Kitabı oku: «Storia dei musulmani di Sicilia, vol. I», sayfa 22
Il quale non prima salito al trono (867), sapendo che i Musulmani, di Taranto forse e di Creta, avessero preso alcune città in Dalmazia e strettovi Ragusa, mandovvi il patrizio Niceta Orifa con cento salandre; il cui arrivo i Musulmani non aspettarono.640 Volendo cacciarli di lor nidi su le costiere d'Italia, il Macedone richiese o accettò la lega con Lodovico, che tenea la terra ed egli il mare. Cooperò egli dunque con forze navali, sì sull'Adriatico e sì sul Tirreno, ove non n'era minor uopo. Perchè Mohammed, figliuolo dello emiro di Sicilia Khafâgia, di luglio dell'ottocento sessantotto, uscendo di Palermo con l'armata, era ito ad assediare Gaeta; ove, sparse le gualdane nel territorio, e fattovi grandissima preda, se ne tornò del mese d'ottobre.641 In tal modo la colonia di Sicilia par che gastigasse quella città dell'avere ubbidito allo imperatore e aiutatolo forse con navi. Napoli, allo incontro, sembrava in quel tempo Palermo o Affrica,642 come leggesi in una epistola attribuita allo imperatore Lodovico. I corsali di Palermo che infestavan tutta la costiera, e specialmente gli Stati del papa, trovavano a Napoli piloti pratici che li conducessero; vi comperavano armi e vittovaglie per rivenderle a Bari ed a Taranto; inseguiti, si rifuggiano nel porto di Napoli e uscian di nuovo a predare. Indarno l'imperatore ammonì, il vescovo gridò e dolsonsi parecchi nobili cittadini: chè il console di Napoli a Lodovico non badò; incarcerò il vescovo e poi rilasciatolo lo costrinse a fuggire; e quanto ai suoi nobili scrupolosi, li messe in prigione coi ferri ai piè. Lo stratego Giorgio, inviato da Basilio con un'armatetta di salandre per assicurar quelle spiagge facea quel che potea, ma era assai poco.
I Veneziani intanto si mossero, come e' seppero il nemico sgomberato di Dalmazia, e forse diviso, e i Cretesi inseguiti da Niceta Orifa. Però il doge Orso, sopraccorso con l'armata a Taranto, cancellava (867) con una vittoria la sconfitta di sua gente del quarantadue. Due o tre anni appresso, l'armata bizantina, rinforzata di Schiavoni, Croati, e navi ragusee, pose a terra a Bari; diè qualche assalto; e presto si ritrasse per discordia surta coi Franchi e Longobardi: accusando questi i Bizantini di combattere per gioco; ed essi loro di star lì, un pugno di uomini, sempre in sollazzi e conviti, e che così mai non avrebbero espugnato la città. Niceta se ne bisticciò con lo imperatore; poi, tornatosene a Costantinopoli, fe' attaccare un pettegolezzo diplomatico tra Basilio e Lodovico: recriminazioni su la condotta della guerra; cavilli su i titoli, se l'un dovesse chiamarsi imperatore dei Franchi o imperator dei Romani, se all'altro fosse serbata la greca appellazione di basileo; le quali futilità provan solo che l'accordo tra i due potentati si dileguava nella certezza della vittoria. Lodovico tuttavia con quel pugno di allegri combattenti entrò in Bari, per forza d'armi, il due febbraio ottocento settantuno. Fecevi grande strage; dalla quale il Soldano campò, perchè afforzatosi entro una torre, si arrese al principe di Benevento, obbligato a lui, dicesi, per cagion della figliuola, ch'era stata già in man del Soldano, come ostaggio o prigione, e quegli l'avea guardato come figlia sua propria. Lodovico lasciò genti che stringessero Taranto e le altre castella dei Musulmani in Calabria; mandò a infestare il territorio di Napoli, dando voce di volere spezzata quella sacrilega amistà con gli Infedeli; e parlava di scendere tra non guari nelle Calabrie, di passare in Sicilia: il che vuol dire ch'ei si proponea di cogliere i frutti della vittoria, regnar di nome e di fatto nell'Italia meridionale.643
Lo zelo contro i Saraceni male occultava cotesti intendimenti di Lodovico, compresi dai savii, evidenti anco al volgo, per la tracotanza dei baroni oltramontani; gli aggravii; il dispregiare i Longobardi testè loro compagni nella vittoria; la insolenza della stessa imperatrice, della quale si racconta, rinfacciasse alle nobili donne di Benevento che lor gente non sapea pur imbracciare lo scudo. Pertanto Lodovico, abbandonato dagli Italiani, non potè stringere altrimenti i Musulmani delle Calabrie. Dalle mormorazioni poi si passò alle trame. I principi di Benevento e di Salerno s'inteser tra loro e con Napoli; incoraggiandoli forse i capitani delle armatette bizantine; ed aizzandoli, come la voce pubblica portò, il Sultano prigione.
Costui, per le qualità dello ingegno proprio, e per lo incivilimento superiore di sua gente, abbagliava que' rozzi principi cristiani. Scrive Costantino Porfirogenito,644 che lo ascoltassero come oracolo in fatto di medicina e veterinaria; ed uno scrittore italiano, che Adelchi, gittatosi a cospirare contro l'imperatore, domandando consigli al Musulmano, questi dapprima l'avvertisse: “Bada bene a quel che fai, poichè i Musulmani san ch'io vivo ancora:” ma replicando il principe aver parecchi complici, il Sultano conchiudea: “Quand'è così, compi il disegno, e tosto: se no, sarai scoperto.” Narransi altri aneddoti: che tutto il tempo ch'ei fu prigione, stavasene accigliato e tetro; ma un dì, in presenza di Lodovico, diè in uno scoppio di risa, vedendo un carro andare per la strada; e domandato della cagione, rispose: “Penso alla fortuna degli uomini che gira come quelle ruote.” Aggiungono che con suoi lacciuoli facesse credere a Lodovico cospirazioni dei Longobardi, e a costoro colpi di stato dell'imperatore, sì che li messe alle prese.645 Tra cotesto v'ha al certo verità e bugie: nè la dimestichezza di quei grandi col Sultano sembra inverosimile, quando trent'anni di guerra, accordi, leghe, traffichi, avean dissipato molti pregiudizii tra Musulmani e Cristiani in Italia. Il che ci torna anco da altre parti. Un Musulmano d'Affrica, il quale parecchi anni innanzi era stato per suoi negozii a Salerno, trovandosi in patria verso questo tempo, abbordò un mercatante amalfitano, e domandatogli se conoscesse Guaiferio principe di Salerno, e saputo di sì, lo trasse in disparte. “Qui s'arma,” gli disse, “contro Salerno, tel giuro per lo figliuol di Maria che voi adorate com'Iddio. Va tosto a ragguagliarne Guaiferio; e, s'ei ti domanda da chi vien lo avviso, ricordagli che tal dì un Musulmano sedea su la piazza di Salerno mentre il principe tornava dal bagno; e il Musulmano gli chiese in cortesia il fazzoletto646 ond'ei s'avvolgea la testa; e il principe gliel donò incontanente, rispondendogli così e così, e tornossene al palagio a capo scoperto. Quel Musulmano son io.” Leggiam questo nella cronica dell'Anonimo Salernitano, che suol affastellare episodii presi nella tradizione popolare. Ma il caso ha apparenza di vero; tanto più che l'Anonimo dà il nome dell'Amalfitano e del Musulmano: Fluro l'uno; l'altro Arrane, ch'è evidentemente il nome etnico Harrani.647
La cospirazione si affrettò seconda il consiglio attribuito al Sultano. Del mese di agosto ottocento settantuno, mentre i pochi baroni di Lodovico erano sparsi qua e là per le castella dello Stato, e l'imperatore a Benevento con un pugno di cortigiani, la gente di Adelchi assalì il palagio: lo imperatore afforzatosi in una torre si difese valorosamente per tre dì; alfine s'arrese prigione al proprio vassallo, che sei mesi innanzi egli avea liberato dai Musulmani. Indi per tutta Italia dimenticandosi, com'avviene, i torti di Lodovico, si risguardò ai soli meriti; si lacerò la ingratitudine e perfidia del Beneventano, anche in tristi versi latini di cui serbasi il testo.648 E si apparecchiava oltremonti la umana vendetta, quando la divina scoppiò, dice Erchemperto, entro quaranta dì, per man dei Saraceni, che piombaron di nuovo in Italia. Adelchi allora pensò sciorsi d'un grave impaccio liberando lo imperatore; fattogli far sacramento di perdonare l'offesa. Traditore quando il prese; sciocco quando il lasciò andare; e s'ei n'uscì salvo, fu colpo di sorte.649
La colonia musulmana delle Calabrie, che mai non si spiccò dalla madre patria, credendosi condotta agli estremi dopo la espugnazione di Bari, par che abbia chiesto aiuti in Sicilia e in Affrica; dove, tra il sentimento nazionale e religioso e la potenza delle famiglie interessate, si apparecchiò la espedizione, della quale fu avvisato il principe di Salerno. Lo scempio Signor delle Grù, come chiamavano il principe aghlabita Mohammed-ibn-Ahmed, erudito, vivace ingegno, buon poeta, cacciatore, beone, dissipatore, in mezzo a' suoi sollazzi assentì un gran disegno, ordinato al certo dagli ottimati del Kairewân; per lo quale si componeva un esercito d'Italia di venti o trentamila uomini, e si preveniva la discordia tra quello e il siciliano, affidandoli a due fratelli, Abd-Allah e Ribâh, figliuoli di Ia'kûb-ibn-Fezâra, congiunti di quell'Abbâs-ibn-Fadhl di cui abbiamo ricordato le fiere gesta in Sicilia. Però a un medesimo tempo Abd-Allah e Ribâh erano nominati wâli l'uno della Gran Terra, l'altro dell'isola.650 Abd-Allah sbarcava, com'e' pare, a Taranto: di là con tutto lo esercito entrava nel territorio salernitano, del mese di settembre ottocento settantuno.651
Diè il guasto; s'approcciò a Salerno: i principi di questa e di Benevento, che aveano accozzato le genti loro, vedendo non bastare a fronteggiarlo alla campagna, si chiusero nelle metropoli; e così il nemico anch'ei si spartì. Abd-Allah, attendatosi sotto Salerno, diessi a stringere la città: qualche gualdana corse infino a Napoli; più forti schiere marciarono, l'una sopra Benevento, l'altra sopra Capua: delle quali la prima fu rotta da Adelchi, e uccisile tremila uomini; la seconda sbaragliata dai Capuani, ne perdè mille. E in Salerno Guaiferio valorosamente si difendea; respingeva gli assalti; opponea macchine alle macchine; facea sortite; e guerrieri si appresentavano dalle porte sfidando i Musulmani a duello: gagliarde prove, vere al certo, ancorchè l'Anonimo ce le mostri con troppi ornamenti d'epopea. Tra le altre, che par l'episodio della Gerusalemme Liberata, ei ricorda un Landemaro calatosi dal muro con un'azza, fattosi, tutto solo, a guastare un immane mangano.652 La città nondimeno cominciava a patir la fame, quando la ristorò di vettovaglie, con bell'ardire, Marino duca d'Amalfi, spezzata la lega ch'avea prima coi Musulmani. Nelle campagne orribil era il macello dei contadini, lo sperpero delle sostanze, lo scempio delle chiese. Abd-Allah, al dire dell'Anonimo, avea preso a soggiornare in quella di San Fortunato, e profanavala di scandali e di brutture. Fe' stendersi il letto su l'altare,653 e sovente strascinovvi fanciulle cristiane; finchè alcuna trave caduta dal tetto liberò una bella vergine, uccidendo il tiranno senza lei toccare: che mostravasi ancora ai tempi del cronista il luogo onde si spiccò la trave, e tutti si capacitavano del miracolo. La leggenda qui, tra le fole che ognun vede, porta un fatto vero; poichè secondo gli annali musulmani Abd-Allah, capitano della Gran Terra, morì in questo tempo, e appunto del mese di sefer dugento cinquantotto, tra dicembre cioè dell'ottocento settantuno e gennaio del settantadue.654 I Musulmani continuavano l'assedio di Salerno, rifatto capitano un Abd-el-Melik:655 e, stretta ormai da un anno e affamata, la città stava per aprir le porte.
Lodovico, in questo mentre, non era uscito d'Italia. Pregato fervidamente da' nunzii di Guaiferio e dal vescovo di Capua, credendo il Salernitano complice del misfatto d'Adelchi, ricusò; poi l'indole generosa, o la speranza di recare a fine l'antico disegno, il mossero a dare aiuto. Mandò le milizie condotte dal giovinetto Guntar suo congiunto; il quale venuto a Capua, accozzatosi coi cittadini, chè anco preti vi s'armarono per andare a combattere, trovò da diecimila Musulmani non lungi dalla città, in un luogo che s'addimandava San Martino. Guntar, non ostante una fitta nebbia, diè dentro; sbaragliò i Musulmani, e restò morto gloriosamente sul campo. Quelli furono tutti sterminati con la spada o annegarono nel Volturno. Un'altra schiera, inseguita dall'esercito vincitore presso a Benevento, fu distrutta alsì; campandone pochi i quali andarono a spargere lo spavento nell'oste attendata sotto Salerno: e diceano venire a grandi giornate l'imperatore in persona con tutto l'esercito cristiano. Indarno Abd-el-Melik comandò, pregò, ricordava ai suoi che la città già trattasse d'arrendersi. Fu preso dagli ammutinati, messo per forza in nave; e salparono; e venne la solita meteora ignea a suscitare una tempesta che li inghiottì. Così i Cristiani, esagerando e contraddicendosi; poichè alcuni aggiungono che gli avanzi dell'esercito musulmano precipitosamente si ritraessero in Calabria.656 Gli annali musulmani accennano le vittorie di Abd-Allah sopra i nemici, e poi silenzio.657 La Cronaca di Cambridge al contrario, scritta in arabico da un cristiano di Sicilia, ricorda lo sterminio dell'esercito musulmano a Salerno.658 E però sono alquanto dubbii i particolari, certissima la misera fine della impresa, verso il mese d'agosto ottocento settantadue.
Tanto egli è vero che questa ultima guerra era stata combattuta da milizie italiane, e la più parte meridionali, di Spoleto, Capua, Salerno, Benevento, che Lodovico, dopo le fresche vittorie de' suoi, non potè nè anco pigliar vendetta sopra Adelchi, come che ne avesse gran voglia, e fosse ito ad assediare Benevento. Tornato addietro, dondolatosi in opere di pietà, moriva presso Brescia, di agosto ottocento settantacinque. Per lui non stette di cacciar d'Italia i Musulmani, e unire sotto lo scettro imperiale la penisola dalle Alpi allo Stretto; di che non si offerì occasione più destra ad altro imperatore da Carlomagno a Federigo di Svevia. E veramente, al tempo di Lodovico, deboli appariscono più che mai gli elementi politici dell'Italia: repubbliche di qualche momento sol due, Venezia e Napoli; i grandi feudatarii, in su dal Tevere, obbedienti; quei d'in giù, divisi; il papato, come stanco dello sforzo che avea fatto per arrivare alla dominazione temporale: e d'altronde il caso volle che nol reggesse in quel tempo nè un Adriano primo, nè un Ildebrando; e Leone IV, uom forte senza tracotanza, poco visse. Nè distoglieano Lodovico, come avvenne ad altri, le cose d'oltremonti: ei fu prode e costante in guerra; giusto anzi che no; uomo senza grandi vizii nè straordinarie virtù; capacità mezzana in tutto. Perciò bastarono ad attraversargli quel disegno i principi dell'Italia meridionale, con le mene che ho ricordato, e i papi, ancorchè uomini mediocri anch'essi, con la forza dell'inerzia; ritraendosi che tra tanto pericolo dell'Italia e di Roma non profferissero mai sillaba per favorire la crociata di Lodovico.
CAPITOLO IX
Nel detto cenno biografico sopra il principe aghlabita Mohammed-ibn-Ahmed scrive Ibn-el-Athîr, alla sfuggita, che regnando costui (dicembre 864 a febbraio 875) “i Greci occuparono parecchi luoghi della Sicilia; e che Mohammed fe' costruire fortezze e corpi di guardia su la costiera d'Affrica;” e passa oltre l'annalista ai casi de' Musulmani a Bari.659 L'autore del Baiân, come anche notammo, accenna che i due fratelli, capitani l'un di Sicilia, l'altro della Gran Terra, fiaccarono gli Infedeli in aspri scontri, l'anno dugento cinquantasette (870-71), e altro non ne dice.660 Intanto veggiamo i governatori di Sicilia avvicendarsi in fretta. Mohammed-ibn-Hosein, scelto dalla colonia alla morte di Mohammed-ibn-Khafâgia, avea tenuto l'oficio per brevissimo tempo, come dicemmo. A Ribâh-ibn-Ia'kûb-ibn-Fezâra, nominato dal principe d'Affrica e trapassato verso la fine dell'ottocento settantuno, era sostituito, per elezione della colonia, Abu-Abbâs-ibn-Ia'kûb-ibn-Abd-Allah, che moriva a capo di un mese.661 A costui par tenesse dietro un Ahmed-ibn-Ia'kûb, fratel suo, o d'altra famiglia: chè variano in ciò i cronisti.662 Mancato di vita Ahmed nel medesimo anno dugento cinquantotto dell'egira (17 nov. 871 a 5 nov. 872), era rifatto il figliuolo, per nome Hosein, ovvero, secondo il Nowairi, un Hosein-ibn-Ribâh, cui il principe d'Affrica confermò,663 e tantosto il rimosse. Allora, che correva il mese di scewâl dugento cinquantanove (agosto 873), venne a reggere la Sicilia Abu-Abbâs-Abd-Allah-ibn-Mohammed-ibn-Abd-Allah, di casa aghlabita, figliuolo del primo governatore ch'ebbe la colonia di Palermo, uom litterato, tradizionista, poeta, poc'anzi prefetto di Tripoli, e tornatovi non guari dopo, e poscia promosso a ragguardevole uficio in Kairewân; donde par abbia lasciato la Sicilia, non per disgrazia a corte, ma a chiesta sua; tardandogli forse di uscire di quel vespaio e tornare in Affrica dond'era partito a malincuore.664 Gli fu sostituito, se è da credere al Nowairi, il medesimo anno dugento cinquantanove, un altro congiunto della dinastia, Abu-Malek-Ahmed-ibn-Ia'kûb-ibn-Omar-ibn-Abd-Allah-ibn-Ibrahîm-ibn-Aghlab, soprannominato l'Abbissinio,665 il quale a capo di quattro anni si vede anch'egli ito via.666 De' quali sei o sette capitani ch'ebbe l'isola dall'ottocento settantuno al settantatrè, si sa in particolare una sola fazione, e mal direbbesi di guerra: che del dugento cinquantanove (6 nov. 872 a 25 ott. 873) una gualdana, andata infino a Siracusa, ridomandò trecento sessanta prigioni musulmani; avuti i quali, fe' la tregua, e incontanente si tornò in Palermo.667
Questi prigioni, queste reticenze degli annalisti musulmani, questi governatori sì spesso morti o scambiati, danno a vedere gravissime calamità della colonia siciliana. Dissanguata anch'essa dalle battaglie di Capua e di Benevento; lacera tuttavia dalla discordia civile, non potea fronteggiare le armi vincitrici di Basilio, che par si volgessero all'isola, mentre Lodovico e' Longobardi si travagliavano contro i Musulmani di Terraferma. Indi, non che perdere varie città, forse interi distretti in Sicilia, i Musulmani temeano anco per l'Affrica: afforzavano le costiere, secondo la testimonianza già detta d'Ibn-el-Athîr, con la quale s'accorda la Continuazione di Teofane.668 Morto, tra tanto scapito dell'onor musulmano, Mohammed-ibn-Ahmed (febbraio 875), e lasciato un figliuolo di poca età, i grandi del Kairewân innalzavano al trono il fratello, Ibrahîm-ibn-Ahmed. Costui datosi ad apparecchiare in casa, come diremo nel terzo libro, gli stromenti dell'atrocissima dominazione sua, volle trasviare in Sicilia gli uomini che temea vicini; e ad un tempo far sentire a Basilio che più non regnava in Affrica il Signor delle Grù. Tentò dunque un'impresa, fallita già ai più illustri capitani della colonia: lanciò l'esercito sopra Siracusa.669 La state dell'ottocento settantasette, i Musulmani, capitanati da Gia'far-ibn-Mohammed, novello governatore dell'isola, dopo distrutte le mèssi di Rametta, Taormina, Catania e altre città di cui non ricordansi i nomi, davano il guasto a quel di Siracusa;670 occupati i sobborghi, poneansi allo assedio della città.671
Cinquant'anni addietro l'esercito di Ased-ibn-Forât s'era accampato alle latomie, lontano circa un miglio dall'istmo d'Ortigia.672 Adesso il capitano degli assedianti facea stanza nell'edifizio della cattedrale vecchia fuor la città, scrive il monaco e grammatico Teodosio, che stettevi incarcerato trenta dì. Sappiamo anco da lui come una torre, abbattuta da' sassi che scagliavano i nemici dalla parte di terra, fosse posta in riva al mare, sul porto grande “nel luogo ove si stende il corno destro della città,” dice qui il narratore,673 e poi che da quel luogo fosse presa Siracusa.
Or guardando una pianta topografica ognuno intenderà tal punta estrema essere l'istmo che separa i due porti; e però la città, al tempo dell'assedio, essere stata limitata, com'oggi, alla penisola d'Ortigia. Fuor da quella rimaneano i sobborghi, o piuttosto l'antico quartier principale della città, abbandonato da poco; quartier principale, perchè vi era stata la chiesa metropolitana; e abbandonato da poco, perchè quella, non diroccata per anco, offriva comodo alloggio al condottiero musulmano. Dal che parmi assai probabile che dopo l'assedio di Ased-ibn-Forât, comprendendo potersi meglio difendere un istmo largo poche centinaia di passi,674 che il vasto cerchio di fortificazioni del quartiere esteriore, i capitani bizantini facessero sgombrare il quartiere o ponessero gli ordini opportuni a poterlo sgombrare d'un subito; e tra gli altri ordini quello di tramutare la chiesa metropolitana in Ortigia. D'altronde, in mezzo secolo, la popolazione di Siracusa dovea essere crudelmente menomata per guerre, pestilenze, emigrazione, povertà; talmentechè le abitazioni tra l'istmo e le latomie, com'esposte a maggiori pericoli, dovean anco, senza disegni strategici, rimaner vote d'abitatori.
Diersi dunque i Musulmani a battere le fortificazioni dell'istmo con ogni maniera di stromenti da guerra; gareggiando tra loro, così scrive Teodosio, a chi sapesse trovarne dei nuovi; e raddoppiando con quegli insoliti ingegni il terrore degli assediati. Tutto il di s'avea a ributtare assalti, aggiugne il narratore; tutta notte a guardarsi da frodi e colpi di mano. Percoteano le mura con le elepoli;675 s'approcciavano all'aperto con le testuggini,676 e sotterra con mine: da lor mangani lanciavano immani massi o fitta gragnuola di pietre.677 In ultimo adoprarono macchine di tal possanza, che i sassi, in luogo di far la parabola in alto, ammazzare ricadendo qualche uomo, sfondar qualche tetto, e portare più spavento che danno, folgoravan diritto ad aprire la breccia, come le nostre artiglierie grosse. A che richiedendosi assai maggior momento di proiezione che nelle baliste ordinarie, fu giocoforza d'accrescere a dismisura la lunghezza delle vette, e con essa il volume delle macchine. Indi quei mangani di mostruosa grandezza che pochi anni innanzi avean fatto stupire i Longobardi di Salerno, e che, nel duodecimo secolo, portati dagli eserciti siciliani, battean le mura di Ravello presso Amalfi, metteano spavento ai Greci in Tessalonica, e i soldati di Saladino li guardavano con maraviglia all'assedio di Alessandria; e alfine nel decimoterzo secolo Carlo d'Angiò li mandava contro la Sicilia, maneggiati da Musulmani di Lucera. Cotesto parmi dei trovati a che allude il monaco Teodosio: nuovo, poichè, secondo gli eruditi, i tiri delle baliste adoprati a batter mura, occorrono per la prima volta nell'assedio di Siracusa, o meglio in quel di Salerno dell'ottocento settantuno, in cui si sa che una petriera, come la chiamarono gli Italiani, d'insolita grandezza, squassasse la torre Solarata. E finchè non se ne trovino altri esempii nelle guerre dei Musulmani innanzi il nono secolo, l'onore di tal trovato darassi a quei d'Affrica e di Sicilia.678
Sopravvenute forze navali di Costantinopoli, furono oppresse a un tratto dall'armata musulmana;679 il vincitore restò padrone del mare; distrusse le fortificazioni dette allora i braccialetti680 che difendeano i due porti, senza dubbio quelle dei lati opposti ad Ortigia, la punta settentrionale cioè del porto picciolo e la meridionale del grande. Così fu tolto ai cittadini ogni aiuto di fuori. I Musulmani provaronsi anco a dare assalti con lor grosse navi. Ma la città sempre valorosamente si difendea.
Maggior prova fu a durare la fame, la quale si fe' sentire, incrudì, arrivò allo strazio che riferisce il Frate Siracusano, con parole da farci prima sorridere e poi abbrividire, “L'uccellame domestico, dice in tanta tragedia Teodosio, era consumato; conveniva mangiar come si potea di grasso o di magro; finiti i ceci, gli ortaggi, l'olio; la pescagione cessata dal dì che il nemico insignorissi dei porti. Ormai un moggio di grano, se avvenia di trovarlo, si comperava cencinquanta bizantini d'oro;681 uno di farina, dugento; due once di pane, un bizantino;682 una testa di cavallo o d'asino, da quindici a venti; un intero giumento, trecento. I poveri, poichè mancarono loro i salumi e le erbe solite a mangiarsi, andavano scerpando le amare e triste su per le muraglie; masticavano le pelli fresche; raccoglieano le ossa spolpate, e pestate e stemprate con un po' d'acqua le trangugiavano; rosicavano il cuoio: poi, soverchiato dalla rabbiosa fame ogni ribrezzo, ogni sentimento di religione e di natura, dettero di piglio ai bambini; piangevano i cadaveri dei morti in battaglia: sol nutrimento di cui non fosse penuria. Ingeneravasi da ciò una epidemia crudelmente diversa; della quale chi subitamente moriva in orribili convulsioni;683 chi enfiò com'otre;684 chi mostrava tutto il corpo foracchiato di piaghe;685 altri restava paralitico.686” Così per tutto l'inverno e parte della primavera la misera cittade si travagliò; sperando che venisse l'armata di Costantinopoli a liberarla.
Da Basilio Macedone dovea in vero sperarsi aiuto. Ma la superstizione, le vergogne domestiche par che avessero stemprato quell'animo di valoroso malfattore. Tenne i soldati d'armata a edificare una chiesa di Costantinopoli,687 mentre i mangani musulmani demolivano Siracusa. Poi mandò lo ammiraglio Adriano, uomo neghittoso o vigliacco; il quale ad agio suo salpava di Costantinopoli; andava a riposarsi nel porto di Monembasia in Peloponneso: e tanto aspettovvi un vento fresco col quale far vela per Siracusa, che certi demonii che bazzicavano nella selva d'Elos, dice gravemente la Cronica del Porfirogenito, e poi certi soldati scampati da Siracusa sur una barca, gli dettero avviso che già vi sventolassero le insegne musulmane. Allora corse a Costantinopoli a serrarsi in una chiesa e domandare pietà a Basilio; il quale gli perdonò la vita.688
Par che bloccata Siracusa per mare e per terra, il capitan musulmano, certo ormai di sua preda, si tornasse in Palermo; e che in primavera andasse a incalzar con nuovo furore l'assedio,689 un Abu-I'sa, figliuolo di Mohammed-ibn-Kohreb, gran ciambellano d'Ibrahim.690 Allora fu battuta in breccia la torre del porto grande di che si è detto di sopra. Verso la fin d'aprile un lato di quella sconquassato crollò; a capo di cinque dì, cadde anco un pezzo della cortina attigua: i Musulmani montavano agli assalti, ancorchè offesi di fianco dalla torre mezzo diroccata, alla quale gli assediati aveano ristorato il passaggio con una scala di legno; e impediti alsì dall'adito malagevole e più dal disperato valore del presidio cristiano. Battaglia da giganti, sclama Teodosio, non pensando che quivi avessero combattuto in altri tempi i giganti della storia antica: i repubblicani di Atene, di Cartagine e di Roma, contro quei di Siracusa; Marcello contro Archimede! Rattratta era la città, nel nono secolo, dal tempio di Giove Olimpico e dalle Epipoli alla penisola; rattratto l'umano ingegno da Gelone al monaco Teodosio; gli animi rimpiccioliti nell'obbedienza ai despoti bizantini, nell'egoismo della bacchettoneria; la religione lor insegnava meglio a morire che a vincere. Pur se quell'enfatico detto possa appropriarsi al sol coraggio personale, bene sta; e Teodosio ben chiama santo il patrizio che governò Siracusa in questo assedio, sapendo la fine che lo aspettava; e pur durando inesorabile a proposte del nemico o timidi consigli de' suoi; vigilante, infaticabile, esperto nelle cose di guerra, mantenitore della disciplina, tra quindici o venti migliaia di umane creature affamate.691 Il presidio, sì come avveniva negli eserciti bizantini, componeasi di varie genti: v'erano Mardaiti, Greci del Peloponneso,692 uomini di Tarso;693 i Siracusani non mancarono a sè stessi; le donne aiutarono a combattere; i preti confortavano e pregavano. Per venti dì e venti notti fu difesa la breccia dai Cristiani esausti già in nove mesi di assedio e di fame. Quel fatale baluardo, detto del Malo Augurio, si coperse di cadaveri, le cui ferite descritte ad una ad una da Teodosio, mostrano che si combattesse pur con le spade, da corpo a corpo; un Cristiano contro cento Musulmani, dice egli, con iperbole che dipinge il vero. Stanchi, dispettosi d'essere trattenuti da una legione di spettri, da un mucchio di rovine, gli assalitori allenavano un istante.
La mattina del ventuno maggio ottocento settantotto694 parea cheta ogni cosa: il patrizio e il grosso delle genti s'erano ritirati a prendere un po' di cibo e di riposo: rimaneva a guardare la breccia, d'in su la torre, Giovanni Patriano con pochi soldati. Quando, alle sei, tutte le macchine dei nemici giocano a un tratto; scoppiane come una procella; la scala di legno, onde dalla città si comunicava alla torre, imberciata dai massi che piombavano, si sfasciò con gran fracasso. Il patrizio balza da mensa, corre alla breccia; seguonlo animosi guerrieri. Ma il nemico, apponendosi al colpo fatto, s'era avventato incontanente alla torre; avea trucidato i difenditori; e già irrompeva in città. Una frotta di soldati che volle far testa dinanzi la chiesa del Salvatore, pria che potesse mettersi in schiera, fu soverchiata e tagliata a pezzi. Dan d'urto i vincitori alla porta della chiesa; abbattonla; trovano una gran calca di cittadini, fanciulli, vecchi, infermi, chierici, frati, schiavi: e ne fanno carnificina. Poi si spandono per le contrade, uccidendo, predando. Il patrizio con settanta nobili siracusani si chiude in una torre; ed è preso la dimane. Uno stuolo corre alla cattedrale, ove l'arcivescovo Sofronio695 e tre preti, Teodosio era tra questi, si strappano d'indosso gli abiti sacerdotali, sperando non essere conosciuti; in farsetto di cuoio, si acquattano tra l'altar maggiore e il seggio vescovile; Sofronio tuttavia promette un miracolo; gli altri si domandano perdono scambievolmente delle offese, come in punto di morte: e Teodosio afferma che ringraziavano Iddio di tale tribolazione. Ecco i Musulmani nel tempio: uno brandendo la spada che stillava sangue va dietro all'altare, trae fuori i nascosi; ma senza maltratti, nè minaccioso piglio; e contemplato il venerabile aspetto dell'arcivescovo, gli domandava in greco: “Chi sei tu?” Saputolo, richiese dei vasi sacri; si fe' menare al luogo ove serbavansi, che erano cinquemila libbre di metalli preziosi di finissimo lavoro; fe' entrare nella stanza l'arcivescovo coi tre compagni, e ve li chiuse. Poi chiama gli anziani di sua nazione, scrive Teodosio, al certo i capi di famiglia ch'erano in quella schiera; li commuove a pietà; e salva la vita ai prigioni. Uomo di nobil sangue, dice il narratore, e lo chiama Semnoen forse Sema'ûn ch'è nome arabico. Niun soldato di nazione incivilita usò mai più umanamente in città presa d'assalto, nel primo impeto, verso ministri di religione avversa: nè gli eserciti dei nostri dì possono vantare molti Sema'ûn. Questo esempio di gentil animo del condottiero e disciplina dei soldati, accanto agli atti d'esecranda intolleranza che dovremo narrare, prova che miscuglio di schiatte, di costumi, di barbarie e civiltà, di cavalieri e ladroni, fosse nell'esercito musulmano ch'espugnò Siracusa. I men tristi sembrano i coloni di Sicilia; tra i quali va noverato Sema'ûn, poichè parlava il greco.
Ho cavato molti particolari dalla epistola di Lodovico a Basilio, inserita dall'Anonimo Salernitano e pubblicata dal Baronio e da altri. Io ho ammesso i fatti, quantunque l'epistola mi sembri apocrifa. Li ho ammesso perchè il compilatore, qual ch'ei fosse, li potè avere da tradizione come tanti altri che non cadono in dubbio; o forse que' fatti si trovavano nella epistola autentica di cui egli dà la parafrasi. Parafrasi mi sembra poi questa, sì perchè vi è fatta menzione della città d'Affrica come notai di sopra, e sì per le soverchie dissertazioni filologiche che vi si trovano. Mi pare certamente apocrifa la conclusione dell'epistola, in cui Lodovico per indurre Basilio a dargli aiuti navali, dice ch'ei si propone di ridurre la città di Napoli e conquistare la Sicilia; delle quali la prima riconoscea tuttavia il nome dello imperatore di Costantinopoli, e la seconda in parte era sua, possedendovi Siracusa, Catania, e quasi tutta la regione orientale.
Tra questa discrepanza di compilatori, sembra che il Nowairi, più diligente nelle inezie, abbia notato tre governatori, trascurati da Ibn-el-Athîr e dal Baiân per essere rimasi in uficio brevissimo tempo; e che l'Ibn-Ia'kûb, di cui Nowairi non dà il nome proprio, sia appunto l'Ahmed di quegli altri due, come notai di sopra. Debbo aggiungere che stando strettamente alle lezioni dei compilatori tre varie famiglie avrebbero tenuto in men d'un anno il governo della Sicilia, quelle cioè di Ia'kûb-ibn-Fezâra, di Ia'kûb-ibn-Abd-Allah, e di Ia'kûb-ibn-Modhâ; ma è più probabile che vi sieno errori nei nomi o salti nelle genealogie. Dubito inoltre della lezione di Ibn-el-Athîr, perchè Ibn-Abbâr, che in questa materia fa più autorità, parla (MS., fog. 35 recto) di un Ia'kûb vivuto nel tempo di cui trattiamo e figliuolo di Modhâ-ibn-Sewâda-ibn-Sofiân-ibn-Sâlem, di Sâlem, dico, padre di Aghlab e avolo del fondatore della dinastia. Ia'kûb era dunque cugino di Kafâgia emiro di Sicilia. Era stato anco uomo di molto séguito a corte del principe aghlabita Mohammed-ibn-Aghlab di cui già si parlò, e i suoi discendenti furono detti, da lui, Ja'kûbîa “Giacobini:” nome che allor non portava pericolo. Mi pare probabilissimo che l'Ahmed nominato da Ibn-el-Athîr sia stato figliuolo di costui, e Modhâ non figliuolo di Selma, ma bisnipote di quel Sâlem progenitor comune di questa famiglia e degli Aghlabiti.
Se meritasse maggiore fiducia la traduzione latina che pubblicò il Gaetani di certi versi di Teodosio indirizzati a un Beato Sofronio, che pare sia l'arcivescovo di Siracusa, si potrebbe affermare che il grosso dell'esercito musulmano si fosse ridotto alle stanze nell'inverno. Ma come farvi assegnamento, se la narrazione in prosa non ne parla, e se la traduzione dei versi è del tenor seguente?
Genus Ismael ascenditSyracusanorum in urbem,Ambitu ambiens hanc;Aggressus devicit (devicitur?)Dolose supervenit extemploPer annum etiam navigavitPost decem autem menses exciditObsidio urbem.
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Quanto al nome del vincitor di Siracusa, che Teodosio non poteva ignorare, mi par che vada letto Abu-l'sa, figliuolo dell'hâgeb ossia ciambellano di Ibrahim-ibn-Ahmed; poichè le due lettere latine ch sono trascrizione ordinaria della greca χ, come questa dell'ha, 6ª lettera dell'alfabeto arabico, con la quale comincia la voce hageb; e le lettere g e b similmente rispondono alle arabiche. È maraviglia a trovare sì intatta quella parola passata per mano di varii copisti e d'un traduttore; poichè di questo squarcio il testo greco si è perduto. Debbo qui avvertire, per render testimonianza al vero, che M. Famin, nella Histoire des Invasions des Sarrazins en Italie, Paris 1843, della quale è uscito solo il primo volume, e la quale avrò poche altre occasioni di citare, ha colto nello stesso segno mio, tirando a un altro. La voce Châgeb gli parve corruzione del nome patronimico di Mohammed-ibn-Kohreb; e ne disse le male parole a Teodosio, anche per aver chiamato costui emiro, e conchiuse doversi correggere il nome Mouça fils de l'émir Khareb; cioè Mohammed-ibn-Kohreb, che per caso si trova appunto lo hâgeb del principe aghlabita in questo tempo.