, Cesario figliuolo del console di Napoli, con l'armata napoletana e amalfitana. E i Musulmani, andati incontro ai Franchi, rupperli in uno agguato il dieci novembre; e ne faceano sterminio, se non era per Cesario che sbarcò co' suoi. Intanto un'altra schiera che era giunta a un dipresso a cinque miglia dalla badia di Monte Cassino, ardendo chiese e monasteri, fu rattenuta, dicesi, dalle acque del Carnello, ingrossate per subito rovescio di pioggia: miracolo di San Benedetto, come rivelò in sogno all'abate un altro santo dell'ordine. E il santo nulla disse del pro' Cesario, quel desso che avea fatto tornare addietro i Musulmani; e postosi indi con l'armata nel porto di Gaeta, salvò anco questa città senza combattere, come nota Giovanni Diacono. Perchè, innoltrandosi il verno, e non potendo le barche affricane reggere all'aperto; i capitani pattuirono con Cesario che li raccettasse nel porto, giurando di non far male, e, abbonacciato il mare, tornarsene in Affrica. Cesario se ne fidò; quelli mantenner la fede: ma poi perirono la più parte nel viaggio, non senza sospetto di un altro miracolo.623
Rifulse di nuovo a capo a tre anni (849) la virtù di Cesario, insieme con quella di Leone Quarto papa. Assai più forte stuolo di Affricani s'era adunato in Sardegna per ritentare l'assalto di Roma; mentre Leone dava opera a chiuder di mura le basiliche degli Apostoli e i sobborghi di quella parte: e con liberalità, con indefessa vigilanza, con processioni, benedizioni, esorcismi, riscaldava le immaginazioni dei cittadini. Nè eran finiti per anco i lavori, quando, saputa la mossa dei nemici, la confederazione napoletana, non volendoli a niun patto padroni di quel mare, mandava l'armata a Ostia; il papa vi sopraccorreva con soldati di Roma; ed accettava l'aiuto, non prima d'avere interrogato Cesario se venisse amico o nemico: tanto eran sospetti nelle altre parti d'Italia que' legami della repubblica di Napoli coi Musulmani! Sincerato dell'intento, il pontefice passava a rassegna gli Italiani di quelle varie città che non sapeano d'avere una medesima patria: e lor venia ricordando, invece di questo, la fratellanza del cristianesimo, i miracoli degli Apostoli, la comune speranza in Dio. Poi celebrò la messa; comunicò i guerrieri con le proprie mani; e, preparandosi ad ogni evento, se ne tornò a Roma. Avvistatesi intanto a Ostia le barche affricane, i nostri corsero alle navi con doppio ardire; appiccarono la zuffa; e poteron credere in vero ad aiuto soprannaturale, quando, non decisa per anco la sorte della battaglia, levossi una tempesta che sbaragliò gli Infedeli, non usi la più parte al mare, montati su triste barche; mentre gli induriti navigatori di Napoli, d'Amalfi, di Sorrento, di Gaeta, su lor provati legni non se ne moveano. Indi orribile la strage dei Musulmani, annegati, trafitti, sbalzati a terra, ove i baroni romani li pigliavano e li impiccavano; anche i preti osavano metter loro le mani addosso per incatenarli. Leone ornò di loro spoglie le chiese di Roma; fe' lavorare i prigioni alla fabbrica delle mura; e riportonne una gloria che pochi altri papi han saputo meritare.624
Non andò guari che Lodovico Secondo, figliuol di Lotario, presa la corona imperiate (850) vivente il padre, cominciava in persona a combattere i Musulmani dell'Italia meridionale, contro i quali poi si travagliò circa venticinque anni. Tra lo assalto di Roma e la sconfitta d'Ostia, gli ausiliari di Benevento non avean dato respitto al vicin paese. Capitanavali un Massar, come lo chiamano gli scrittori cristiani, l'indole generosa del quale par che ripugnasse al suo reo mestiere. Narrasi che in una scorreria di otto dì, l'autunno dell'ottocento quarantasei, uscito di Benevento, ei desse il guasto al monastero di Santa Maria in Cingla e a quel di San Vito presso Isernia; abbattesse il castel di Telese; e si spingesse fino a Monte Cassino, Aquino ed Arce, depredando e struggendo ogni cosa, fuorchè il Monastero Cassinese: ove, non che far offesa, non lasciò afferrare al proprio cane un'oca dei frati, gli corse dietro con lo scudiscio, gliela trasse di bocca, e piantossi alla porta del monastero, perchè non vi entrassero gli altri seguaci suoi, men docili del cane. Questa forse fu lealtà verso Radelchi che non amava a nimicarsi l'abate di Monte Cassino. Ma di giugno del quarantasette, squassata da' tremuoti tutta la provincia e fatta Isernia un mucchio di rovine, consigliando altri a Massar che usasse la occasione di saccheggiare quella città, rispose: “Il Signor del creato fa sentir quivi sua collera; e dovrò io aggravarla? No; non andrò!”625 Egli o altro condottiero, questo medesimo anno, scorrea predando infino a Roma con Saraceni e Mori, come una cronica tedesca denota gli Arabi e i Berberi.626 Ma quelle triste masnade, quali che si fossero i capi, non distingueano amici e nemici, maltrattavano a Benevento anco i nobili; flagellavanli con le strisce di cuoio, dice Erchemperto, come vili schiavi.627
Pertanto Radelchi avea a temere che i suoi un dì non lo abbandonassero: i popoli gridavano da ogni parte; i frati incalzavano; e i piccioli intenti politici di que' piccioli Stati mezzo independenti, che aveano mantenuto la guerra, ora portavano a cessarla perchè si uscisse di tanto strazio. Di più tornava comoda a tutti la divisione dell'antico Stato di Benevento; unico modo oramai di concordia: piaceva ai principi di Capua che si voleano spiccare da Salerno, e poco appresso il fecero; piaceva ai Napoletani che più non temeano dei Longobardi sì divisi, e pensavano a guardarsi dei Musulmani. La pratica della divisione fu condotta da Guido duca di Spoleto, francese, congiunto di Siconolfo; barattiere, dicono i cronisti, che trasse danaro a Radelchi e al cognato, ed entrambi li giuntò: ma certo trattava utilissim'opera. Sendo impossibile di compierla senza l'autorità e la forza dell'imperatore, a lui si volsero gli uomini più gravi del paese: l'abate di Monte Cassino andò a posta in Francia e agevolmente persuase Lodovico a venire. Calò senza grosso esercito. Ito con le genti sue e del duca di Spoleto sotto Benevento e minacciando l'assedio, Radelchi patteggiò sottomano. E una notte, fatti pigliare proditoriamente Massar e i suoi Musulmani, li mandò incatenati al campo di Lodovico; ove la vigilia della Pentecoste li uccisero di sangue freddo a colpi di lancia, tutti, senza eccettuarne il generoso Massar. Dopo il tradimento e la carnificina, che la necessità fe' parere gesta sante, si fermò la pace tra Siconolfo e Radelchi; si fe' il partaggio dello Stato in due principati, Benevento e Salerno; e tra gli altri patti si stipolò che nè l'uno nè l'altro si collegassero con Saraceni, nè raccettasserne, fuorchè quelli venuti prima della guerra, se fatti e rimasi cristiani.628
Abbâs-ibn-Fadhl che combatteva in questo tempo i Cristiani di Sicilia, non potendo ignorare l'atroce caso, andò l'anno appresso con l'armata; sbarcato in terraferma, ruppe in sanguinosi scontri i Cristiani; mandò le teste degli uccisi in Palermo, per mostrar ch'ei sapea vendicare il sangue musulmano: e continuò il terribil duce a guastare i colti, correr vittorioso le campagne, far prigioni per ogni luogo; coi quali tornossi in Sicilia.629 Taranto, sottrattasi già ai Musulmani, fu assediata da loro e presa per fame, s'ignora se sotto altro condottiero innanzi il fatto di Benevento, ovvero da Abbâs-ibn-Fadhl.630 Costui partendo par abbia lasciato possenti rinforzi in Puglia e in Calabria;631 talchè, rinforzati di questi o d'altri venturieri, i coloni di Bari continuavan soli l'infestagione per moltissimi anni.
Il condottier di Bari, per nome Mofareg-ibn-Sâlem, usurpò autorità di principe; prese, al dir degli annali musulmani, ventiquattro castella; fabbricò in Bari una moschea cattedrale, e salì a tanto orgoglio che volea tener lo stato a dirittura dal califo di Bagdad: ossia non ubbidire a niuno. A questo effetto scrivea al governatore dell'Egitto per gli Abbassidi uno squarcio d'ipocrisia musulmana: non sentirsi in grazia di Dio egli, nè i suoi compagni, tenendo quella provincia senza investitura legittima; scongiurare pertanto il pontefice che gliene conferisse il governo, e facesselo uscire dal novero degli usurpatori. Ibn-el-Athîr, che al certo trascrisse coteste parole da antiche memorie, aggiugne che poi la gente di Mofareg sollevossi contro di lui; poi l'uccise; poi morì il principe aghlabita Mohammed-ibn-Ahmed-ibn-Aghlab, nel cui cenno biografico è inserito tutto quest'episodio di Bari; ed altro ei non ne dice.632 Mohammed salì sul trono in fin dell'ottocento sessantaquattro, mancò di vita nei principii del settantacinque; nel qual tempo appunto sappiamo liberato il Soldano dalle carceri di Radelchi e tornato ai suoi, capitanati allora da un suo nemico ch'egli avea bandito dalla colonia. Mofareg-ibn-Sâlem è ben dunque l'astuto demonio di cui gli annali cristiani narran tante maraviglie, e di cui i Musulmani tacquero la sconfitta e la prigionia. Il titolo di Sultano ch'ei prese, o che gli davano i suoi seguaci in Italia, andava a capello a quella dubbia sua potestà.633 L'usurpazione spiega perchè i Musulmani di Sicilia e d'Affrica l'abbandonassero quand'ei fu condotto allo stremo dai Cristiani.
Il Sultan di Bari non tardava a correr la Puglia e la Calabria; far ladronecci per ogni luogo; occupare qua e là castella; e osò spinger sue gualdane infino a Napoli ed a Salerno. Allor l'abate di Monte Cassino chiamò di nuovo l'imperatore Lodovico, che venne in Puglia; volle ragunare le forze dei principati longobardi; fu lasciato pressochè solo, per sospetto ch'ei non prendesse lo stato ai Cristiani al par che ai Musulmani: donde fatto un vano tentativo sopra Bari, borbottando se ne tornò di là dalle Alpi (853); ed ebbe a vedere anco un feudatario contumace rifuggirsi appo il Sultano.634 Il quale indi a ripigliare l'infestagione dello Stato di Benevento; e questo non trovò altro riparo che di venire ai patti coi Musulmani; pagar tributo; dare ostaggi. Voltosi il Sultano alle altre provincie, diè il guasto a' contadi di Capua e Conza e alla regione intorno Cuma, Pozzuoli e il Lago di Patria, detta a quel tempo Leboria o Liburia, il qual nome si estese a poco a poco a una provincia, e mutossi in Terra di Lavoro.635 Infine i Musulmani si vennero a porre in Campo di Napoli, come si addimandavano gli orti tra porta Capuana e il Sebeto;636 dove furon fatte orribili stragi (a. 860?): il Soldano, dice un contemporaneo, sedea su mucchi di cadaveri, e come uno schifoso cane tra quelli mangiava. Riducendosi a casa da questa correria, fu per cadere in uno agguato. Tra tanti paesi che avea desolato dall'uno all'altro mare, si trovarono due valorosi feudatarii, i gastaldi di Telese e di Boiano, che osarono ritentar la fortuna delle armi; trassero secoloro il duca di Spoleto a forza di preghiere e di danari; e con gran possa di gente appostarono lo stuolo nemico, verso il tramonto del sole, presso Bari. Salutar consiglio pessimamente eseguito, sclama il cronista Cassinese. Il Soldano, addandosi di loro, soprastette e si ordinò prontamente alla zuffa. I Longobardi e i Franchi, morti di sete, stracchi del cammino, sparpagliati e impazienti assalivano. I Musulmani, raccolti in una sola schiera, li ruppero, li tagliarono a pezzi ed entrarono in Bari. Dopo questa vittoria il Sultano, incolpando di rotta fede i Beneventani, battè di nuovo lor contadi; non lasciò terra illesa fuorchè le grosse città; occupò Telese, Alife, Sepino, Boiano, Isernia, Canosa, Castel di Venafro; saccheggiò San Vincenzo in Volturno, donde rifuggitisi i frati in luogo sicuro, lor prese tremila monete d'oro, minacciando d'ardere il monistero; e passò a Capua, traendosi dietro le carra piene di preda, e le torme di bestiame e prigioni. Mutò indi il campo a Teano. Quivi, mandatogli da Monte Cassino un Reginaldo diacono, fermò il riscatto di quella badia per altre tremila monete di oro; e si volse contro il castel di Conza che dicono abbia assediato per quaranta giorni. Queste ultime incursioni seguiano tra l'autunno dell'ottocento sessantacinque e la fine dell'inverno del sessantasei. Delle precedenti invano si cercherebbe a determinare le date, poichè i cronisti nè segnano gli anni, nè osservano l'ordine degli avvenimenti.637 Certo egli è che per quattordici anni quella bella parte d'Italia fu preda di qualche migliaio di ladroni musulmani. L'amistà della colonia siciliana non liberò Napoli dal Sultano di Bari, che avea spezzato ogni legame con gli Aghlabiti, come sopra si disse. Il principe di Salerno si schermì quanto potea, praticando col Sultano, onorando gli ambasciatori suoi; che fino ne alloggiò nelle case del vescovo, e attaccò indi una briga con questi e col papa.638
Ogni pagina della nostra storia, dalla caduta dell'impero romano in qua, ripete lo stesso insegnamento: pur non fu mai sì flagrante la vergogna di questa miseranda divisione in cento sminuzzoli di Stati, che allor quando l'Italia si confessò impotente a scacciare il Sultano di Bari. Impotente perchè le armi servivano a uccidere nemici più odiati che i Saraceni, e tagliavan, sì, quando v'era sangue italiano da versare: poc'anzi Benevento contro Salerno; ed or Napoli contro Capua, Capua contro Salerno, e Capuani tra sè medesimi, e il vescovo principe di Capua contro i figli del proprio fratello. Non potendo dunque gli sciagurati fidarsi l'un dell'altro, ebbero ricorso per la terza fiata allo imperatore Lodovico; del quale sapeano che li volesse mettere sotto il giogo; ma sembrò pericolo più lontano. Riportata ch'ebbero la vittoria sotto le insegne imperiali, scacciarono Lodovico; poi riassaltati dai Musulmani lo richiamarono; ed egli sempre acconsentiva, sperando che nell'altalena un dì gli verrebbe fatto di coglierli: se non che la vita non gli bastò; e d'altronde i Bizantini a tempo rimessero il piè in Italia per dar nuovo alimento alla discordia. Questi fatti generali, mutati i nomi, durarono in Italia per molti secoli, forse durano ancora: e però è debito di cittadino, quantunque volte il possa, di squadernarli innanzi gli occhi di tutti, perchè sempre più se ne vegga la laidezza. Ripiglio adesso i particolari della guerra.
Per un editto assai rigoroso, di che abbiamo il testo, Lodovico appellava al servizio militare tutti i vassalli d'Italia (866); veniva a Monte Cassino (867); sforzava Capua, che già tentennando avea ritratto le genti dall'esercito imperiale; mostravasi nelle altre città primarie, Salerno, Amalfi, Benevento; a Napoli no, poichè il vescovo lo pregò, dice un cronista, che non amareggiasse i cittadini con l'autorità imperiale; ed egli acquetovvisi e dissimulò, non potendo sforzare. Ragunate e ordinate così le milizie del paese, fatti venir anco rinforzi di Lorena, marciò contro il Sultano di Bari; e fu sconfitto. Scrive Reginone, monaco tedesco, che dopo segnalate vittorie i guerrieri di Lorena se ne tornassero alle case loro, menomati da epidemia e dai morsi delle tarantole: caso probabile il primo; l'altra, fola che gli oltramontani ripeterono nell'undecimo secolo per palliar diffalte somiglianti. Questa di Lodovico è da apporsi alla tattica dei Musulmani, che meglio di lui sapeano la guerra spicciolata. Ma presto ei l'apparò. Ritrattosi a Benevento il dicembre del sessantasette, uscì alla nuova stagione; arse e guastò i contadi che ubbidivano ai Musulmani; snidolli da Matera per tagliare gli aiuti di Taranto a Bari; occupò dal lato opposto Canosa; ei si pose tra i monti a Venosa col grosso de' suoi; e guadagnato a poco a poco il territorio in due anni di travagli, prese ad assediare la città e batter le mura con macchine. L'assedio fu interrotto varie fiate; e occorse del sessantanove che, ritraendosi Lodovico a Benevento, il Sultano uscì addosso alle ultime schiere de' suoi; lor prese gran numero di cavalli, e andò a saccheggiare il santuario di San Michele al Monte Gargano. Poscia lo imperatore, chiestogli aiuti da' Cristiani di Calabria e proffertogli giuramento di fedeltà e tributo, egregiamente usava la occasione: vi mandava poche forze che ne raccogliean molte nel paese. Così in Calabria furono sconfitti tre emiri; tra i quali un Cincimo, che teneva Amantea, volendo vendicare i suoi, assaltò i Cristiani; fu ricacciato in città; e uscitone di nuovo per tentare un colpo di mano sopra il campo di Lodovico, questi prevenne e ruppe gli assalitori.639 Nondimeno, vedendo che era niente ad assediare Bari se non si impedissero le vittovaglie e gli aiuti dalla parte del mare, si collegò con Basilio Macedone.
Il Muratori par abbia supposto identiche le due imprese, poichè negli Annali registra l'aiuto di Napoli l'837, e non parla affatto di Brindisi. Il Wenrich, lib. I, cap. V, § 58, narra questa fazione con la data certamente erronea dell'836, e lascia indietro l'altra.
Ho reso vincere il verbo arabo fetah, il cui significato non può confondersi con quello di fare incursione, che gli Arabi dicono gheza, donde la nota voce razzia, come la pronunziano in Affrica, che già si è introdotta nel linguaggio francese.
Veggansi anche Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, trad. di M. Des Vergers, p. 111; e Dandolo, Chronicon Venetum, lib. VIII, cap. IV, § 6, 7, 8, presso Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo XIII. Si accorda con la data dell'840 la testimonianza di Lupo Protospatario, là dove ei nota che l'anno 919 era l'ottantesimo della entrata degli Agareni in Italia. L'Anonimo Salernitano, l. c., dice che il primo effetto del “generale movimento dei Saraceni” fosse la presa di Taranto, e poi dessero il guasto alla Puglia.
L'Anonimo Cassinese discorda dal Salernitano nei particolari e nel nome del condottiero tradito, che secondo lui fu lo stesso Apolofar, di cui si è detto; ma potrebbe errare l'uno il nome, l'altro il soprannome della stessa persona, o queste esser due vittime diverse delle stesso tradimento. La testimonianza di Anastasio che porta precisamente la data dell'851; quella del contemporaneo Adone arcivescovo di Vienna che segna l'anno dell'Incarnazione 850; il titolo di imperatore dato dai più a Lodovico, e altre ragioni che lungo sarebbe ad esporre, mi han portato ad assegnare l'851 al fatto di Benevento, discostandomi in ciò dal giudizio del Muratori, Annali d'Italia, che lo riferisce all'848.
Veggasi l'accordo pubblicato anche con la data dell'851 dal Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo II, parte I, p. 260, seg., e dal Pratilli, Historia Principum Langobardorum, tomo III, p. 214, seg.
È qui da avvertire che secondo la detta aggiunta del Tosti, la quale risponde alla narrazione di Leone d'Ostia, lib. I, cap. XXXIV, il Monastero di San Vincenzo in Volturno sarebbe stato arso in questa scorreria e rimasto disabitato per trentatrè anni. Ma Erchemperto, contemporaneo e bene informato, e la Cronica speciale del Monastero di San Vincenzo, ne portano espressamente la distruzione verso l'882. Tra coteste due diverse tradizioni l'ultima mi pare più degna di fede; e però suppongo una interpolazione nel MS. della Historiola, ch'ebbe alle mani Leone d'Ostia, forse lo stesso che si conserva a Monte Cassino e ch'è servito alla detta pubblicazione del Tosti.