Kitabı oku: «Raggio di Dio: Romanzo», sayfa 14
Capitolo XIV.
A Laredo! a Laredo!
– Il colloquio era durato ancora, ma rotto, a pezzi e bocconi, non sapendo il Fiesco rassegnarsi ancora a finirlo e chiedendo sempre qualche cosa, il Ximenes strascicando le parole e mostrandogli di aver detto abbastanza. Ma quanti dubbi restavano nell’anima del povero capitano! E non gli si poteva almeno concedere di veder la sua donna?
– Troppo chiedete, senza averlo meritato! – rispondeva qui l’arcivescovo. – Prenderò ordini da Sua Altezza. Quando avrete veduto il re… quando egli vi avrà date le sue istruzioni… chi sa? non dispero. Ferdinando è buono per chi lo serve con amore. Ed io, signor conte, ho desiderio di contentarvi. Ma voi siate ragionevole; è nell’utile vostro. —
Il capitano Fiesco baciò l’anello pastorale, e più morto che vivo si ricondusse a casa. Era aspettato, e non potè tacere il colloquio che aveva avuto, con un frutto così scarso per sè, con tanto danno imminente per le speranze del suo grande concittadino. Terribil dilemma! o tradire gl’interessi dell’Almirante, o perdere Fior d’oro.
– Figliuol mio, – disse Cristoforo Colombo, – non vi date pensiero di me. So bene che il trionfo di Ferdinando è la perdita d’ogni speranza mia, d’ogni fede nella giustizia degli uomini. Ma se Iddio non volesse farmi morire contento?.. Tutto quello che accade dimostra che questo è il suo alto disegno. Sia fatta la sua volontà. Certo, ho gravi colpe da scontare; e non è giusto che altri ne soffra per me. Andate dal re, accettate ogni cosa. Ciò che Dio vuole sarà; ciò ch’egli non vuole non sarà; sia benedetto il suo nome. —
Nè già l’Almirante conosceva per intiero i disegni della marchesa di Moya, e le probabilità su cui erano fondati. Ma di tutto ciò era informato l’Adelantado, che vedeva nella trista commissione imposta al capitano Fiesco pericolare ogni speranza di giustizia. Era quello un gran colpo, e forse mortale, per il suo sventurato fratello, che ad ogni tratto, per ogni commozione un po’ forte, ricadeva prostrato, bene lasciando intendere ai suoi familiari che le fonti della vita s’inaridivano in lui.
Tornava frattanto alla mente del Fiesco il risolino del Ximenes, quando si era sentito accennare alle Fiandre. E se ne apriva coll’amico. Che cosa poteva significare quel risolino dell’arcivescovo di Toledo? E che segreto era quello del re, a proposito delle Fiandre, che l’arcivescovo riconosceva con tanta soddisfazione essere stato così bene custodito?
– Amico mio, – rispondeva l’Adelantado, – vorrà dire che dal lato delle Fiandre sono sicuri; che il re non ha timori, sapendo impazzita davvero la sua figliuola e rivale; che finalmente, e questo è il peggio, da quella parte là non c’è più da sperar nulla per noi.
– L’ho pensato ancor io; – disse il Fiesco. – Ma allora è inutile che temano, e chiedano man forte alla Francia.
– Eh, non si sa mai; – replicava l’Adelantado. – Se Giovanna è pazza, non è scemo il marito, e può cagionar dispiaceri, forte com’è dell’appoggio di suo padre, l’imperatore Massimiliano d’Austria. Castiglia è poco disposta a riconoscere l’autorità di Ferdinando d’Aragona. Non potrebbe ella voltarglisi contro? —
Il resto della giornata passò in ansie continue per il povero capitano, che quando non aveva l’amico a tenerlo occupato coi ragionamenti, si lasciava andare alla disperazione, e piangeva come un bambino. E non era un animo fiacco: ma in quella inerzia forzata, non aveva altro sfogo che le lagrime. Nè v’hanno poi animi forti contro un dolore che terribili incertezze rendano sempre più acuto.
Fior d’oro! povera donna cara! che sarebbe avvenuto di lei? come viveva in quelle ore? Il ministro di Ferdinando aveva promesso che sarebbe stata trattata bene, con tutto il rispetto dovuto ad una regina. E il poveretto amava ad ogni tanto richiamarsi a mente le parole del Ximenes. Certo, quell’uomo era debole, come lo aveva giudicato Diego di Deza; ma non si poteva negare che fosse un uomo virtuoso. Debole, finalmente, era fatto dal vivo amore di patria, che i suoi concittadini non mostravano di intendere, e a cui uno straniero era tanto meno obbligato di render giustizia: ma le sue intenzioni erano pure; le aveva chiarite egli stesso, con sincerità tanto più bella, quanto più era stata spontanea. Sì, il Ximenes avrebbe fatto ciò che prometteva. Non aveva egli anche giurato per la sua croce? Ma questo per il tempo che il capitano Fiesco sarebbe stato lontano. E se tornava senza aver nulla ottenuto? Cessava la pietà del ministro, e sottentrava la durezza del re. Trattata come una regina!.. Sì; e non si poteva ricordar troppo, allora, che Fior d’oro era stata regina, e condannata ad una morte ignominiosa?.. Orribile pensiero, che faceva fremere, raccapricciar di spavento! E c’era intanto da piangere di disperazione, in una notte lunga, lunga, che non voleva finire mai più.
La mattina seguente, appena gli parve ora da ciò (ed era già in volta da un pezzo) il capitano Fiesco andò al palazzo di giustizia. L’arcivescovo di Toledo lo ricevette senza indugio, e lo accolse con un bel sorriso paterno.
– Ho buone notizie per voi; – gli disse subito. – È tranquilla. L’ho veduta io medesimo.
– Stamane! già?
– Sì, stamane, signor conte. Voi venite per tempo; ma io sono stato anche più pronto a lasciare il letto. I vecchi, figliuol mio, dormono così poco! È tranquilla, vi ripeto, ed anche di buon animo. Le ho detto che pensate a lei, cercando di abbreviare i termini della sua liberazione, e correndo perciò a prender le carte comprovanti il vostro matrimonio. Non era bene che le si parlasse d’altre imputazioni; vi pare?
– Ringrazio Vostra Eccellenza; – mormorò il capitano Fiesco, piangente. – È stato un buon pensiero; e mi promette cose maggiori. Non mi sarà dato vederla?
– Non correte, non correte tanto, vi prego. E non vi ho detto or ora che voi già dovevate correre sopra un’altra via? A quest’ora, secondo quello che io ho detto alla contessa, voi dovreste essere molto lontano, a Medina Celi, e forse a Calatayud, sulla strada di Saragozza. Del resto, non avevo ottenuto nulla dal re. Per esservi largo di favori, egli vuole la prova della vostra obbedienza.
– E gliela porto; – disse il Fiesco, sforzandosi di parer contento del suo destino. – Si degni Vostra Eccellenza di accompagnarmi.
– No, non occorre; – rispose il Ximenes. – Sua Altezza ha voluto lasciare a me la cura di tutto. —
Il capitano Fiesco s’inchinò. Bene intendeva che Ferdinando non si sentisse di rivederlo, dopo il brutto colpo del giorno prima. Ed anche per lui, forse, era meglio non vedersi davanti quella faccia di traditore.
– Qui, – proseguiva l’arcivescovo, prendendo in mano un foglio di carta, – è un disegno di trattato. Una semplice minuta, senza intitolazione, senza formole di cancelleria, per ovviare ad ogni pericolo di smarrimento. Il re Cristianissimo, del resto, conosce bene questa mano di scritto. C’è la sostanza; quanto alla forma, parola più, parola meno, può esser variata; e veda il vostro eccelso cugino di far le cose per bene; Sua Altezza non tralascerà di mostrargliene il suo gradimento. Ci sono contee e marchesati anche in Aragona, o in Castiglia, a sua scelta, ma per il giorno che la reggenza di Castiglia sia assicurata al re Ferdinando.
– E se Gian Aloise non accetta di recarsi in Francia?
– Come? – esclamò il Ximenes. – E perchè non accetterebbe, se voi lo pregate… con quelle ragioni che avete? Amerebbe egli così poco i suoi parenti? così poco si curerebbe della loro felicità? e della propria fortuna? Per qual ragione, poi? Egli non ha vincoli coi nostri nemici di qui; nè può veder male che il re Cristianissimo, già amico del re Cattolico a Napoli, gli diventi più amico ai Pirenei. Vedrete che accetterà, e per l’utile suo, che non sarà poco, e per l’utile vostro, che saprete ben mettergli sott’occhio. Andate dunque sicuro, e partendo fin da quest’oggi. Avete bisogno di denaro?
– No; – rispose il Fiesco, fremendo. – Son provveduto abbastanza. —
E si congedò, per mettersi quel giorno istesso in viaggio. Spendendo del suo, per Iddio! Non voleva denaro dai carcerieri di Fior d’oro; non voleva denaro, per un’opera che sapeva di tradimento. Lo aveva assolto l’Almirante; lo aveva anzi incuorato; ma era sempre un’infamia. Ed egli si sentiva preso al laccio, preso senza rimedio, come quando lo aveva colto il selvaggio Guatigana alle cascatelle del Verde. Ma allora era solo, e non doveva pensare ad altri che a sè. Il soldato era stato preso in una imboscata; eventi di guerra, a cui bisognava adattarsi. In guerra c’è sempre la morte, alla prima svolta del sentiero; il soldato lo sa, e ne sorride, provando un aspro diletto a sfidarla. Ma ora! Non c’era il pericolo della morte per lui; c’era bensì, a prezzo dell’infamia sua, la salvezza di una povera donna adorata. E gentiluomini, e cristiani, avevano potuto meditare un’insidia così vile?
Andava, frattanto, proseguiva il suo cammino verso la casa del signor Almirante. Le vie per cui passava si vedevano piene di gente affaccendata, che non faceva calca, ma si spartiva in crocchi, in capannelli, in brigate, che vociavano confusamente, alternando tra loro domande e risposte, facendo atti di maraviglia e d’allegrezza, di sdegno, di sconforto, secondo le opinioni e gli umori, come sempre accade nelle popolari ragunate, quando qualche cosa bolle in pentola, e chi la vuol cotta e chi cruda, e chi si contenta e chi no, ma tutti ad un modo si riscaldano nel giuoco.
– Felici voi! – pensò il capitano Fiesco, passando. – Felici voi, che gridate i vostri desiderii e le vostre passioni in piazza! Io griderei morte e dannazione a questo mondo vigliacco, che lo inghiottisse una volta l’abisso; e per tutta l’eternità, quanto è lunga, e per un’altra, e un’altra ancora, si sprofondasse tutti nel vuoto! —
Nè egli sentiva pure il desiderio di rallentare il passo, per cogliere a volo qualche frase di quei discorsi animati, per intendere di che ragionassero tutti quei cittadini di Valladolid, che parevano morsi dalla tarantola. Dei fatti altrui non era curioso: quanto a sè, tutto ciò che poteva accadergli di peggio era accaduto da un giorno. E che cosa, finalmente, potevano aver di nuovo, i cittadini di Valladolid? Forse li metteva in festa una delle tante solennità del calendario; forse li commoveva in vario modo uno di quei truci spettacoli che l’Inquisizione regalava ogni settimana nel Campo Grande, a maggior gloria di Dio e dilettazione del popolo?
Ma no, niente di questo; dovevano essere di politica, quegli animati discorsi. – Le Cortes!.. – Burgos!.. – Perchè Burgos, e non Valladolid? Queste parole, spiccando tra tante altre men chiare, giunsero a lui, e il suo orecchio involontariamente le accolse.
– Politica! – diss’egli tra sè. – Lasciamola ad Aristotile; io ne ho piena la testa. E le tasche; – soggiunse con amara celia, mentre si tastava il giubbone. – Ce l’ho qui, io, buoni Castigliani, il trattato che dovrà farvi contenti come pasque. —
E andava ancora, e giungeva in vista della meta. Ma la strada non era così deserta e tranquilla come il giorno prima, quando gli era parsa tanto serena, tanto innocente. Presso la casa di Gil García, e proprio davanti al portone, si vedeva uno stuolo, quasi un drappello d’uomini, tutti vestiti d’una foggia. Soldati? no, perchè apparivano disarmati. Famigli, piuttosto, staffieri di grande casata, come mostrava l’assisa uniforme, rossa e nera, dei loro mantelli e dei loro farsetti.
– Visite! – pensò il capitano Fiesco. – E di gran personaggi! —
Ma egli doveva salire, per congedarsi dall’Almirante; e passò, in mezzo a quello sciame di staffieri. Giunto al pian di sopra, trovò ancora l’Adelantado, che passeggiava col nipote Fernando.
– Novità; – gli disse il vecchio marinaio; – e varranno, spero, un po’ meglio delle vostre.
– Le mie, – rispose il capitano, – son quelle d’ieri. Si vuole ch’io parta, e per servizio del re d’Aragona. Le vostre?
– È giunta la signora marchesa di Moya; – replicò l’Adelantado. – Essa è di là, nella camera dell’Almirante.
– Già qui! – esclamò il Fiesco. – Ma non ho veduto il frate scudiero, salendo.
– E non potevate vederlo, perchè non è venuto. Lo ha lasciato a Siviglia, o mandato altrove, che bene non ricordo. Egli dovrà capitare fra due o tre giorni. Ma entrate; la marchesa vi aspetta. —
Il signor Almirante era seduto su d’un seggiolone accanto alla finestra, appoggiato le spalle e il capo ad un alto guanciale; bianco, cereo la fronte e le guance, ma sfavillanti i grandi occhi cerulei, e vermiglio le bellissime labbra, come nei giorni migliori della sua vita. Non era quello da annoverare tra i più belli che mai avesse vissuti il grand’uomo? Beatrice di Bovadilla era là, seduta accanto a lui, tenendone una mano tra le sue, e guardandolo amorosamente negli occhi. Piangeva, la bellissima donna; ma tra le lagrime brillavano le ciglia, e sorridevano le labbra, dicendo la contentezza di quell’ora solenne.
Temeva di giungere importuno, il capitano Fiesco; ma fu accolto come persona desiderata. Ed anche l’arrivo suo metteva fine ad una scena di gran commozione, che non voleva essere prolungata.
Beatrice di Bovadilla si mosse alquanto sulla vita, e stese una mano al conte Fiesco, mentre l’altra non abbandonava la mano del signor Almirante.
– Amico, – diss’ella, – eccomi qua, come avevo promesso, e prima ancora che voi non mi doveste aspettare. Ma si fan presto le cose che si fanno volentieri; ed anche altre ragioni che saprete mi hanno messe le ali. E giungo in tempo per molte cose; – soggiunse, stringendo la mano del nuovo venuto.
Bartolomeo Fiesco s’inchinò, rispose con una stretta più forte alla stretta di donna Beatrice; ma non seppe che dirle. Era confuso, ed aspettava di sapere dell’altro.
– Ebbene, – domandò l’Almirante, – che cosa vi han detto laggiù?
– Che debbo partire. Ed io, – soggiunse il Fiesco, sospirando, – avendo la vostra licenza, obbedirò.
– Ma che! non obbedirete affatto; – interruppe la marchesa di Moya, col suo piglio imperioso. – So tutto. In poche parole mi ha informata il signor Adelantado di tutto. E per servizio d’Aragona non occorre più niente. —
Il capitano Fiesco era rimasto sconcertato, guardando Beatrice di Bovadilla, poi l’Adelantado, che era entrato dietro a lui nella stanza.
– Non chiedete perchè m’abbiano informata; – ripigliò la marchesa. – Non potevano già tacermi l’infamia che è stata commessa a danno vostro. E poi, ci sono forse più segreti tra noi? Nè io li tradirò, buon amico, e leal servitore di don Cristoval. E voi, e l’Almirante, e suo fratello, serberete anche un segreto, che non è intieramente il mio, ma di tutta Castiglia. Vengo con molti, e precedo moltissimi, un vero esercito di gentiluomini. Veramente, dovevo venire con altra compagnia, che voi ben sapevate, signor conte: ma che volete? gli eventi son corsi più rapidi dei miei disegni, ed io sono stata travolta dagli eventi. I segnali, benedetti segnali di fiamma, hanno scompigliato ogni cosa.
– I segnali! – ripetè il Fiesco, che non riusciva ad intendere.
– Già, le belle fiammate, che secondo una certa intesa dovevano divampare sulle vette dei monti, dalle Asturie alla nuova Castiglia, per tutto il confine del Portogallo, hanno dato un ben lieto annunzio alla nobiltà Castigliana. Ed eccoci qua. Ho dovuto correre, colla mia gente, lasciando a Siviglia il vostro scudiero, con una lettera mia, che terrà luogo delle parole. Egli verrà; accompagnato o solo, non importa; ma verrà, e voi lo riavrete. —
Questo importava poco, per allora, anche al capitano Fiesco. Egli capiva così ad occhio e croce che lo stato delle cose si mutava stranamente per tutti. Ma quei segnali di fiamma, quell’esercito di gentiluomini, quell’arrivo anticipato di donna Beatrice, quella sua stessa aria di trionfo, volevano una spiegazione.
– Dobbiamo custodire un segreto, e sia; – diss’egli di rimando. – Ma almeno vogliate confidarcelo intero.
– Non lo avete indovinato? Quello che io ve ne avevo lasciato trapelare in Santa Chiara, non bastava a mettervi sull’orma? La Nuova Castiglia si rovescia sulla Vecchia, per darle man forte; tutt’e due s’imporranno alla ostinazione del re Ferdinando, con la convocazione delle Cortes nella città di Burgos. —
Il capitano Fiesco ricordò allora i discorsi che aveva sentiti per via. La Nuova Castiglia, arrivando, spandeva già il gran segreto alle turbe.
– Il re d’Aragona ha giuocato una grossa posta; – continuava frattanto la marchesa di Moya. – E l’ha perduta; tanto peggio per lui. Gli premeva di nascondere il vero in Segovia, di nasconderlo a Valladolid, come lo avrebbe nascosto a Burgos, dove sarebbe andato a far capo, accostandosi al confine minacciato, andandoci come la biscia all’incanto. Giovanna e Filippo non dovevano da principio lasciare le Fiandre; questa la certezza ch’egli voleva istillare negli animi di Castiglia. E non dovevano averle lasciate, nemmeno quando si erano imbarcati, e il vento li cacciò sulle coste d’Inghilterra. Egli intanto mandava a Londra i suoi messaggeri, che tentassero la fede ospitale di Arrigo VII. Questo abbiamo saputo noi, come sapevamo già il resto; ed abbiamo voluto lasciarci credere ignari di tutto, inerti, discordi, ingannati da lui. Ora egli non sa ancora una cosa, che a noi è stata annunziata da quelle belle fiammate sui monti; Giovanna e Filippo hanno lasciata l’Inghilterra; saranno domani in vista di Laredo, nel golfo di Biscaglia. Capite, ora? capite perchè siamo qua noi? Dico noi, così per dire; – soggiunse la marchesa, sorridendo, ed anche arrossendo un pochino; – che io, veramente, se un’altra più potente cagione non mi avesse chiamata su questa via, avrei potuto assistere al trionfo della buona causa dal mio modesto ritiro, nel convento di Santa Chiara, ove le anime tristi covano meglio la loro tristezza che altrove. Comunque sia, eccomi qui, imbrancata, come una nuova Bradamante, nel grande esercito dei cavalieri di Castiglia; l’ho anzi preceduto, con una e bella e fiorita avanguardia. Giudicatene voi: Ossuna e Gandia, Carmona, Ubeda e Montilla, duchi; Avila, Lucena, San Felipe, Valdepeña, Almagro, Albacete, marchesi; Almanza, Andujar, Cabriel, Huete, Velez Rubio, e via discorrendo, non so più bene se una ventina o una trentina di conti. Li raccattavamo per via; quanti erano pronti, venivano con noi; tutti gli altri verranno in giornata, o domattina; e tutti avviati a Burgos, con una parola d’ordine, le Cortes, le Cortes di Castiglia, per Giovanna e Filippo. E voglia o non voglia il re d’Aragona, si convocheranno a Burgos, dove Lerma, Aranda, Soría, Alar, Espinosa, Miranda, Zamora, Medina Rio Seco, Alba de Tormes, tutti i più grandi nomi della vecchia Castiglia ci attendono.
– E Ferdinando non ha fumo di tutto ciò? – disse il Fiesco. – Oggi, in Valladolid, si deve già saperne qualche cosa.
– Oggi, sicuramente; se hanno occhi, egli e i suoi cortigiani, debbono averci veduti arrivare. Ma ieri non dovevano sapere ancor nulla, perchè lungo la strada altro non abbiamo incontrato che popolo in festa, e nessuna faccia proibita d’esploratori reali. Castiglia ha fatte le cose per bene; tutti volevano venire incontro a Giovanna, e nessuno ha tradito il segreto.
– Pure, – notò il capitano Fiesco, – si era saputo che io ero venuto a Siviglia, e nel convento di Santa Chiara… a cospirare con voi.
– Bella forza! – esclamò la marchesa. – Non vi ha mica tradito Siviglia. Vi hanno seguitato da Segovia, dove il vostro arrivo sarà parso sospetto. Odiano l’Almirante del mare Oceáno, come odiano noi; hanno voluto sapere dove andaste, mettendovi in cammino appena arrivato; e l’hanno saputo, tenendovi dietro. Quanto alle cospirazioni, è naturale che ne sospettassero. Le sentivano nell’aria. Ma che non sapessero fin dove potessimo giungere, ve lo dimostri l’esser noi giunti senz’ombra di ostacoli.
– Non avranno osato; – disse il capitano Fiesco.
– E ben per loro! – replicò la marchesa. – Questa non è cospirazione di pochi signori; è cospirazione di tutti. Anzi, non è nemmeno cospirazione; è volontà d’un popolo intiero. Le Cortes, a Burgos, per Giovanna e Filippo! Ed ora, vedrete quel che avverrà. Posso predirvelo, senza avere il dono della profezia. Andremo a Burgos, e il re Ferdinando verrà a Burgos; sempre come la biscia all’incanto; verrà a Burgos, coi suoi gentiluomini Aragonesi. Dico gli Aragonesi, perchè i Casigliani della sua Corte l’avranno già abbandonato, prima che tramonti il sole, per unirsi ai loro compagni.
– Anche l’arcivescovo di Toledo?
– Ah, il sant’uomo? No, egli non verrà con noi; ma si accosterà, per metter parole di pace. Virtuoso Ximenes! Lo rispettano tutti, e lo ascolteranno con riverenza, non potendo obbedirlo; poi gli faranno cerchio, e gli diranno: a Laredo, signor primate di Spagna, a Laredo, per ossequiare la vostra regina, la figlia della grande Isabella, la erede legittima, venuta ad occupare il suo trono. A Laredo! a Laredo!
– Perchè non posso io seguirvi laggiù! – disse l’Almirante, sospirando. – Se ancora mi potessi reggere in sella!..
– Giovanna verrà da voi, se ama la gloria del suo regno; – rispose Beatrice di Bovadilla, col suo bell’accento ispirato. – Con me, intanto, verrà il signor Adelantado, se voi lo permettete; e porterà una lettera vostra, e la presenterà alla regina.
– In tanta rèssa di cortigiani! – notò l’Adelantado. – Sarà difficile.
– C’è Bovadilla; – replicò la marchesa. – E la lettera di don Cristoval Colon sarà aperta e letta dalla regina, appena ella avrà toccato il suolo di Spagna. —
Un cavaliere, giunto allora in anticamera, chiedeva di parlare alla marchesa di Moya. Donna Beatrice, chiesta licenza a don Cristoval, lo fece entrare. Era il marchese di Lucena.
– Signora, – diss’egli, dopo aver fatto riverenza al signor Almirante, – il duca di Ossuna vi chiede consiglio. La città è tutta con noi; prega che siano qui convocate le Cortes. Che si risponde?
– Ecco Bradamante nel consiglio dei paladini; – gridò Beatrice di Bovadilla, ridendo. – Dite al duca di Ossuna che la risposta è facile. Non si può far torto a Burgos, città del Cid Campeador, e capitale della Vecchia Castiglia. Inoltre, prima di risolvere questa od altra questione, dobbiamo prendere i comandi della regina. E per noi, frattanto, l’essenziale è di giungere a Laredo. —
Il marchese di Lucena s’inchinò, salutò l’Almirante, e partì. Ma la conversazione aveva appena potuto riprendere il suo corso, che un altro cavaliere giungeva; e questo, senza farsi annunziare, entrava nella stanza, precipitandosi tosto nelle braccia del signor Almirante.
Era il figliuol suo, don Diego Colon, gentiluomo della corte di Ferdinando. Si odiava il padre, e si teneva a corte il figliuolo; per un resto di pudore, forse, o piuttosto per salvar le apparenze. Nè l’Almirante, sebbene ferito in tanti modi, nella sua dignità come nei suoi più sacri interessi, aveva mai permesso che il suo Diego lasciasse il servizio del re. Gli pareva l’ultimo anello che ancora congiungesse ai reali di Spagna il vicerè delle Indie, e non voleva spezzarlo.
– Non ti aspettavo, quest’oggi; – disse l’Almirante, dopo aver ripetutamente baciato ed abbracciato il suo primogenito.
– Nè io avrei potuto venire da voi, padre mio, prima di domani, essendo oggi di servizio. Ma ho avuto licenza, per prender commiato da voi, se restate a Valladolid. La Corte, domattina, si trasferisce a Burgos. —
Beatrice di Bovadilla volse un’occhiata in giro, come per far intendere all’Adelantado e al conte Fiesco:
– Che cosa vi dicevo io? Senza avere il dono della profezia, non vi pronosticavo quel che doveva accadere? —
All’occhiata della marchesa di Moya, il capitano Fiesco rispose con un inchino, che voleva dire: avevate ragione. Ma fece ancora un gesto di preghiera, che voleva aggiungere: ed io, come rimango, se partite? come rimarrà una povera prigioniera, se i carcerieri maggiori l’abbandonano all’arbitrio dei minori?
Tutte queste cose non capì la nobil signora ad un tratto. Ma intese che il capitano Fiesco aveva bisogno di lei.
– Signor Almirante, – diss’ella, – vi lascio per qualche momento col vostro don Diego. Ripasserò a salutarvi, prima di partire da Valladolid, ove ad ogni modo ritornerò per far più lunga dimora, se pure non seguirete la Corte anche voi. Ora, se permettete, vi rubo per una mezz’ora il conte di Lavagna. —
Così prese commiato. E uscendo dalla stanza col capitano Fiesco, che la seguiva tutto trepidante, gli disse colla sua bella voce che incantava la gente, e col suo bell’accento sicuro che ridava la vita:
– Pensiamo ora al mozzo Bonito. Sapete che lo amo, e che abbiamo fatto una sacra alleanza tra noi. Come sono contenta di esser venuta incontro ad una regina, per mettermi ai servigi di un’altra!
– Sapete già?.. – chiese egli confuso.
– So tutto, signor conte. Ero giunta dall’Almirante mezz’ora prima di voi. Molte cose si possono dire e sapere in mezz’ora. E adesso, a noi. —