Kitabı oku: «Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II», sayfa 15
E veramente, soggiornato alquanto a Capua, passò nell'Italia di sopra, adunò del novecentottantatrè la dieta dell'Impero a Verona,789 s'apprestò a far vendetta sopra la Sicilia, vantossi di gittare un ponte di barche su lo stretto di Messina,790 e venne a morire a Roma (7 dic. 983); meno avventuroso d'Abu-I-Kâsem, ch'era caduto sul campo di battaglia. Dove la stirpe arabica pagò alla stirpe italiana l'affitto della Sicilia, coi buon colpi che sbarattarono un esercito germanico e fecer morire di rabbia e disagi l'imperatore, l'Otone, passeggiante ormai su l'estrema punta della penisola. E forse Salernitani, Romani, e Italiani d'altre province tratti a forza sotto l'insegna imperiale, benedissero le scimitarre orientali che loro balenavano dinanzi gli occhi. Prepotente forza delle necessità geografiche su le vicende delle nazioni, a vedere i Musulmani di Sicilia, guelfi innanzi tratto, guadagnare in Calabria una prima Legnano!791
Rimasti i Siciliani signori del campo, assumea le veci d'emiro Giâber, figliuolo d'Abu-l-Kâsem; il quale immantinente fe' suonare a raccolta, non concedendo di continuare il bottino; nè pur di raccogliere le armi e attrezzi di guerra lasciati dal nemico da rifornirne gli arsenali di Sicilia. Non si ritrae se fu necessità, paura o gelosia d'affrettarsi a pigliar lo stato in Palermo; nè s'ei pensò a recar seco il cadavere del padre. Ma alle costui virtù rese merito il popolo, che chiamollo “Il Martire,” ed affidò alla storia questa epigrafe: Giusto, di specchiati costumi, tutto amore ai sudditi, affabile, elemosiniere, che non lasciò ai suoi figliuoli nè una moneta d'oro, nè una d'argento, nè un pezzetto di terreno, avendo legato ogni cosa ai poveri ed opere di carità.792
CAPITOLO VII
Sì com'era incerta la elezione degli emiri tra il fatto e il dritto, così i cronisti variamente scrissero di Giâber, qual notando che i Musulmani di Sicilia lo esaltarono senza diploma del califo;793 e qual che 'Azîz-billah, succeduto (975) a Moezz, in buona forma lo nominò.794 Fu l'uno e l'altro di certo. Giâber, dato a voluttà, lasciò correre al peggio le cose pubbliche: donde i Siciliani il deposero,795 o se ne richiamarono al Cairo, dove una gelosia di corte spianò loro la via. Perchè Ibn-Kellas, vizir del califo, si adombrava forte di Gia'far-ibn-Mohammed della famiglia dei Kelbiti di Sicilia, intimo di 'Azîz tanto e più che il padre Mohammed non l'era stato di Moezz.796 Avendo pensato fin dalla morte d'Abu-l-Kâsem tôrsi d'addosso il rivale con splendido esilio, Ibn-Kellas persuase adesso 'Azîz a farlo emir di Sicilia797 in luogo del cugino: e chi sa quanto rincalzò le querele dei Siciliani, e se nol fece domandar proprio da loro? Dicon gli annali arabi che Giâber dolentissimo lasciò, e Gia'far a malincuore prese l'oficio. Nondimeno, arrivato in Sicilia del trecentosettantatrè (14 giugno 983, 2 giugno 984), rassettò e fece prosperare il paese; lodato anco per amore degli studii e liberalità. Morto il quale del settantacinque (23 mag. 985, 11 mag. 986), succedettegli il fratello Abd-Allah, che seguì il bello esempio, e in breve anch'egli trapassò, del mese di ramadhan trecensettantanove (dic. 989); lasciato l'oficio d'emir al proprio figliuolo Abu-l-Fotûh-Iûsuf. Così espressamente il Nowairi e Ibn-abi-Dinâr; nè vi ripugna il dir degli altri compilatori. Aggiugne il Nowairi, che 'Azîz gli mandò poscia il rescritto d'investitura.798
Arrivò all'apice in questo tempo e repente rovinò la potenza dei Beni-abi-Hosein a corte del Cairo. Hasan-ibn-'Ammâr, il vincitor di Rametta, per riputazione propria nelle armi e di sua parentela appo la tribù di Kotama, si trovò sceikh, spontaneamente eletto, credo io, dei Kotamii stanziati in Egitto, ch'eran tuttavolta i pretoriani di casa fatemita: ed egli a un tempo lor patrono e fidato capitan del califo; tantochè 'Aziz, venendo a morte (ottobre 996), gli raccomandò il figliuolo Mansûr, soprannominato Hâkem-biamr-allah, fanciullo d'undici anni. Alla cui esaltazione, i condottieri kotamii lo sforzarono a dare il governo dello Stato a Ibn-'Ammâr, con oficio nuovo, che si chiamò il Wâsita, ossia Intermediario; e vi si aggiunse il titolo di Amîn-ed-dawla, che suona “Il Fidatissimo dell'impero.” Onoranza anche nuova a corte fatemita e di mal augurio; quando gli emîr-el-Omrâ che posero in tanto vitupero il califato abbassida s'addimandavano per simil forma La Colonna, La Pietra angolare, La Spada, e che so altro, dell'impero. E per poco i Beni-abi-Hosein non copiarono il rimanente: chè già il vecchio capitano mostrava fasto e superbia da re; nella corte, nella milizia stremava le spese per arricchire i Kutamii, e lor dava impunità d'ogni licenza e d'ogni misfatto. Un eunuco di corte presto lo sgarò, fondandosi in su gli stanziali turchi i quali spezzaron la boria ai Kotamii; onde Ibn-'Ammâr fu deposto dal comando (997), onorato e tenuto in disparte per pochi anni; finchè il pupillo, che andava assaporando il sangue, (1000) lo fece assassinare.799
Parve cosa degna di nota che nel breve predominio d'Ibn-'Ammâr ad un tempo reggessero, egli l'Egitto e il cugino Iûsuf la Sicilia:800 sì com'oggi vedremmo con maraviglia, due stretti parenti, l'uno gran vizir a Costantinopoli, l'altro pascià d'Egitto. Pertanto a tutti era già manifesta la independenza della Sicilia; nè faceva specie che la corte fatemita, per procaccio, com'e' sembra, d'Ibn-'Ammâr, desse a Iûsuf il privilegio di Thiket-ed-dawla che suona “Fidanza dell'impero.”801 Nè solamente si noverava la Sicilia tra gli stati musulmani di momento in sul Mediterraneo, ma gli altri cominciavano ad invidiar sua sorte. Alla fama in arme che le avean dato i primi tre emiri kelbiti, s'aggiunse la prosperità sotto i discendenti del kelbita cortigiano Mohammed, tra i quali segnalavasi questo Iûsuf. Leggiamo in una cronica che al suo tempo il popolo godè ogni ben che si potesse desiderare; il governo si condusse efficace e tranquillo; furono soggiogati parecchi paesi bizantini, e l'emiro mostrò quella magnanimità, liberalità e giustizia, che mancava in tanti altri principati musulmani.802 Chi lodalo di fermezza insieme e di bontà in verso i sudditi;803 chi d'aver superato tutti i predecessori in gloria e virtù.804 La cultura sua e della corte ci torna dalle biografie dei poeti contemporanei.
E prima d'Ibn-Moweddib da Mehdia, cervello strano dato all'alchimia e alla pietra filosofale, uom di brutti costumi, cupido e taccagno, vago d'andare qua e là per lo mondo a buscar danaro con meschini versi; il quale, viaggiando alla volta d'un'isola adiacente alla Sicilia, era stato preso dai Bizantini e ritenuto in lunga cattività. Rimandato in Palermo con altri prigioni, quando Iûsuf fermò una tregua con l'Impero, Ibn-Moweddib ringraziavalo con un poemetto, e l'emiro lo regalava; ma non tenendosene soddisfatto, si messe a sparlare di Iûsuf sì apertamente, che fu ricerco dal bargello. Si nascose appo un conoscente, artigiano dell'arsenale. Ma uscito una sera ubbriaco per comperar nuov'esca da bere,805 lo colsero; e il prefetto della città806 condusselo immantinente a Iûsuf. Il quale lo rinfacciava: “Sciagurato, che è questo che sento dir di te!” E il poeta a lui: “Ciarle di spioni, che Iddio aiuti il signor emiro.” – “Ma ti sovviene,” riprese Iûsuf, “il nome di chi cantò: Ecco il valentuomo messo con le spalle al muro dai figli di male femmine?” – “Sì,” rispose Ibn-Moweddib, “il medesimo che fe' l'altro verso: L'inimicizia dei poeti, tristo chi se l'accatta!” Alla qual pronta citazione di Motenebbi,807 l'emiro non gli disse altro; ma gli fece contare cento quartigli808 d'oro, a condizione di andarsene tosto della città; “perchè temo,” aggiugnea, “che s'una volta gli ho perdonato, un'altra me la pagherebbe cara.”809
Già la fama attirava alla corte di Iûsuf non men belli ingegni e animi più alti, come Mohammed-ibn-'Abdûn nato a Susa d'illustre casa del Kairewân, pregiato tra i suoi per buona lingua e stile semplice e vigoroso. Il quale avendo cantato le lodi dell'emiro, sì gli piacque, ch'ei lo volle compagno del proprio figliuolo Gia'far dilettante di versi,810 e questi gli si strinse di cara amistà. Tanto che volendo rimpatriare, Gia'far, succeduto nel governo al padre infermo,811 gliel negò, ancorchè Mohammed lo chiedesse a lui ed al padre con rime piene d'affetto. Che anzi, invaghito tanto più di quel bello ingegno, Gia'far s'adontò che persistesse; gli vietò d'entrare in palagio; ed a rappattumarsi furon uopo novelli versi, e che il poeta li porgesse di furto mentre Gia'far stava a sollazzo in un casino.812 Il quale sentendosi rassomigliare alla luna e che pari a quella si nascondesse a chi volea far ossequio, gli vennero le lagrime agli occhi e donò al poeta un tesoro.813
Quanto fosse pagata non so, ma valea molto a lor gusto, una Kasîda indirizzata a Iûsuf, innanzi il novecentonovantotto,814 per la festa del Sagrifizio,815 da un Abd-Allah della tribù di Tonûkh, detto Il figliuolo del cadi di Mîla, ond'ei pare oriundo d'Affrica. Il qual poemetto ci serbò Ibn-Khallikân, che lettolo per caso su la coperta d'un libro, lo trascrisse nelle Biografie degli uomini illustri, temendo non andasse perduto. Come richiedea la classica immutabilità della Kasîda, esordisce con lamenti amorosi, e visione di belle che sembrano allegoriche, nè schiudon le labbra se non a ricordare i riti del pellegrinaggio; talchè pervenghiamo per lungo giro alla festa del Sagrifizio, a Iûsuf e al figliuolo. La festa, sfarzosamente abbigliata, luccicante gli omeri del sottile drappo dell'Irâk, venía dopo un anno a visitare Thiket-ed-dawla, che l'ornava di collana e pendenti, e Gia'far accoglievala con lieti augurii. Ma quale gemma più lucente che l'uno e l'altro re, nobili rampolli della gente di Kodhâ'a?816 E chi, dato fondo al proprio avere, sperando aiuto da Iûsuf, restò mai deluso? Quell'Iûsuf che corse l'arringo della gloria coi principi ed ei solo toccò la meta; il solo eroe che abbia potere di emendar il tristo secolo; il brando sguainato contro i nemici della Fede; il forte scudo dei Musulmani; la mente che vede ogni cosa e sa alternare mansuetudine e forza; il guerriero armato di due spade, che son la costanza e il fino acciaro. Ecco l'esercito inondar la terra nemica; le lance rodeinite817 avventarsi come fieri serpi addosso ai fuggenti; i condottieri nemici tagliati a pezzi e spiccato da' busti capo insieme ed elmetto; nè cessa il martellar delle spade, perchè le armature che testè luccicavano all'alba sian gialle di polvere, anzi al polverio tutto s'oscuri il sole. Indarno sperano i miscredenti risarcire lor guasti; indarno s'apprestano a raccogliere le primizie dei campi, ch'ogni anno gli stuoli che tu mandi in guerra, battono lor monti e lor pianure, lasciando vestigio d'ignudi cadaveri capelluti e barbuti;818 e chi scampa si riman soletto, senza la famiglia ch'è menata in cattività; e trova sì svaligiati suoi tempii, che gli è forza smettere l'idolatria. Salve, o Iûsuf, vigile scolta dell'islam nella notte di questa misera età. Lieta siati la festa; lunghissimi i tuoi giorni al ben fare, al regno, alla gloria; e perenne suoni il tuo nome dal pulpito.819 Così il poeta metteva a un paro con le veraci virtù la sanguinosa intolleranza religiosa e lo strazio de' vicini: e fosse dileguato al tutto tal empio errore in religioni più mansuete e popoli più civili!
Pur la corte kelbita di Palermo avea fama in Italia di quella ch'era gentilezza secondo i tempi, come l'attesta un centone d'istoria e romanzo, scritto, un anno più o un anno meno, al mille di nostr'èra. L'attesta, dico, trasponendo nel passato, come sovente si fa, le idee presenti. L'autore, monaco a Roma o nei dintorni, narra i primi assalti dei Musulmani sopra la Terraferma d'Italia (842) in questo modo: che Florenti re palermitano, innamorato per fama della bella Gisa sirocchia del principe Romualdo, per rapirla adunava sciami infiniti di Saraceni d'Africa, Palermo e Babilonia; sbarcava ad Amalfi; aiutato dal perfido Radalgiso, assediava Benevento; finchè Romualdo gli uccise quarantamila uomini in una rotta, dalla quale Florenti a mala pena campò la vita.820 La qual favola è documento non solo della possanza, ma sì della cultura dei Kelbiti allo scorcio del decimo secolo; poichè loro si attribuisce proprio un fatto di cavalleria.821 Il cronista poi, partigiano d'Otone terzo, non dimenticò di riferire la fondazione della terribile colonia del Garigliano (883) alla medesima cagione alla quale si apponea la sconfitta d'Otone secondo (982), cioè che i Bizantini avesser mandato a Palermo ed Africa, offrendo il regno d'Italia ai Saraceni.822
Qual che fosse stato l'accordo tra l'impero d'Oriente e i Musulmani di Sicilia, finì con la vita d'Otone secondo. Perchè i Bizantini, vedendo sgombrare dopo la sanguinosa giornata i vincitori al par che i vinti, ripigliarono tranquillamente le Calabrie e con un po' di fatica la Puglia. Dominarono da Reggio al golfo di Policastro sul pendio occidentale d'Apennino, e sul pendio orientale da Reggio al Tronto: posta la sede del governo a Bari, e mandativi a lor usanza gli strateghi, i quali, verso il mille, cominciarono a prender titolo di Catapano.823 Ma non mutossi la rapacità, corruzione e debolezza del reggimento bizantino. Dalla ritirata dunque d'Otone alla occupazione dei Normanni, quella provincia si travagliò tra insoffribile tirannide e impotenti sforzi a liberarsene; e talvolta v'ebbe chi per disperazione chiamò i Musulmani di Sicilia; i quali sempre da ausiliari o da nemici corsero il paese, eccetto brevi tregue, di che una sola è certa e l'anno nemmen si sa.824 Lor fazioni non sono specificate dagli annalisti arabi; i latini le pongono con ignorante brevità, date dubbie, nomi guasti, e niuna connessione: come cicatrici di cui non si sa l'origine ma non si cancellano mai nella memoria delle genti. Ordineremo dunque gli sparsi cenni il manco male che si possa, principiando avanti e terminando dopo il regno di Iûsuf, perchè non son molti, e perchè non si abbiano ad interrompere nei capitoli seguenti i successi di Sicilia.
Saccheggiata del novecentottantasei Santa Ciriaca o Gerace;825 l'anno appresso fatte altre scorrerie in Calabria; l'ottantotto, assediata, presa e desolata Cosenza,826 assaliti altresì i villaggi presso Bari e riportatone uomini e donne prigioni in Sicilia.827 Si trovò il novantuno l'oste musulmana a Taranto; dove sopraccorso un conte Atto con gente di Bari, cadde nella zuffa egli e parte de' suoi.828 Tornavano il novantaquattro a quelle regioni; stringeano per tre mesi, espugnavano al quarto, Matera, che fu incendiata e avea patito tal fame nell'assedio, che si narra d'una donna cibatasi delle carni del figlio.829 Dandosi intanto gli Italiani oppressi a cospirare contro i Bizantini, accadde d'ottobre del novantotto che Smagardo da Bari, accozzatosi con un condottiero Busito, che par suoni Abu-Sa'îd, giunse chetamente alla città; gli fu aperta una porta; ma il Musulmano, vistolo uscire da un'altra, si ritrasse temendo tradimento, o che fosse fallito il colpo;830 talchè veramente fallì. Succeduta, com'e' sembra, la tregua per qualche anno, fors'anco durando la tregua col catapan bizantino, ch'indi suscitasse i Musulmani a molestare gli Stati independenti in sul Tirreno, a dì tre agosto del mille e due si mostrarono a Benevento con forze ch'è mestieri chiamar esercito, e presa la notte medesima la via di Capua, posero l'assedio alla città; poi corsero infino a Napoli, con qual successo lo ignoriamo, forse di metter grosse taglie e ritrarsi.831 Di marzo mille e tre, innoltratisi dentro terra nel golfo di Taranto, assediavano senza frutto Montescaglioso.832 Guerra, non incursione di predoni, fu l'altra che seguì il mille e quattro, capitanando i Musulmani il kâid Safi, rinnegato. Il quale in su l'entrar di maggio poneva il campo a Bari, vi chiudea Gregorio catapano della provincia; e avrebbe espugnata la capitale senza le armi dei Viniziani, pronti ad aiutar l'impero greco quando ne andava la sicurezza dell'Adriatico. Perchè Pietro Orseolo doge di Venezia, salpato con l'armata a dieci agosto, approdava a Bari il sei settembre in faccia ai nemici, che invano instrussero i cavalli su la costiera e fecero avvisaglie con lor navi. Rifornita Bari di vettovaglie, il doge ordinò ogni cosa per fare ad un tempo la sortita dal sobborgo e dar battaglia navale. E per tre dì fu combattuto ad armi bianche e dardi artifiziati con fuoco; finchè Safi vedendo averne la peggio, chetamente levò il campo la notte del ventidue settembre.833
Minori sembran le forze e meglio giudicata la vittoria, nella battaglia navale che si travagliò il sei agosto del mille e cinque a Reggio; dove i Pisani, emuli ormai di Venezia, ruppero i Musulmani.834 D'agosto del mille e nove, spezzato il patto del capitano Sato, o cred'io Sa'îd, i Musulmani occupavano un'altra volta Cosenza.835 Poi si legge che un Ismaele combatteva insieme coi Saraceni l'anno mille undici a Montepeloso; ch'era ucciso nella zuffa un Pasiano e che Ismaele entrava nel castel di Bari;836 nel qual testo par si debba legger Melo in luogo d'Ismaele:837 e sarebbe il nome, se fausto o male augurato non so, al certo venerabile e grande, del cittadin di Bari, il quale, levatosi come Smagardo contro la tirannide bizantina, comperò indi a poco le spade normanne. Che gli emiri kelbiti abbiano aiutato a cotesti movimenti di Puglia non può chiamarsi in dubbio: e se ci fossero ignote lor fazioni di guerra, basterebbe la cura che posero le croniche pugliesi a notare le mutazioni di signoria dei Musulmani dal mille quindici al mille e venti, tacendo al tutto quelle che precedettero e che seguirono.838
Per cagion della rivoluzione militare del millequindici onde furono menomate le forze dei Kelbiti, è da supporre venuti d'Affrica, non di Sicilia, i Musulmani i quali del mille e sedici posero a terra a Salerno; strinsero un pezzo la capitale con l'armata e con l'esercito; alfine furono costretti abbandonare l'impresa.839 Altri narra che trovandosi per caso in Salerno quaranta gentiluomini normanni, reduci dal pellegrinaggio di Gerusalemme, sentendosi ribollire il sangue nelle vene alla vista degli Infedeli baldanzosi e dei terrazzani che tremanti s'apprestavano a pagar la taglia, chiedean armi e cavalli, prometteano liberare i Cristiani col ferro; e lor era creduto alle robuste persone e guerriero piglio ed aspetto: tantochè, assaliti alla sprovveduta i nemici, li sbaragliavano con grande strage. Il qual episodio parmi da accettare, sol che s'aggiungano al drappello straniero i cavalli e i fanti del principato salernitano, e che si tolga qualche zero alla cifra dei ventimila Saraceni che leggiamo in una compilazione. I pii guerrieri ricusavano ogni guiderdone, ripigliavano il viaggio ad onta di tutte promesse e preghiere: onde il principe di Salerno mandò secoloro un legato che conducesse a' suoi soldi campion più mondani, recando in Normandia la mostra del ben di Dio che si godeva in Italia: vestimenta di porpora, briglie di cavalli ricoperte a lamine d'oro, melarance, mandorle e noci confettate.840 E gli stranieri corsero all'esca; ma divorarono insieme la man che la porgea.
Mentre le armi normanne cominciavano con piccoli auspicii a mostrarsi in Puglia, i ribelli avendo uopo di più forti aiuti, non restarono di chiamare i Musulmani di Sicilia. I quali del mille e venti, accozzatisi con un Rayca, pugliese, assediarono e presero Bisignano:841 che sembra la prima impresa dell'emiro Akhal. Si legge poi che di giugno del milleventitrè un kâid Gia'far con Rayca pose il campo a Bari; donde partitosi il dì appresso, espugnò Palasciano:842 nel qual testo il nome va corretto forse Abu-Gia'far e sarebbe il medesimo Akhal843. Delle altre scorrerie di costui, delle arsioni e guasti e saccheggi in Calabria, vagamente accennati negli annali arabici844, ignoriamo i particolari, non avendo croniche cristiane di Calabria in questo tempo, ma sol qualche ricordo della Puglia. Tornò ad osteggiar la Puglia il milleventinove Gia'far, o Akhal, insieme con Rayca; assediò il castello d'Obbiano; e si ritrasse per accordo coi terrazzani che dessergli prigioni gli stranieri, com'ei pare, il presidio bizantino845. Stavano per cominciare in Sicilia i rivolgimenti che distrussero la dinastia kelbita e la dominazione musulmana, quando di giugno milletrentuno i Musulmani occupavan Cassano; e il tre luglio davano una rotta al catapano Potho.846
D'allora in poi non s'intende d'assalti loro in Terraferma, nè v'ha luogo a supporne, ove si consideri lo scompiglio dell'isola, la vittoria di Maniace, l'ingrossar dei venturieri normanni in Puglia e Calabria. I Musulmani che rimasero quivi fino al conquisto della Sicilia, erano rifuggiti o mercatanti. Tale al certo la popolazione infedele di Reggio, la quale il millesessanta s'accozzò coi Cristiani in una infelice fazione navale contro la patria, per isfogare odii di parte o mostrar fede ai novelli signori.847 Qualche altro esule sventurato, qualche avventuriere di negozio o di scienza, stanziò in questo tempo a Salerno, come sarà detto a suo luogo. Ma il flagello che aveva afflitta per due secoli l'Italia dal Tevere al Faro, si trovò spezzato innanzi la metà dell'undecimo.
Le battiture del quale, furono al certo più spesse e crudeli che non ci sia venuto fatto di raccontarle su i ricordi, pochi e dispersi, di due secoli oscurissimi; delle quali notizie alcune si trovano senza data nè certezza di nomi topografici nelle agiografie; e però non ci si può fare assegnamento.848 Migliore testimonianza danno i nomi che leggiam tuttavia su le carte geografiche in luoghi di cui non fan motto gli annali cristiani nè dello islam: i quali nomi, e tanti che ne ignoriamo, e tanti che si sono dileguati, ragion vuole derivino dai casi del nono e decimo secolo, anzi che del decimoterzo, quando le squadre musulmane di Federigo secondo e di Manfredi non faceano un passo che gli scrittori guelfi immantinenti non ne ritraessero l'orma. Nido dei Musulmani par sia stato nel nono secolo il Monte Saraceno, come si addimanda, su la costa meridionale del Gargano,849 a settentrione del qual promontorio, tra Viesti e il lago di Varano, è anche una Punta Saracena. Un monte Saraceno s'innalza rimpetto al comune di San Bartolomeo di Capitanata su l'altra sponda del Fortore. Un altro in Calabria Citeriore, a ponente di Rocca imperiale. Nella stessa provincia s'addimanda Saracena un Comune posto a libeccio di Castrovillari a poche miglia; e sbocca nel Jonio, tra Amendolara e la foce del Crati, il fiumicello Seracino; presso al quale in sala marina è una Torre Saracina come la chiamano. Lo stesso nome di Torre Saracena si scorge nelle carte del secol decimottavo in Calabria Citeriore, tra Longobuco e Bocchigliero. Fino nello Stato papale a poche miglia a greco da Tivoli giace la terra di Saracinesco; a mezzogiorno della quale è l'altra detta Siciliano: nomi lasciati per avventura nei principii del decimo secolo dalle masnade del Garigliano, o alla fine dell'undecimo dai Musulmani di Sicilia, che menò seco Roberto Guiscardo, per liberare papa Ildebrando dai Romani e dai Tedeschi.
Le autorità latine: Theitmari, Chronicon, lib. III, cap. 12, presso Pertz, Scriptores, tomo III, p. 765, 766 (Ditmar dei conti di Waldeck, vescovo di Mersebourg, nacque il 976 e morì il 1018); Annales Sangallenses Majores, presso Pertz, op. cit., tomo I, p. 80 (l'autore di questa parte dice aver veduto tornare varii prigioni riscattati); Joannis Diaconi, Chronicon Venetum, presso Pertz, op. cit., tomo VII, p. 27 (l'autore finì di scrivere il 1008); Richari Historiarum, presso Pertz, op. cit., t. III, p. 561 (l'autore scrisse tra il 996 e il 998, ma fa un brevissimo cenno); Lamberti, Annales, presso Pertz, op. cit., tomo III, p. 65 (l'autore visse alla metà dell'XI secolo); Herimanni Aug., Chronicon, presso Pertz, op. cit., tomo V, p. 117. (Ermanno Contratto, come fu soprannominato, nacque il 1013, morì il 1054.) A queste croniche vanno aggiunti i cenni di altre minori presso Pertz, op. cit., tomo I, p. 211, 242; III, p. 5, 64, 124, 143; V, p. 4. Dei cronisti latini d'Italia dell'XI e XII secolo, Lupo Protospatario, e l'anonimo di Bari, presso Pertz, op. cit., tomo V, p. 55, dicono meramente che Otone combattè con Bulcassimo re dei Saraceni, il 981, e l'uccise e vi perirono 40,000 uomini; Amato, L'Ystoire de li Normant, lib. VI, cap. 22, ricorda per le generali la sconfitta di Otone; Leone d'Ostia, lib. II, cap. 9, presso Pertz, op. cit., tomo VII, p. 635, ne dice breve ed esatto; e più largamente Arnolfo, Gesta Episcopor. Mediol., presso Pertz, op. cit., tomo VIII, p. 9. In fine Romualdo Salernitano, presso Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo V, anno 981, squadernò nella seconda metà del XII secolo che Otone vinse a Stilo e poi prese Reggio.
Il Pratilli nelle interpolazioni alla Cronica della Cava, tomo IV della sua raccolta, pose una lunga favola su questa impresa nel 982; ed un'altra nel tomo III nella Cronica dei Duchi di Napoli, anno 981, fingendo una battaglia navale a Malta.
Queste sono le autorità tra buone e triste; nè ho pur notato tutte le compilazioni dall'XI secolo in poi. Tra i compilatori assai male rabberciò cotesta guerra di Otone II il Sigonio, Historia de Regno Italico, lib. VII, il quale suppose una prima vittoria del 981, ed una sconfitta del 982 alla città di Basentello in Calabria; dove da un lato combattessero Greci e Saraceni; e dall'altro lato i Romani e i Beneventani per vendetta abbandonassero Otone. Questi due fatti li imaginò; e si capisce. Ma non so in quale istoria o geografia abbia trovato Basentello. Il Basente, il quale forse diè luogo all'errore, è grosso fiume di Basilicata che sbocca nel golfo di Taranto, tra la città di questo nome e Rossano. Il Muratori cominciò a raddrizzare così fatti errori negli Annali d'Italia, 982, e il De Meo, Annali del Regno di Napoli, tomo VI, p. 158, seg., 171, 174, seg., notò molte utili date. Nondimeno l'errore è durato dopo la correzione; e fin oggi si vanno ricantando le due giornate, la fuga dei Greci al primo scontro della seconda battaglia e il nome di Basentello.
Non ho fatto menzione dei compilatori successivi, per esempio Odorico Vitale (morto il 1141), il quale dà 20,000 ai Saraceni e 100 ai Normanni, e son tra questi Drogone ec. Al contrario, i critici moderni mi par abbiano negato troppo facilmente l'episodio de' quaranta pellegrini, il quale, tolti gli ornamenti della Tavola Rotonda, non ha nulla che discordi dall'indole degli uomini e dei tempi.
Debbo avvertire che nella edizione della Cronica di Santa Sofia di Benevento, Pertz, Scriptores, III, p. 176, 177, si leggono le altre scorrerie qui appresso notate, cavate da aggiunte della edizione di Pratilli, tomo IV, p. 358, che non si trovano negli altri MS. Si vegga nel detto volume del Pertz, p. 173, l'avvertimento dell'editore tedesco, il quale parmi non siasi ricordato che le aggiunte veniano dalle stesse mani che interpolarono la Cronica della Cava, fabbricarono quelle di Calabria e dei Duchi di Napoli ec. Però non accetto quelle notizie come genuine:
Anno 982. Dopo la sconfitta di Otone, i Saraceni saccheggian tutta la Calabria. (Noi sappiamo che se ne tornarono in fretta in Sicilia.)
Anno 1002. Prima della marcia sopra Benevento (che è nelle altre edizioni), vengono a Bari e prendono e ardono Ascoli e il Castel di Santangelo.
Anno 1007. Nuova infestagione di Capua.
Anno 1009. Presa di Bitonto e del Castrum Natii.
Anno 1016. Durante l'assedio di Salerno, dato il guasto fino ad Agropoli e Capaccio.