Kitabı oku: «Storia dei musulmani di Sicilia, vol. I», sayfa 23
Teodosio e i compagni di prigionia furono recati allo alloggiamento del generale in capo, al vescovado vecchio, serrati in una stanza; la cui schifa descrizione legga, chi il voglia, nella epistola di Teodosio. Ma non può tacere la storia su le abbominevoli crudeltà. Cessata la strage indistinta, continuarono a scannare gli uomini d'arme, e serbare gli altri alla schiavitù.696 E perchè mal si poteano distinguere, o intervenne qualche pia frode dei condottieri più inciviliti, fu preso tempo a scevrare le vittime: e a capo di una settimana, di sangue freddo, le immolarono fuor la città. Primo l'eroe dello assedio, quel patrizio di cui Teodosio tace il nome, per esser noto, dice egli, a chiunque: e andò alla morte a testa alta, impavido, sereno, che il capitano che il condannò lo guardava preso di stupore. Indi, i settanta presi nella torre col patrizio e gli altri prigionieri furono legati; fattane una massa, contro la quale come can villerecci, continua Teodosio, i Musulmani avventavansi: e fino all'ultimo li ammazzarono con sassi, bastoni, lance e checchè lor veniva alle mani; e arsero i cadaveri. Niceta da Tarso, notissimo ai nemici pei fieri colpi che solea menare ogni dì, svillaneggiando lor nazione e imprecando al Profeta, fu tratto in disparte; steso a terra supino; scorticato dal petto in giù; squarciategli con cento lance le viscere palpitanti; strappatogli il cuore: e gli empii lo dilaniarono coi denti; lo ammaccarono a colpi di pietra.697 Il numero dei morti in tutte queste carnificine passò i quattromila, dice il Baiân; sommò a parecchie migliaia, dice Ibn-el-Athîr, aggiugnendo che “pochi, pochissimi camparono,” tra i quali son da noverare que' che gittatisi in una barca arrivarono in Grecia. Montò il valsente del bottino, secondo Teodosio, a un milione di bizantini698 che ne darebbe tredici delle nostre lire; nè par troppo per tanta città; nè arriva a quello che crederebbesi, leggendo negli annali musulmani non essersi fatta mai sì ricca preda in altra metropoli di Cristianità. Comparve, dopo la espugnazione, un'armatetta greca, contro la quale usciti i Musulmani la messero in fuga, le presero quattro navi, e passarono gli uomini per le armi. Per due mesi circa abbatterono fortificazioni, spogliarono tempii e case: alfine vi messer fuoco, e andaron via, allo scorcio del mese di dsulka'd, cioè all'entrare d'agosto.699 Questo fu il fine di Siracusa antica: rimase un laberinto di rovine, senz'anima vivente.700 Nè un Teocrito v'era, nè un Ibn-Hamdîs che piangessero l'eccidio della patria; ma vi si provò un poeta bizantino, erede presuntivo della corona, Leone poi imperatore, detto il Sapiente, e autore d'un trattato d'arte militare; il quale, in vece di venire a far la vendetta, strimpellò sul doloroso argomento due anacreontiche, così chiamolle, che si sono perdute, nè parmi gran danno.701 Il monaco e grammatico Teodosio dettò poi la epistola da noi sovente citata, che ben risponde ai due titoli dello autore: piena di unzione, come si dice; diffusa, studiata, pur non disadorna di stile; pregevole pei fatti che ricorda; e può passare tra i buoni scritti greci del nono secolo.
Prima di sgombrar la città, i Musulmani avviavano a Palermo il bottino e i prigioni:702 gittati su le medesime bestie da soma; scortati da brutali negri, ch'erano addetti ai servigii più bassi nello esercito; viaggiando sei dì e sei notti, al caldo e al freddo, senza riposo. All'alba del settimo dì, i prigioni siracusani gustavano amarezza novella a vedere la fiorente città, di cui la fama tanto parlava, uscita dall'antico giro delle sue mura, coronata di sobborghi, o meglio, sclama Teodosio, forti e superbe città, “l'iniqua Palermo, che tenendo a vile d'essere governata da un contarco, si impadronisce già d'ogni cosa, ha messo noi sotto il giogo, e minaccia d'assoggettare le genti più lontane, fin gli abitatori della imperiale Costantinopoli.” Così il prigione, struggendosi d'invidia municipale, inveiva contro un nome; confondea Palermo capoluogo di provincia sotto i Bizantini, con Palermo capitale musulmana, “ridondante di cittadini e di stranieri, che pareavi adunata tutta la genía saracenica da levante a ponente et da settentrione al mare.” Un folto popolo andò a incontrare il convoglio, tripudiando alla vista di quel bottino, intonando versetti del Corano, che Teodosio chiama canti trionfali e peani.
Dopo cinque dì, l'arcivescovo e i preti suoi erano addotti allo emiro supremo, dice Teodosio, senza dubbio il wâli di Sicilia, “sedente in trono, sotto un portico,703 ascosto dietro una cortina per tirannesca superbia.” L'emiro e l'arcivescovo fecero per interpreti una breve disputa religiosa, nel cui tenore, dato da Teodosio, ben si ravvisa il gergo musulmano; e vedesi che il tiranno parlava senza orgoglio nè intolleranza; il pastore con dignità e circospezione. Accomiatati per tornare alla prigione, attraversavano la piazza di mezzo della città, probabilissimamente quella ch'or si chiama del Palagio Reale, seguendoli “moltissimi Cristiani che senza dissimulazione li compiangeano, e molti Musulmani tratti da curiosità di vedere il rinomato arcivescovo;” dei quali Teodosio non dice che desser su la voce a que' primi, nè profferissero ingiurie. Furon chiusi poi nelle pubbliche carceri,704 che vi si scendea per quattordici gradini e non aveano altra finestra che la porta; dove, tra il caldo, la oscurità, il puzzo, gli schifi insetti, erano accalcati Negri, Arabi, Ebrei, Cristiani di Tarso, di Longobardia e Siciliani. Il vescovo di Malta, ch'avea i ferri ai piè, levossi per abbracciare Sofronio: si contarono a vicenda lor casi; piansero insieme; e ringraziarono Iddio. Ma venuta la festa dei Sagrifizii, com'esattamente la chiama Teodosio,705 un fanatico dottore706 si messe a stigare il popolazzo che per maggiore allegria facesse un falò di quel sacerdote politeista; se non che gli uomini più autorevoli e i magistrati calmarono il furore, mostrando vietato da legge musulmana l'abbominevole sagrifizio707 e doversi in altra guisa render lode a Dio della vittoria. “Così campammo, conchiude Teodosio, scrivendo dal carcere, e pur ci minacciano la morte ogni dì.708” Si addoppiarono forse i timori suoi ne' tumulti della capitale, nella guerra che si raccese con avvantaggio delle armi greche; finchè, l'ottocento ottantacinque, erano riscattati i prigioni siracusani;709 onde l'arcivescovo e Teodosio, par che tornassero in libertà.710
CAPITOLO X
Lo stesso anno, se prima o appresso la espugnazione di Siracusa non si ritrae, Gia'far-ibn-Mohammed fu ucciso in Palermo dai suoi proprii famigliari, per trama di due principi del sangue aghlabita, ch'eran ritenuti prigioni nel palagio dell'emiro, mandativi al certo da Ibrahîm; l'uno, fratel di costui per nome Abu-I'kal-Aghlab-ibn-Ahmed; l'altro, fratello del padre di Ibrahîm, e addimandavasi anco Aghlab-ibn-Mohammed-ibn-Aghlab, soprannominato Khereg-er-ro'ûna, come noi diremmo “La pazzia se n'andò.” Aghlab, matto o no, volle raccogliere il frutto dell'omicidio; prese lo Stato, affidandosi in una mano di partigiani; ma non andò guari che il popolo, sollevatosi, lo scacciò con tutti i compiici suoi, e mandolli in Affrica.711 Succedea nel governo, per elezione, com'e' pare, d'Ibrahîm, un Hosein-ibn-Ribâh,712 che pochi anni addietro avea retto per breve tempo la colonia.
Il quale immantinenti ebbe a combattere aspra guerra coi Cristiani. Uscito la state dell'ottocento settantanove contro Taormina, fu sconfitto più fiate. All'ultimo trionfò in sanguinosa battaglia, e uccisevi il capitano nemico che il Baiân chiama patrizio;713 forse quel Crisafi, la cui morte ricorda in quest'anno medesimo la Cronica di Cambridge:714 il qual nome gentilizio ricomparisce in un diploma del duodecimo secolo, non che nei ricordi de' tempi successivi, e rimane tuttavia in Sicilia. Da ciò si vede che i Politeisti dell'isola, come il Baiân chiama i cittadini delle terre non sottomesse ai Musulmani, avendo dinanzi agli occhi quello spaventevole esempio di Siracusa, vollero piuttosto affrontar la morte uniti in campo, che perire divisi, ciascuno entro il suo muro. Notevol è che la medesima disperata reazione avvenne già dopo la presa di Castrogiovanni. Or davano animo al resistere anco le discordie dei Musulmani e gli appresti che facea Basilio per cancellare l'onta delle armi sue.
Incalzavan la briga i frati, solito stromento di governo nell'impero bizantino; i quali si fecero agitatori, portatori d'avvisi, anco esploratori; affidandosi nella umiltà di loro stato, nei pretesti che forniva e nella riverenza del popolo musulmano, ch'era sì caritatevole verso i poveri di qualunque religione, proclive a tutte superstizioni anco straniere, e uso a tenere in gran conto l'abnegazione monastica. Pertanto veggiamo sopraccorrere in questo tempo in Sicilia un valente frate, Elia da Castrogiovanni, la cui vita tra non guari avremo a narrare. Lasciata Gerusalemme, ov'ei facea stanza, Elia navigò alla volta d'Affrica; di lì venne sur un legno carico di mercatanzie in Palermo; vi rivide la madre; e a capo di pochi dì, appunto quando s'allestiva un'armata nel porto della capitale, ei passò a Taormina; di là a Reggio, ove il popolo era tutto sbigottito; lo rassicurò vaticinando la sconfitta degli Infedeli: e dopo i successi che siamo per narrare, Elia ricomparisce a Taormina per pochi dì; passa in Grecia; ov'è preso per spia dei Musulmani; indi viene in Calabria di nuovo; va a Roma e di nuovo a Taormina. L'intendimento di cotesti viaggi è evidentissimo. Il fatto si deve accettare da una biografia scritta non guari dopo la morte di Elia, e molto accurata nei nomi proprii e topografici, e negli avvenimenti che noi d'altronde conosciamo; verosimile e semplice negli altri; nella quale i miracoli stanno appesi come parati da festa su le mura di un edifizio.715
Il detto vaticinio d'Elia era di quelli che ognuno può fare. Dopo gli avvantaggi riportati dalle armatette bizantine, a Napoli716 sopra i Musulmani d'Affrica e di Sicilia, e in Levante contro quei dell'Asia Minore e di Creta, il navilio capitanalo da Niceta Orifa, per audace fazione, avea distrutto l'armata cretese nel golfo di Corinto; aveala arso, affondato, fatti moltissimi prigioni, e messili a morte con orrendi supplizii; chi scorticato vivo, chi immerso nella pece bollente.717 Oltre il terrore di questi fatti, stava pei Bizantini la superiorità del numero; leggendosi che l'armata affricana e Siciliana che s'accozzò in Palermo sommasse a sessanta navi,718 ed a centoquaranta la bizantina che le fu mandata incontro,719 capitanata da un Nasar, uom di Siria come lo mostra il nome; forse della fiera gente dei Mardaiti che valorosamente combatteano contro gli oppressori Musulmani in patria e fuori.720 Come il navilio affricano s'era messo a depredare Cefalonia, Zante e tutte quelle costiere, con animo forse di passare in Calabria, Nasar, raccolte sue forze nel porto di Modone, ristorata la disciplina nei soldati, rinforzatili di Mardaiti e milizie del Peloponneso, uscì improvvisamente contro il nemico. Per aspro combattimento gli bruciò o prese la più parte delle navi, credo io, nei primi di agosto ottocento ottanta, su la costiera occidentale della Grecia propria, Ellade, come allor si chiamava la provincia a settentrione dell'istmo di Corinto. Rifuggitisi in Sicilia quei pochi legni che il poterono, Basilio comandava a Nasar di passar oltre verso Ponente. Così quegli veniva a Reggio; e distrutto, com'e' pare, qualche avanzo dell'armata siciliana che osava far testa, approdò non lungi di Palermo.721
Padroni oramai del mare i Bizantini cominciarono a dar la caccia alle navi mercantili dei Musulmani, e grande copia vi presero di ricche merci, soprattutto d'olio, il quale fu tanto che il venderono a un obolo la libbra:722 depredazioni esiziali in quell'anno, in cui era una spaventevole carestia in Africa,723 e però molto bisogno delle derrate di Sicilia. Al tempo stesso Nasar mandò torme di cavalli a dare il guasto ai territorii delle città fatte tributarie dei Musulmani: parecchi mesi durò frastornando il commercio della colonia, senza attentarsi ad assalirla altrimenti; finchè andossene in Terraferma ov'era più agevole a fare acquisto di territorio.724 Ben ei lasciò una squadra di salandre a Termini, o Cefalù, con soldati che continuassero l'infestagione per terra;725 e forse allor fu che Basilio, con intento di ordinare la guerra in Sicilia, fecevi capitano Euprassio,726 e poi Musulice. Allora per certo si cominciò a fabbricare o afforzare una città, alla quale i Bizantini poser nome di Città del Re; com'io credo, l'odierna Polizzi,727 la quale sorge sopra un colle in mezzo alla valle principale delle Madonie, a brevissima distanza dalle scaturigini dei due Imera, settentrionale e meridionale, o vogliam dire fiume Grande e fiume Salso. Cotesti fiumi, correndo in dirittura opposta, l'uno al Tirreno, l'altro al mar d'Affrica, tagliano la Sicilia d'una linea non interrotta, la quale segnò la divisione amministrativa sotto i Romani, e poi di nuovo nel decimoterzo secolo; e le due provincie si chiamarono la prima volta Lilibetana e Siracusana, poi Sicilia di là e di quà del Salso, ossia Occidentale ed Orientale, e l'una rispondea al Val di Mazara, l'altra a quei di Demona e Noto uniti insieme. Da quella fortezza i Bizantini tenendo il passo delle Madonie, poteano dominare l'uno e l'altro pendío; chiudere i Musulmani nel Val di Mazara; e assicurare le popolazioni cristiane di Val Demone e Val di Noto. Con pari intento il conte Ruggiero due secoli appresso affortificava Polizzi, sì che a lui ne fu attribuita la fondazione.
Scambiato per cagion di quelle sconfitte, o forse uccisovi, Hosein-ibn-Ribâh, e rifatto governatore della colonia Hasan-ibn-Abbâs,728 i cavalleggieri musulmani prorompeano di Palermo a infestar tutta la Sicilia, l'anno dugento sessantasette dell'egira (11 agosto 880 a 30 luglio 881), nella state cioè dell'ottocento ottantuno; e Hasan col grosso delle genti, attraversata risolutamente l'isola, andava a bruciare le mèssi nel contado di Catania. Di lì passato in quel di Taormina,729 distruggeva le ricolte e tagliava gli alberi: onde uscitogli contro Barsamio, capitano del presidio, uom di Siria come parrebbe al nome, questi toccò una sconfitta, che il biografo di Elia da Castrogiovanni dice predetta dal Santo.730 Il vincitor musulmano, tornandosi a Palermo, dava il guasto al territorio di Bekâra, non so bene se Vicari, ovvero un castel distrutto nelle vicinanze di Gangi, che non son guari lontani nè l'uno nè l'altro dal luogo ov'eransi afforzati i Bizantini. Questi dal canto loro non intermessero le incursioni ne' territorii dei Musulmani ai quali recarono gravissimi danni.731 Così con varia fortuna si combattea.
L'anno appresso, che fu il dugento sessantotto dell'egira (31 luglio 881 a 19 luglio 882), cominciò con atroce sconfitta e terminossi con splendide vittorie dei Musulmani. Narra Ibn-el-Athîr che una gualdana condotta da Abu-Thûr, “Quel dal Toro,” come noi diremmo, imbattutasi nell'esercito bizantino, fu tagliata a pezzi; sì che ne camparon sette uomini soli.732 Il nome di Caltavuturo,733 che significa la rôcca di Abu-Thûr, discosta cinque miglia da Polizzi, addita il luogo dello scontro. La quale notizia accozzata con quel rigo di annali è esempio dei materiali su cui ci tocca ordinariamente a compilare questo nostro lavoro: ragguagli talvolta precisi, ma come iscrizioni sepolcrali; nè ci dipingono le sembianze, nè ci rivelano le passioni, i pensieri, tutto quel movimento vitale che piace e giova intendere nella storia. Ma alle memorie storiche come noi le vorremmo, come l'ebbero alle mani i grandi maestri dell'arte, suppliscono un po' le leggende: almeno ci svelano in che modo allor gli uomini delirassero, che è pur segno di vita. Un'agiografia greca ed un'agiografia arabica s'abbattono entrambe, com'e' pare, nel medesimo fatto di Caltavuturo; narrando le visioni di due avversarii in alcuna sconfitta toccata dai Musulmani. Niceta Davidde di Paflagonia, nella Vita d'Ignazio Patriarca di Costantinopoli scritta in greco, novera questo tra i cento prodigii del patriarca: che Musulice, stratego di Sicilia, in un'aspra battaglia contro i Saraceni, sbigottito, nè sapendo che farsi, invocava l'anima beata d'Ignazio, e che quegli, apparso in aria sopra un possente caval bianco, gli accennava di muover le schiere contro la sinistra del nemico; e così fece il pio capitano, e, contro il solito, vinse.734 In luogo di un vescovo che venisse a dimostrare arte di strategia, la leggenda musulmana fa scendere dall'empireo le Huri dai begli occhi negri, per chiamare a novella vita i martiri della fede unitaria. Il narratore è Abu-Hasan-Harîri, siciliano di santissimi costumi secondo sua setta, trapassato il novecento trentuno. “Al tempo, diceva egli in sua vecchiezza, al tempo che questa nostra patria nudriva prodi cavalieri, non trascorsi per anco a lacerarsi in guerra civile, io mossi con gli altri ad una impresa contro Infedeli; nella quale scontratici col nemico, fe' carnificina di noi. Tra i cadaveri trovai semivivo Abu-Abd-Selem-Moferreg, uom virtuoso, dato ad esercizii di pietà, a dura penitenza, e a combattere per la fede; il quale così mi parlò: “Ti giuro,” ei disse, “per Dio, che ho visto tante scale drizzate da questo campo infino al cielo, per le quali scendeano giovanette che mai più vaghe non ne conobbi al mondo. Tenendo alle mani uno sciugatoio di drappo verde, ciascuna s'accostò a un dei martiri nostri, e presogli il capo e posatoselo in grembo, gli astergeva il sangue; poi, levando nelle sue braccia il trafitto, se ne risaliva con esso lui in cielo. Ma la donzella che venne a me, addandosi ch'io respirassi, mi volse le spalle tutta sconsolata, esclamando: – Oh sventura, egli vive! Oh vergogna mia appo le compagne! – Ed ella mi lasciò,” finiva singhiozzando Moferreg, “ch'io la vidi con questi occhi miei aperti e risentiti. Mi lasciò la dolce sorella: or come mai potrò cessare il pianto finch'io non la ritrovi?”” Da quel dì in poi Moferreg si profondò tanto più a meditare su la divinità e su l'altro mondo; raddoppiò ogni più strano rigor di vita ascetica; si cibò d'erbe; e quando alcuno gli diceva: “Smetti, o Abu-Abd-Selem,735 che hai fatto abbastanza per guadagnare il Paradiso;” ei gli dava su la voce: “Sciagurato ch'io non ho scusa appo il mio Signore;” e ricominciava a piangere: nel qual modo si travagliò per sei anni che gli rimaser di vita.736
Deposto dopo la sconfitta di Caltavuturo Hasan-ibn-Abbâs, e surrogatogli Mohammed-ibn-Fadhl, rinnovava, nella primavera dell'ottocento ottantadue, il disegno di Hasan; spargendo le gualdane per ogni luogo ove i Cristiani non fossero sottomessi; e movendo egli medesimo con lo esercito sopra Catania. Andò seco lui grande sforzo di gente, levatasi in massa alla guerra sacra, com'e' pare dal testo d'Ibn-el-Athîr.737 Dato il guasto alle mèssi in quel di Catania, Mohammed improvvisamente si voltò contro i soldati delle salandre bizantine, i quali non si ritrae se abbiano fatto sbarco nella costiera orientale, o, per terra, tenuto dietro all'esercito musulmano; o se questo sia ito a trovarli su la costiera settentrionale, valicando i monti. Mohammed li combattè e ruppe con molta strage. Poi andò a guastare le ricolte di Taormina; e al ritorno scontrossi con più forte esercito cristiano, accozzato forse dai municipii di Sicilia. Lo sbaragliò; ne uccise tremila uomini, e mandò le teste in Palermo. Usando la vittoria, assaltò poi la Città del Re, Polizzi, se regge il mio supposto; della quale impadronissi per forza d'armi, e messe a morte tutt'i combattenti, e ogni altra persona fe' schiava.738 Così erano sgombrati gli avanzi della espedizione di Nasar. Le forze bizantine, bastando appena alla guerra di Calabria, abbandonavano la Sicilia, o forse vi lasciavano pochissimi presidii. Il territorio cristiano pertanto si ristrinse ai monti della Peloriade, all'Etna, e alla valle ch'è di mezzo.
Quella striscia di terreno sarebbe stata poi, con lieve fatica, soverchiata dai Musulmani, se non li avesse arrestato il peggior nemico loro, la discordia. La quale nelle avversità suol trovare nuov'esca; e cova sotterra; e quando poi senta rivoltare la fortuna, s'apre spiragli, e divampa. I segni del tristo fuoco si veggono apparire poco appresso la vittoria di Mohammed-ibn-Fadhl: sono la debolezza e incertezza con che si sciupò la vittoria. Il dugento sessantanove (20 luglio 882 a 9 luglio 883), Mohammed affliggea con saccheggi, cattività, uccisioni i contadi di Rametta e Catania, ma tornava in Palermo tra il giugno e il luglio dell'ottocento ottantatre,739 senza offendere altrimenti il nemico tutto quell'anno. Al vittorioso condottiero, se deposto o morto non si sa, era surrogato un Hosein-ibn-Ahmed; il quale morì l'anno dugento settantuno (28 giugno 884 a 16 giugno 885), dopo una scorreria che fe' fare nel territorio di Rametta, con guasti di poderi e preda di roba e d'uomini. Poi, venuto d'Affrica a governare l'isola Sewâda-ibn-Mohammed-ibn-Khafâgia, volendo imitare il padre e l'avolo con gagliarde imprese, desolò non solo il contado, ma forse anco i sobborghi di Catania;740 passò a Taormina; combattè quel presidio; guastò le mèssi; e si facea più da presso, quando venuti a chiedergli accordo, com'ei pare, i decurioni della città, fermò la tregua per tre mesi e lo scambio di trecento prigioni musulmani con que' di Siracusa; ridusse lo esercito alle stanze in Palermo;741 e spirata la tregua, riassaltò la Sicilia orientale all'entrare del dugento settandue (17 giugno 885 a 6 giugno 886) senz'altro frutto che un po' di bottino.742
Così per due anni allenava la guerra sacra, perchè gli animi s'apparecchiavano alla guerra civile. Alfine, aggiugnendosi alle altre cagioni di mal contentamento le vittorie che riportava in Calabria Niceforo Foca e il disordine che dovean recare dalla Terraferma nell'isola i Musulmani rifuggiti,743 si venne in questa al sangue. I Berberi e gli Arabi combatteron tra loro, il dì appunto non si sa, tra l'autunno dell'ottocento ottantasei e la primavera dell'ottantasette: e Sewâda con un suo fratello e tutti i partigiani, presi dal popolo di Palermo e messi in ceppi, furono mandati in Affrica. Il popolo rifece governatore un Abu-Abbâs-ibn-Ali;744 ma par che poco durasse in ufizio, e che il principe aghlabita riescisse a chetare i sollevati; sì che non guari dopo rimandava in Palermo lo stesso Sewâda.
Breve pausa di discordie, ma ben la sentirono i nemici. Morto in questo mezzo Basilio Macedone (1 marzo 886) e venuto l'impero nelle deboli mani di Leone, era chiamato Niceforo Foca a governar la guerra in Asia Minore. I Musulmani di Sicilia allestivano allora l'armata per riassaltare la Calabria, l'anno dell'egira dugento sessantacinque (15 maggio 888 a 4 maggio 889). Allo incontro venne da Costantinopoli a Reggio il navilio imperiale; e passato lo stretto, che già avea preso il nome di Mar del Faro,745 trovò il nemico nelle acque di Milazzo, probabilmente in settembre ottocento ottantotto. La battaglia finì con una strage spaventevole: prese tutte le navi ai Cristiani; morti dei loro cinque, forse settemila, tra di ferro e annegati: ed è da credervi, poichè al certo il vincitore musulmano non risparmiò i prigioni, dopo quelle orribili crudeltà di Niceta Orifa. Allo annunzio della quale sconfitta gli abitatori di Reggio e delle altre città e castella della estrema Calabria, fuggivano dalle case loro sentendosi sul collo la spada musulmana. Infatti l'armata vincitrice approdò; sparse gli scorridori all'intorno, e fatto gran bottino si ridusse in Palermo.746
Dopo la espugnazione dell'ottocento quarantatrè, il nome di Messina ricomparisce nelle memorie musulmane in questo tempo, sapendosi che Mogber-ibn-Ibrahîm-ibn-Sofiân fosse mandato a capitanare “l'esercito di Messina e terra di Calabria dopo la battaglia di Milazzo;” queste sono le proprie parole del biografo.747 Nel mezzo secolo che corse tra l'uno e l'altro avvenimento, non si fa punto menzione di quella città; ma si ricordano, dall'ottocento settantasette in poi, i guasti di eserciti musulmani nel contado di Rametta, picciola rôcca tra i monti, a ponente di Messina ond'è lontana nove miglia in linea retta748 e molto più pei sentieri tanto o quanto praticabili a tramontana e mezzogiorno. Rametta o Rimecta, terra di nome latino, e però antica, ancorchè non se ne faccia ricordo da storici e geografi innanzi il nono secolo; terra limitata dal sito a mediocre prosperità; forte asilo in tempo di guerra. Così ancora per tutto il corso del decimo secolo il nome di Messina s'udì poco, quel di Rametta fu famoso per battaglie e assedii; finchè la città del Faro, non molto innanzi il conquisto normanno, ripigliava l'antico lustro, e Rametta tornava alla condizione assegnatale dalla natura. Da cotesta vicenda parmi si debba argomentare che dopo l'ottocento quarantatrè i principali cittadini di Messina e gran parte del popolo si tramutassero in quelli aspri gioghi per viver liberi; e che Messina, mezzo abbandonata, rimanesse come porto ed emporio, Rametta divenisse l'Acropoli dell'antica patria.
Mogber, uom valoroso, della nobile schiatta di Sofiân collaterale di casa d'Aghlab,749 era stato accetto un tempo a Ibrahîm-ibn-Ahmed, che solea per diletto armeggiar di lancia con esso lui; era stato preposto al governo di Laribus; ma poi, allontanato d'Affrica al par di quanti altri davan ombra al tiranno, ebbe il pericoloso comando dell'esercito a Messina. Dove gli avvenne che andato con poche galee a una correria in Calabria, l'armata bizantina, capitanata, com'ei pare, da un ammiraglio Michele, lo fe' prigione, e sì mandollo a Costantinopoli; ove dopo alquanti anni morì. Per lungo tempo rimase popolare in Affrica il nome di Mogber, recitandovisi da tutti un poemetto ch'egli avea dettato nei tristi giorni della cattività, e mandatolo al Kairewân, del quale abbiamo due squarci: poesia imitativa; versi così così; sensi di carità patria; disprezzo della fortuna, e speranza che confortasse l'animo del prigione colui che avea guardato Giuseppe dalle seduzioni, rincorato Giobbe, liberato Abramo dal furore de' Miscredenti e dato possanza al bastone di Mosè in faccia ai Maghi d'Egitto.750
Ma Sewâda-ibn-Mohammed, tornato in Palermo, movea l'anno dugento settantasei (5 maggio 889 a 23 aprile 890) contro Taormina, e invano l'assediava;751 col quale par che Ibrahîm-ibn-Ahmed abbia mandato in Sicilia milizie straniere sotto pretesto della guerra sacra in Calabria, e in verità per mettere un freno in bocca ai coloni. In fatti, leggiamo nella Cronica di Cambridge che di marzo ottocento novanta i Musulmani di Sicilia si levarono in arme contro gli Affricani e uccisero un Tâwâli, del quale altro non si conosce che il nome o soprannome che sia;752 ma quella appellazione di Affricani e Siciliani, data qui dal medesimo scrittore che nell'ottocento ottantasette avea parlato di Giund e Berberi, mostra che si combattesse tra le novelle forze venute d'Affrica e gli antichi coloni, non più tra le due schiatte di costoro.753 Resse la Sicilia l'anno dugento settantotto (14 aprile 891 a 1 aprile 892) Mohammed-ibn-Fadhl di già ricordato. Il dugento settantanove (2 aprile 892 a 21 marzo 893), il Baiân ripete il nome di costui e lo dice entrato in Palermo capitale dell'isola il due sefer754 (4 maggio 892); la qual data, sì precisa, è indizio di avvenimento non ordinario; forse un moto di fazioni; forse una battaglia. Ne fan certi di ciò i cenni che troviamo in altri scrittori. Leggiamo nella storia d'Affrica del Nowairi, che l'anno dugentottanta (893-894) Ibrahim-ibn-Ahmed, rifatto hâgib, o vogliam dir ciambellano e primo ministro, un Hasan-ibn-Nâkid, gli conferì inoltre parecchi oficii, tra i quali l'emirato di Sicilia, e che Hasan andò con un esercito a combattere i popoli di Tunis e di tutta la penisola di Scerîk,755 come chiamavan la lingua di terra che si termina nel Capo Bon e dritto guarda al promontorio occidentale della Sicilia. Da un'altra mano, tra l'ottocentonovantadue e il novantasei, non s'intende in Sicilia d'impresa contro i Cristiani; anzi si vede fermato un patto tra loro e i Musulmani dell'isola: fermato ai tempi di Abu-Ali, dice la Cronica di Cambridge;756 fermato coi Saraceni di Palermo che si ribellarono dal principe d'Affrica, dice Giovanni Diacono napoletano,757 alludendo, com'e' par certo, al medesimo accordo. V'ha luogo dunque a due supposti: o che il principe affricano abbia voluto usar la vittoria di Mohammed-ibn-Fadhl, per togliere le franchigie della colonia, e farla reggere dal primo ministro ch'ei si teneva allato; ovvero che i coloni siano rimasi di sopra in alcun altro scontro, e Ibrahim abbia commesso al primo ministro, che, doma la penisola di Scerîk, traghettasse il mare, e andasse a domar la Sicilia, il che poi non si effettuò. Al secondo supposto dan valore le parole di Giovanni Diacono; talchè Abu-Ali sarebbe soprannome del capo della rivoluzione in Palermo.
La pace, chè tal vocabolo adopran qui i cronisti contro l'uso ordinario degli accordi coi Cristiani, non portava ai Musulmani altro avvantaggio, che di liberar mille prigioni di lor gente. Fu stipolata tra gli ultimi dell'ottocento novantacinque e i primi del novantasei. Le fu posto il termine di quaranta mesi; e la colonia diè statichi da scambiarsi ogni tre mesi, una volta Arabi e una volta Berberi.758 Tornò dunque a un compenso del riscatto di mille Musulmani col valsente del bottino, schiavi e guasti di ricolte, che i Cristiani avrebbero potuto patire in quattro estati; e gli ostaggi si davano dai Musulmani ai Cristiani, perchè in tal baratto questi pagavan contante, e quelli in credito. Accordo glorioso per quei tre o quattro municipii della schiatta vinta che a mala pena si difendeano, stretti e incalzati in un cantuccio dell'isola; troppo umile pei conquistatori che s'eran lasciati prender tanta gente, sia in Sicilia sia in Calabria, nè si fidavano di liberarla con la spada. Nè minore scandolo era per loro a confessare in faccia ai Politeisti la profonda scissura della colonia, con quello avvicendare degli statichi: Arabi e Berberi, non più fratelli in Islam!
Degli autori arabi ne trattano: Ibn-el-Athîr e Nowairi, ll. cc.; Baiân, tomo I, p. 110; aggiungasi la Cronica di Cambridge, presso Di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 42.
La data della espugnazione, il 21 maggio, si trova al paro in Teodosio nella Cronica di Cambridge, e nel Baiân. L'anno 878 è determinato da queste ultime due autorità. Manifesto l'errore di coloro che, seguendo la Continuazione di Teofane, han detto presa Siracusa l'880.
La Continuazione di Teofane, l. c., cap. LXII, dà il numero delle navi africane; il tempo vagamente e con errore; il luogo anche vagamente; ma dice che il nemico scorresse i mari di Cefalonia e Zante, e che Nasar uscisse da Modone, e tornassevi dopo la vittoria, e poi, chieste istruzioni a Basilio, venisse in Palermo. La epistola di Giovanni VIII, del 30 ottobre, 19ª indizione (dal 1º sett. 880 al 31 ag. 881), dando a Carlo il Calvo le nuove dei Greci e Ismaeliti, dice: quia Græcorum navigia in mari Israelitarum victorisissime straverunt phalanges; ed è evidente che debbasi leggere Ismaelitarum. Nella Cronica di Cambridge, presso Di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 43, troviamo: “L'anno 6388 (1º settembre 879 a 31 agosto 880), i Bizantini presero le navi dei Musulmani in un luogo che s'addimanda Ellada.” Questa voce precisamente si legge, nel MS. con la l raddoppiata e la d con un punto diacritico, con la quale per lo più gli Arabi trascrivono la d greca o latina, perchè la loro d senza punto si confonde spesso con la nostra t. Ellade è appunto il nome del tema della Grecia propria, che stendeasi dall'uno all'altro mare, compresavi l'isola di Negroponte, che sta a levante, ma non Cefalonia e Zante, che giacciono a ponente; e confinava a settentrione col tema di Tessalonica, a mezzodì con quello del Peloponneso. Tal nome è scritto ordinariamente dai Bizantini Ἑλλάς, all'accusativo Ἑλλάδα, con le medesime lettere e accento della trascrizione arabica. Ibn-el-Athîr, MS. A, tomo II, fog. 109 verso; e. MS. di Bihars, fog. 49 recto, anno 266 (22 agosto 879 a 10 agosto 889), riferisce la battaglia ne' mari di Sicilia; presa la più parte delle navi musulmane, e salvatisi gli avanzi in Palermo. Il Baiân, tomo I, p. 110, dice portata la guerra dal governatore di Sicilia ai Bizantini, che fecero uscire 140 navi; scontratesi le due armate; prese le navi della musulmana; e passati i vincitori a Palermo. Ciò nel 266. Finalmente la Vita di Santo Elia dà allestita l'armata in Palermo contro Reggio al tempo dello imperatore Leone; mandato da costui Basilio Nasar con 45 navi; ito Santo Elia di Palermo a Taormina ed a Reggio, ove confortò i cittadini che non fuggissero, e Nasar che fidasse nella vittoria; uscito Nasar contro i Musulmani, cui ruppe, messe in fuga, affondò in mare, o fe' prigioni. In questa narrazione può star la data dell'880, poichè Leone, che regnava solo quando fu scritta la biografia, era già associato al padre innanzi l'880, e probabilmente, come lo accennai di sopra, il nome di Basilio nel testo va aggiunto a quel di Leone, e non dato come nome di battesimo di Nasar. Però non han luogo le conghietture cronologiche del Gaetani, op. c., p. 68, e dei Bollandisti, vol. c., p. 483. Quanto al luogo della battaglia, o fu confuso nella memoria di Elia che vecchio narrava questi casi, o dalla penna dell'agiografo, ovvero seguì un novello scontro di 45 navi bizantine con gli avanzi dei Musulmani, che uscissero di Palermo, vedendosi assaliti nelle case loro.
Dopo il detto fin qui, i fatti mi sembrano provati abbastanza. Così anche la data, non ostante una difficoltà che non voglio tacere, cioè che Giovanni VIII avesse differito sino al 30 ottobre a significare a Carlo il Calvo una sì importante sconfitta dei Musulmani seguita nei primi di agosto. Ma questa data di agosto 880 calza sì bene con tutte le memorie; e d'altronde le comunicazioni tra la Sicilia e Roma erano sì incerte, e sopratutto sì poca la voglia di papa Giovanni a dare quella nuova, a Carlo, dal quale sollecitava sempre aiuti contro i Musulmani, che ben si possono supporre passati due mesi e mezzo. Infine è da considerare che il papa non scriveva apposta quest'avviso, ma per incidenza, e rispondendo a Carlo il Calvo che gli avea domandato, forse maliziosamente, che si dicesse dei Greci e dei Saraceni.
Parmi che gli annali musulmani abbian mutato cotesti magistrati municipali in oratori del capitano bizantino. Potrebbe essere ancora che il capitano del presidio abbia fermato l'accordo, e alcuni decurioni siansi recati poi in Palermo a togliere i prigioni cristiani, recando i musulmani, che forse non erano a Taormina. In ogni modo, il fatto, e la voce usata da Ibn-el-Athîr, mostrano che si trattasse di scambio, e non di mero riscatto di Cristiani.