Kitabı oku: «Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 4», sayfa 12
Il più poderoso istrumento d'oppressione, con cui si armavano tali Ministri, era la legge che obbligava i Cristiani a far piene ed ampie riparazioni pe' tempj, ch'essi aveano distrutti sotto il regno antecedente. Lo zelo della trionfante Chiesa non aveva sempre aspettato la sanzione della pubblica autorità; ed i Vescovi, sicuri dell'impunità, spesso eran marciati alla testa delle loro congregazioni ad attaccare e demolir le Fortezze del Principe delle tenebre. Furono chiaramente determinate, e facilmente restituite le terre sacre, che avevano impinguato il patrimonio del Sovrano o del Clero. Ma su quelle terre, e sulle rovine della superstizione Pagana, i Cristiani avevano frequentemente innalzati i religiosi loro edifizi; e siccome bisognava distrugger la chiesa, prima che si potesse rifabbricare il tempio, da una parte applaudivasi alla giustizia ed alla pietà dell'Imperatore, mentre dall'altra si deplorava e detestava la sacrilega violenza di lui486. Dopo ch'era purgata la terra, il ristabilimento di quelle magnifiche moli, che si erano gettate a terra, e de' preziosi ornamenti che si erano convertiti in usi Cristiani, ascendeva a somme assai considerabili di danni e di debito. Gli autori del male non avevano nè abilità nè voglia di soddisfare a tali accumulate richieste; e si sarebbe fatta conoscere la imparzial saviezza di un legislatore col bilanciare le vicendevoli pretensioni e querele, mediante un equo e moderato arbitrio. Ma tutto l'Impero, e specialmente l'Oriente, cadde in confusione per gl'imprudenti editti di Giuliano, ed i Magistrati Pagani, accesi di zelo e di vendetta, abusavan del rigoroso privilegio della legge Romana, che sostituisce la persona del debitore insolvente alle sue non sufficienti sostanze. Sotto l'antecedente regno, Marco, Vescovo d'Aretusa487, avea atteso alla conversion del suo popolo con armi più efficaci di quelle della persuasione488. I Magistrati richiesero l'intera valuta del tempio, che era stato distratto dall'intollerante suo zelo; ma essendo convinti della sua povertà, bramavano sol di piegar l'inflessibile animo di lui alla promessa di una tenuissima compensazione. Essi presero il vecchio Prelato, crudelmente lo flagellarono, gli strapparono la barba, e nudato il suo corpo ed unto di mele, lo sospesero in una rete fra il cielo e la terra, esponendolo alle punture degl'insetti ed a' raggi d'un sole di Siria489. Da quell'alto luogo, Marco persistè sempre a gloriarsi del suo delitto, e ad insultar l'impotente rabbia de' suoi persecutori. Finalmente fu liberato dalle lor mani, e mandato a godere l'onore del suo divino trionfo. Gli Arriani celebravano la virtù del pio lor Confessore; i Cattolici ambivano la sua alleanza490; ed i Pagani, ch'eran suscettibili di vergogna o di rimorso, furon rattenuti dal replicare tali crudeltà infruttuose491. Giuliano risparmiò ad esso la vita; ma se il Vescovo d'Aretusa avea salvato l'infanzia di Giuliano492, la posterità dovrà condannare l'ingratitudine piuttosto che lodar la clemenza dell'Imperatore.
Alla distanza di cinque miglia d'Antiochia i Re Macedoni della Siria avean consacrato ad Apollo uno de' più eleganti luoghi di devozione nel Mondo Pagano493. Vi sorgeva un magnifico tempio in onore del Dio della luce; e la sua colossal figura494 quasi occupava tutto il vasto santuario, ch'era arricchito d'oro e di gemme, e adornato dalla perizia de' Greci artefici. Era il Nume rappresentato in uno positura curva con una coppa d'oro in mano in atto di versare una libazione sopra la terra; quasi che supplicasse la venerabil Madre a porre la fredda e bella Dafne nelle sue braccia; e quanto al luogo erasi nobilitato per mezzo d'una finzione, avendo la fantasia de' poeti Sirj trasportato l'amorosa favola dalle rive del Peneo a quelle dell'Oronte. Dalla real colonia di Antiochia s'erano imitati gli antichi riti della Grecia. Scorreva dal Castalio fonte di Dafne una profetica onda, rivale dell'oracolo Delfico, per la verità e la fama495. Nella vicina campagna s'era fabbricato uno stadio per uno special privilegio496 comprato da Elide; vi si celebravano a spese della città i giuochi Olimpici; ed ogni anno s'impiegava pel pubblico piacere un'entrata di trentamila zecchini497. Il perpetuo concorso di pellegrini e di spettatori formò insensibilmente nelle vicinanze del tempio il magnifico e popolato villaggio di Dafne, ch'emulava lo splendore senz'avere il titolo d'una città provinciale. Il tempio ed il villaggio eran situati nel fondo d'un folto bosco di lauri e di cipressi, che aveva una circonferenza di dieci miglia, e nella più calda state formava una fresca ed impenetrabile ombra. Mille rivi dell'acqua più pura, scorrendo giù da più colli, conservavano il verde della terra e la temperatura dell'aria; i sensi venivano allettati con armoniosi suoni ed aromatici odori; ed il quieto bosco era consacrato alla comodità, al piacere, ed all'amore. Il vigoroso giovane come Apollo seguitava l'oggetto de' suoi desiderj, e la rubiconda fanciulla era avvertita dal destino di Dafne a fuggir la follia d'una inopportuna durezza. Dal soldato e dal filosofo prudentemente evitavasi la tentazione di questo sensual paradiso498, dove il piacere, prendendo il carattere di religione, insensibilmente rilassava la fermezza della virile virtù. Ma i boschi di Dafne continuarono per molti secoli a godere la venerazione de' nazionali e degli stranieri; furono ampliati i privilegj di quel sacro luogo dalla munificenza de' successivi Imperatori; ed ogni generazione aggiungeva nuovi ornamenti allo splendore del Tempio499.
Allorchè Giuliano s'affrettò, nel giorno dell'annua festa, ad adorare l'Apollo di Dafne, la sua devozione era giunta al più alto segno d'ardore e d'impazienza. La vivace immaginazione di lui già gli pingeva la grata pompa delle vittime, delle libazioni e dell'incenso, una lunga processione di giovani e di fanciulle con bianche vesti, simbolo della loro innocenza, ed il tumultuoso concorso d'un innumerabile popolo. Ma lo zelo d'Antiochia, dopo il regno del Cristianesimo, avea preso una direzione diversa. Invece d'ecatombe di grassi bovi, sacrificati dalle tribù d'una ricca città al loro Dio tutelare, l'Imperatore si duole di non avervi trovato che una sola oca, provvista a spese di un sacerdote, pallido e solitario abitante del tempio cadente in rovina500. Era abbandonato l'altare, l'oracolo ridotto al silenzio, e la sacra terra profanata per l'introduzione di riti Cristiani e funebri. Dopo che Babila501, Vescovo d'Antiochia, il quale morì in carcere nella persecuzione di Decio, era stato più d'un secolo nel suo sepolcro, ne fu trasportato il corpo per ordine di Gallo Cesare nel mezzo del bosco di Dafne. Su quelle reliquie si eresse una magnifica Chiesa; si usurpò una porzione di sacre terre pel mantenimento del Clero e per la sepoltura de' Cristiani d'Antiochia, i quali erano ambiziosi di giacere a' piè del loro Vescovo; ed i sacerdoti d'Apollo si ritirarono insieme co' loro intimoriti e sdegnati seguaci. Subito che un'altra rivoluzione parve che ristabilisse la fortuna del Paganesimo, la Chiesa di S. Babila fu demolita, e furono aggiunte nuove fabbriche al rovinante edifizio, innalzato dalla pietà de' Re della Siria. Ma la prima e più seria cura di Giuliano fu quella di liberare la sua oppressa Divinità dall'odiosa presenza de' Cristiani sì vivi che morti, i quali avevano tanto efficacemente soppressa la voce della frode o dell'entusiasmo502. Il luogo infetto fu purificato, secondo le formalità degli antichi rituali; i corpi furono decentemente rimossi, ed a' Ministri della Chiesa fu permesso di trasferir le reliquie di S. Babila all'antica loro abitazione dentro le mura d'Antiochia. In quest'occasione lo zelo de' Cristiani trascurò quel modesto contegno, che avrebbe potuto quietare la gelosia d'un governo nemico. L'alto carro che trasportava le reliquie di Babila, fu seguito, accompagnato e ricevuto da un'innumerabile moltitudine, che cantava con strepitose acclamazioni i salmi di David, i più espressivi del suo disprezzo per gl'idoli e per gl'idolatri. Il ritorno del Santo fu un trionfo, ed il trionfo un insulto alla religion dell'Imperatore, che fece pompa della sua vanità per dissimulare lo sdegno. Nella notte medesima, in cui terminò questa processione, il tempio di Dafne andò in fiamme; la statua d'Apollo fu consumata; e le mura dell'edifizio restarono un nudo ed orrido monumento di rovina. I Cristiani d'Antiochia asserivano, con religiosa sicurezza, che la potente intercessione di S. Babila avea diretto i fulmini del cielo contro quel dannato tetto; ma trovandosi Giuliano ridotto all'alternativa di credere o un delitto o un miracolo, volle piuttosto senza esitare, senza prove, ma con qualche apparenza di probabilità, imputare l'incendio di Dafne alla vendetta de' Galilei503. Se si fosse sufficientemente provato il loro delitto, questo avrebbe potuto giustificar la vendetta, che fu immediatamente eseguita per ordine di Giuliano, di chiuder le porte, e di confiscare i beni della Cattedrale d'Antiochia. Per iscoprire i rei del tumulto e dell'incendio, e dell'occultazione delle ricchezze della Chiesa, furon tormentati varj Ecclesiastici504; e fu decapitato un prete, chiamato Teodoro, per sentenza del Conte d'Oriente. Ma questo precipitoso atto fu biasimato dall'Imperatore, che si dolse con reale o affettato interesse, che l'imprudente zelo de' suoi Ministri avrebbe macchiato il suo regno colla taccia della persecuzione505.
Lo zelo de' Ministri di Giuliano fu subito raffrenato dalla disapprovazione del loro Principe; ma quando il padre d'uno Stato si dichiara Capo d'una fazione, non può facilmente ritenersi, nè punirsi efficacemente la licenza del furor popolare. Giuliano, in un pubblico componimento, applaude alla devozione e fedeltà delle sante città della Siria, i pietosi abitanti delle quali avevano al primo segnale distrutto i sepolcri de' Galilei; e debolmente si lagna, che vendicato avessero l'ingiurie degli Dei con minor moderazione di quella ch'esso avrebbe raccomandata506. Può sembrar, che tale imperfetta e ripugnante confessione confermi le narrazioni ecclesiastiche, che nelle città di Gaza, d'Ascalona, di Cesarea, d'Eliopoli ec., i Pagani abusassero senza prudenza o rimorso del momento di loro prosperità; che gl'infelici oggetti di lor crudeltà non finissero d'esser tormentati che colla morte; che i loro laceri corpi essendo trascinati per le strade (tal era la rabbia universale) si pungessero dagli spiedi de' cuochi e dalle rocche delle infuriate donne, e che dopo d'essersi gustate da quegli inumani fanatici le viscere di preti e di vergini Cristiane, venisser mescolate con orzo, ed ignominiosamente gettate agl'immondi animali delta città507. Tali scene di religiosa pazzia presentano la più dispregevole ed odiosa pittura della natura umana; ma la strage di Alessandria richiama anche maggiore attenzione per la certezza del fatto, per la qualità delle vittime e per lo splendore della Capitale d'Egitto.
Giorgio508, pe' suoi genitori o per l'educazione soprannominato il Cappadoce, era nato a Epifania in Cilicia nella bottega d'un purgatore di panni. Da tale oscura e servile origine s'innalzò colle arti di parassito; ed i padroni, ch'esso continuamente adulava, procurarono per l'indegno lor dipendente una lucrosa commissione o impiego di provvedere il lardo per l'esercito. Il suo uffizio era basso, ma ei lo rendè infame. Accumulò ricchezze colle arti più vili della frode e della corruzione; e furono così notori i suoi inganni, che Giorgio fu costretto a fuggire dalle ricerche della giustizia. Dopo questa disgrazia, nella quale sembra che salvasse la sua ricchezza a spese dell'onore, abbracciò con reale od affettato zelo la professione dell'Arrianismo. Per amore, o per ostentazion di dottrina, raccolse una stimabile libreria d'istoria, di rettorica, di filosofia e di teologia509, e la scelta del partito, che prevaleva, promosse al posto d'Atanasio Giorgio di Cappadocia. L'ingresso del nuovo Arcivescovo fu quello d'un barbaro conquistatore; ed ogni momento del suo regno fu contaminato dalla crudeltà e dall'avarizia. I Cattolici d'Alessandria e dell'Egitto restarono abbandonati ad un tiranno, inclinato per natura e per educazione ad esercitar l'uffizio di persecutore; ma egli oppresse con mano imparziale tutti i varj abitanti della sua estesa Diocesi. Il Primate dell'Egitto assunse la pompa e l'insolenza dell'alto suo posto; ma sempre fece conoscere i vizj della sua bassa e servii estrazione. S'impoverirono i mercanti d'Alessandria per l'ingiusto e quasi universal monopolio, ch'egli acquistò del nitro, e del sale, della carta, de' funerali ec., ed il padre spirituale d'un gran popolo s'abbassava a praticar le vili e perniciose arti di delatore. Gli Alessandrini non poterono mai dimenticare o perdonargli la tassa, ch'ei suggerì sopra tutte le case della città, sotto l'antiquato pretesto che il real fondatore di essa avea trasferito ne' Tolomei e ne' Cesari, suoi successori, la perpetua proprietà del suolo. I Pagani, a cui lusinghevolmente s'era fatto sperare libertà e tolleranza, eccitarono la sua devota avarizia, ed i ricchi tempj d'Alessandria furono o saccheggiati o insultati dall'altero Prelato, ch'esclamava con alta e minacciante voce. «E fino a quando si permetterà, che questi sepolcri sussistano?» Sotto il regno di Costanzo, egli fu scacciato dal furore o piuttosto dalla giustizia del popolo; e non senza un violento contrasto, la forza civile e militare dello Stato potè ristabilire l'autorità, e soddisfare la sua vendetta. Il corriere, che promulgò in Alessandria l'avvenimento di Giuliano al trono, annunziò anche la caduta dell'Arcivescovo. Giorgio, insieme con due dei suoi ossequiosi ministri, il conte Diodoro e Draconzio soprintendente della zecca, furono ignominiosamente condotti in catene nelle pubbliche carceri. Al termine di ventiquattro giorni, fu aperta per forza la prigione dal furore d'una superstiziosa moltitudine, impaziente delle noiose formalità delle processure giudiciali. I nemici degli Dei, e degli uomini spirarono fra' loro crudeli insulti; i morti corpi dell'Arcivescovo e de' suoi compagni furon portati in trionfo per le strade sul dorso d'un cammello: e l'inattività del partito d'Atanasio510 fu stimata uno splendido esempio d'Evangelica pazienza. Gli avanzi di questi rei miserabili furon gettati nel mare; ed i Capi del popolar tumulto dichiararono il loro disegno d'impedir la devozione de' Cristiani ed i futuri onori di questi martiri, ch'erano stati puniti, come i loro predecessori, da' nemici della lor religione511. I timori de' Pagani eran giusti, ma non servirono le loro precauzioni. La meritata morte dell'Arcivescovo cancellò la memoria della sua vita. Il rival d'Atanasio era caro e sacro agli Arriani, e l'apparente conversione di questi Settarj introdusse il culto di lui nel seno della Chiesa Cattolica512. L'odioso straniero, dissimulata ogni circostanza di tempo e di luogo, assunse la maschera di martire, di santo, e d'eroe Cristiano513, e l'infame Giorgio di Cappadocia fu trasformato514 nel celebre S. Giorgio d'Inghilterra, avvocato dell'armi, della cavalleria e dell'ordine della giarrettiera515.
Verso quel tempo stesso, che Giuliano seppe il tumulto d'Alessandria, ebbe notizia da Edessa, che la superba e ricca fazione degli Arriani aveva insultato la debolezza de' Valentiniani, e commesso tali disordini, che non si doveano impunemente soffrire in uno Stato ben regolato. Senz'aspettare le lente formalità della giustizia, l'esacerbato Principe diresse i suoi ordini a' Magistrati d'Edessa516, co' quali confiscava tutti i beni della Chiesa: il danaro fu distribuito a' soldati, e le terre addette al fisco; e quest'atto d'oppressione fu aggravato dalla più bassa ironia. «Io mi dimostro» dice Giuliano: «il vero amico de' Galilei. L'ammirabile lor legge ha promesso il regno de' Cieli al povero, ed essi potranno avanzarsi con maggior facilità nel cammino della virtù e della salute, qualora siano, mediante la mia assistenza, sollevati dal peso de' beni temporali. Guardate bene» prosegue il Monarca in un tuono più serio «guardate bene di non provocar la mia pazienza e mansuetudine. Se continuano questi disordini, io vendicherò i delitti del popolo sui Magistrati; e voi avrete motivo di temere non solo la confiscazione e l'esilio, ma eziandio il ferro ed il fuoco». I tumulti d'Alessandria eran senza dubbio d'una più atroce e pericolosa natura; ma era stato ucciso un Vescovo Cristiano per le mani de' Pagani, e la pubblica lettera di Giuliano somministra una viva prova dello spirito parziale del suo governo. Le sue riprensioni ai Cittadini d'Alessandria son mescolate con espressioni di stima e di tenerezza; e si duole che in questa occasione si fossero allontanati dalle gentili e generose maniere, che indicano la lor Greca origine. Gravemente censura la colpa che avevan commessa contro le leggi di giustizia e di umanità; ma ricapitola con visibile compiacenza le intollerabili provocazioni che avevan sì lungamente sofferte dall'empia tirannia di Giorgio di Cappadocia. Giuliano ammette il principio, che un saggio e vigoroso governo dovrebbe gastigar l'insolenza del popolo; pure in considerazione del lor fondatore Alessandro e di Serapide lor Divinità tutelare, concede un libero e grazioso perdono alla colpevole città, per la quale di nuovo sente l'affezione di fratello517.
Quietato che fu il tumulto d'Alessandria, Atanasio, in mezzo alle pubbliche acclamazioni, s'assise sulla cattedra, dalla quale il suo indegno competitore l'aveva precipitato; e siccome lo zelo dell'Arcivescovo era temperato dalla discrezione, così l'esercizio della sua autorità tendeva non ad accendere, ma a riconciliare le menti del popolo. Le sue pastorali fatiche non si limitavano agli angusti confini dell'Egitto. Era presente all'attivo e capace suo spirito lo stato del Mondo Cristiano; e l'età, il merito, la riputazione d'Atanasio l'abilitarono a prendere in un momento di pericolo il posto d'Ecclesiastico Dittatore518. Non erano ancor passati tre anni, da che la maggior parte dei Vescovi dell'Occidente aveva per ignoranza o contro voglia soscritto la confessione di Rimini. Se ne pentivano essi, credevano, ma temevan l'inopportuno rigore dei loro ortodossi fratelli; e se la vanità fosse stata in essi più forte della fede, potevano anche gettarsi in braccio agli Arriani per evitare l'indegnità d'una pubblica penitenza, che li avrebbe ridotti allo stato d'oscuri laici. Nel tempo stesso, agitavansi con qualche calore fra i dottori Cattolici le domestiche differenze intorno all'unione e distinzione delle persone Divine; e pareva che il progresso di tal metafisica disputa minacciasse una pubblica e costante divisione delle Chiese, Greca e Latina. Dalla saviezza d'uno scelto Sinodo, a cui la presenza ed il nome d'Atanasio diede l'autorità d'un Concilio Generale, i Vescovi, ch'erano imprudentemente deviati nell'errore, furono ammessi alla comunion della Chiesa con la facile condizione di soscrivere il Simbolo Niceno, senza prendere alcuna formal cognizione della passata loro mancanza, o d'alcuna minuta definizione dei loro scolastici sentimenti. L'avviso del Primate d'Egitto avea già preparato il Clero della Gallia e della Spagna, dell'Italia e della Grecia, ad ammetter questo salutevole regolamento; e nonostante l'opposizione di alcuni fervidi spiriti519, il timore del comun nemico promosse la pace e l'armonia dei Cristiani520.
L'abilità e la diligenza del Primate d'Egitto avea profittato dal tempo di tranquillità, avanti che fosse interrotto dagli ostili editti dell'Imperatore521. Giuliano, che deprezzava i Cristiani, onorava Atanasio del sincero e particolare suo odio. Solo per causa di lui introdusse una distinzione arbitraria, che ripugnava almeno allo spirito delle sue precedenti dichiarazioni. Sostenne, che i Galilei, che avea richiamati dall'esilio, non venivano ristabiliti, mediante quella generale indulgenza, nel possesso delle respettive lor Chiese; e si dimostrò sorpreso, che un reo, che era stato più volte condannato dal giudizio degl'Imperatori, ardisse d'insultare la maestà delle leggi, ed insolentemente usurpare la sede Archiepiscopale d'Alessandria, senz'aspettar gli ordini del suo Sovrano. In pena dell'immaginario delitto, bandì Atanasio di nuovo dalla città, e si compiacque di supporre, che questo atto di giustizia sarebbe stato sommamente grato ai devoti suoi sudditi. Le vive sollecitazioni del popolo tosto lo convinsero, che la maggior parte degli Alessandrini eran Cristiani, e che la massima parte dei Cristiani era stabilmente attaccata alla causa dell'oppresso loro Primate. Ma la cognizione dei loro sentimenti, invece di persuaderlo a revocare il decreto, lo trasse ad estendere a tutto l'Egitto il termine dell'esilio d'Atanasio. Lo zelo della moltitudine rendè Giuliano sempre più inesorabile; lo mise in agitazione il pericolo di lasciare alla testa d'una tumultuosa città un Capo intraprendente o popolare, ed il linguaggio della sua collera scuopre l'opinione che egli aveva del coraggio e dell'abilità d'Atanasio. Era tuttavia differita l'esecuzione della sentenza per la cautela o negligenza d'Ecdicio, Prefetto dell'Egitto, che finalmente fu svegliato dal suo letargo con una riprensione severa. «Quantunque voi trascuriate (dice Giuliano) di scrivermi sopra qualunque altro soggetto, almeno è vostro dovere d'informarmi della vostra condotta verso Atanasio, nemico degli Dei. Vi è stata da gran tempo comunicata la mia intenzione. Giuro pel gran Serapide, che se alle calende di Decembre Atanasio non è partito da Alessandria, anzi dall'Egitto, i Ministri del vostro governo pagheranno una pena di cento libbre d'oro. Voi conoscete il mio naturale: io son lento a condannare, ma sempre più lento a perdonare». A questa lettera s'aggiunse vigore con tal breve poscritto di carattere dell'Imperatore medesimo. «Il disprezzo, che si dimostra verso tutti gli Dei, mi riempie di dispiacere e di sdegno. Non v'è cosa, che io vedessi, o ascoltassi con maggiore piacere, che l'espulsion d'Atanasio da tutto l'Egitto. Abbominevole scellerato! Sotto il mio regno le sue persecuzioni han cagionato il battesimo di più Dame Greche del più alto grado522». Non fu espressamente comandata la morte d'Atanasio, ma il Prefetto dell'Egitto comprese, che era più sicuro per lui l'eccedere che il trascurare i comandi d'uno sdegnato Signore. L'Arcivescovo prudentemente si ritirò ai monasteri del deserto; eluse con la solita sua destrezza i lacci del nemico; e visse per trionfar sulle ceneri di un Principe, che in termini di formidabil trasporto avea dichiarato di bramare, che tutto il veleno della scuola Galilea si riunisse nella sola persona d'Atanasio523.
Ho procurato di rappresentar fedelmente l'artificioso sistema, con cui Giuliano si propose d'ottenere gli effetti della persecuzione, senza incorrerne la colpa, o la taccia. Ma se un mortale spirito di fanatismo pervertì il cuore e la mente d'un Principe virtuoso, bisogna nel tempo stesso confessare, che i patimenti reali dei Cristiani furono promossi ed accresciuti dalle passioni umane e dal religioso entusiasmo. La mansuetudine e rassegnazione, che avea distinto i primi discepoli del Vangelo, era l'oggetto dell'applauso piuttosto che dell'imitazione dei loro successori. I Cristiani, che a quel tempo aveano posseduto più di quarant'anni il governo civile ed ecclesiastico dell'Impero, avevano contratto gli insolenti vizi della prosperità524 e l'abito di credere, che i soli Santi avessero diritto di regnare sopra la terra. Appena l'inimicizia di Giuliano spogliò il Clero dei privilegi, che gli erano stati conceduti dal favore di Costantino, si lamentarono della più crudele oppressione; e la libera tolleranza degl'Idolatri e degli Eretici fu un motivo di dolore e di scandalo per la parte ortodossa525. Gli atti di violenza, che non erano più favoriti dai Magistrati, si commettevan sempre dallo zelo del popolo. A Pessino, fu rovesciato quasi in presenza dell'Imperatore l'altare di Cibele; e nella città di Cesarea nella Cappadocia fu distrutto il tempio della Fortuna, che era l'unico luogo di culto lasciato ai Pagani. In tali occasioni un Principe, che aveva a cuore l'onor degli Dei, non era disposto ad interrompere il corso della giustizia; ed il suo animo era sempre più fortemente inasprito, allorchè vedeva che i fanatici, i quali avevan meritata e portata la pena degl'incendiari, venivan premiati con gli onori del martirio526. I sudditi Cristiani di Giuliano eran sicuri degli ostili disegni del loro Principe; ed ogni circostanza del suo governo potea somministrare alla gelosa loro apprensione qualche fondamento di disgusto e di sospetto. Nell'amministrazione ordinaria della giustizia i Cristiani che formavano una porzione sì grande del popolo, dovevano esser frequentemente condannati; ma i loro indulgenti fratelli, senz'esaminare il merito delle cause li supponevano innocenti, ne accordavano le pretensioni, ed imputavan la severità del lor giudice alla parzial malizia d'una religiosa persecuzione527. I travagli presenti, per quanto parer potessero intollerabili, si rappresentavano come un leggiero preludio delle imminenti calamità. I Cristiani risguardavan Giuliano come un crudele ed artificioso tiranno, che sospendeva l'esecuzione della sua vendetta, finchè fosse tornato vittorioso dalla guerra Persiana. Essi aspettavano che tosto che avesse trionfato degli esterni nemici di Roma, si sarebbe tolta dal viso la molesta maschera della dissimulazione; che gli anfiteatri si sarebber veduti inondati del sangue di Eremiti e di Vescovi; e che i Cristiani, che avessero perseverato nella profession della fede, verrebbero privati dei comuni benefizi della natura e della società528. Ogni calunnia529, che ferir potesse la riputazione dell'Apostata veniva subito creduta dal timore e dall'odio de' suoi avversari; ed i loro indiscreti clamori provocavano l'indole d'un Sovrano, ch'era loro dovere di rispettare, e loro interesse di addolcire. Continuavano in vero a protestare che le preghiere e le lagrime erano le uniche loro armi contro l'empio tiranno, il capo del quale rilasciavano alla giustizia del Cielo oltraggiato. Ma con torva risolutezza facean capire, che la lor sommissione non era più l'effetto della debolezza, e che nello stato imperfetto dell'umana virtù, la pazienza, che solo è fondata sopra le massime, potava esaurirsi dalla persecuzione. Non può determinarsi fino a qual segno lo zelo di Giuliano ne avrebbe superato il buon senso e l'umanità, ma se riflettiamo seriamente alla forza ed allo spirito della Chiesa, resteremo convinti, che prima di poter estinguere la religione di Cristo, l'Imperatore avrebbe dovuto involgere lo Stato negli orrori d'una guerra civile530.