Kitabı oku: «Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II», sayfa 16
CAPITOLO VIII
Dopo otto anni di prospero reggimento, Iûsuf, colpito d'emiplegía del lato sinistro, risegnò l'emirato al figliuolo Gia'far, al quale avea già procacciato in cancelleria d'Egitto il diploma di sostituzione:850 e adesso a nome del califo Hâkem-biamr-Allah gli erano inviate le bandiere del comando, con prerogativa di Tâg-ed-dawla e Seif-el-milla, che suonan “Corona dell'Impero e Spada della Fede.”851 Faccende di cancelleria, parendo che ormai i califi fatemiti non pretendessero esercitare autorità in Sicilia, nè eleggerne gli emiri, ma sol mantenere le cerimonie dell'investitura, come faceano in Affrica; dove ciò non togliea che gli emiri zîriti loro contendessero qualche città di frontiera con le ragioni e con la spada.852 E veramente nella vita di Hâkem, di che sappiam tante minuzie, non si fa motto mai della Sicilia, nè del reggimento nè degli emiri di quella; se non che alcun Siciliano, nativo ovvero oriundo, comparisce nella storia politica e letteraria dell'Egitto, non altrimenti che gli stranieri, dell'Irâk, di Siria, d'Affrica. Di cotesti Siciliani diremo là dove cadrà in acconcio. Da un'altra mano la corte degli emiri in Palermo del tutto si ordinava come di principi independenti. Si veggono nel regno di Gia'far gli oficii di vizîr e di hâgib, ossia ministro e ciambellano; i quali mai non furono, nè il poteano, appo gli emiri di provincia. I poeti in loro apostrofe a Iûsuf e al figliuolo chiamavanli Malek, che suona re, titol nuovo nell'islamismo; e scrivean come se mai non fosse stato al mondo il califato d'Egitto.853
Gia'far ebbe dal padre, insieme col principato, ciò che si potea tramandare per liberale educazione: non le virtù dell'animo nè della mente. Fece mediocri versi; entrò nelle antologie degli Arabi in grazia d'un epigramma improvvisato in Egitto (1035), dove andò a finir comodamente la vita quando il cacciarono di Sicilia: volgare antitesi sopra due paggi che gli venner visti in abiti di dibâg854 l'un rosso e l'altro nero; la qual freddura piacque assai in quell'Arcadia arabica dell'undecimo e duodecimo secolo.855 Del rimanente, indole pigra, avara, crudele: nelle sue mani casa kelbita diè la volta al comun precipizio delle dinastie musulmane, nelle quali ad una o due generazioni di guerrieri succedettero per lo più i Sardanapali; come se il naturale intristir dei sangui regii s'affrettasse dentro le mura dell'harem, dove si sciupa il padre, e la fiacca prole alla sua volta vi lascia quel po' di spirito rimaso nella razza.
Dal martire Abu-l-Kâsem in poi, gli emiri siciliani aveano amato meglio i piaceri della reggia in Palermo che i combattimenti di Terraferma. Così il buon Iûsuf, così Gia'far; il quale par quel desso ch'edificò il castel di Maredolce tra le abbondanti acque e i lieti giardini che furon poi delizia dei re normanni.856 I capitani, intanto, mandati in guerra, riportavano a casa, con qualche poco di bottino, la vergogna della ritirata a Bari (1004) e della sconfitta a Reggio (1005): il principe stracurato e i ministri procaccianti aprian la strada a domestiche ambizioni. Donde Ali, figliuolo di Iûsuf, congiurò contro il fratello coi Berberi e gli schiavi negri; coi quali negli ultimi di gennaio del mille e quindici, ridottosi in un luogo non lungi di Palermo, si chiarì ribelle. Gia'far gli mandava incontro senza indugio il giund e le milizie della capitale:857 a dì trenta gennaio si venne alla zuffa, la quale finì con molto sangue dei sollevati, e il rimanente diessi alla fuga. Ali preso, menato al fratello; il quale comandò di metterlo a morte, non curando le lagrime del padre paralitico: talchè entro otto giorni il temerario giovane si giocò la testa e la perdette. Gia'far fe' trucidar dal primo all'ultimo gli schiavi ribellati, e i Berberi scacciò dall'isola con le famiglie loro, niuno eccettuato; i quali si ridussero in Affrica.858
Le croniche danno un insolito barlume su la ragione degli avvenimenti, aggiugnendo, che rimaso a Gia'far il solo giund siciliano e menomato l'esercito, i Siciliani imbaldanzirono contro i governanti.859 Indi si vede essere stati i Negri squadre stanziali. I Berberi, avanzo delle colonie spopolate un tempo (940) da Khalîl-ibn-Ishak, o piuttosto delle soldatesche venute d'Affrica sotto i due primi emiri kelbiti, sembran anco milizia stanziale: squadre di giund che gli emiri tenessero appo di loro, pronte a servirli in casa e fuori, stipendiate con assegnazione temporanea di dhiâ, o vogliam dir poderi demaniali: picciola mano di gente, poichè tornò sì agevole di cacciarla via. L'attentato di Ali fu dunque cospirazione militare. Gia'far con le stragi e il bando volle vendicarsi e assicurarsi; ma non pensò che, rimanendo nelle forze di coloro che l'avean mantenuto sul trono, non potea maltrattarli senza pericolo.
A nulla forse ei pensava se non alle vanità e voluttà del principato; rimettendo ad altri la cura di trovar moneta che bastasse allo spendio. Per sua mala sorte s'avvenne in un segretario Hasan-ibn-Mohammed da Bâghâia in Affrica,860 e fecelo vizîr. Ai cui consigli Gia'far comandava che in luogo dell'antica tassa invariabile d'un tanto ad aratata861 su i terreni, si levasse il dieci per cento su i grani e le frutta; allegando l'usanza generale degli Stati musulmani.862 I terreni, s'intenda, tassati a kharâg perpetuo: ed era arbitrario l'atto; non potendosi in giure musulmano mutar nè la quantità nè il modo di riscossione fermati al conquisto e diversi secondo i paesi, talchè la costumanza degli altri luoghi, molti o pochi, non potea far legge in Sicilia.863 Che tal novazione aumentasse il peso, non occorre dimostrarlo, quando il ministro e l'emiro la vollero, e i possessori se ne mossero a far quel che fecero. Il vizîr aggravò il mal tolto trattando con modi villani e superbi i kâid e gli sceikhi, che è a dire i capi delle nobili famiglie militari e i notabili della cittadinanza. E l'emiro, al quale è naturale che se ne richiamassero, parlò ed operò leonino.864
Riposava sicuro, nella severità sua e sagacità del ministro, quando, il sei di moharrem del quattrocento dieci (13 maggio 1019), sollevatasi repente la capitale, nobili e plebei trassero al palagio; l'assalirono, abbatterono certi casamenti esteriori e facendosi notte intorniarono le mura come in assedio. Già già mancavan le forze ai pochi difensori; le turbe stavano per saltar dentro, quando si vide uscire in portantina il paralitico Iûsuf; e per carità e riverenza s'arrestarono a un tratto gli assalitori. Il quale si studiò a calmarli con parole e promessa di far quant'e' vorrebbono; e quelli al veder il povero vegliardo rifinito dagli acciacchi e dall'ansietà, ruppero in lagrime: quasi supplicando si rifecero a contargli tutte le angherie sostenute. Iûsuf rispondea farsi mallevadore del figliuolo, e ch'ei medesimo volea gastigarlo, e dargli lo scambio in persona di cui lor paresse. Domandarono l'altro figliuolo Ahmed, soprannominato Akhal;865 e incontanente Iûsuf facea promulgare la deposizione di Gia'far, e la esaltazione di Ahmed. Domandarono Hasan di Bâghâia e il ciambellano Abu-Râfi'; i quali consegnati al popolo furono entrambi uccisi e condotta in giro per la città la testa del vizîr, ch'era più odiato, e arso il tronco, senza sepoltura. E ciascuno se ne tornò a casa.
Iûsuf intanto temendo non inviperissero peggio gustato il sangue, avea fatto imbarcare Gia'far sopra un legno che sciogliea per l'Egitto; e poco appresso in altra nave ei lo seguì. Moriron poscia entrambi in Egitto, dove avean recato secoloro in contanti seicento settantamila dinâr, che son circa dieci milioni di lire italiane. I cronisti arabi, lodando a lor uso la carità e liberalità, notano che Iûsuf possedeva in Sicilia tredici o quattordici mila giumente, senza contarvi gli altri animali da sella e da soma, e che venendo a morte non lasciò pure un ronzino.866 Ma a considerar meglio i fatti, quello stupendo armento, per non dir nulla dei dieci milioni di moneta, prova la quantità dei poderi tenuti in demanio nei regni di Iûsuf e di Gia'far. È verosimile che costui, cacciati i Berberi ribelli del mille e quindici, abbia ritenuto i poderi, anzichè concederli in beneficio militare ai Siciliani; e che il dispetto di tal avarizia abbia fatto sentir più dura l'offesa dell'aggravata tassa prediale.
Mentre germogliavano in Sicilia così fatte discordie, crebbe in Affrica la dominazione zîrita; la cui potenza e le vicende interiori e il crollo che le diè una nuova irruzione di Arabi, a volta a volta si risentirono nell'isola. Bolukkîn con le armi di Sanhâgia, la riputazione di Moezz, e gli ordini dell'antica colonia arabica, occupò tanto o quanto il paese infino a Ceuta; raffrenò gli Omeiadi di Spagna che tenean parte della costiera; si spinse a mezzogiorno dell'Atlante; rintuzzò la rivale nazione di Zenata; ebbe dal califo Azîz le città su i confini dell'Egitto, negategli nella prima concessione: talchè, venendo a morte (984), era ubbidito più come principe che vicario da Tripoli a Fez. Succedettegli il figliuolo Mansûr, il quale mantenne con varia fortuna la potenza del padre; sottopose al giogo la tribù di Kotama.867 E ch'ei si sentisse saldo in sol trono, lo mostran le parole: “Mio padre e l'avolo comandarono con la spada; quanto a me non adoprerò forza se non che i benefizii.” E l'altro detto: “Ho ereditato questo reame da' miei, nol tengo in virtù d'un rescritto, nè mel farà lasciare un rescritto.”868
Furon serbate contuttociò le apparenze; sì che esaltato, alla morte di Mansûr, il figliuolo Badîs (996), gli vennero del Cairo, a nome di Hakem, le vestimenta, il diploma869 e il titolo di Nasr-ed-dawla, ch'è a dir “Sostegno dell'Impero.”870 Ma a capo di tre anni, il governatore di Tripoli per Badîs, tradito il signor suo, offriva la città alla corte fatemita; e questa, come di furto, se la prendea, commettendola a Iânis il Siciliano, governatore di Barca, forse liberto di sangue cristiano. Appo il quale mandando Badîs a dolersi, rispose altero: e il principe d'Affrica, quasi il califo non ci entrasse e fosse la contesa tra lui e Iânis, gl'inviava di Mehdia con genti un Gia'far-ibn-Habîb; il quale pose il campo ad Agiâs tra Cabès e Tripoli. Mandò poi a dire a Iânis che di tre partiti scegliesse l'uno: rappresentarsi a Badîs; mostrare il diploma che avessegli affidato il governo di Tripoli; o disporsi alla battaglia. E Iânis gli scrivea: “Ch'io vada a corte del tuo signore, non ne parliamo. Esibir diploma non debbo, sondo io vicario del Principe, dei Credenti in provincia maggior di Tripoli. Dell'altro caso, che rimane, non darti briga: aspetta dove sei, chè ci vedrem presto.” Entrambi mossero; s'affrontarono tra gli uliveti di un villaggio detto Zânzûr. Dove Iânis fu rotto con molta strage l'anno trecentonovanta (12 dic. 999 – 30 novembre 1000); e fatto prigione, pregò il recassero a Gia'far, ma gliene portaron la sola testa. Li sbaragliati s'afforzarono a Tripoli871 la quale debolmente aiutata dal siciliano Zeidân, com'altri legge, lo schiavone Reidân,872 che reggeva allora la corte del Cairo, tornò in potere di Badîs, dopo lunghe vicende che a noi non occorre di raccontare.873
Fortunosa età per la schiatta berbera, la quale dopo due secoli si sciogliea, senza ferir colpo, dalla dominazione degli Arabi, serbando gli elementi di civiltà di quegli stranieri: religione, leggi, scienze, lettere, industrie, ed una popolazione cittadinesca data a cotesti esercizii, impotente ormai per numero e tenor di vita a ripigliare il comando. Gli aborigeni del continente affricano dal Mediterraneo al Tropico, non erano mai stati sì padroni in casa loro, dacchè Cartaginesi, Romani, Vandali, Bizantini, Arabi occuparono l'un dopo l'altro la regione settentrionale. Ma il veleno della discordia c'hanno nel sangue, sempre lor tolse di cacciare gli stranieri; e quando rimaser soli, non fe' allignar tra loro nè fratellanza, nè amistà, nè almeno persuasione di dover vivere insieme; ed ha negato all'universale infino a questi dì nostri l'incivilimento al quale gli individui parrebbero maravigliosamente disposti. Senza dir dell'antagonismo tra i varii rami del ceppo berbero e soprattutto dei Zenata, che furon sempre dei più selvatichi, contro i Sanhâgia, che sembrano di più docil natura, la divisione nacque nella stessa casa zîrita, sotto il regno di Badîs, quando Hammâd, figliuol dell'avolo Bolukkîn, dopo aver combattuto a pro della dinastia, ribellatosi (1014), fondò uno Stato independente nelle odierne province di Costantina ed Algeri.874 Altre calamità piovvero su que' lacerati dalla guerra civile.
Del trecentonovantacinque (1004-5), al dir del contemporaneo Ibn-Rekîk, la carestia e la pestilenza si messero a gara a spopolar l'Affrica propria; i contadini fuggirono dalle terre non trovando di che mangiare; deserti i villaggi; consumato presto quel che teneasi in serbo nelle città; e, in alcune tribù, i Berberi s'ammazzaron tra loro per isfamarsi di carne umana. Ad un tempo la peste875 mieteva a centinaia e migliaia gli abitatori delle città: chi ha visto l'orrida scena con gli occhi suoi la raffigura nei particolari narrati dal cronista. Fu tanto che a Kairewân rimasero abbandonate moschee, forni, bagni, chi non avea da ardere, andava a far legna nelle porte e nei tetti delle case senza padrone. Cacciati da quei flagelli, moltissimi abitatori delle città e delle campagne ripararono in Sicilia. La moría cessò; la carestia mitigossi;876 poi ricomparve, con le cavallette e con la guerra civile, l'anno quattrocentosei (1015-16) e di nuovo il quattrocentonove (1018-19) e il quattrocentotredici (1022-23), e così di tratto in tratto.877
Morto intanto Badîs (aprile 1016) ed esaltato il figliuolo Moezz, Scerf-ed-dawla, ossia “Gloria dell'Impero” come era scritto nella patente del califo,878 divampò in quelle parti crudelissima proscrizione religiosa. Gli ortodossi d'Affrica, calcati per un secolo dagli Sciiti, rimbaldanzirono alla sgombrar della corte fatemita: ormai sì grossi e rabbiosi, che Hammâd fece assegnamento sopra di loro per togliere mezzo il regno ai nipoti; onde, chiaritosi ribelle, ristorò (1014) il culto sunnita, pose mano al sangue degli eretici nelle province che gli ubbidivano, ed entrato per forza d'armi a Bugia, tanto stigò i cittadini di Tunis che ammazzarono popolarmente que' della setta,879 degni di mille morti, perchè non volean ripetere che Abu-Bekr ed Omar fossero in grazia di Dio. Così la cupidigia e la vendetta prendon sempre una maschera più brutta dello stesso ceffo loro, se lo mostrassero scoperto. Soffiavan entro il fuoco dal Kairewân quegli indomiti dottori di schiatta arabica; rincalzando forse gli argomenti teologici con l'esempio delle orribilità che faceva ogni dì in Egitto il pontefice delli Sciiti, il sanguinario e matto Hâkem, arrivato non guari dopo al colmo d'ogni empietà, quando (1016-1021) assentì a dirsi Iddio in una religione di suo conio, e per diletto mise a sangue ed a fuoco la capitale.880 L'opinione pubblica trapelava, com'avviene, nella stessa reggia degli Zîriti; dove il precettore di Moezz stillò la credenza ortodossa nell'animo baldanzoso d'un re d'otto anni. Ond'ecco un dì (luglio 1016) che cavalcando il fanciullo nelle vie di Kairewân, gli sfugge di bocca una benedizione ad Abu-Bekr ed Omar; e ne scoppia repentino scompiglio tra il popolo e i seguaci del principe che in parte erano Sciiti. Fatti questi miseri in pezzi, cominciato a saccheggiare le case, a ricercare per ogni luogo i sospetti di quella, e di qual si fosse eresia, ad ammazzarli, uomini, donne e fanciulli; e ardean poscia i cadaveri e rapivano quanto poteano. La proscrizione tumultuaria propagossi in un attimo a Mehdia e per tutte le città dell'Affrica propria; s'allargò nei villaggi. Fra que' che morirono difendendosi, e quei che furono scannati come pecore, sommarono a parecchie migliaia. Rimase il nome di “Lago di Sangue” alla contrada ove caddero i primi tremila, e il fatto passò in proverbio, come la Saint-Barthélemi.881
Durò almen due anni la persecuzione, mettendovi mano il principe per risparmiar, com'ei pare, il sangue; e non stando sempre a' patti il popolazzo. Perchè, del quattrocentonove (19 maggio 1018, 7 maggio 1019) si nota l'eccidio d'una man di Sciiti che se n'andavan esuli in Sicilia. Da dugento uomini montati a cavallo, e forse disarmati, i quali con lor famigliuole e lor genti di casa viaggiavano sotto scorta di cavalleria alla volta di Mehdia, per imbarcarsi. Pernottando alla borgata detta di Kâmil, rimorse la coscienza ai villani de' contorni se li lasciassero andar vivi: s'armarono; dettero addosso agli eretici non difesi da loro guardie e tutti li trucidarono; delle donne quante eran giovani e quante lor parvero belle disonorarono e poscia le uccisero.882 Il miserando caso ci attesta che al par dei cacciati dalla fame del mille e cinque, riparavano in Sicilia gli eretici perseguitati in questi due anni, e che il governo d'Affrica sopravvedeva all'uscita, fornia forse le navi.
Suggellossi col sangue degli Sciiti l'amistà della nuova dinastia e delle popolazioni arabiche, ristrette ormai nelle città; poichè prima gli Aghlabiti, poscia i Fatemiti, per corta ragion di Stato, avean battuto e annichilato i nobili del giund stanziati nei villaggi.883 In molte città i Berberi, in alcune anche gli Afarika, avanzi de' Cristiani del paese, soggiornavano con gli Arabi,884 e già parea che le varie genti e la novella dinastia si acconciassero a far una nazione. Già gli Zîriti, abbandonata l'antica lor sede di Ascîr nelle montagne di Titeri, s'eran posti a Mansuria a mezzo miglio del Kairewân, o piuttosto dentro la stessa capitale arabica, la quale fu poi congiunta da fortificazioni a Mansuria.885 Fiorirono in questo tempo le manifatture e i commerci, condotti da una mano nel Mediterraneo con Sicilia, Spagna e altri paesi marittimi;886 dall'altra mano con le regioni interne del continente affricano. La quale prosperità industriale si potrebbe d'altronde argomentar dallo smodato lusso della corte zîrita in feste pubbliche, sposalizii, funerali, doni ai califi d'Egitto; ed anche dallo sminuito valore, o vogliasi dire cresciuta copia, dei preziosi metalli.887 Attestano i commerci con l'Affrica centrale i presenti mandati a Mansûr dai principi del Sudân (992) e la barbarica pompa degli Zîriti che in lor solenni cavalcate usciano con elefanti, e giraffe, oltre le belve indigene dell'Atlante.888
Nè la potenza sembrava minore del fasto nel regno di Moezz-ibn-Badîs, temuto da tutti per mezzo secolo, com'uomo intraprendente e savio nei consigli e gagliardo nelle armi. Infino agli ultimi anni, quando subita rovina lo ridusse quasi al nulla (1053), ei fu per vero il più possente principe musulmano delle regioni bagnate dal Mediterraneo.889 Comprendendo la comodità che gli dava il mare ad allargar suo dominio, egli il primo di sua schiatta, provvide a ristorare il navilio affricano, del quale non si fa motto da che il califo fatimita Moezz mutò la sede e portò via quanto potè in Egitto. Del mille ventitrè, Moezz-ibn-Bâdîs facea racconciare gli arsenali di Mehdia, fabbricare attrezzi navali in copia non più vista, costruir legni da guerra e bandire l'arruolamento dei marinari:890 ed a capo di pochi anni, l'armata affricana, collegata con la siciliana, combattea contro i Bizantini nell'Arcipelago; e il principe zîrita facea prova a insignorirsi della Sicilia. Sventura dei Musulmani dell'isola ch'egli ebbe tanto rigoglio quando cominciaron tra loro le guerre civili, e si trovò povero e disarmato quando si fece in pezzi lo stato kelbita.
CAPITOLO IX
Akhal cominciò con lieti auspicii. Ridotto all'obbedienza qualche castello che se ne fosse spiccato agli avvisi della rivoluzione;891 avuto da Hâkem il titolo di Teaîd-ed-dawla (Sostegno dell'impero), attese alle faccende pubbliche; ristorò la tranquillità e contentezza in casa e la guerra fuori.892 Nè sol mandava le gualdane in Terraferma, chè sovente capitanò egli stesso gli eserciti, favoreggiando, com'abbiam detto, i ribelli di Puglia.893
Donde Basilio imperatore, uom d'armi, ch'avea testè rintuzzati in Oriente e Musulmani e Russi e Bulgari, pensò, con tutti i suoi sessantott'anni, di recar la guerra egli stesso in Sicilia. Mandò innanzi l'eunuco Oreste, fidatissimo ciambellano ed aiutante di campo, con grosse schiere di sudditi ed ausiliari: Macedoni, Vallachi, Bulgari, Russi, che solean militare sotto le insegne bizantine;894 i quali cacciarono i Siciliani d'ogni luogo che occupavano in Calabria. Reggio allora fu ristorata per le cure del catapano Boioanni, che servisse di stanze d'inverno all'oste, la quale per passar lo Stretto aspettava altre forze con l'imperatore895 e il navilio con un suo parente.896 Si differì poi l'impresa per l'infermità di Basilio, che di corto ne morì in dicembre del milleventicinque.897
Divulgatosi il pericolo della Sicilia, Moezz-ibn-Bâdis profferse, ed Akhal accettò aiuti; poichè bandìssi in Affrica la guerra sacra; alla quale l'ambizioso signore agevolmente spingea quelle turbe sì infocate contro gli eretici. Tanto che li stivò in quattrocento barcacce: di gennaio del milleventisei li avviò alla volta di Sicilia, fidandosi in Dio e nella bonaccia. Presso Pantellaria si leva un turbine di vento, ed ecco a un tratto capovolti e affondati i legni; campando pochi uomini dal naufragio.898 Più efficaci ausiliari furono ad Akhal la balordaggine di Costantino ottavo rimaso solo sul trono a Costantinopoli, una dissenteria che s'apprese in Calabria all'esercito e la niuna esperienza d'Oreste nel governare la guerra. I Siciliani, assalitolo improvvisamente, gli diedero una sanguinosa rotta; per vendicar la quale, Romano Argirio ch'era succeduto a Costantino (novembre 1028) racimolò nell'Ellade e Macedonia que' che gli pareano i migliori soldati e sì mandolli in Italia. Ma nulla fecero,899 o fuggirono dinanzi i Musulmani nelle due ricordate battaglie del mille trentuno.900
S'arrischiaron poi gli Affricani e i Siciliani a lontane scorrerie navali contro l'Impero. Un'armatetta musulmana, di qual nazione non si sa, dato il guasto alle costiere d'Illiria, corseggiava infino a Corfù: contro la quale uscito il navilio di Ragusa e il patrizio Niceforo governatore di Nauplia, la vinsero; presero la più parte dei legni, e quei che scamparono fecero naufragio ne' mari di Sicilia, del milletrentuno in sul fin della state.901 Del trentadue, gli Affricani con grande sforzo infestavano le costiere ed isole di Grecia; e il patrizio Niceforo, superatili anco in battaglia, lor fe' cinquecento prigioni.902 Affricani e Siciliani di maggio milletrentacinque si spinsero depredando tra le Cicladi fino alla costiera di Tracia; della quale temerità bastarono a punirli i governatori di provincia che mandatine altri cinquecento prigioni a Costantinopoli, impalarono i rimanenti lungo la marina d'Asia, da Adramito a Strobilo. Nè l'esempio atterrì tanto i corsari d'Affrica e di Sicilia che nella state un'altra armatetta loro non tentasse la Licia e isole vicine: i quali parimenti sconfitti dal navilio provinciale e presi, furono mazzerati, fuorchè una terza frotta di cinquecento che portò testimonianza di vittoria alla capitale. In questo mezzo la corte bizantina avea mandato all'emir di Sicilia un Giorgio Probato, a trattar la pace,903 o piuttosto a gittargli un laccio al collo. Altro oratore greco andava appo Moezz-ibn-Bâdis con ricchi presenti di sete, arnesi e rarità.904
Akhal s'era messo per un mal terreno, ch'anelando d'uscirne prese la scorciatoia al precipizio. Narrano gli annali com'egli stando in su le armi in terra di nimici, sovente lasciasse il reggimento dell'isola al figliuolo per nome Gia'far, ch'era l'opposto di lui: nè giusto nè umano coi sudditi. E senza appicco, voltando pagina, leggiamo che Akhal, assembrati i Siciliani, dice volerli sgravare degli Affricani partecipanti di lor paesi e poderi;905 esser disposto a cacciar quegli intrusi. A che i Siciliani rispondeano non potersi, quando gli Affricani s'erano imparentati con esso loro e commiste le due genti e divenute tutt'una. L'emiro li accomiatò. Chiamati a sè gli Affricani, proponea lo stesso partito contro i Siciliani: ed assentirono. Indi Akhal a favorire gli Affricani: se li messe attorno; francò lor poderi e levò il Kharâg da que' soli dei Siciliani.906 Tra cotesti cenni vaghi, disparati ed a prima vista contraddittorii, dobbiamo discernere il fatto che scompigliò e capovolse la Sicilia musulmana.
Ne' ricordi dei due primi secoli dell'egira i giund prendono nome ordinariamente dal paese ove soggiornano: i Sirii, gli Egiziani, i Khorassaniti che passano di tratto in tratto in Affrica e Spagna, son le milizie arabiche di Siria, Egitto e Khorassan, mescolati coi proprii liberti delle schiatte vinte. Si poteano chiamar dunque Siciliani, verso il mille, i discendenti dai primi conquistatori arabi del paese; ed Affricani i figliuoli dei sopravvenuti quando cadde la dinastia aghlabita (910), quando s'innalzò la kelbita (948) infino a quei che testè avea cacciato d'Affrica (1004-1019) la fame e la persecuzione religiosa. Ma cimentando tal supposto con le condizioni che dà la cronica, in parte vi si adatterebbero e in parte no. Starebbe bene a dire gli Affricani partecipanti del paese, cioè degli oficii pubblici e stipendii militari; si potrebbe ammettere, in significato più largo, la partecipazione loro nella proprietà territoriale;907 ma sarebbe duro a credere che poche famiglie di rifuggiti e di avventurieri fossero cresciute a tal numero che Akhal vi potesse far assegnamento contro l'antica nobiltà e il popolo musulmano dell'isola. Inverosimile parmi che un principe arabo di nobil sangue abbassasse alla condizione di ra'ia, o plebe, il fior della nobiltà, cancellandoli dal giund: chè a questo torna la voce “cacciare” adoperata nel testo, non a cacciar dal paese. Inverosimile ch'ei levasse il kharâg su i poderi dell'antica nobiltà e condonasselo alla nuova: ingiustizia da non venire in mente a tiranno musulmano. Ma intendendo, all'uso nostrale, Siciliani la progenie degli antichi abitatori educata nell'islamismo, ed Affricani la progenie del giund d'Affrica trapiantato nell'isola in varii tempi, i nomi convengono alle origini e si decifera bene il testo. Akhal volendo stigare i Siciliani, ricorda loro che gli intrusi godonsi in parte il retaggio degli avi; e quand'ei passa dalle arti oratorie ai fatti, distingue le proprietà908 degli uni e degli altri: lascia o rende immuni quelle dei vincitori, aggrava quella dei vinti, con una rivendicazione di dritti fiscali, alla quale non avevan che rispondere i giuristi della scuola di Mâlek.909 Si ritrova in Sicilia così la generazione d'uomini che non potea mancarvi; quella che in Spagna si chiamò dei Mowalled ed aiutò alla dissoluzione del califato;910 quella che a capo di dieci anni da questa novazione d'Akhal occupò lo stato nella Sicilia centrale; gli “uomini ignobili” come li chiaman allora le croniche.911 Veramente la divisione di Affricani e Siciliani, torna a vincitori e vinti, a nobili e popolo: come in ogni paese conquistato, mescolandosi la schiatta, ne avanza la distinzione di classi: in Italia, gli Italiani fatti popolo e i Longobardi nobiltà; in Francia, i Galli e i Franchi; in Inghilterra, i Sassoni e i Normanni. Non ho parlato del supposto che Siciliani fossero gli Arabi, ed Affricani i Berberi, perchè sarebbe molto alieno dall'uso del linguaggio e dai fatti della storia, i quali ci mostrano ridotta al nulla la schiatta berbera in Sicilia912.
La nobiltà era scemata e fiaccata, come in ogni altro stato musulmano, per la lotta contro il principato. Dopo gli Aghlabiti e i primi Fatemiti, le diè duro crollo (948) Hasan-ibn-Ali, il Kelbita; il figliuolo Ahmed ne accarezzò ed imbrigliò li avanzi (966); e l'altro figliuolo Abu-l-Kâsim li trasse seco al martirio sul campo di Stilo (982). Talchè i nobili per loro virtù nelle guerre d'independenza e di religione, per loro vizii nei tumulti dell'oligarchia, avean perduto il sangue vitale, mal supplendolo le famiglie che veniano d'Affrica: menomati di numero e facoltà, cominciarono fors'anco a tediarsi della guerra quando i Kelbiti promossero le lettere, le cortesie e il viver lieto.
Intanto, corsi due secoli dal conquisto, era venuto su il popolo, o cittadinanza che dir si voglia. Da una mano i Musulmani mercatanti e artigiani che passavano d'Affrica in Sicilia e raggranellavano danari con la industria; dall'altra mano, assai maggior numero, i Cristiani del paese, proprietarii ed affittaiuoli delle terre che si voltavano all'islamismo; i liberti di case nobili, che convertiti s'avviavano agli oficii pubblici ed alla milizia; i figliuoli degli uni e degli altri, spesati negli studii legali e fatti notabili per sacro dritto della scienza, componeano tal classe che per numero vincea di gran lunga la nobiltà, nè avea da invidiarle gli avvantaggi della ricchezza nè dell'intelletto; le si accomunava negli oficii dello stato e la superava nei consigli municipali. La cittadinanza di Palermo comparisce adulta fin dalla metà del decimo secolo, quando favorì Hasan contro i nobili; e la plebe, come avvien sempre, abbandonò i nobili e seguì i popolani grassi. Nelle città minori doveano intervenire i medesimi effetti, col divario che portava il minor numero dei popolani oriundi d'Affrica. I villaggi, sede della popolazione rurale, eran tenuti dai proprietarii minori d'origine siciliana, con poca o niuna mescolanza di nobili. La nobiltà prevalea solo nella costiera orientale, occupata di recente, la quale essendo abitata tuttavia da Cristiani,913 le classi inferiori non entravano nella repubblica musulmana. Nel rimanente dell'isola la cittadinanza, favorita fin qui dai principi kelbiti, si sentia più forte de' nobili. Pur l'invidia non avea partorito per anco guerra civile. S'era dimenticato l'infausto vocabolo dopo spenti i Berberi: quando si pigliavano le armi in piazza l'era per cavar la bizzarria ad un ministro o un emiro.
Ma il principato, per necessità o cupidigia, accese la discordia. Le milizie siciliane erano scemate con la nobiltà; cacciati i mercenarii (1015) non rimanea niuno a difendere la reggia (1019), e pochi a difender lo stato. Akhal vi pose mente, riscosso dal pericolo degli assalti bizantini e degli aiuti di Moezz (1025); fors'anco gli piacea, com'uomo di guerra ch'ei si mostrò in Calabria, di tirarsi dietro più grosso esercito e imitare la virtù dei primi Kelbiti. Ma nelle presenti condizioni, l'esercito non si potea rifornire che di mercenarii; le entrate dei poderi demaniali non bastavano alla spesa, o egli le volea serbare alla corte; e aggravare il kharâg non osava, dopo l'esempio del fratello. Altro modo non avea dunque che dividere i sudditi, i quali uniti avean cacciato Gia'far; trarre a sè una parte, e con lo aiuto di quella strappar il danaro dalla borsa dell'altra. Le parti eran fatte; la scelta non dubbia tra nobili e popolani: gli uni sdegnosi della gente nuova, correvoli ai sorrisi di corte, ordinati ed usi a milizia; gli altri intesi a loro industrie, senza storia nè legame di casati; e, come più erano, più potean pagare. Akhal parlò all'orecchio agli uni ed agli altri per tastarli e aizzarli, prima di venirne alla commedia delle adunanze. Fermato bene l'intento, colta l'occasione della guerra in Calabria o di qualche lagnanza contro il proprio figliuolo, convocò i notabili siciliani; espose il bisogno dello stato; lor diè l'eletta tra un partito impossibile e uno spiacevole: fornir essi la gente all'esercito o la moneta. Quando ricusarono l'uno e l'altro, ei compì il disegno, assentito già certamente dai nobili. Bandisce che i Siciliani abbiano a pagare il kharâg ossia, com'ei pare, la doppia decima invece del dazio fisso: leva il danaro col braccio forte dei nobili e dei mercenarii che allora accozzò, chiamati in Palermo, stanziati nella Khalesa ed altri luoghi opportuni. Così mi par da delineare il colpo di stato di Akhal, che va messo tra il mille trentuno e il mille trentacinque; perchè innanzi il trentuno si combattea tuttavia in Calabria, e gli scrittori bizantini914 accennano in su lo scorcio del sei mille cinquecenquarantatrè (1 settembre 1034 a 31 agosto 1035) il principio della guerra civile in Sicilia; gli scrittori arabici pongono nel quattrocento venzette (4 novembre 1035 a 23 ottobre 1036) la reazione degli oppressi.915
In ogni modo, la data del 16 febbraio che si legge nel Martorana ed è fedelmente copiata dal Wenrich, vien da un errore corso nella edizione del Di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 21, nota c. Secondo il Martorana e il Wenrich i ribelli furon parte Affricani e parte servi di Ali; ma pei primi i testi dicono precisamente Berberi, e pei secondi 'Abîd, ossia Schiavi negri; nè s'aggiugne che fossero schiavi di Ali, anzi il fatto li mostra soldati stanziali.
Non merita esame il fatto recato dal Rampoldi, Annali Musulmani, 1002, che l'emiro “Thajo dawla per la sua iniquissima amministrazione e le enormi sue crudeltà” fu deposto e sostituitogli il fratello Ahmed. È anacronismo della rivoluzione del 1019, che l'annalista senza accorgersene replica poi a suo luogo.
Ci è occorso più volte di notare che accozzaglia di genti diverse fossero gli eserciti bizantini. Nel comento delle poesie di Motenebbi, un autore arabo dice che l'esercito mandato del 343 (954) contro Seif-ed-dawla della dinastia di Hamdan, si componea di Armeni, Russi, Slavi, Bulgari e Khozari. Presso Sacy, Chréstomathie Arabe, tomo III, p. 5, seconda edizione.
Non mi valgo del significato tecnico che potrebbe darsi al verbo, scerek, adoperato qui alla terza forma, il quale denoterebbe, non che “partecipazione,” ma “promiscuità.” Il professor Dozy, nelle sue sagaci investigazioni su la Spagna Musulmana, ha notato che nella prima costituzione della proprietà territoriale verso il 719, i conquistatori si posero nelle terre dei vinti lasciandole loro a coltivare, e si chiamarono gli uni e gli altri scerîk, ossia “comproprietario.” Si vegga il Baiân, tomo II, p. 16, nel glossario. Applicato quest'esempio al nostro caso, troncherebbe ogni dubbio; e “i Siciliani” sarebbero i vinti, ai quali i vincitori avrebbero preso una porzione di terre, come in Italia si tolse “la parte dei Barbari.” Ma su questo solo argomento non si può affermare un ordine così contrario alla legge e pratica dei Musulmani; il quale in Spagna fu eccezione, se pur non va interpretato altrimenti che il faccia il dotto professore di Leyde.
Non ho bisogno di avvertire che su questa novazione d'Akhal, principio della rovina della Sicilia musulmana, ho tenuto presente il concetto del Martorana, tomo I, cap. IV, p. 128, seg., al quale si conformò il Wenrich, Lib. I, cap. XVI, § CXL. Ma ben altra mi è parsa l'indole generale, altri i particolari del fatto; della quale interpretazione ho spiegato largamente le ragioni.
Il Martorana e con lui il Wenrich non so perchè riferiscano ad Hasan-ibn-Iûsuf, soprannominato Simsâm-ed-dawla, la pace con l'impero bizantino che seguì in principio della guerra civile, e che però fu stipolata di certo da Akhal. In vero il Cedreno, che ne fa parola, dà all'emiro di Sicilia il nome di Apolafar Muchumet il quale non risponde nè al soprannome Akhal, nè al nome proprio Ahmed. Ma Apolafar sembra alterazione d'Abu-Gia'far (si vegga il Cap. VII del presente Lib., p. 345); e in ogni modo la data del Cedreno è sì precisa da non lasciar luogo a dubbio. La Vita di San Filareto, presso Gaetani, Sanctorum Siculorum, tomo II, p. 114, seg., e presso i Bollandisti, 1º aprile, p. 605, seg., conferma pienamente così fatto sincronismo.