Kitabı oku: «Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 7», sayfa 10
La differenza di religione è sempre dannosa, e spesso fatale alla buona armonia fra il Principe ed il Popolo. Il Conquistatore Gotico era stato educato nella professione dell'Arrianismo, e l'Italia era devotamente attaccata alla Fede Nicena. Ma la persuasione di Teodorico non era infetta di zelo, ed ei piamente aderiva all'eresia de' suoi Padri, senza stare a bilanciare i sottili argomenti della Metafisica teologica. Soddisfatto della privata tolleranza de' suoi Arriani Settarj, giustamente si risguardò come il protettore del Culto pubblico, e l'esterna sua reverenza per una superstizione, che disprezzava, può aver nutrito nella sua mente la salutare indifferenza d'un politico o d'un Filosofo. I Cattolici de' suoi dominj confessarono, forse con ripugnanza, la pace della Chiesa; il loro Clero veniva onorevolmente ricevuto, secondo i gradi della dignità o del merito, nel palazzo di Teodorico; egli stimò la santità di Cesario413 e d'Epifanio414, Vescovi ortodossi d'Arles e di Pavia, quando erano tuttora in vita; e presentò una decente offerta sulla tomba di S. Pietro, senz'alcuna scrupolosa ricerca sopra la fede di quell'Apostolo415. Fu permesso a' Goti suoi favoriti, e fino alla stessa sua madre di ritenere o d'abbracciar la Fede Atanasiana416, ed il lungo suo Regno non può somministrar l'esempio neppur d'un Cattolico italiano, che o per elezione o per forza passasse alla religione del Conquistatore417. Il Popolo ed i Barbari stessi erano edificati dalla pompa e dall'ordine del Culto religioso; a' Magistrati era ingiunto di mantenere le giuste immunità delle persone e delle cose ecclesiastiche; i Vescovi tenevano i loro Sinodi; i Metropolitani esercitavano la loro giurisdizione; e venivano conservati o moderati i privilegi del Santuario secondo lo spirito della Giurisprudenza Romana. Teodorico assunse insieme con la protezione anche la legittima supremazia della Chiesa e la sua costante amministrazione fece risorgere o estese alcune utili prerogative, che si erano trascurate dai deboli Imperatori d'Occidente. Ei non ignorava la dignità e l'importanza del Romano Pontefice, a cui erasi allora appropriato il venerabil nome di Papa. La pace o la turbolenza d'Italia potea dipendere dal carattere d'un Vescovo ricco e popolare, che s'attribuiva un sì vasto dominio tanto in Cielo che in Terra, e che in un numeroso Concilio era stato dichiarato puro da ogni colpa, ed esente da ogni giudizio418. Allorchè dunque la Cattedra di S. Pietro si disputava tra Simmaco e Lorenzo, essendo egli giudice, i medesimi comparvero al Tribunale d'un Re Arriano, ed esso confermò l'elezione del candidato più degno o più ossequioso. Verso il fine della sua vita, in un momento di gelosia e di sdegno, prevenne la scelta de' Romani, nominando egli un Papa nel Palazzo di Ravenna. Frenò dolcemente il pericolo e le furiose conquiste d'uno scisma, e diede vigore all'ultimo decreto del Senato per estinguere, s'era possibile, la scandalosa venalità dell'Elezioni Pontificie419.
Io mi sono esteso con piacere sopra la felice condizione dell'Italia; ma non dobbiamo per questo addirittura immaginarci che sotto la conquista de' Goti si realizzasse l'età dell'oro de' Poeti, o vi esistesse una razza di uomini senza vizi o miserie. Questo bel prospetto venne talvolta oscurato da qualche nube; potè ingannarsi la saviezza di Teodorico, il suo potere trovar della resistenza, e fu macchiata la cadente età del Monarca dall'odio popolare, e dal sangue Patrizio. Nella prima insolenza della vittoria egli aveva tentato di spogliare tutto il partito d'Odoacre de' civili e fino de' naturali diritti della Società420; una tassa, inopportunamente imposta dopo le calamità della guerra, avrebbe distrutto l'agricoltura nascente della Liguria, ed una rigorosa preferenza nella compra del grano, ch'era destinato al pubblico sollievo, aggravar doveva le angustie della Campania. Svanirono, è vero, questi pericolosi progetti mediante la virtù e l'eloquenza d'Epifanio e di Boezio, che alla presenza di Teodorico medesimo difesero con buon esito la causa del Popolo421; ma sebbene l'orecchio Reale fosse aperto alla voce della verità, non posson sempre trovarsi un Santo e un Filosofo all'orecchio de' Re. Troppo spesso la frode Italiana, e la violenza Gotica s'abusavano dei privilegi del grado, dell'impiego, o del favore, e fu esposta agli occhi del pubblico l'avarizia del nipote del Re, prima per mezzo dell'usurpazione, e poi della restituzion de' dominj, ch'esso aveva estorto ingiustamente da' Toscani di lui vicini. Erano stanziati nel cuor dell'Italia dugentomila Barbari, formidabili anche allo stesso loro Signore; sdegnavano essi di soffrire i freni della pace e della disciplina; sempre si sentivano i disordini della loro condotta, e sol qualche volta potevano ripararsi; e quando era pericoloso il punire gli eccessi della nativa loro fierezza, bisognava prudentemente dissimularli. Allorchè l'indulgente Teodorico ebbe rimesso i due terzi del tributo Ligure, s'adattò a spiegare la difficoltà della sua situazione, ed a dolersi de' gravi, quantunque inevitabili pesi, che imponeva a' suoi sudditi per la propria loro difesa422. Quest'ingrati sudditi non poterono mai cordialmente famigliarizzarsi coll'origine, con la religione, o anche con le virtù del Goto Conquistatore; si erano dimenticate le passate calamità, e la felicità de' tempi presenti rendeva sempre più forte il sentimento o il sospetto delle ingiurie.
Anche quella religiosa tolleranza, che Teodorico ebbe la gloria d'introdurre nel Mondo cristiano, era dispiacevole ed offensiva per l'ortodosso zelo degl'Italiani. Rispettavano essi l'eresia armata de' Goti, ma il pio loro furore si dirigeva con sicurezza contro i ricchi e non difesi Giudei, che si erano stabiliti a Napoli, a Roma, a Ravenna, a Milano ed a Genova per vantaggio del commercio, e sotto la sanzione delle Leggi423. N'erano insultate le persone, saccheggiati gli averi, e bruciate le sinagoghe dalla furibonda plebaglia di Ravenna e di Roma, infiammata, per quanto sembra, da' più frivoli o stravaganti pretesti. Un Governo, che avesse potuto trascurar tale oltraggio, l'avrebbe certamente meritato. Se ne formava dunque addirittura legalmente un processo; se gli autori del tumulto si fossero confusi nella moltitudine, tutta la Comunità veniva condannata a risarcire il danno; e i bacchettoni ostinati, che ricusavano di contribuirvi, eran frustati pubblicamente per mano del carnefice. Questo semplice atto di giustizia esacerbava il disgusto de' Cattolici, che applaudivano al merito ed alla pazienza di que' santi Confessori; trecento pulpiti deploravano la persecuzion della Chiesa, e se per ordine di Teodorico a Verona fu demolita la Cappella di S. Stefano, è probabile, che in quel sacro teatro si facesse qualche miracolo contro il nome e la dignità del medesimo. Il Re d'Italia conobbe al termine di una vita gloriosa, ch'ei s'era concitato l'odio d'un Popolo, di cui aveva tanto assiduamente procurato di promuovere la felicità; e fu inasprito l'animo suo dallo sdegno, dalla gelosia e dall'amarezza d'un amore non corrisposto. S'indusse dunque il Conquistatore gotico a disarmare gl'imbelli nativi d'Italia con proibir loro qualunque arme offensiva, ad eccezione solo di un piccol coltello per gli usi domestici. Il liberatore di Roma fu accusato di cospirare co' più vili delatori contro le vite de' Senatori, ch'ei sospettava che avessero una segreta e perfida corrispondenza con la Corte Bizantina424. Dopo la morte d'Anastasio, fu posto il diadema sul capo ad un debole vecchio; ma prese le redini del Governo Giustiniano di lui nipote, che già meditava l'estirpazione dell'eresia, e la conquista dell'Italia e dell'Affrica. Una rigida legge, che fu promulgata in Costantinopoli, ad oggetto di ridurre gli Arriani, col timor della pena, in grembo alla Chiesa, risvegliò il giusto risentimento di Teodorico, il quale domandò per gli angustiati suoi fratelli d'Oriente quella medesima indulgenza, ch'egli aveva da tanto tempo concessa a' Cattolici de' suoi dominj. Un severo di lui comando fece imbarcare il Pontefice Romano con quattro illustri Senatori per un'Ambasceria di cui doveva questi temere ugualmente il buono che il cattivo successo. La singolar venerazione dimostrata al primo Papa che visitò Costantinopoli, fu punita come un delitto dal geloso di lui Monarca; l'artificioso o perentorio rifiuto della Corte Bizantina potè scusare un ugual contegno, e provocarne uno anche più duro; e si preparò in Italia un ordine di proibire, dopo un dato giorno l'esercizio del Culto Cattolico. La bacchettoneria de' propri sudditi, e de' suoi nemici trasse il più tollerante de' Principi sull'orlo della persecuzione; e la vita di Teodorico fu troppo lunga quando arrivò a condannar la virtù di Boezio, e di Simmaco425.
Il Senatore Boezio426 è l'ultimo dei Romani, che Catone o Tullio avrebber riconosciuto per loro concittadino. Essendo un ricco orfano, ereditò il patrimonio, e gli onori della Famiglia Anicia: nome ambiziosamente preso da' Re e dagl'Imperatori di quel tempo, ed il nome di Manlio mostrava la sua genuina o favolosa discendenza da una stirpe di Consoli e Dittatori, che aveano rispinti i Galli dal Campidoglio, e sacrificato i loro figli alla disciplina della Repubblica. Nella gioventù di Boezio non erano del tutto abbandonati gli studj di Roma; tuttavia esiste un Virgilio427 corretto della mano di un Console; e la liberalità de' Goti manteneva i Professori di Grammatica, di Rettorica, e di Giurisprudenza ne' loro privilegi e stipendi. Ma la scienza, che potea trarre dalla Lingua latina, non era sufficiente a saziare l'ardente sua curiosità; e si dice, che Boezio impiegasse diciotto anni affaticandosi nelle scuole di Atene428, ch'erano sostenute dallo zelo, dalla dottrina e dalla diligenza di Proclo, e dei suoi Discepoli. Fortunatamente la ragione e la pietà del Romano loro Alunno restarono immuni del contagio del mistero e della magia, che contaminavano i boschetti dell'Accademia; ma egli s'imbevve dello spirito, ed imitò il metodo dei viventi e defunti suoi maestri, che tentavano di conciliare i forti e sottili sentimenti d'Aristotele, con la devota contemplazione e sublime fantasia di Platone. Dopo il suo ritorno a Roma, ed il suo matrimonio con la figlia del Patrizio Simmaco, suo amico, Boezio continuò in un Palazzo d'avorio e di marmo a coltivare i medesimi studj429. La Chiesa restò edificata dalla profonda sua difesa della Fede ortodossa contro l'eresie Arriana, Eutichiana e Nestoriana; e fu da lui spiegata o esposta la cattolica unità in un formal Trattato mediante l'indifferenza delle tre distinte sebbene consustanziali Persone. Per vantaggio de' suoi lettori Latini, sottopose il suo genio ad insegnare i primi elementi delle arti e delle scienze della Grecia. L'Instancabile penna del Senator Romano tradusse ed illustrò la Geometria d'Euclide, la musica di Pitagora, l'aritmetica di Nicomaco, la meccanica d'Archimede, l'astronomia di Tolomeo, la teologia di Platone, e la logica d'Aristotele col commentario di Porfirio, ed ei solo era stimato capace di descriver le maraviglie dell'arte, come un orologio solare, un orologio ad acqua, o una sfera che rappresentasse i moti dei Pianeti. Da queste astruse speculazioni, Boezio s'abbassava, o, per meglio dire, innalzavasi ai doveri sociali della vita pubblica e privata: la sua liberalità sollevava l'indigente; e la sua eloquenza, che dall'adulazione si potè paragonare alla voce di Demostene o di Cicerone, s'esercitava ugualmente nel difender la causa dell'innocenza e dell'umanità. Un merito sì riguardevole fu conosciuto e premiato da un illuminato Principe; la dignità di Boezio si adornò co' titoli di Console e di Patrizio, e ne furono utilmente impiegati i talenti nell'importante carica di Maestro degli Ufizi. Nonostanti gli uguali diritti dell'Oriente e dell'Occidente, furono due suoi figli, nella tenera lor gioventù, creati Consoli del medesimo anno430. Nel memorabile giorno della loro inaugurazione si portarono essi con solenne pompa dal loro Palazzo nel Foro, in mezzo all'applauso del Senato e del Popolo; ed il lieto lor genitore, dopo aver recitato un'Orazione in lode del suo Real benefattore, distribuì un trionfal donativo ne' giuochi del Circo. Boezio, prospero nella fama e negli averi, nei pubblici onori e nelle relazioni private, nella cultura delle scienze e nella coscienza della propria virtù, avrebbe potuto chiamarsi felice, se questo precario epiteto si potesse applicare all'uomo con sicurezza prima ch'ei giunga al fin della sua vita.
Un Filosofo, liberale della sua ricchezza e parco del suo tempo, doveva essere insensibile alle comuni lusinghe dell'ambizione, alla sete dell'oro e degl'impieghi, e può in qualche modo credersi all'asserzione di Boezio, ch'egli aveva con ripugnanza ubbidito al divino Platone, che ad ogni virtuoso Cittadino impone l'obbligo di liberar lo Stato dall'usurpazione del vizio e dell'ignoranza. Quanto alla purità della pubblica sua condotta, se ne rimette alla memoria dei suoi Concittadini. Aveva la sua autorità frenato l'orgoglio e l'oppressione degli Ufiziali regj, ed aveva la sua eloquenza liberato Pauliano da' cani del Palazzo. Egli aveva sempre compassionato, e spesse volte sollevato le miserie de' Provinciali, i beni de' quali erano esausti dalla pubblica e privata rapacità; ed il solo Boezio ebbe il coraggio d'opporsi alla tirannia de' Barbari, insuperbiti dalla conquista, eccitati dall'avarizia, ed incoraggiati, com'ei si duole, dall'impunità. In queste onorevoli battaglie il suo spirito era superiore alle considerazioni del pericolo, e forse anche della prudenza, e possiamo apprendere dall'esempio di Catone, che un carattere di pura ed inflessibil virtù e il più capace di far lega col pregiudizio, di esser riscaldato dall'entusiasmo, e di confondere le inimicizie private con la pubblica giustizia. Il discepolo di Platone poteva esagerare le debolezze della Natura, e le imperfezioni della Società; e la forma d'un Governo gotico anche la più dolce, e fino lo stesso peso di fedeltà e di gratitudine, doveva essere insopportabile allo spirito libero d'un Cittadino romano. Ma il favore e la fedeltà di Boezio diminuirono appunto in proporzione della pubblica felicità; e fu aggiunto un indegno collega a dividere, e contrabbilanciare il potere del Maestro degli Ufizi. Negli ultimi oscuri tempi di Teodorico ei sentì con isdegno, ch'era uno schiavo; ma siccome il padrone di lui non aveva potere che sopra la sua vita, resistè senz'armi e senza timore in faccia ad un irato Barbaro, ch'era stato indotto a credere, che la salvezza del Senato fosse incompatibile con la propria. Il Senatore Albino era stato accusato, e già convinto sulla presunzione di sperare, come si diceva, la libertà di Roma. «Se Albino è reo, esclamò l'Oratore, il Senato, ed io stesso siamo tutti colpevoli del medesimo delitto. Se noi siamo innocenti, anche Albino ha diritto alla protezion delle Leggi». Queste Leggi potevano in vero non punire il nudo e semplice desiderio di un bene, che non potea conseguirsi; ma dovevano esser meno indulgenti per la temeraria confession di Boezio, che s'egli avesse avuto notizia di una cospirazione, non avrebbe mai avuta questa notizia il Tiranno431. L'Avvocato d'Albino fu tosto involto nel pericolo e forse nel delitto del suo cliente; fu posta la loro sottoscrizione (ch'essi negarono come una falsità) all'original documento, che invitava l'Imperatore a liberar l'Italia da' Goti, e tre testimoni di onorevole condizione, ma forse d'infame riputazione, attestarono i proditorj disegni del Patrizio Romano432. Pure se ne dee presumere l'innocenza, giacchè Teodorico lo privò de' mezzi di giustificarsi, e lo confinò rigorosamente nella torre di Pavia, mentre il Senato, alla distanza di cinquecento miglia, pronunziò la sentenza di confiscazione e di morte contro il più illustre de' suoi membri. D'ordine de' Barbari, l'occulta scienza d'un Filosofo fu infamata coi nomi di sacrilegio e di magia433. Un devoto e rispettoso attacco al Senato, dalle tremanti voci de' Senatori medesimi fu condannato come colpevole; e la loro ingratitudine meritò bene il desiderio o la predizione di Boezio, che dopo di lui non si fosse trovato alcun reo del medesimo delitto434.
Mentre Boezio, carico di catene, ad ogni momento aspettava la sentenza o il colpo di morte, compose nella torre di Pavia la Consolazione della Filosofia, aureo libro, non indegno della penna di Platone o di Tullio, ma che riceve un merito incomparabile dalla barbarie de' tempi, e dalla situazione dell'Autore. Quella guida celeste, ch'egli aveva per tanto tempo invocato in Roma ed in Atene, discese allora ad illuminare la sua prigione, a ravvivare il suo coraggio, ed a versare nelle sue ferite il salutare di lei balsamo. Essa gl'insegnò a paragonare la lunga prosperità, da lui goduta, con la sua presente miseria, ed a concepire nuove speranze dall'incostanza della fortuna. La ragione l'avea informato della precaria qualità dei suoi doni; l'esperienza l'avea convinto del reale valore di essi; ei gli avea goduti senza colpa; poteva dunque spogliarsene senza neppure un sospiro, e tranquillamente sdegnar l'impotente malizia de' suoi nemici, che gli avevan lasciato la felicità, mentre non avevan potuto togliergli la virtù. Dalla terra, Boezio innalzavasi verso il Cielo in cerca del Sommo Bene; esplorava il metafisico laberinto del caso e del destino, della prescienza e della libertà, del tempo e dell'eternità; e generosamente procurava di conciliare i perfetti attributi della Divinità, con gli apparenti disordini del suo fisico e morale Governo. Tali motivi di consolazione, sì ovvj, sì vaghi o sì astrusi, sono inefficaci a vincere i sentimenti della natura umana. Non pertanto la fatica di pensare può divertire il sentimento della disgrazia; ed il Saggio, che può artificiosamente combinare nella medesima opera le diverse ricchezze della Filosofia, della Poesia e dell'Eloquenza, dee già possedere quell'intrepida calma, ch'ei dimostra di cercare. La sospensione, ch'è il peggiore de' mali, finalmente fu tolta dai ministri di morte, ch'eseguirono e forse eccederono l'inumano comando di Teodorico. Fu legata una forte corda intorno al capo di Boezio, e stretta con tal forza, che quasi gli saltaron fuori gli occhi dalle lor cavità; e può riguardarsi come una specie di compassione il meno atroce tormento di batterlo con bastoni finnattantochè spirasse435. Ma soppravvisse il suo genio per ispargere un raggio di cognizione sopra i più tenebrosi tempi del Mondo Latino; il più glorioso fra i Re d'Inghilterra tradusse gli scritti del Filosofo436, e l'Imperatore Ottone III collocò in una tomba più onorevole le ossa d'un Santo cattolico, che dagli Arriani suoi persecutori aveva ricevuto l'onore del martirio, e la fama de' miracoli437. Boezio, nelle ultime sue ore trasse qualche conforto dalla salvezza de' suoi due figli, della moglie, e del rispettabile Simmaco, suo suocero. Ma fu indiscreto e forse irriverente il duolo di Simmaco: come aveva egli voluto dolersi, così poteva tentare di vendicar la morte d'un amico ingiuriato. Fu dunque tratto in catene da Roma al Palazzo di Ravenna; ed i sospetti di Teodorico non poterono acquietarsi, che col sangue d'un vecchio ed innocente Senatore438.
L'umanità sarà disposta ad avvalorare un racconto, che prova la giurisdizione della coscienza, ed il rimorso de' Re; e la Filosofia non ignora, che alle volte la forza di una disordinata fantasia, e la debolezza di un corpo infermo creano i più orridi spettri. Teodorico, dopo una vita virtuosa e gloriosa, stava per discendere nel sepolcro con vergogna e delitto: era umiliato il suo spirito dal contrasto del passato, e giustamente agitato dagl'invisibili terrori del futuro. Dicesi, che una sera, mentre stava sulla regia mensa la testa d'un grosso pesce439, egli a un tratto esclamò che vedeva la trista faccia di Simmaco, con gli occhi spiranti rabbia e vendetta; e con la bocca armata di lunghi acuti denti, che minacciava di divorarlo. Il Monarca si ritirò subito nella sua camera, e mentre stava tremando per un freddo febbrile sotto il peso di più coperte, manifestò con interrotte voci al suo medico Elpidio il profondo suo pentimento per le uccisioni di Boezio e di Simmaco440. S'accrebbe la sua malattia, e dopo una dissenteria, che continuò per tre giorni, spirò nel palazzo di Ravenna l'anno trentesimo terzo, ovvero, se vogliamo contare dall'invasione d'Italia, il trentesimo settimo del suo Regno. Vedendo che s'avvicinava il suo fine, divise fra due suoi nipoti i tesori e le Province che possedeva, e fissò il Rodano per comune loro confine441. Fu restituito ad Amalarico il trono di Spagna, e l'Italia con tutte le conquiste degli Ostrogoti ricadde ad Atalarico, il quale non aveva più di dieci anni, ma era amato come l'ultima prole maschile della stirpe degli Amali, mediante il breve matrimonio di Amalasunta, sua madre, con un profugo Reale del medesimo sangue442. In presenza del moribondo Monarca, i Capitani goti, ed i Magistrati italiani, vicendevolmente impegnarono la loro fede e lealtà a favore del giovine Principe, e della madre di lui tutrice, e nell'istesso terribil momento ricevettero l'ultimo suo salutare avviso di conservare le Leggi, d'amare il Senato ed il Popolo romano, e di coltivare con decente rispetto l'amicizia dell'Imperatore443. Fu eretto un monumento a Teodorico da Amalasunta, sua figlia, in una cospicua situazione, che dominava la Città di Ravenna, il porto ed il vicino lido. Una cappella di forma circolare del diametro di trenta piedi, era coperta da una cupola d'un solo pezzo di granito: dal centro di questa s'innalzavano quattro colonne, che sostenevano un vaso di porfido contenente il corpo del Re Goto, circondato da statue di bronzo de' dodici Apostoli444. Si sarebbe potuto permettere che il suo spirito, dopo qualche previa espiazione, si mescolasse co' Benefattori dell'uman genere, se un Eremita italiano non fosse stato testimone in una visione della dannazione di Teodorico445, l'anima del quale da Ministri della Divina vendetta fu gettata nel vulcano di Lipari, una delle infiammate bocche del Mondo infernale446.