Questa commedia fu rappresentata la prima volta al teatro Sannazzaro di Napoli dalla Compagnia Beltramo-Della Guardia il 22 maggio del 1894.
Contessa Clara Sangiorgi, 24 anni.
Conte Silvio Sangiorgi, 29 anni.
Gino Ricciardi, 28 anni.
Due Servi ed una Cameriera.
Un salotto elegante, bene illuminato da lampadine elettriche. Una porta in fondo; due porte laterali. Nel mezzo della stanza, fra le altre suppellettili graziose, una doppia poltrona dos-à-dos1. Su qualche seggiola e su qualche tavolino, il mantello magnifico e la ciarpa di merletto della contessa Clara, la pelliccia, il cappello, il binoccoletto, i guanti e il bastone del conte Silvio.
(innanzi ad uno specchio, dopo di essersi lungamente mirata) Che ne dici? Ti va?
(seduto sopra una seggiola a sdraio, fumando una sigaretta) Il Lohengrin?
No. La mia acconciatura.
Credevo che tu parlassi ancora del Lohengrin. Sì, mi va… Io poi ho una competenza molto limitata.
Per il ritratto a pastello vorrei posare proprio in questa toilette.
De Negris è un provetto ritrattista… Ti rimetterai al suo parere.
(sempre mirandosi allo specchio) Non ti pare un po' troppo scollata?
Voltati, fammi vedere. (Clara si volta. Egli dissimula il fastidio che gli produce la eccessiva scollatura) No… Troppo scollata non mi pare…
Guardami bene in faccia.
Ti guardo.
(ridendo) Ah! ah! ah!
Che c'è?
I tuoi occhi non hanno la stessa opinione della tua bocca. Sai che dicono essi?
Sentiamo.
Dicono… dicono: «che indecenza!».
Nondimeno, io non te ne faccio una colpa! La decenza non è che una diplomazia delle donne, perchè tutto ciò che esse nascondono aumenta di valore. Non è indispensabile, quindi, che alle fanciulle… affinchè possano trovare marito.
Obbedisco alla moda, io!
Ma la moda per le donne la fanno le donne.
Anche gli uomini, sai.
Oh! gli uomini, al più al più, fanno la moda per le donne altrui.
Lo vedi, lo vedi che sei scontento!
Dio mio, se mi stuzzichi, mi fai dire quel che non vorrei dire.
(rimproverandolo con affetto) E credi mi basti che certe cose tu non le dica? Credi male. Io desidero che tu non le dica e non le pensi. (Si sdraia sopra un canapè.)
Sottilizzi sempre, tu. E sottilizzi troppo!
(col tono con cui si parla ad un bimbo) Poverino, poverino! Che pretendono da lui?.. Che pretendono? (Pausa.) Qui… vicino a me… vicino a questo mostro di moglie…
(va a sederle accanto)
(lisciandogli la barbetta) Passa?
Tranquilla!..
Passa?
Cosa passa?
Il malumore per la scollatura?
(sorridendo bonariamente) Eh, sì! Il malumore passa… ma la scollatura resta.
Via, chiudi un po' gli occhi…
Preferirei, veramente, che li chiudessero gli altri. Ma purtroppo!.. (Sospirando, si alza) Di': non è l'ora d'andare?
Sì: va pure.
E tu?
Io aspetto Ricciardi. L'ho pregato di accompagnarmi.
(con falsa disinvoltura) Sicchè… posso andare?
Ma sì.
(lentissimamente, prende il cappello, la pelliccia, i guanti, il binoccoletto, il bastone. Poi, ad un tratto, rimette tutto sopra un mobile. Poi, riprende la pelliccia e adagio adagio l'indossa. Poi, riprende il bastone, il binoccoletto, i guanti, il cappello.) Dunque, vado!.. (Indugiando) Buona sera, eh?
Verrai a farmi una visita, o resterai tutta la serata, come al solito, sprofondato nella tua poltrona?
Se non ci sarà troppa gente nel tuo palco, verrò. (Si avvia per andarsene.)
(quando egli è giunto all'uscio in fondo) Silvio!..
Clara? (Ritorna.)
Che è?
Non mi hai chiamato?
No. Ho semplicemente pronunziato il tuo nome: «Silvio», così, per tenerezza: non t'ho mica chiamato…
Avevo creduto…
Va, va.
(arriva un'altra volta sino all'uscio: si sofferma)… E se Ricciardi non venisse?..
Verrà, verrà… Oh! non dubitare, verrà.
Però… non sarebbe meglio che aspettassi anch'io?
Sarebbe meglio, perchè?
Perchè… se, per una circostanza qualunque, egli non venisse, t'accompagnerei io: è semplice.
Ti assicuro che verrà…
D'altronde, si potrebbe andare tutti insieme…
(recisa) Questo, poi, no!
In fin dei conti, non t'ho detto nulla di così strano.
Silvio! Silvio! Che hai stasera? Che significa questa recrudescenza?
Recrudescenza di che?
Di che? Lo vuoi proprio sapere? Lo vuoi proprio sapere? Recrudescenza di… ge-lo-si-a.
Io, geloso!
Tu geloso, sì, tu, tu! E ciò non va bene! Di tanto in tanto, caro Silvio, tu dimentichi il nostro patto.
Io lo ricordo e lo mantengo.
Tu non lo mantieni niente affatto!
(col pretesto della briga, ritorna di nuovo, molto felice di restare) E io ti ripeto che lo mantengo. Oh bella! Dov'è questa mia famosa gelosia? Tu vai, vieni, fai quello che ti pare e piace… Io non sono mai vicino a te… Il tuo salotto è sempre pieno di giovanotti… Te li conduci a teatro, te li conduci alla passeggiata, te li metti in carrozza, a tutte le ore, coi loro grandi carciofi all'occhiello e con quell'aria sfiaccolata di conquistatori esausti… Ti scrivono delle lettere, tu ne scrivi a loro, e io non so che diamine avete da scrivervi dopo che vi siete visti quattro volte in una giornata!.. Essi ti circondano, ti sequestrano, ti assediano, ti mangiano con gli occhi, ti esaminano dalla testa ai piedi e… dai piedi alla testa, ti chiamano confidenzialmente: Clara: Clara, tout-court, così come chiamerebbero una di quelle donnine a cui… quando non possono dare altro, si contentano di dare del tu… e io? Io, zitto: lascio fare, lascio dire, e non un lamento, non un rimprovero, non un'osservazione, e, con una santa pazienza, aspetto ch'essi ne abbiano abbastanza per ricordarmi d'essere tuo marito. Era questo il programma della nostra vita? Era questo il programma enigmatico proposto… cioè, che dico?.. imposto da te? E io mi ci sono uniformato…
Per forza…
Ma giacchè vedo che è stato inutile, sì, te lo voglio dire: la corte di Gino Ricciardi m'impensierisce, mi secca. Egli è più vanesio, ed è forse meno imbecille degli altri. Anzi… è un giovane intelligente, esperto, simpatico, colto, infarinato d'arte e di letteratura, ed è abituato a non farsi canzonare. Sicuro! Gino Ricciardi è un pericolo:… è un pericolo anche per una donna onesta.
Anche per me?
Un uomo non sarebbe pericoloso se non lo fosse per tutte le donne!
E una donna non sarebbe onesta se non lo fosse per tutti gli uomini! (Pausa.) Ma già, perchè discutere? (Severa, nervosa)… Forse, non ci tengo neppure a essere una donna onesta, e non so neppure se lo sono. Ti sposai solamente perchè t'amavo; ti sono fedele solamente perchè t'amo. Se questa è onestà, io sono onesta. (Sempre acre, sempre nervosa) E del resto, tu lo sai, tu lo comprendi come e quanto io t'ami. Se tu non lo comprendessi più, io non ti amerei più. Ed è questa, in fondo, la chiave del sedicente enigma. Non mi basta, no, che tu non sembri geloso; è necessario che tu non lo sii. Il nostro patto dovea consistere non soltanto nella forma, ma anche nella sostanza. «Io, fedele; tu, fiducioso…» Ma tu, a quale programma ti sei uniformato? Sciocco! Credi tu che io non m'accorga delle tue continue indagini e di tutto ciò che fai allo scopo di ricostruire minutamente la mia giornata, di controllare quel che ti racconto, di tenermi d'occhio, di spiarmi?
Di spiarti?!..
Di spiarmi, e peggio ancora. Un mese fa hai perfino aperta una lettera diretta a me!
Clara!
Eppure, finsi di niente, perchè… (con un moto d'orgoglio e di gentilezza pietosa) perchè mi facesti pietà. Ma, bada, Silvio. Te lo avvertii quando eravamo sposati da pochi giorni e te lo avverto ora, solennemente, per l'ultima volta: la gelosia, a lungo andare, mi renderebbe infelice, e la infelicità potrebbe rendermi colpevole. Tanto, il mio carattere non so cambiarlo. Sono nata così. Io non commetterò mai neanche un peccato di pensiero; ma non rinunzierò mai alla mia innocua libertà!.. Sono civetta? Meglio! La civetteria di una moglie serve a tante cose! – Prima di tutto la civetteria è la valvola di sicurezza dell'onestà femminile, e poi è un eccellente regime per guarire la gelosia d'un marito. Ti sono e ti sarò fedele illimitatamente; ma saresti indegno di questa mia fedeltà se tu mi offendessi col dubbio, con la diffidenza, col sospetto. E, vedi, (molto energica) ti giuro che il giorno in cui tu osassi d'accusarmi davvero, io – mettitelo bene in mente, Silvio – io mi risolverei a tradirti davvero. E adesso vattene a teatro, e arrivederci.
(umile) Arrivederci. (Indugiando ancora) Ora, sei in collera con me?..
Non sono in collera, no.
Mi perdoni?
Ti ho già perdonato: e ti perdonerò anche meglio…
(con ansia affettuosa) Quando?
Più tardi, più tardi…
Ma quando?
… Te lo dico all'orecchio…
Dimmelo forte: non c'è nessuno.
Come! Ci sei tu in frac e cravatta bianca, e ci sono io in gran toilette. In questi abiti, non si è mai veramente soli.
E allora dimmelo all'orecchio.
(gli dice qualche cosa all'orecchio con graziosità intima e birichina.)
Ti conviene?
Altro che mi conviene!.. (Continuando a ridere) Che matta!..
(annunzia) Il signor Ricciardi. (Via.)
L'uomo del pericolo!
Io te lo lascio tutto intero… sai… e me ne fuggo… perchè non vorrei che egli s'illudesse di darmi delle preoccupazioni… (Si avvia precipitosamente.)
(incontrandosi con Gino Ricciardi ed esagerando eccessivamente la fretta) Oh! caro Gino… ti aspettavamo… cioè, mia moglie t'aspettava… Io corro… Non voglio perdere neanche una nota…
Ma un momento… non scappare così …
Ho fretta… ho fretta.
È inutile d'aver fretta: il Lohengrin di stasera è andato a monte.
(fermandosi) Davvero?
(stringendo la mano a Clara) L'ho saputo un'ora fa.
E invece del Lohengrin?
Invece del Lohengrin… mi hanno annunziata la solita Gioconda.
Ah, io ve la regalo! Preferisco starmene in casa. Meno male per Silvio, a cui la Gioconda piace.
No… in verità… non ho mai detto che la Giocondami piace.
A me lo hai detto.
L'ho detto a te?!
(guarda Silvio significativamente, avvertendolo così di non cercare pretesti per rimanere.)
(intende.)
(celiando) Tante volte!
(celiando anche lui, ma a malincuore) Se tu mi assicuri… che io sono entusiasta della Gioconda, me la vado subito a godere.
Divèrtiti. E ti raccomando le danze.
Nella Gioconda non c'è che la danza… delle Ore.
Bada: ore carine, ma perdute.
Per conto mio, molto perdute!.. Buona sera!
Buona sera!