Kitabı oku: «I misteri del castello d'Udolfo, vol. 3», sayfa 6
CAPITOLO XXXI
Annetta venne a trovarla di buon'ora.
« Sono stata molto inquieta non vedendoti tornar più ieri sera, » le disse Emilia. « Che cosa ti è mai accaduto?
– Ah! signorina, chi avrebbe mai osato ier sera traversare i lunghi corridoi della casa in mezzo a tutta quella gente ubbriaca? Immaginatevi che hanno gozzovigliato tutta notte insieme alle signore venute recentemente. Che baccano, Dio Signore!… che chiasso!… Lodovico, temendo per me, mi ha chiusa in camera con Caterina.
– Oh che orrore!… » sclamò Emilia; « ma dimmi: sapresti tu, per caso, se vi sono prigionieri nel castello, e se son rinchiusi in queste vicinanze?
– Io non era dabbasso, quando tornò la prima truppa dalla scorreria, e l'ultima non è ancora tornata: laonde ignoro se vi siano prigionieri; ma l'aspettano stasera o domani, ed allora saprò qualcosa di certo. »
Emilia le domandò se i servi avessero parlato di prigionieri.
« Ah! signorina, » disse Annetta ridendo, « ora mi accorgo che pensate al signor Valancourt. Voi lo credete sicuramente venuto colle truppe che si dicono arrivate di Francia per far la guerra in queste contrade. Credete che, incontratosi ne' nostri, sia stato fatto prigioniero. O Signore! come ne sarei contentissima se ciò fosse.
– Ne saresti contenta? » disse Emilia con accento di doloroso rimprovero.
– Sì, signorina, e perchè no? Non sareste voi contenta di rivedere il signor Valancourt? Non conosco un cavaliere più stimabile; ho proprio per lui una gran considerazione.
– Ed in prova, » rispose Emilia, « tu desideri vederlo prigioniero. »
– Non già di vederlo prigioniero, ma sarei lietissima di rivederlo. Anche l'altra notte me ne sognai… Ma a proposito, mi scordava di raccontarvi ciò che mi fu detto relativamente a quelle pretese dame, arrivate ad Udolfo. Una di esse è la signora Livona, che il padrone presentò a vostra zia a Venezia: adesso ella è la sua amante, ed allora, ardisco dirlo, era press'a poco la medesima cosa. Lodovico mi disse (ma per carità, signorina, non ne parlate) che sua eccellenza non l'aveva presentata se non per salvar le apparenze. Si cominciava già a mormorarne; ma quando videro che la padrona la riceveva in casa, tutte quelle dicerie si credettero calunnie. Le altre due sono le amanti de' signori Bertolini e Verrezzi. Il signor Montoni le ha invitate tutte, e ieri ha dato un magnifico pranzo: vi erano vini d'ogni sorta; le risa, i canti ed i brindisi echeggiavano. Quando furono briachi, si sparsero pel castello; fu allora che Lodovico m'impedì di venir qui. La è stata una vera indecenza! così poco tempo dopo la morte della povera padrona! che cosa avrebbe mai ella detto, se avesse potuto intendere quello schiamazzo? »
Emilia volse la testa per nascondere l'emozione, e pregò Annetta di fare esatte ricerche a proposito dei prigionieri che potessero trovarsi nel castello, scongiurandola di usar prudenza, e non proferir mai nè il suo nome, nè quello di Valancourt.
« Ora che ci penso, signorina, » disse Annetta, « credo che prigionieri ve ne siano. Ho sentito ieri in anticamera un soldato che parlava di riscatto: diceva che sua eccellenza facea benissimo a prender la gente, e ch'era quello il miglior bottino a motivo dei riscatti. Il suo camerata mormorava, dicendo ciò essere vantaggioso pel capitano, ma non pei soldati. – Noi altri, diceva quel brutto ceffo, non guadagniamo nulla nei riscatti. »
Questa notizia accrebbe l'impazienza di Emilia, la quale mandò Annetta alla scoperta.
La risoluzione presa dalla fanciulla di cedere ogni cosa a Montoni, soggiacque in quel momento a nuove riflessioni. La possibilità che Valancourt fosse vicino a lei, rianimò il suo coraggio, e risolse d'affrontare oltraggi e minacce, almeno fin quando potesse assicurarsi se il giovane fosse realmente nel castello. Stava appunto pensandovi, allorchè Montoni mandò a cercarla.
Egli era solo. « Vi ho fatta chiamare, » le disse, « per sentire se vi decideste infine a smettere le vostre ridicole pretese sui beni di Linguadoca. Mi limiterò per ora a darvi un consiglio, benchè potessi imporre ordini. Se realmente siete stata in errore, se realmente avete creduto che quei beni vi appartenessero, non persistete almeno in questo errore che potrebbe diventarvi fatale. Non provocate la mia collera, e firmate questa carta.
– Se non ho nessun diritto, signore, » rispose Emilia, « qual bisogno avete voi della mia rinuncia? Se i beni son vostri, potete possederli in tutta sicurezza senza mia intervenzione e senza il mio consenso.
– Non argomenterò più, » disse Montoni vibrandole un'occhiata, che la fece tremare. « Avrei dovuto vedere che è inutile ragionare coi ragazzi. La memoria di quanto sofferse vostra zia in conseguenza della sua folle ostinazione, vi serva ormai di lezione… Firmate questa carta. »
Emilia restò alquanto indecisa; fremette alla rimembranza e alle minacce che le si ponevano sott'occhio; ma l'immagine di Valancourt, che l'aveva animata per tanto tempo, ch'era forse vicino a lei, unita alla forte indignazione fino da' primi anni concepita per l'ingiustizia, le somministrò in quel momento un imprudente, ma nobile coraggio.
« Firmate questa carta, » ripetè Montoni con maggiore impazienza.
– No, mai, » rispose Emilia; « il vostro procedere mi proverebbe l'ingiustizia delle vostre pretese, s'io avessi ignorati i miei diritti. »
Montoni impallidì dal furore; gli tremavano le labbra, ed i suoi occhi fiammeggianti fecero quasi pentire Emilia dell'ardita sua risposta.
« Tremate della mia prossima vendetta, » sclamò egli, con un'orrenda bestemmia; « voi non avrete nè i beni di Linguadoca, nè quelli di Guascogna. Osaste mettere in dubbio i miei diritti; ora osate dubitare del mio potere. Ho pronto un gastigo cui non vi aspettate; esso è terribile. Stanotte, sì, stanotte istessa…
– Stanotte! » ripetè una voce.
Montoni restò interdetto e si volse, poi, sembrando raccogliersi, disse piano: « Avete veduto ultimamente un esempio terribile d'ostinazione e di follìa; ma parmi non sia bastato a spaventarvi. Potrei citarvene altri, e farvi tremare solo nel raccontarveli. »
Fu interrotto da un gemito che pareva venire di sotto la stanza. Guardossi intorno: i di lui sguardi sfavillavano di rabbia e d'impazienza; un'ombra di timore parve nulladimeno alterarne la fisonomia. Emilia sedette vicino alla porta, perchè i diversi movimenti provati avevano, per così dire, annichilate le sue forze; Montoni fece una breve pausa, poi ripigliò con voce più bassa, ma più severa:
« Vi ho detto che potrei citarvi altri esempi del mio potere e del mio carattere. Se voi lo concepiste, non ardireste sfidarlo. Potrei provarvi che allorquando ho preso una risoluzione… Ma parlo ad una bambina; ve lo ripeto, gli esempi terribili che potrei citarvi non vi servirebbero a nulla; e quand'anco il pentimento finisse la vostra opposizione, non mi placherebbe. Sarò vendicato; mi farò giustizia. »
Un altro gemito succedè al discorso di Montoni.
« Uscite, » diss'egli, senza parer di badare allo strano incidente.
Fuori di stato d'implorar la sua pietà, Emilia alzossi per uscire, ma non potendo reggersi in piedi, e soccombendo al terrore, ricadde sulla sedia.
« Toglietevi dalla mia presenza, » continuò Montoni; « questa finzione di timore convien male ad un'eroina che osò affrontare tutto il mio sdegno.
– Non avete udito nulla, signore? » disse Emilia tremando.
– Odo la mia voce soltanto, » rispose Montoni severamente.
– Null'altro? » soggiunse la fanciulla, esprimendosi con difficoltà. « Ancora… non sentite nulla adesso?
– Obbedite, » ripetè Montoni. « Io poi saprò scoprire l'autore di questi scherzi indecenti. »
Emilia si alzò a stento, ed uscì. Montoni la seguì, ma invece di chiamare, come l'altra volta, i servi per far ricerche nel salotto, andò sulle mura.
La fanciulla da una finestra del corridoio vide scendere dai monti un distaccamento delle truppe di Montoni. Non vi badò se non per riflettere agli infelici prigionieri che conducevano forse al castello. Giunta alfine in camera, si abbandonò sopra una sedia, oppressa da' nuovi affanni che peggioravano la di lei situazione. Non potea nè pentirsi, nè lodarsi della sua condotta: sol ricordavasi d'essere in potere d'un uomo il quale non conosceva altra regola se non la propria volontà. Fu scossa da tristi pensieri udendo un misto di voci e di nitriti nei cortili. Le si offerse un'improvvisa speranza di qualche fortunato cambiamento; ma, pensando alle truppe vedute dalla finestra, credè fossero le stesse, di cui Annetta le aveva detto che si aspettava il ritorno.
Poco dopo udì molte voci nelle sale. Il rumore dei cavalli cessò, e fu seguito da perfetto silenzio. Emilia ascoltò attenta, cercando di conoscere i passi d'Annetta nel corridoio; tutto era quiete. D'improvviso, il castello parve immerso nella massima confusione. Era un camminare a precipizio, un andare e venire nelle sale, nelle gallerie e nei cortili, e discorsi veementi sul bastione. Corsa alla finestra, vide Montoni e gli altri officiali appoggiati al parapetto, od occupati ne' trinceramenti, mentre i soldati disponevano i cannoni. Il nuovo spettacolo la sbalordì.
Finalmente giunse Annetta, ma non sapea nulla di Valancourt. « Mi danno ad intendere tutti, » diss'ella, « di non saper nulla dei prigionieri; ma qui ci sono di belle novità! La truppa è tornata ai galoppo, ed a rischio di restare schiacciati, e' facevano a gara per entrare sotto la vôlta. Hanno portato la notizia che un partito di nemici, com'ei dicono, tengon loro dietro per attaccare il castello. Cielo! che spavento!
– Dio buono, vi ringrazio, » disse Emilia con fervore. « Ora mi resta qualche speranza.
– Che dite mai, signorina? vorreste voi cadere nelle mani dei nemici?
– Non possiamo star peggio di qui, » rispose Emilia.
– Ascoltate, ascoltate, tutto il castello è sossopra. Si caricano i cannoni, si esaminano le porte e le mura, battono, picchiano, turano, vanno e vengono come se il nemico fosse sul punto di dare la scalata. Ma che cosa sarà di me, di voi, di Lodovico? Oh! se io sento sparare il cannone, morrò di paura. Se potessi trovare aperto il portone per mezzo minuto, farei presto a fuggirmene via di qua, nè mi rivedrebbero più.
– Se lo potessi trovare aperto anch'io un solo istante, sarei salva. » E in brevi parole narrò alla cameriera la sostanza del suo colloquio con Montoni, quindi soggiunse: « Corri subito da Lodovico; digli ciò che ho da temere, e ciò che ho sofferto: pregalo di trovare un mezzo di fuggire senza dilazione, e di ciò mi fido intieramente nella sua prudenza. Se vuole incaricarsi della nostra liberazione, sarà ben ricompensato. Non posso parlargli io stessa: saremmo osservati e s'impedirebbe la nostra fuga. Ma fa presto, Annetta, e procura di agire con circospezione. Ti aspetterò qui. »
La buona ragazza, la cui anima sensibile era stata penetrata da quel racconto, era allora tanto premurosa di obbedire, quanto la padroncina di adoprarla, ed uscì immediatamente.
Riflettendo Emilia ai motivi dell'assalto inaspettato, ne concluse che Montoni avesse devastato il paese, e che gli abitanti venissero ad attaccarlo per vendicarsi.
Montoni, senza essere precisamente, come Emilia lo supponeva, un capo di ladri, aveva impiegato le sue truppe a spedizioni audaci e atroci a un tempo. Non solo avevano esse spogliato all'occorrenza tutti i viaggiatori inermi, ma saccheggiate ben anco tutte le abitazioni situate in mezzo ai monti. In queste spedizioni, i capi non si facevano mai vedere: i soldati, in parte travestiti, erano presi talvolta per malandrini ordinari, altre volte per bande forastiere, che a quell'epoca innondavano l'Italia. Avevano dunque saccheggiate case, e portati via tesori immensi; ma avendo assalito un castello con ausiliari della loro specie, n'erano stati respinti, inseguiti dagli alleati degli avversari. Le truppe di Montoni si ritirarono precipitosamente verso Udolfo, ma furono incalzate così da vicino nelle gole, che giunte appena sulle alture circostanti al forte, videro il nemico nella valle, distante poco più d'una lega. Allora affrettarono il passo per avvertir Montoni di prepararsi alla difesa; ed era il loro repentino arrivo che aveva piombato il castello in tanta confusione.
Mentre Emilia aspettava ansiosa il ritorno della fida ancella, vide dalla finestra un corpo di milizie scendere dalle alture. Annetta era uscita da poco; doveva eseguire una missione delicata e pericolosa, eppure era già tormentata dall'impazienza. Stava in orecchio, apriva la porta, e le movea incontro sino in fondo al corridoio. Finalmente udì camminare, e vide, non Annetta, ma il vecchio Carlo. Fu assalita da nuovi timori. Egli le disse che il padrone lo mandava per avvertirla di prepararsi a partire immediatamente, chè il castello stava per essere assediato, aggiungendo che si preparavano le mule, per condurla, sotto buona scorta, in luogo di sicurezza.
« Di sicurezza! » sclamò Emilia senza riflettere. « Il signor Montoni ha dunque tanta considerazione per me? » Carlo non rispose. La fanciulla fu alternativamente combattuta da mille contrari affetti: sembravale impossibile che Montoni prendesse misure per la di lei sicurezza. Era tanto strano il farla uscire dal castello, ch'essa non attribuiva questa condotta se non al disegno di eseguir qualche nuovo progetto di vendetta, come ne l'avea minacciata; poco dopo rallegravasi all'idea di partire da que' tristi luoghi; ma poscia, pensando alla probabilità che Valancourt fosse ivi prigioniero, se ne accorava vivamente.
Carlo le rammentò che non c'era tempo da perdere, il nemico essendo in vista. Emilia lo pregò di dirle in qual luogo dovessero condurla. Egli esitò, ma essa ripetè la domanda, ed allora rispose: « Credo che dobbiate andare in Toscana. »
– In Toscana! » sclamò la fanciulla; « e perchè in quel paese? »
Carlo disse di non saper altro, se non che sarebbe stata condotta sui confini toscani, in una casuccia alle falde degli Appennini, distante qualche giornata di cammino.
Emilia lo congedò. Preparava tremante una piccola valigia, quando comparve Annetta.
« Oh! signorina, non c'è più scampo; Lodovico assicura che il nuovo portinaio è ancor più vigilante di Bernardino. Il povero giovane è disperato per me, e dice che morirò di spavento alla prima cannonata. »
Si mise a piangere, e sentendo che Emilia partiva, la pregò di condurla seco.
« Ben volentieri, » rispose questa, « se il signor Montoni vi acconsente. »
Annetta non le rispose, e corse a cercar il castellano, ch'era sulle mura circondato dagli uffiziali. Pregò, pianse e si strappò i capegli, ma tutto fu inutile, e Montoni la scacciò duramente con una ripulsa.
Nella sua disperazione, tornò presso Emilia, la quale augurò male da quel rifiuto. Vennero tosto ad avvertirla di scendere nel gran cortile, ove le guide e le mule l'attendevano. Essa tentò indarno di consolare Annetta, che, struggendosi in pianto, ripeteva ognora, che non avrebbe più riveduta la sua cara padroncina. Questa pensava fra sè, che i suoi timori potevano esser pur troppo fondati, pure cercò di calmarla, e le disse addio con apparente tranquillità. Annetta l'accompagnò nel cortile, la vide montare su d'una mula, e partire colle guide, poi rientrò nella sua stanza per piangere liberamente.
Emilia intanto, nell'uscire, osservava il castello, il quale non era più immerso in tetro silenzio, come quando eravi entrata; dappertutto era uno strepito d'armi, un affaccendarsi ai preparativi di difesa. Quando fu uscita dal portone, quando s'ebbe lasciato indietro quella formidabile saracinesca, que' tetri bastioni, sentì una gioia improvvisa, come di schiavo che ricuperi la sua libertà. Questo sentimento non le permetteva di riflettere ai nuovi pericoli che potevano minacciarla: i monti infestati da saccomani, un viaggio cominciato con guide, la cui sola fisonomia valeva ad incuterle spavento. Sulle prime però gioì, trovandosi fuori di quelle mura, dov'era entrata con sì tristi presagi. Rammentavasi di quali presentimenti superstiziosi fosse stata côlta allora, e sorrideva dell'impressione ricevutane dal suo cuore.
Osservava con tai sentimenti le torri del castello, e pensando che lo straniero, cui credea ivi detenuto poteva essere Valancourt, la sua gioia fu di lieve durata. Riunì tutte le circostanze relative all'incognito, fin dalla notte in cui avevagli sentito cantare una canzone del suo paese. Se le era rammentate spesso, senza trarne alcuna convinzione, e credeva soltanto che Valancourt potesse esser prigioniero in Udolfo. Era probabile che, cammin facendo, raccogliesse da' suoi conduttori notizie più dettagliate; ma temendo d'interrogarli troppo presto, per paura che una diffidenza reciproca non li impedisse di spiegarsi in presenza l'uno dell'altro, aspettò l'occasione favorevole per intertenerli separatamente.
Poco dopo, udirono in lontananza il suono di una tromba. Le due guide si fermarono guardando indietro. Il bosco foltissimo, ond'eran circondati, non lasciava veder nulla. Uno di essi salì sopra un poggio per osservare se il nemico si avanzasse, giacchè la tromba senza dubbio apparteneva alla sua vanguardia. Mentre l'altro intanto restava solo con Emilia, ella si arrischiò d'interrogarlo a proposito del supposto Valancourt. Ugo, tale era il nome di colui, rispose che il castello racchiudeva parecchi prigionieri, ma che non rammentandosene nè la figura, nè il tempo dell'arrivo, non poteva darle informazioni precise. Gli domandò quali prigionieri fossero stati fatti dall'epoca che indicò cioè da quando aveva intesa la musica per la prima volta. « Sono stato fuori colla truppa per tutta la settimana, » rispose Ugo, « e non so nulla di quel che è accaduto nel castello. »
Bertrando, l'altra guida, tornò ad informar il compagno di quanto avea veduto, ed Emilia non domandò più nulla. I viaggiatori uscirono dal bosco, e scesero in una valle per una direzione contraria a quella che doveva prendere il nemico. Emilia vide intieramente il castello, e contemplò colle lacrime agli occhi quelle mura ov'era forse chiuso Valancourt. Cominciarono a sentire le cannonate; desse elettrizzavano Ugo, il quale ardeva d'impazienza di trovarsi a combattere, maledicendo Montoni che lo mandava così lontano. I sentimenti del suo compagno parevano molto diversi, e più adattati alla crudeltà, che ai piaceri della guerra.
Emilia faceva frequenti interrogazioni sul luogo del suo destino; ma non potè saper altro, se non che andava in Toscana; e tutte le volte che ne parlava, parevale scoprire nella faccia di quei due uomini un'espressione di malizia e fierezza che la faceva tremare.
Viaggiarono alcune ore in profonda solitudine; verso sera s'ingolfarono fra precipizi ombreggiati da cipressi, pini ed abeti; era un deserto così aspro e selvaggio, che se la malinconia avesse dovuto scegliersi un asilo, quello sarebbe stato il suo favorito soggiorno. Le guide decisero di riposar quivi. « La sera si avanza, » disse Ugo, « e andando più oltre saremmo esposti ad esser divorati dai lupi. » Questo fu un cattivo annunzio per Emilia, trovandosi ad ora così tarda in quei luoghi selvaggi, alla discrezione di coloro. Gli orribili sospetti concepiti sui disegni di Montoni se le presentarono con maggior forza; fece di tutto per impedir la sosta, e domandò con inquietudine quanto cammino restasse da fare.
« Molte miglia ancora, » disse Bertrando; « se non volete mangiare, buona padrona, ma noi vogliamo cenare, chè ne abbiamo bisogno. Il sole è già tramontato: fermiamoci sotto questa rupe. » Il suo camerata acconsentì, fecero scendere Emilia dalla mula, e sedutisi tutti sull'erba, si misero a mangiare alcuni cibi tratti da una valigia.
L'incertezza aveva talmente aumentata l'ansietà di Emilia a proposito del prigioniero, che non potendo discorrere col solo Bertrando, lo interrogò alla presenza di Ugo; indarno: ei disse non saperne nulla affatto. Ciarlando di varie cose, vennero a discorrere di Orsino e del motivo per cui era fuggito da Venezia. Qual non fu il raccapriccio d'Emilia allorchè Bertrando narrò la storia d'un altro assassinio fatto commettere per conto del cavaliere, ed in cui il bravo avea sostenuta una parte principale! A tale scoperta, mille terribili supposizioni l'assalsero: essa credeva restar vittima della cupidigia di Montoni, il quale avesse deciso di disfarsi di lei in silenzio, e per mezzo di quegli scherani, per appropriarsi in pace i di lei beni.
Il sole era tramontato tra folte nubi, ed Emilia arrischiò tremando di rammentare alle guide che cominciava a farsi tardi, ma essi erano troppo occupati dei loro discorsi per badare a lei. Dopo aver finito di cenare, ripresero la strada della valle in silenzio. Emilia continuava a pensare alla propria situazione, ed alle ragioni che poteva aver Montoni per trattarla così. Era indubitato ch'egli aveva cattive mire su di lei. Se non la faceva perire per appropriarsi istantaneamente i di lei beni, non facevala nascondere per un certo tempo, se non per riservarla a progetti più tristi, degni della sua cupidigia, e meglio adatti alla sua vendetta. Rammentandosi dell'insulto fattole nella galleria, la sua orribile supposizione acquistò maggior forza. A qual fine però l'allontanava dal castello, ove probabilmente erano già stati commessi con segretezza tanti delitti?
Il di lei spavento divenne allora sì eccessivo, che proruppe in dirotto pianto. Pensava nel tempo stesso al diletto padre, ed a ciò che avrebbe sofferto se avesse potuto prevedere le strane e penose di lei avventure. Con qual cura si sarebbe guardato dall'affidare la sua figlia orfana ad una donna tanto debole come la signora Montoni! La sua posizione attuale sembravale così romanzesca, che, rammentandosi la calma e serenità de' primi anni, si credeva quasi vittima di qualche sogno spaventoso, o di un'immaginazione delirante. La riservatezza impostale dalla presenza delle guide, cambiò il suo terrore in cupa disperazione. La prospettiva spaventevole di ciò che poteva accaderle in seguito la rendeva quasi indifferente ai pericoli che la circondavano. La notte era già tanto avanzata, che i viaggiatori vedevano appena la strada.
Dopo molte ore di penoso cammino, interrotto ben anco da una violenta burrasca, si trovarono fuori di quei boschi. Ad Emilia parve d'esser rinata, riflettendo che se quei due uomini avessero avuto ordine d'ucciderla, l'avrebbero certo eseguito nell'orrido deserto dond'erano usciti, e dove mai se ne sarebbe potuto trovare la traccia. Rianimata da questa riflessione, e dalla tranquillità delle sue guide, discese tacendo per un sentiero fatto solo per gli armenti, contemplando con interesse la sottoposta valle coronata a levante e a settentrione dagli Appennini; a ponente ed a mezzogiorno, la vista si estendeva per le belle pianure della Toscana.
« Il mare è là, » disse Bertrando, quasi avesse indovinato che Emilia esaminava quegli oggetti cui il chiaro di luna le permetteva di scorgere; « desso sta ad occidente, benchè non possiamo distinguerlo. »
Emilia trovò subito una differenza di clima, molto più temperato di quello de' luoghi alpestri, poco prima attraversati. Il paese ora contrastava tanto colla grandezza spaventosa di quelli, ov'era stata confinata, e co' costumi di coloro che vi abitavano, che Emilia si credè trasportata nella sua cara valle di Guascogna. Stupiva come Montoni l'avesse mandata in quel delizioso paese, e non potea credere fosse stato scelto da lui per servir di teatro ad un delitto.
La fanciulla si arrischiò a chiedere se il luogo di loro destinazione fosse ancora molto distante. Ugo le rispose che non n'erano lontani. « A quel bosco di castagni in fondo alla valle, » diss'egli, « vicino al ruscello, dove specchiasi la luna. Non vedo l'ora di riposarmi là con un fiasco di vino buono ed una fetta di prosciutto. » Emilia esultò udendo che il suo viaggio stava per finire. In pochi momenti giunsero all'ingresso del bosco. Videro da lontano un lume: avanzaronsi costeggiando il ruscello, ed arrivarono in breve ad una capanna. Bertrando battè forte. Un uomo si affacciò ad una finestrella, ed avendolo riconosciuto, scese immediatamente ad aprir la porta. L'abitazione era rustica, ma decente; costui ordinò alla moglie di portar qualche rinfresco ai viaggiatori, ed intanto parlò in disparte con Bertrando: Emilia l'osservò; era un contadino grande, ma non robusto, pallido, e di sguardi penetranti. Il di lui esteriore non annunziava un carattere capace d'ispirar fiducia, e non aveva modi che potessero conciliargli la benevolenza.
Ugo s'impazientiva, chiedeva da cena, e prendeva anche un fare autorevole, che non sembrava ammettere replica. « Vi aspettava un'ora fa, » disse il contadino, « avendo già ricevuto una lettera del signor Montoni.
– Fate presto, per carità, abbiamo fame; e sopratutto portate tanto vino. » Il contadino ammannì loro immediatamente lardo, vino, fichi, pane ed uva squisita. Dopo che Emilia si fu alquanto rifocillata, la moglie del contadino le indicò la sua camera. La fanciulla le fece alcune interrogazioni intorno a Montoni: Dorina, così chiamavasi la donna, rispose con molta riservatezza, pretendendo ignorare le intenzioni di sua eccellenza. Convinta allora che non avrebbe ricevuto alcuno schiarimento sul nuovo suo destino, la licenziò, e coricossi; ma le scene maravigliose accadute, tutte quelle che prevedeva, si presentarono a un tempo alla di lei inquieta immaginazione, e concorsero col sentimento della nuova situazione a privarla d'ogni sonno.