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Kitabı oku: «Scritti editi e postumi», sayfa 15

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X

Ora voi siete veramente infelice, e Dio sa se io adoprerei ogni mia potenza per mutare il vostro destino; ma son uomo anch'io, e debole, e soggetto come tutti gli altri a bere il calice dell'amarezza, e a morire; nè altro posso darvi, che una sterile compassione, e pregare, che l'Oblio diffonda veloce i suoi conforti sopra di voi.

La povera vostra sorella, come mi dite, è morta; e questa nuova mi ha fatto piangere il cuore. Nè tanto mi sono afflitto per la povera giovane morta nell'età del riso e delle speranze; perchè anch'io son giovane d'anni, ma così stanco del mondo, che spesso mi trovo a desiderare la morte; e in verità non credo di riposare fuorchè sotterra. Il mio cuore ha pianto perchè ho pensato, che quando Dio manda una sciagura fra gli uomini, questa non percote mai un'anima sola: – ho pensato al dolore dei parenti e degli amici; – ho pensato, che la vostra sorella era madre, – e l'agonia di una madre travagliata dall'idea di lasciare per sempre i figliuoli delle sue viscere è tormento siffatto, che… E i figliuoli, che crescono senza lo sguardo della madre, non sono educati dall'amore, e quando vengono al tempo del disinganno non si consolano colle memorie felici dell'infanzia, e mai non hanno provato il più tenero sentimento, che agiti l'anima umana; e quando piangono nessuno li acqueta, e quando ridono nessuno risponde al loro sorriso.

Io senz'altro vi riesco importuno, perchè il vostro sconforto ora è di tal tempera, che non vuol parole, – ma io non ho potuto fare a meno di scrivervi. E non ho scritto per voi, ma piuttosto per sodisfare a me stesso; – e non vi ho scritto per esortarvi alla forza dell'animo, – perchè io so per esperienza, che la Natura è onnipotente, e vuole i suoi diritti, nè si governa colle ciancie dell'uomo. Ora voi siete infelice, e dovete gemere. Ho sentito dire, che Dio mitiga il vento per l'agnello tosato, e Dio voglia che così sia. Non pertanto l'acutezza del presente dolore col tempo verrà scemando, e voi tornerete allo stato di prima; e il pensiere della morta sorella più che di affanno profondo vi darà soggetto di dolce malinconia; ma da poche vostre espressioni comprendo, che siete destinato a poca gioia nel mondo. E vivete scontento della famiglia, e certo è cosa dura trovare la guerra laddove per ogni ragione dovrebbe trovarsi la pace; oltre di che saprete a prova, che l'uomo tanto ha più trista la vita quanto ha più vaste le facoltà del sentimento e dell'intelletto. Voi non dispererete per questo, perchè senza dubbio siete dotato di vigore corrispondente alle avverse fortune; – e insegnare all'uomo, che bisogna soffrire, parmi quasi inutile: questa è qualità naturale, nè costa fatica a conseguirsi, perchè l'uomo fu animale consacrato alla pazienza.

Io posso poco o nulla; e parte per indole, e parte per casi reali, vivo nella inerzia e nello sgomento; ma se credete mai, che io possa valere a nessuno effetto, movete una parola e voi mi troverete sempre il vostro cugino e fratello.

1834?

XI

Caro P.***

Ti rimando uno dei tuoi libri, e fra breve spero rimandarti anche l'altro, perchè ne prendo una pozione ogni mattina. Lessi non è molto quel Mantello verde di Clavern, e dacchè leggo non mi sono imbattuto mai in cosa tanto scipita…

Bisogna che tu mi liberi da questo Clavern; se no, l'averlo mi dà la stessa sensazione di un reuma fitto nell'ossa. Vendilo, barattalo, regalalo, brucialo se vuoi, ma io non lo voglio più.

V'è un'altra spina, che mi punge. S.*** esulava da ***, e pour cause. Si ritirava in ***, dove, per supplire in parte ai bisogni suoi e della famiglia col modo il più onesto che sapeva, disegnava stampare un volume di sue poesie, e le stampava. Poi si raccomandava agli amici per lo spaccio dell'opera. Fra noi ebbero incombenza di questo N., X., ed io.

Io ho fatto poco, ma ho fatto quel che ho potuto; X. si esaltò, parlò in stile orientale, promise mari e monti, ma poi non ha venduto nè anche una copia; non ha pensato neppure a comprarne una per sè. – N. è partito precipitosamente, e di certo non ha saputo, o potuto, o voluto consacrare un momento o un pensiere all'amico disgraziato. Intanto il povero S.***, che pensava stampando di galleggiare un tal poco sulla miseria, vi è sprofondato un palmo più addentro. Che si farà egli di tante copie stampate, se la carità degli amici non gliele leva di mezzo? Il suo nome non è un gran nome; le sue cose non sono sublimi; la fama o la moda non può farne oggetto di speculazione libraria; non sono però nè anche cose turpi, o infime affatto, specialmente le Liriche; e a fin di conto sono un onesto espediente adoprato da un uomo di cuore per non ricevere l'umiliazione di un'elemosina nuda nuda. Non facciamo morir di fame chi lavora nella vigna, perchè gli operai si faranno sempre più rari, e poi non è cosa nè giusta, nè prudente.

Raccogliamo pertanto le vele: tutto il discorso è per pregarti di vedere, se puoi darmi via una copia, due, tre, quante più puoi, del libro in questione. Il prezzo è quattro franchi, ossia sette paoli; il tomo è in ottavo, l'edizione piuttosto bella. Se ti riesce, l'avrò caro; se non ti riesce, non temere da me l'anatema, perchè so che la buona intenzione non ti manca. Vale.

1835.

Carlo.

XII

P.***

Buongiorno. Perlustrando i banchi di T.*** ho visto una turba di libri tedeschi, e me la sono menata meco. Non so se sieno buoni o cattivi figliuoli; però te ne mando due, che leggerai a tuo bell'agio, e in séguito mi dirai di che si tratta.

Che fa A.***? Mi pare un secolo, che io non lo vedo. Come vive, e in che mondo vive? Se vive bene, lascialo stare, che non avesse a perdere il filo; se poi vive male, lascialo stare egualmente, che non avesse a far peggio. Deve operar la Natura. Egli ha sempre un quaderno di mio nelle mani; vedi se ti è possibile di riscattarlo, e me lo renderai quando ti piace. Addio

4 Aprile 1835.

Carlo.

XIII

P.***

Eccoti il Manifesto, dove non ho potuto raccogliere che la firma di U. – ***N. mi disse non volerne sapere, perchè opera di un Francese, ragione che può valer qualche cosa, e al tempo stesso non valer nulla; o forse fu ispirazione dell'Aritmetica, che gli sussurrò di non sottrarre quattordici franchi alla massa del patrimonio. – X. sta dietro a farsi marito, nè può badare alle Vergini Muse, che poverette oggi son orfane, e non hanno un padre buono a dar loro una dote di dieci mila filippi. Io non prendo moglie, nè mi tormenta l'ansia d'imporre scudo sopra scudo. No, per l'anima di mia madre! io lo posso giurare; non sono, nè sarò un avaro giammai! I giganti quando accavalcavano monte sopra monte tentavano scrollare il trono di Dio, e l'idea animatrice di quel concetto, temeraria se vuoi, era per altro sublime di una grandezza sì terribile da far palpitare anche il cuore di un Dio; ma l'avaro salito sulla piramide dei suoi mille sacchetti, che pretende dalla terra, o dal cielo? Che vuole? che disegna di fare? Povero avaro! egli è condannato a non poter voler nulla, – ultima miseria dell'anima umana. Ma tregua alle digressioni. Noi siamo d'accordo, – non piglio moglie, e non sono un avaro; – però sono un povero, nè deve parerti strano, chè tu pure in siffatte discipline mi sembri sufficiente dottore. Amo le Muse, è vero, e di candido amore, ma sono inretito in tante e tali traversie, che non posso spendere un soldo per comprar loro un mazzo di fiori ora che è il mese dei fiori, e la Natura li crea ad ogni respiro che muove, e le graziose venditrici te li vengono offerendo col più bel garbo del mondo, e a così poco prezzo. Amo le Muse, è vero, ma non posso dar loro, che un ingenuo saluto, e i profumi di un cuore innamorato. E tanto basti del Manifesto, e così abbia fine l'Idillio.

Nei giorni scorsi mi posi a leggere il Wallenstein di Schiller, e mi sono accorto, che per me non è impresa da pigliarsi a gabbo, almeno la prima parte intitolata – Il campo di Wallenstein. – Mi riesce a mala pena d'intenderne un verso qua e là, e le altre cose mi rimangono impenetrabili. Credo che lo Scrittore in questa parte abbia usato lingua intima, casalinga, troppo tedesca. Spesso mi sembra proverbiale, e temo, che quasi sempre si valga di un dialetto o di un altro, perchè moltissimi dei vocaboli non li trovo notati sul Dizionario. Se tu potessi procacciarmi una traduzione qualunque, l'avrei caro, perchè veramente il doverlo lasciare così per disperazione è pensiero che mi mortifica assai. Addio.

11 Maggio 1835.

P. S. Mi scordavo del meglio. – N.*** M.***, scrive da *** che muore di fame, e si raccomanda alla carità dei fedeli. Vi deve stare cinque anni, come saprai. In società faceva il maestro di scuola, e gli bastava per vivere; – laggiù la professione non corre, ed egli non sa farne altra, e… Come ti dico, si tratta di fame vera e reale, non di fame figurata. Questo giovane non ha nè roba, nè nessuno, che lo possa aiutare. Ha padre e madre, due miseri vecchi, che adesso andranno a chiedere l'elemosina, perchè, se prima non la chiedevano, era per via del figliuolo. Bisogna fare qualche cosa pur sempre: esser grandi, e buoni, è l'apice degli umani destini; – ma quando non si può altro, siamo buoni almeno, – e quando si vuole è cosa più facile che altri non crede. Vedi se puoi mettere insieme pochi paoli; – tutto fa a chi non ha nulla. Tu conosci qualche signore, e qualche signora; – narra loro il fatto schiettamente com'è. Abbiamo sovvenuto tanti altri, e spesso Dio sa che gente; – e poi erano uccelli di frasca, e non di gabbia, come questo povero diavolo. Non ti dico altro, perchè parmi aver detto abbastanza. Di nuovo, addio.

Rammenta ancora ad A.*** questa elemosina. Gliene parlai Sabato; mi fido della sua memoria, ma non troppo della sua attività.

XIV

1. – M.*** scrive da *** che il 15 di Settembre non avrà più da mangiare. In tale urgenza si rivolge a noi tutti, chiedendo in prestito quattro mila franchi, ed obbligandosi solennemente a render la somma fra due anni. – La persona, a cui più particolarmente fu indirizzata la lettera, vede impossibile effettuare il desiderio di M.***, e propone invece mandargli un migliaio di franchi accattato di porta in porta. – Meditando il fatto più quietamente, possiamo asserire ineseguibile affatto l'idea di M.***? possiamo credere che il mezzo termine proposto supplisca al bisogno, e produca l'effetto voluto? – Quando io rammento l'integrità e l'alterezza d'animo di M.***, penso quanta amarezza di passione gli debbono esser costate quelle poche parole d'inchiesta; sento intimamente che M.*** non può esser disceso a questo, fuorchè per forza d'una inesorabile necessità. Egli non è l'uomo che chieda quattro mila fianchi per metter di mezzo nessuno; – non è l'uomo che chieda quattro mila franchi per andare avanti intanto due anni, e non morire di fame. M.***, è vero, ha bisogno di vivere per ora, ma non è un bisogno di vita brutale come la nostra; è un bisogno di vivere per una sublime intenzione, per una speranza che gli apre l'avvenire, e gli fa veder cose, che i più non vedono, nè possono vedere. Se il disinganno a un tratto gli dimostrasse fallace l'intenzione, che gli alimenta la vita, e gli abbuiasse la speranza, M.*** è tale da farsi saltare il cervello, o tirarsi in un canto, e morir placidamente di fame. – M.*** dunque ha bisogno assoluto, inevitabile, di quattro mila franchi. Mandargli, o, per dir meglio, prestargli di meno, oltre l'essere un assurdo, sarebbe un trattare da ragazzo, da giovanastro scapestrato, un uomo che ha dritto all'amore e alla venerazione di quanti sentono e pensano generosamente. Se egli avesse avuto bisogno di mille franchi, mille ne avrebbe chiesti. La sua natura è troppo semplice e troppo retta, per appigliarsi al miserabile sotterfugio di dire una cosa invece d'un'altra per un pugno di monete più o meno. – Mille franchi dunque non fanno al caso; – un mascalzone senz'altro li prenderebbe, dicendo: è meglio poco che nulla; ma se noi li manderemo al M.***, forse non saprà che farsene; – faremo l'elemosina a chi non l'ha chiesta; umilieremo un nobile spirito; gli rapiremo una delle sue poche illusioni; aggiungeremo un nuovo dolore ai suoi mille dolori.

Pensiamoci di nuovo, e sul serio. Si può, si deve dare un rifiuto a M.***, che promette sull'onor suo di render l'imprestito? Io, che lo conosco da lunghi anni, credo alla sua parola più che al mio core, più che un mercante non crede alla firma di Rothschild. Se M.*** non fosse sicuro della sua promessa, avrebbe detto: – datemi, e non – prestatemi. – Di più, fate a tant'uomo l'elemosina, e rifiutategli invece un imprestito, di mezzo a tutto questo traluce così insultante un pensiero di diffidenza, che non può mancare di giungergli amarissimo al cuore: perchè non ci è angolo del mondo, dove non si possano trovare quattro mila franchi in prestito, – perchè tutto giorno ciarlatani, progettisti, e cavalieri d'industria, trovano con poca resistenza migliaia e migliaia di scudi. Il caso è pertanto come io lo presento; noi mostreremo apertamente a questo giovane incontaminato di tenerlo in concetto d'uno scroccone. – Eppure M.*** è un'anima pura, che non può, che non sa concepire un'idea di bassezza; – è una di quelle rare esistenze che Dio suscita di quando in quando per far credere alla virtù sulla terra. – M.*** sarà un nome glorioso; il suo genio, la sua fede, la sua divina pazienza, i suoi patimenti, il sacrifizio di tutto… lo faranno grande nella Storia non già d'un Popolo, ma della Umanità. Però quando i posteri sapranno, che, dopo aver dato tutto ai suoi compagni d'infortunio, un giorno ebbe fame per sè; che si rivolse ai giovani del suo partito, chiedendo un pugno d'argento per renderlo un tempo; che fra questi giovani v'erano i ricchi, che senza scomodo potevano darlo; che non ostante con mentiti pretesti gli fu negato; – i posteri impallidiranno di vergogna e di paura, e non sapranno come definire questo secolo ipocrita, freddo, e millantatore.

A che mena questa lunga cicalata? – tu mi dirai. – A risparmiare un fregio alla dignità umana, se pure si può. – Io disapprovo altamente l'idea della questua, – idea codarda e scompleta. – Nondimeno un partito bisogna prenderlo. Trattandosi di quattrini, lo spirito è ricorso naturalmente a quelli che ne hanno. Eccitando la potenza della visione, me gli sono fatti passare tutti dinnanzi, e ad ogni figura che passava mi veniva una trafitta di freddo. A un tratto non so come il mio Angel Custode mi ha sussurrato all'orecchio il tuo nome. Ho accolto volentieri l'ispirazione, e da parte sua ti domando: – Saresti in grado di far questo imprestito? Ove tu non possa, non ci sarà nulla di male, nè io per questo ti porterò rancore; e allora ci metteremo all'accatto, arrogandoci non so quanto giustamente il diritto di strascinare nel nostro fango uno splendido nome. Ma tu dovrai meco convenire, che certi fatti sono una misura fatale dei tempi, e degli uomini; dovrai convenire, che la nostra è una generazione perduta ad ogni speranza di bene, perchè, non che intendere, ed essersi mandata in sangue l'idea santa, essenziale, del sacrifizio, non sa per anche compitarne il vocabolo.

Un rigo di risposta. – Addio.

Carlo Bini.

XV

Caro A.***

2. – La lettera per M.*** mi è venuta più lunga di quel che volevo. L'ho scritta nella furia del cuore, e ho tutta la massa del sangue alla testa. Leggila, e mandala se credi; o se no, riducila a più giuste proporzioni. Io non spero nulla di buono, e vado convinto, che la faccenda finirà coll'esser trattata costituzionalmente. Piango lacrime di sangue per il povero M.***, e non credevo che la Fortuna volesse serbarlo a strazi così disonesti. Siccome il fatto mi sembra grave, e tale da passare fra i documenti della Storia contemporanea, così gradirei, che della Lettera ne fosse fatta una copia, per mostrare al mondo occorrendo, che non tutti furono codardi, e brutali, e che se afflitti dalla povertà non poterono aiutare l'amico infelice, dissero almeno una parola franca e generosa. Dura questo poco di fatica per amor mio; chè io non ne posso più. Amami. Addio.

Carlo.

XVI

3. – A.*** mi ha fatto risapere la tua risposta. Parlandoti candidamente, le difficoltà da te opposte non mi sembrano tali da reggere al paragone; mi sarebbe meglio piaciuto, se tu avessi detto: quest'anno io non ho voglia di far certe cose. Anima viva non avrebbe saputo mai nulla del fatto. Io e A.*** siamo temperati a tenere ben altri segreti che questi. Tu mi avresti dato il danaro, io avrei presa una cambiale per ***, e tutto sarebbe stato operato a mio nome. Un silenzio impenetrabile avrebbe coperto la cosa; noi siamo per natura discreti, e il caso presente sarebbe stato per noi un caso di coscienza, d'onore, di religione. Io sono ancora più che convinto, che fra due anni la somma sarebbe stata restituita. Non ho osato offrirti la mia garanzia, perchè, vivo mio Padre, non rappresento nulla nel mondo; ma un giorno spero e credo di aver quattro mila franchi al mio comando; se così ti bastasse, eccomi qua in corpo e in anima ad ogni tuo cenno. Con tutto ciò non pretendo costringerti a fare contro il tuo avviso. Non potrei volendo, e potendo non vorrei, perchè sono un gran partigiano del libero arbitrio. – E M.*** intanto che farà? Muoia di fame, o si provveda altrove. Soffra come ha sofferto, e duri a soffrire. Egli non ha diritto di sottrarsi a quella legge fatale e perpetua, che condanna al dolore certa specie di spiriti. E così apprenda una volta a conoscer più addentro quella razza, per la quale ha speso il fiore della sua gioventù, la nobiltà del suo ingegno, e il sangue più puro del suo cuore.

Della colletta non voglio occuparmi; ci pensi altri più acconcio all'ufficio: io non mi sento in diritto di allearmi nella congiura di avvilire un Amico, che vale infinitamente più di me, e di mille de' miei buoni padroni.

Abbi pazienza di questo disturbo, che senz'altro sarà l'ultimo che avrai per parte mia. Sta sano, e addio.

1836?

Carlo Bini.

XVII

P.*** mio

M.*** mi ha fatto quasi ogni giorno i tuoi saluti. Io non ti ho scritto mai finora, perchè i grandi dolori amano specialmente sul principio di esser lasciati soli. Avendo però spesso raccolte notizie di te, e sentendo che il soggiorno di Pisa poco o nulla ti ha profittato, io ti conforto a tornare fra noi, convinto che starai meno peggio. Troverai l'aria più tepida, troverai chi meglio t'intenda, chi simpatizzi meglio colle tue amarezze; e se puoi sperare un sollievo, ti rimane quest'unico, il consorzio dei tuoi antichi amici, la presenza di coloro, che hanno veduto, assistito, e sentito, la sciagura che ti ha percosso.

Addio; – noi ti aspettiamo.

16 Febbraio 1838.

Carlo.

XVIII

Caro P.***

Finalmente è arrivata la Signora C.***, la quale è voluta partire subito alla vostra volta. Io non ho potuto farle troppe attenzioni, principalmente perchè a stento so spiccicare una parola in Francese. Essa deve avermi trovato naturalmente goffo più ancora di quel che sono. Non vuol dir nulla. Scusatemi presso di lei, e ditele che il buon volere in me non manca mai per nessuno, e segnatamente per una donna raccomandatami con tanta caldezza. E se altra volta c'incontreremo, e ci sarà dato intenderci nella nostra benedetta lingua d'Italia, se non troverà in me la galanteria profumata di Parigi, troverà cuore e cortesia da non lasciarla affatto scontenta. Ma lasciando andar queste inezie, io son qua per voi, per lei, e per tutto il mondo, fin dove le mie forze arrivano. Disponete di me, e credetemi il vostro

Livorno, 3 Agosto 1839.

Carlo.

XIX

P.***

················

Per me sono già incominciati i giorni neri, ed eccomi già all'ergo di farmi accompagnare per le vie se voglio andare. Ma la mia pazienza è più grande dei miei malanni. La Medicina se ne sta in un canto a viso basso, mortificata, e colle mani in mano. E sì che io non le ho detto mai una parola di rimprovero! Ma tant'è: resteremo soli, io e il Fato, a giuocare tra noi due questa partita di vita, o di morte. I saluti a tutti. Addio.

21 Ottobre 1840.

Carlo.

XX

P.***

Eccoti un manifesto del M.*** per la ristampa d'un Dante; e se avrà luogo, sarà ottima spesa. Se puoi firmarti, bene; se no, no. Ma firmato o non firmato rimetti subito il Manifesto nelle mani di S.***, che deve rinviarlo a Londra.

Addio. Imprendo nuovamente l'infausto viaggio dell'altra volta per ragioni anche più imperiose. Vado in luoghi strani ed inospiti, tra cattiva gente, tra pessimi affari, e in uno stato di salute, che fa paura. Dio me la mandi buona. L'ombra di N. mi perseguita, e non so come placarla. Io mi abbandono alla corrente senza sapere dove andrò a battere. Di nuovo addio.

16 Marzo 1841.

Carlo.
Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
04 ağustos 2017
Hacim:
360 s. 1 illüstrasyon
Telif hakkı:
Public Domain
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