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Kitabı oku: «Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 7», sayfa 17

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Ma il premio più puro di Belisario consistè nella fedel esecuzione d'un trattato, per cui s'era impegnato il suo onore col Re de' Vandali. Gli scrupoli religiosi di Gelimero, ch'era attaccato all'eresìa Arriana, non erano conciliabili con la dignità di Senatore o di Patrizio; ma ei ricevè dall'Imperatore un ampio territorio nella Provincia di Galazia, dove il deposto Monarca si ritirò con la sua famiglia e con gli amici a vivere in pace abbondantemente, e forse anche contento641. Le figlie d'Ilderico furon trattate con quella rispettosa tenerezza, ch'era dovuta alla età, ed alla disgrazia di esse; e Giustiniano e Teodora accettaron l'onore di educare, e d'arricchire le discendenti del Gran Teodosio. I più prodi fra' giovani Vandali furon distribuiti in cinque Squadroni di cavalleria che adottarono il nome del loro benefattore, e nelle guerre Persiane sostennero la gloria de' loro antenati. Ma queste rare eccezioni, che furon il premio della nascita o del valore, sono insufficienti a spiegare il destino d'una Nazione il numero della quale, avanti una breve non sanguinosa guerra, montava a più di seicentomila persone. Dopo l'esilio del proprio Re e de' Nobili, la vile plebaglia avrà comprato la sua sicurezza con abiurare la sua religione ed il proprio carattere e linguaggio, e la degenerata di lei posterità si sarà appoco appoco mescolata con la comune turba de' sudditi Affricani. Pure, anche nel nostro secolo, e nel cuore delle tribù moresche, un curioso viaggiatore ha scoperto la carnagione bianca, ed i lunghi capelli biondi d'una razza settentrionale642, ed anticamente fu creduto che i più arditi fra' Vandali fuggissero dal potere o anche dalla cognizione de' Romani per godere la solitaria lor libertà su' lidi dell'Oceano Atlantico643. L'Affrica che ne aveva formato l'Impero, divenne la loro prigione, non potendo essi avere speranza, e neppure alcun desiderio di tornare alle rive dell'Elba, dove i loro fratelli, d'un genio meno arrischioso, andavano sempre vagando per le native loro foreste. Per i codardi era impossibile di sormontare gli ostacoli d'incogniti mari, e di ostili Barbari; e per i valorosi era impossibile d'esporre la loro nudità e disfatta agli occhi de' loro Nazionali, di descrivere i regni che avevan perduti, e di chiedere una parte di quel tenue patrimonio, che, in un tempo più felice, avevano quasi di comune accordo rinunziato644. Nella Regione ch'è fra l'Elba, e l'Oder, vari popolati villaggi della Lusazia sono abitati da' Vandali: essi conservano ancora il proprio linguaggio, i loro costumi e la purità del lor sangue; soffrono con qualche impazienza il giogo Sassone o Prussiano, e servono con segreto volontario omaggio il discendente degli antichi lor Re, che nell'abito e nel presente suo stato si confonde col minimo de' suoi Vassalli645. Il nome e la situazione di questo infelice Popolo potrebbe indicare la loro discendenza da un comune stipite con i conquistatori dell'Affrica: ma l'uso di un dialetto Slavo più chiaramente gli rappresenta come l'ultimo residuo delle nuove colonie, che successero ai veri Vandali, già dispersi o distrutti al tempo di Procopio646.

Se Belisario si fosse lasciato tentare ad esitare nella sua fedeltà, avrebbe potuto insistere, anche in faccia dell'Imperatore medesimo, sull'indispensabil dovere di liberar l'Affrica da un nemico più barbaro de' Vandali. L'origine de' Mori si perde nell'oscurità, giacchè da essi non conoscevasi l'uso delle lettere647. Non se ne possono precisamente determinare neppure i confini: aprivasi a' pastori della Libia un immenso Continente; la mutazione delle stagioni e de' pascoli regolava i lor movimenti; e le rozze baracche co' pochi utensili si trasportavano con la medesima facilità che le lor armi, famiglie e bestiami composti di pecore, di bovi e di camelli648. Finattantochè fu in vigore la Potenza Romana, si tennero in una rispettosa distanza da Cartagine e dal lido del mare; sotto il debole Regno de' Vandali invasero le Città di Numidia, occuparono la costa marittima da Tangeri a Cesærea, e piantarono impunemente il loro campo nella fertile Provincia di Bizacio. La formidabile forza e l'artificiosa condotta di Belisario s'assicurò della neutralità de' Principi Mori, la vanità de' quali aspirava a ricevere in nome dell'Imperatore le insegne della Real dignità649. Essi restaron sorpresi al rapido successo, e tremarono alla presenza del loro Conquistatore. Ma la prossima sua partenza tosto diminuì le apprensioni d'un Popolo selvaggio e superstizioso; il numero delle mogli che avevano, permetteva loro di non curar la salvezza de' propri figli dati in ostaggio; e quando il General Romano sciolse le vele dal porto di Cartagine, udì le grida, e quasi vide le fiamme della desolata Provincia. Persistè nonostante nella sua risoluzione, e lasciando solo una parte delle sue guardie per rinforzar le guarnigioni più deboli, affidò il comando dell'Affrica all'Eunuco Salomone650, che si dimostrò non indegno di succedere a Belisario. Nella prima invasione de' Mori furon sorpresi ed intercettati alcuni distaccamenti con due iniziali di merito; ma Salomone prestamente adunò le suo' truppe, marciò da Cartagine nell'interno del loro paese, ed in due gran battaglie distrusse sessantamila Barbari. I Mori contavano sulla lor moltitudine e velocità, e sulle inaccessibili loro montagne; e si dice, che l'aspetto e l'odore de' loro cammelli producessero qualche confusione nella Cavalleria Romana651. Ma tosto che fu comandato loro di smontare, si risero di questo debole ostacolo: appena le colonne montarono i colli, quella nuda e disordinata ciurma restò abbagliata dallo splendore dello armi, e dalle regolari evoluzioni; e replicatamente adempissi la minaccia delle lor Profetesse, che i Mori dovevano essere sconfitti da un nemico senza barba. Il vittorioso Eunuco avanzossi alla distanza di tredici giornate da Cartagine ad assediare il Monte Aurasio652, ch'era la cittadella, e nell'istesso tempo il giardino della Numidia. Quella catena di colline, ch'è un ramo del grande Atlante, nella circonferenza di cento miglia contiene una rara varietà di suolo e di clima; le valli che sono fra mezzo di esse, e l'elevate pianure abbondano di ricchi pascoli, di perenni rivi, e di frutti d'un gusto delicato e di straordinaria grandezza. Questa bella solitudine è decorata dalle rovine di Lambesa città Romana, una volta sede di una Legione e capace di quarantamila abitanti. Il tempio Ionico d'Esculapio è circondato di capanne Moresche; ed il bestiame ora si pascola in mezzo ad un anfiteatro sotto l'ombra di colonne Corintie. S'alza perpendicolarmente un aspro scoglio sopra il livello della montagna, dove i Principi Affricani depositavano le mogli ed il tesoro; ed è un proverbio famigliare fra gli Arabi, che può mangiare il fuoco quell'uomo che ardisce d'attaccare le dirupate balze, ed i selvaggi abitanti del monte Aurasio. Fu due volte tentata questa difficile impresa dall'Eunuco Salomone: la prima si ritirò con qualche vergogna; e la seconda tanto la sua pazienza quanto le provvisioni erano già quasi esauste, e bisognava ch'ei di nuovo si ritirasse se non avesse ceduto all'impetuoso coraggio delle sue truppe, che audacemente scalarono, con sorpresa de' Mori, la montagna, il campo nemico e la cima della rocca Geminia. Vi fu eretta una cittadella per assicurare quest'importante acquisto, e per rammentare ai Barbari la loro disfatta: e siccome Salomone proseguì la sua marcia all'occidente, la provincia della Mauritania Sitifi, da gran tempo perduta, fu di nuovo annessa all'Impero Romano. La guerra co' Mori continuò per più anni dopo la partenza di Belisario; ma gli allori, ch'ei lasciò ad un fedel Luogotenente, si possono attribuir giustamente al proprio di lui trionfo.

L'esperienza de' passati errori, che può talvolta correggere l'età matura d'un individuo, rare volte riesce di vantaggio alle successive generazioni della stirpe umana. Le Nazioni dell'antichità, non curando la reciproca salvezza l'una dell'altra, furono separatamente vinte e fatte schiave da' Romani; questa formidabil lezione avrebbe dovuto istruire i Barbari dell'Occidente ad opporsi con opportuni consigli, e con armi confederate all'ambizione illimitata di Giustiniano. Eppure fu ripetuto l'istesso sbaglio, se ne provarono le medesime conseguenze, ed i Goti tanto d'Italia quanto di Spagna, insensibili al loro imminente pericolo, mirarono con indifferenza, ed anche con allegrezza, la rapida caduta dei Vandali. Mancata la stirpe Reale, Teude, valoroso Capitano, montò sul trono di Spagna, ch'egli avea precedentemente amministrato in nome di Teodorico e dell'infame di lui nipote. Sotto il suo comando i Visigoti assediarono la Fortezza di Ceuta sulla costa Affricana: ma mentre passavano il giorno festivo in pace e devozione, una sortita della Città invase la pia sicurezza del loro campo, e l'istesso Re scampò, con qualche difficoltà e pericolo, dalle mani d'un sacrilego nemico653. Non passò gran tempo, che fu soddisfatto il suo orgoglio e risentimento, mediante una supplichevole ambasciata dell'infelice Gelimero che nelle sue angustie implorò l'aiuto del Monarca Spagnuolo. Ma invece di sacrificare queste indegne passioni ai dettami della generosità e della prudenza, Teude lusingò gli ambasciatori, finattantochè non fu segretamente informato della caduta di Cartagine; ed allora gli licenziò, con l'oscuro e sprezzante avviso di cercare nel nativo loro paese una vera notizia dello stato de' Vandali654. La lunghezza della guerra Italica differì la punizione de' Visigoti, e Teude chiuse gli occhi prima ch'essi gustassero i frutti di quest'erronea politica. Dopo la sua morte si disputò lo scettro di Spagna con una guerra civile. Il Candidato più debole ricorse alla protezione di Giustiniano, ed ambiziosamente sottoscrisse un trattato d'alleanza, che profondamente ferì l'indipendenza e la felicità della sua Patria. Varie città sull'oceano e sul mediterraneo furon cedute alle truppe Romane, che in seguito ricusarono di rilasciar questi pegni per quanto sembra o di sicurezza o di pagamento; e siccome venivano rinforzate con continui sussidj dall'Affrica, mantennero le inespugnabili loro stazioni per il malizios'oggetto d'accendere le civili e religiose fazioni de' Barbari. Passarono settant'anni prima che si potesse trarre questa penosa spina dal seno della Monarchia; e finattantochè gl'Imperatori ritennero una parte di que' remoti ed inutili possessi, la loro vanità enumerò la Spagna nella lista delle loro Province, ed i successori d'Alarico fra' loro Vassalli655.

L'errore de' Goti, che regnavano in Italia, fu meno scusabile di quello de' loro fratelli di Spagna, e la pena, che ne soffrirono, fu anche più immediata e terribile. Per causa d'una vendetta privata lasciarono che il più pericoloso loro nemico distruggesse il più pregevole alleato che avessero. Si era maritata una sorella del gran Teodorico a Trasimondo Re dell'Affrica656: in quest'occasione s'era consegnata a' Vandali la Fortezza di Lilibeo in Sicilia657, e la Principessa Amalafrida fu accompagnata da una scorta militare di mille Nobili, e di cinquemila soldati Goti, che segnalarono il loro valore nelle guerre contro i Mori. Fu esaltato in quell'occasione il proprio merito da loro medesimi e forse disprezzato da' Vandali: i Goti guardarono il Paese con invidia, ed i conquistatori con isdegno; ma la reale o fittizia loro cospirazione fu prevenuta da un macello. I Goti restaron oppressi; e la prigionia d'Amalafrida fu tosto seguita dalla segreta e sospetta sua morte. S'impiegò l'eloquente penna di Cassiodoro a rimproverare alla Corte Vandalica la crudel violazione d'ogni pubblico e social dovere; ma poteva essa ridersi impunemente della vendetta, ch'ei minacciò in nome del suo Sovrano, finattantochè l'Affrica era difesa dal mare, ed i Goti mancavano d'una flotta. Nella cieca impotenza del dolore e dell'ira, essi lietamente applaudirono all'arrivo de' Romani, accolsero la flotta di Belisario nei porti della Sicilia, e furono ben presto rallegrati o commossi dalla sorprendente notizia, che s'era eseguita la lor vendetta oltre la misura delle speranze, o forse anche delle brame, che avevano. L'Imperatore doveva alla loro amicizia il Regno dell'Affrica, ed i Goti potevano con ragione pensare, ch'essi avevano diritto di pigliare il possesso d'un nudo scoglio sì di fresco separato, come un dono nuziale, dall'Isola di Sicilia. Presto però furon disingannati dall'altiero comando di Belisario, ch'eccitò il tardo loro ed inutile pentimento: «La Città ed il Promontorio di Lilibeo (disse il Generale Romano) apparteneva a' Vandali, ed io gli pretendo per diritto di conquista. La vostra sommissione può meritare il favor dell'Imperatore; ma l'ostinazione provocherà il suo sdegno ed accenderà una guerra, che non può terminare che coll'ultima vostra rovina. Se voi ci costringerete a prender le armi, noi combatteremo non già per riprendere una sola Città, ma per ispogliarvi di tutte le Province che voi avete ingiustamente sottratte al legittimo loro Sovrano». Una Nazione di dugentomila soldati avrebbe potuto ridersi della vana minaccia di Giustiniano, e del suo Luogotenente; ma dominava in Italia lo spirito di discordia e di malcontento, ed i Goti soffrivano, con ripugnanza, la indegnità d'un Regno donnesco658.

La nascita di Amalasunta, Reggente e Regina d'Italia659 riunì le due più illustri Famiglie dei Barbari. Sua madre, sorella di Clodoveo, discendeva da' capelluti Re della stirpe Merovingica660; la Real successione degli Amali fu illustrata nell'undecima generazione dal gran Teodorico suo Padre, il merito del quale, avrebbe potuto nobilitare anche un'origin plebea. Il sesso della sua figlia l'escludeva dal Trono de' Goti; ma la vigilante affezione, ch'egli aveva per la propria Famiglia, e per il suo Popolo, gli fece scuoprir l'ultimo erede della schiatta Reale, i cui Antenati si erano rifuggiti in Ispagna; ed il fortunato Eutarico fu tosto esaltato al grado di Console e di Principe. Ma egli non godè che per breve tempo il possesso d'Amalasunta, e la speranza della successione; ed essa, dopo la morte del marito e del Padre, fu lasciata custode del proprio figlio Atalarico e del Regno d'Italia. All'età di circa ventotto anni, le qualità della mente e della persona di lei erano giunte alla perfetta loro maturità. La sua bellezza, che secondo l'apprensione di Teodora medesima, le avrebbe potuto disputar la conquista d'un Imperatore, era animata da sentimento, attività e fermezza virile. L'educazione e l'esperienza ne avevan coltivato i talenti; i suoi studj filosofici erano immuni dalla vanità; e quantunque si esprimesse con ugual eleganza e facilità nella lingua Greca, nella Latina e nella Gotica, la figlia di Teodorico mantenne sempre ne' suoi consigli un discreto ed impenetrabil silenzio. Mediante la fedele imitazione delle virtù del Padre, fece risorgere la prosperità del suo Regno; mentre con pia sollecitudine procurò d'espiarne gli errori e di cancellare l'oscura memoria della decadente sua età. Ai figli di Boezio, e di Simmaco fu restituita la paterna loro eredità; l'estrema sua piacevolezza non acconsentì mai ad infliggere ai Romani suoi sudditi alcuna pena corporale o pecuniaria; e generosamente sprezzò i clamori de' Goti, che in capo a quarant'anni risguardavano sempre i Popoli d'Italia come loro schiavi o nemici. Le salutari sue determinazioni eran dirette dalla saviezza, e celebrate dall'eloquenza di Cassiodoro; essa richiese, e meritò l'amicizia dell'Imperatore; ed i Regni d'Europa, sì in pace che in guerra, rispettarono la maestà del Trono Gotico. Ma la futura felicità della Regina e dell'Italia, dipendeva dall'educazione del suo figlio, ch'era destinato fin dalla nascita a sostenere i differenti e quasi non conciliabili caratteri di Capo d'un esercito Barbaro, e di primo Magistrato d'una incivilita Nazione. Si principiò all'età di dieci anni661 ad istruire Atalarico diligentemente nelle arti e nelle scienze utili o d'ornamento per un Principe Romano; e si scelsero tre venerabili Goti per istillare principj di virtù e d'onore nell'animo del giovine loro Re. Ma il fanciullo, che non sente i vantaggi dell'educazione, ne aborrisce il rigore; e la sollecitudine della Regina, che dall'affetto rendevasi ansiosa e severa, offese l'intrattabil natura del figlio e de' sudditi. In occasione d'una solenne festa, mentre i Goti erano adunati nel Palazzo di Ravenna, il fanciullo Reale scappò dall'appartamento di sua madre, e con lacrime d'orgoglio e di sdegno si dolse d'uno schiaffo, che l'ostinata sua disubbidienza l'aveva provocata a dargli. I Barbari s'irritarono per l'indegnità, con cui trattavasi il loro Re; accusarono la Reggente di cospirare contro la vita e la corona di esso; ed imperiosamente domandarono, che il nipote di Teodorico fosse liberato dalla vile disciplina delle donne e dei pedanti, ed educato come un valoroso Goto in compagnia de' suoi uguali e nella gloriosa ignoranza dei suoi Maggiori. A queste rozze grida importunamente ripetute come la voce della Nazione, Amalasunta fu costretta a cedere, contro la propria ragione e contro i più cari desiderj del suo cuore. Il Re d'Italia s'abbandonò al vino, alle donne ed a' grossolani sollazzi; e l'imprudente disprezzo dell'ingrato giovine scuoprì i maliziosi disegni de' suoi favoriti e de' nemici di essa. Circondata da' nemici domestici, essa entrò in una segreta negoziazione coll'Imperator Giustiniano; ebbe la sicurezza d'essere amichevolmente ricevuta; ed aveva già depositato a Dirrachio nell'Epiro un tesoro di quarantamila libbre d'oro. Sarebbe stato bene per la sua fama e sicurezza, se si fosse quietamente ritirata dalle fazioni barbare a goder la pace e lo splendore di Costantinopoli: ma l'animo di Amalasunta era infiammato dall'ambizione e dalla vendetta; e mentre le sue navi stavano all'ancora nel porto, essa aspettava il successo d'un delitto, che le sue passioni scusavano o applaudivano come un atto di giustizia. Erano stati separatamente mandati alle frontiere dell'Italia tre de' più pericolosi malcontenti sotto il pretesto di fedeltà e di comando: furono questi assassinati da' segreti di lei emissari; ed il sangue di que' nobili Goti rese la Regina madre, assoluta nella Corte di Ravenna, e giustamente odiosa ad un Popolo libero. Ma se erasi essa lagnata de' disordini del figlio, ben presto ne pianse l'irreparabile perdita; e la morte di Atalarico, che all'età di sedici anni si consumò da una prematura intemperanza, la lasciò priva di ogni stabil sostegno o legittima autorità. In vece di sottomettersi alle Leggi della sua Patria, che avevano per massima fondamentale, che la successione non potesse mai passar dalla lancia alla conocchia, la figlia di Teodorico immaginò l'impraticabil disegno di dividere con uno de' suoi cugini il titolo Reale, e conservar per sè la sostanza della suprema Potestà. Ei ricevè la proposizione con profondo rispetto e con affettata gratitudine; e l'eloquente Cassiodoro annunziò al Senato ed all'Imperatore, che Amalasunta e Teodato eran saliti sul trono d'Italia. La nascita di esso poteva considerarsi come un titolo imperfetto, giacchè era figlio d'una sorella di Teodorico, e la scelta d'Amalasunta fu con maggior forza diretta dal disprezzo ch'ella aveva per la sua avarizia e pusillanimità, che l'avevan privato dell'amore degl'Italiani, e della stima de' Barbari. Ma Teodato fu inasprito dal disprezzo, ch'ei meritava: la giustizia della Regina aveva represso, e gli aveva rimproverata l'oppressione ch'egli esercitava contro i Toscani suoi vicini; ed i principali fra' Goti, riuniti dalla colpa e dallo sdegno comune, cospirarono ad instigare la lenta e timida sua disposizione. Appena si eran mandate le lettere di congratulazione, che la Regina d'Italia fu imprigionata in una piccola Isola del lago di Bolsena662, dove la medesima, dopo un breve confino, fu strangolata nel bagno per ordine, o con la connivenza del nuovo Re, che in tal modo istruì i turbolenti suoi sudditi a spargere il sangue de' loro Sovrani.

Giustiniano vedeva con piacere le dissensioni dei Goti, e la mediazione dell'alleato celava, e favoriva le ambiziose mire del conquistatore. I suoi Ambasciatori, nella pubblica loro udienza richiesero la Fortezza di Lilibeo, dieci Barbari fuggitivi, ed una giusta compensazione per il saccheggio d'una piccola Città sui confini dell'Illirico; ma segretamente trattarono con Teodato la resa della provincia di Toscana, e tentarono Amalasunta di trarsi fuori dal pericolo e dalla perplessità, mediante una libera restituzione del Regno d'Italia. La Regina prigioniera sottoscrisse con ripugnanza una lettera falsa e servile, ma i Senatori Romani, mandati a Costantinopoli, manifestarono la vera di lei situazione, e Giustiniano per mezzo d'un nuovo Ambasciatore, intercesse più efficacemente per la libertà, e per la vita di essa. Le segrete istruzioni però dell'istesso Ministro eran dirette a servire la crudel gelosia di Teodora, che temeva la presenza e le superiori attrattive d'una rivale: egli insinuò, con artificiosi ed ambigui cenni, l'esecuzione d'un delitto così vantaggioso a' Romani663; ricevè la notizia della morte della Regina con dispiacere e con isdegno; ed in nome del suo Padrone dichiarò immortal guerra contro il perfido di lei assassino. In Italia, ugualmente che in Affrica il delitto d'un usurpatore parve, che giustificasse le armi di Giustiniano; ma le forze ch'egli apparecchiò, non eran sufficienti per rovesciare un potente Regno, se il piccolo numero di esse non si fosse aumentato dal nome, dallo spirito e dalla condotta d'un Eroe. Una scelta truppa di guardie a cavallo armate con lancie e scudi, accompagnavano la persona di Belisario; la sua cavalleria era composta di dugento Unni, di trecento Mori, e di quattromila Confederati; e l'infanteria consisteva in soli tremila Isauri. Il Console Romano dirigendo il suo corso come nella prima spedizione, gettò l'ancora avanti a Catania in Sicilia per osservare la forza dell'Isola, e per determinare, se dovea tentarne la conquista o pacificamente proseguire il suo viaggio per la costa di Affrica. Ei vi trovò un fertil terreno, ed un Popolo amichevole. Nonostante la decadenza dell'agricoltura, la Sicilia sosteneva sempre i granai di Roma; gli affittaiuoli di essa erano graziosamente esentati dall'oppressione de' quartieri militari; ed i Goti, che affidavano la difesa dell'Isola a' suoi abitanti, ebber ragione di dolersi, che la lor fiducia fu ingratamente tradita. Invece di chiedere ed aspettare l'aiuto del Re d'Italia, essi alle prime intimazioni prestarono volentieri ubbidienza; e questa Provincia, ch'era stata il primo frutto delle guerre Puniche, dopo una lunga separazione fu nuovamente unita all'Imperio Romano664. La guarnigione Gotica di Palermo, che sola tentò di resistere, dopo un breve assedio fu ridotta ad arrendersi, mediante un singolare strattagemma. Belisario introdusse le sue navi nell'intimo recinto del porto; i loro battelli furono a forza di cavi e di carucole alzati fino alla cima de' loro alberi, e furono empiti di arcieri, che da quel luogo dominavano le mura della Città. Dopo questa facile e fortunata campagna il Conquistatore entrò in Siracusa trionfante, alla testa delle vittoriose sue truppe, gettando al Popolo delle medaglie d'oro, nel giorno in cui gloriosamente finiva l'anno del suo Consolato. Ei passò la stagione invernale nel palazzo degli antichi Re in mezzo alle rovine d'una colonia Greca, che una volta estendevasi ad una circonferenza di ventidue miglia665; ma nella primavera, dopo la festa di Pasqua, fu interrotto il proseguimento de' suoi disegni da una pericolosa sommossa delle truppe Affricane. Si salvò Cartagine per la presenza di Belisario, che immediatamente sbarcovvi con mille guardie; duemila soldati di dubbiosa fede tornarono alle bandiere dell'antico lor Comandante; ed ei fece senza esitare più di cinquanta miglia per cercare un nemico, che affettava di compassionare, e di sprezzare. Ottomila ribelli tremarono all'avvicinarsi di esso; furono messi in rotta al primo incontro dalla destrezza del loro Signore; e questa ignobil vittoria restituito avrebbe la pace all'Affrica, se il Conquistatore non fosse stato richiamato in fretta nella Sicilia per quietare una sedizione, che si era accesa durante e la sua assenza nel proprio Campo666. Il disordine e la disubbidienza erano le malattie comuni di que' tempi. Non risedevano che nell'animo di Belisario il talento per comandare, e la virtù di obbedire.

Quantunque Teodato discendesse da una stirpe di Eroi, non sapeva l'arte della guerra, e ne abborriva i pericoli; e quantunque avesse studiato gli scritti di Platone e di Tullio, la Filosofia non fu capace di purgare il suo spirito dalle più basse passioni dell'avarizia e del timore. Egli aveva comprato uno scettro per mezzo dell'ingratitudine e dell'uccisione: e alla prima minaccia d'un nemico, avvilì la propria maestà, e quella di una Nazione, che già sprezzava il suo indegno Sovrano. Sorpreso dal fresco esempio di Gelimero, si vedeva tratto in catene per le strade di Costantinopoli; l'eloquenza di Pietro, Ambasciator Bizantino accrebbe i terrori, che ispirava Belisario; e quell'audace e sottile Avvocato lo persuase a sottoscrivere un trattato, troppo ignominioso per servir di fondamento ad una pace durevole. Fu stipulato, che nelle acclamazioni del Popolo Romano sempre si proclamasse il nome dell'Imperatore avanti a quello del Re Goto, e che ogni volta che s'innalzava in bronzo o in marmo la statua di Teodato, gli fosse posta alla destra la divina immagine di Giustiniano: invece di conferire gli onori del Senato, il Re d'Italia era ridotto a sollecitarli; ed era indispensabile il consenso dell'Imperatore, prima ch'ei potesse eseguir la sentenza di morte, o di confiscazione contro d'un Prete, o d'un Senatore. Il debol Monarca rinunziò al possesso della Sicilia; offerì, come un annuo segno della sua dipendenza, una corona d'oro del peso di trecento libbre; e promise di somministrare, alla richiesta del suo Sovrano, tremila Goti ausiliari per servizio dell'Impero. Soddisfatto di queste straordinarie concessioni, l'abile agente di Giustiniano affrettò il suo ritorno a Costantinopoli; ma appena era giunto alla villa Albana667, che fu richiamato dall'ansietà di Teodato; e merita d'esser riportato nell'originale sua semplicità questo dialogo fatto fra il Re e l'Ambasciatore: «Siete voi di sentimento, che l'Imperatore ratificherà questo Trattato? Forse. Qualora ei ricusi, qual conseguenza ne verrà? La guerra. Tal guerra sarà ella giusta o ragionevole? Sicurissimamente: ognuno agirebbe secondo il suo carattere. Che intendete di dire? Voi siete un filosofo; Giustiniano è Imperator de' Romani: mal converrebbe al discepolo di Platone spargere il sangue di più migliaia di uomini per una sua privata contesa; ma il successore d'Augusto dovrebbe rivendicare i suoi diritti, e ricuperare con le armi le antiche Province del suo Impero». Questo ragionamento non è per avventura molto convincente, ma servì per mettere in agitazione e per vincer la debolezza di Teodato, che tosto discese all'ultima sua offerta di rinunziare per il meschino prezzo d'una pensione di quarantottomila lire sterline il Regno de' Goti e degl'Italiani, e d'impiegare il resto de' suoi giorni negl'innocenti piaceri della filosofia e dell'agricoltura. Affidò ambedue i trattati all'Ambasciatore, sulla fragile sicurezza d'un giuramento di non manifestare il secondo, finattantochè non si fosse positivamente rigettato il primo. Se ne può facilmente prevedere l'evento. Giustiniano richiese ed accettò l'abdicazione del Re Goto. L'instancabile suo agente da Costantinopoli tornò a Ravenna con ampie istruzioni, e con una bella lettera, che lodava la saviezza e generosità del Reale Filosofo, gli accordava la pensione, con assicurarlo di quegli onori, dei quali poteva esser capace un suddito Cattolico, e prudentemente fu commessa la finale esecuzion del Trattato alla presenza ed autorità di Belisario. Ma nel tempo che restò sospeso, due Generali Romani, che erano entrati nella Provincia di Dalmazia, furon disfatti ed uccisi dalle truppe Gotiche. Teodato, da una cieca ed abbietta disperazione, capricciosamente passò ad una presunzione senza fondamento e fatale668, ed osò di ricevere con minacce e disprezzo l'ambasciatore di Giustiniano, che insistè nella sua promessa, sollecitò la fedeltà de' suoi sudditi, ed arditamente sostenne l'inviolabile privilegio del proprio carattere. La marcia di Belisario dissipò quest'orgoglio immaginario; e siccome fu consumata la prima campagna669 nel soggiogar la Sicilia, Procopio assegna l'invasione d'Italia al secondo anno della Guerra Gotica670.

Dopo aver Belisario lasciato sufficienti guarnigioni in Palermo e in Siracusa, imbarcò le sue truppe a Messina, e le sbarcò senza resistenza sui lidi opposti di Reggio. Un Principe Goto, che avea sposato la figlia di Teodato, stava con un esercito a guardar l'ingresso d'Italia; ma esso imitò senza scrupolo l'esempio d'un Sovrano, che mancava a' suoi pubblici e privati doveri. Il perfido Ebermore disertò con i suoi seguaci al campo Romano, e fu mandato a godere i servili onori della Corte Bizantina671. La flotta e l'esercito di Belisario s'avanzarono quasi sempre in vista l'una dell'altro da Reggio a Napoli, per quasi trecento miglia lungo la costa del mare. Il Popolo dell'Abruzzo, della Lucania e della Campania, che abborriva il nome e la religione de' Goti, profittò dello specioso pretesto che le rovinate lor mura erano incapaci di difesa; i soldati pagavano un giusto prezzo di ciò che compravano sugli abbondanti mercati; e la sola curiosità interrompeva le pacifiche occupazioni degli agricoltori o degli artefici. Napoli, ch'è divenuta una grande e popolata Capitale, conservò lungamente il linguaggio ed i costumi di colonia Greca672: e la scelta, che ne fece Virgilio, aveva nobilitato quest'elegante ritiro, che attraeva gli amatori del riposo e dello studio, allontanandogli dallo strepito, dal fumo e dalla laboriosa opulenza di Roma673. Appena fu investita per mare e per terra la piazza, Belisario diede udienza ai deputati del Popolo, che l'esortavano a non curare una conquista indegna delle sue armi, a cercare in un campo di battaglia il Re dei Goti, e dopo d'averlo vinto, a ricevere come Sovrano di Roma l'omaggio delle Città dipendenti. «Quando io tratto co' miei nemici, replicò il Capitano Romano con un altiero sorriso, io son più assuefatto a dare, che a ricever consiglio: ma tengo in una mano l'inevitabil rovina, e nell'altra la pace e la libertà, come ora gode la Sicilia». L'impazienza della dilazione lo mosse ad accordar le più liberali condizioni, ed il suo onore ne assicurava l'effettuazione: ma Napoli era divisa in due fazioni, e la democrazia Greca era infiammata da' suoi Oratori, i quali con molto spirito e con qualche verità rappresentarono alla moltitudine, che i Goti avrebber punito la lor mancanza di fede, e che Belisario medesimo dovea stimare la loro lealtà e valore. Le deliberazioni però che facevansi, non erano perfettamente libere; la Città era dominata da ottocento Barbari, le mogli ed i figli de' quali si ritenevano a Ravenna come pegni della lor fedeltà; e fino gli Ebrei, ch'erano ricchi e numerosi, opponevansi con disperato entusiasmo alle intolleranti leggi di Giustiniano. In un tempo assai posteriore, la circonferenza di Napoli674 non era più di duemila trecento sessantatre passi675: le fortificazioni eran difese da precipizi o dal mare; se si tagliavano gli acquedotti, poteva supplirsi con l'acqua de' pozzi e de' fonti; e la quantità delle provvisioni era sufficiente a stancar la pazienza degli assedianti. Al termine di venti giorni era quasi esausta quella di Belisario, ed erasi accomodato alla vergogna d'abbandonar l'assedio per poter marciare, avanti l'inverno, contro Roma, ed il Re de' Goti. Ma fu la sua ansietà soddisfatta dall'ardita curiosità d'un Isauro, ch'esplorò il canale asciutto d'un acquedotto, e segretamente riferì, che potevasi aprire un passaggio per introdurre una fila di soldati armati nel cuore della Città. Quando l'opera fu tacitamente eseguita, l'umano Generale rischiò la scoperta del suo segreto con un ultimo ed infruttuoso avviso dell'imminente pericolo. Nell'oscurità della notte, quattrocento Romani entrarono nell'acquedotto, s'introdussero per mezzo d'una fune, che legarono ad un ulivo, nella casa o nel giardino d'una solitaria matrona, suonarono le loro trombette, sorpreser le sentinelle, ed ammessero i loro compagni, che da ogni parte scalaron le mura, ed aprirono le porte della Città. Fu commesso, come per diritto di guerra, ogni delitto che si punisce dalla giustizia sociale; gli Unni si distinsero per la crudeltà ed il sacrilegio, ed il solo Belisario comparve per le strade, e nelle Chiese di Napoli a moderar la calamità, ch'egli aveva predetto. «L'oro e l'argento, esclamò più volte, sono i giusti premj del vostro valore; ma risparmiate gli abitanti: essi son Cristiani, son supplichevoli, e son ora vostri concittadini. Restituite i figli a' loro Genitori; le mogli a' loro mariti; e dimostrate loro, mediante la vostra generosità di quali amici hann'ostinatamente privato se stessi». La Città fu salvata per la virtù, e per l'autorità del suo Conquistatore676; e quando i Napoletani tornarono alle loro case, trovarono qualche sollievo nel segreto godimento de' nascosti loro tesori. La guarnigione Barbara s'arruolò al servizio dell'Imperatore; la Puglia e la Calabria, liberate dall'odiosa presenza de' Goti, riconobbero il suo dominio; e L'Istorico di Belisario curiosamente descrive le zanne del Cignale Calidonio, che tuttavia si mostravano a Benevento677.

641.Nel Belisario di Marmontel s'incontrano, cenano, e conversano insieme il Re col Conquistatore dell'Affrica, senza rammentarsi l'uno dell'altro. Egli è senza dubbio un difetto di quel romanzo il supporre, che avesser perduto gli occhi o la memoria non solamente l'Eroe, ma anche tutti quelli, che l'avevano sì ben conosciuto.
642.Shaw p. 59. Siccome però Procopio (L. II c. 13) parla d'un Popolo del monte Atlante come già distinto per la bianchezza del corpo, ed il giallo color de' capelli, questo fenomeno (che si vede similmente nelle Andi del Perù, Buffon Tom. III p. 504) può naturalmente attribuirsi alla elevazione del suolo, ed alla temperatura dell'aria.
643.Il Geografo di Ravenna (L. III c. XI p. 129, 130, 131. Paris 1688) descrive la Mauritania Gaditana (opposta a Cadice) ubi Gens Vandalorum, a Belisario devicta in Africa, fugit, et numquam comparuit.
644.Un solo avea protestato, e Genserico rimandò, senza una risposta formale, i Vandali di Germania: ma quelli di Affrica derisero la sua prudenza, ed affettarono di sprezzare la povertà delle loro foreste (Procopio Vandal. lib. I c. 22).
645.Tollio descrive per bocca del grand'Elettore (nel 1687) il segreto regno, e lo spirito ribelle de' Vandali del Brandemburgo, che potevan contare cinque o seimila soldati, che, si erano procurati de' cannoni ec. (Itinerar. Hungar. p. 42 ap. Dubos Hist. de la Monarchie Francoise Tom. I p. 182, 183). Si può con ragione dubitare della veracità non già dell'Elettore, ma di Tollio medesimo.
646.Procopio (lib. I c. 22) n'era totalmente all'oscuro: ουδε μνημη τιστουδε ονομα ες εμε σωξεται (Non se ne conserva presso di me nè alcuna memoria nè il nome). Sotto il regno di Dagoberto (an. 630) le Tribù Slave de' Sorbi, e de' Venedi già confinavano con la Turingia (Mascou Istor. de' Germani XV, 3, 4, 5).
647.Sallustio rappresenta i Mori come un residuo dell'armata d'Èrcole (de Bello Iugurt. c. 21) e Procopio (Vandal. l. II c. 10) come la posterità de Cananei, che fuggirono dal ladro λησης Giosuè. Ei cita due colonne con un'Iscrizione Fenicia. Io ammetto le colonne, dubito dell'Iscrizione, e rigetto la discendenza.
648.Virgilio (Georgic. III, 339), e Pomponio Mela (I, 8) descrivono la vita errante de' Pastori Affricani simile a quella degli Arabi, e de' Tartari: e Shaw (p. 222) è il migliore commentatore sì del Poeta che del Geografo.
649.I doni consueti, che loro si facevano, erano uno scettro, una corona o berretta, una veste bianca, una tunica e delle scarpe con figure, il tutto adornato d'oro, e d'argento: nè questi preziosi metalli erano lor meno accolti in forma di moneta (Procop. Vandal. L. I c. 25).
650.Vedi il Governo d'Affrica, ed i fatti militari di Salomone presso Procopio (Vandal. L. II c. 10, 11, 12, 13, 19, 20). Ei fu richiamato, e mandatovi di nuovo: e l'ultima sua vittoria porta la data dell'anno XIII di Giustiniano (an. 539). Un accidente l'aveva reso eunuco nella sua puerizia (L. I c. 11), ma gli altri Generali Romani erano ampiamente forniti di barbe, πωγονος επιπλαμενοι (Lib. II cap. 8).
651.Questa naturale antipatia de' cavalli contro i cammelli si asserisce dagli Antichi (Xenoph. Cyropaed. l. VI p. 438 l. VIII p. 483, 492 Edit. Hutchinson: Polyaen. Stratagem. VII, 6 Plin. Hist. Nat. VIII, 26 Aelian. de Nat. animal. I. III c. 7): ma vien contraddetta dalla quotidiana esperienza, e derisa dagli Orientali, che ne sono i migliori giudici (Voyage d'Olearius p. 553).
652.Procopio è il primo, che descriva il monte Aurasio (Vandal. l. II c. 13 de Aedif. l. VI c. 7). Ei si può confrontare con Leone Affricano (Dell'Affrica P V presso Ramusio Tom. I fol. 77 rect.), con Marmol (Tom. II p. 430) e con Shaw (p. 56, 59).
653.Isidoro Chron. p. 722 Edit. Grot. Mariana Hist. Hispan. l. V c. 8 p. 173. Secondo Isidoro però l'assedio di Ceuta, e la morte di Teude seguì l'anno dell'Era Ispanica 586, di Cristo 548, e la piazza non fu difesa da' Vandali, ma da' Romani.
654.Procopio Vandal. l. I c. 24.
655.Vedi la Cronica originale d'Isidoro, ed i libri V e VI dell'Istoria di Spagna del Mariana. I Romani furono finalmente cacciati da Suintila Re de' Visigoti (l'anno 621, 626) dopo che si furon questi riuniti alla Chiesa Cattolica.
656.Vedi il matrimonio, e il destino d'Amalafrida in Procopio (Vandal. l. I c. 8, 9); ed in Cassiodoro (Var. IX, 1) la richiesta del reale di lei fratello. Si confronti parimente la Cronica di Vittore Tunnunense.
657.Lilibeo fu fabbricato da' Cartaginesi nell'Olimpiade XCV. 4 e nella prima guerra Punica la forte situazione e l'eccellente suo porto rese quel luogo un oggetto importante per ambedue le nazioni.
658.Si paragonino fra loro i differenti passi di Procopio (Vandal L. II c. 5 e Gothic. l. 1 c. 3).
659.Intorno al regno e carattere d'Amalasunta vedi Procopio (Gothic. l. I c. 2, 3, 4: ed Anecdot. c. 16 con le note dell'Alemanno): Cassiodoro (Var. VIII, IX, X et XI, 1): e Giornandes (de Reb. Getic. c. 56 et de successione Regnor presso il Muratori Tom. I p. 241).
660.Il matrimonio di Teodorico con Audefleda, sorella di Clodoveo, si può collocare nell'anno 495 subito dopo la conquista d'Italia (Buat Hist. des Peuples Tom. IX p. 213). Le nozze d'Eutarico e d'Amalasunta si celebrarono l'anno 515 (Cassiodoro in Chron. p. 453).
661.Alla morte di Teodorico si descrive da Procopio Atalarico, suo nipote, come un fanciullo di circa otto anni οκτω γεγονως ετη. Cassiodoro coll'autorità e con la ragione ve ne aggiunge due; Infantulum adhuc vix decennem.
662.Questo lago dalle vicine Città d'Etruria chiamavasi o Vulsiniensis (ora di Bolsena) o Tarquiniensis. Esso è circondato da bianchi scogli, ed abbondante di pesce, e di salvaggiume. Plinio il Giovane (Epist. II, 96) celebra due selvose isole, che galleggiavano sulle acque. Se questa è una favola, quanto eran creduli gli Antichi! Se poi è un fatto vero, quanto son trascurati i Moderni! Pure dal tempo di Plinio in qua le isole possono essersi fissate per mezzo di nuove e successive aggregazioni.
663.Procopio però (Anecdot. c. 16) abbatte la sua propria testimonianza, confessando che nella sua Storia pubblica non avea detto la verità. Vedi le lettere scritte dalla Regina Gundelina all'Imperatrice Teodora (Var. X, 20, 21, 23 e si osservi una parola sospetta, de illa persona ec.) con l'elaborato Commercio di Buat (Tom. X p. 177, 185).
664.Intorno alla conquista di Sicilia si confronti la narrazione di Procopio con le doglianze di Totila ( Gothic. l. I c. 5. l. III c. 16). La Regina de' Goti aveva ultimamente sollevato quell'ingrata isola (Var. IX, 10, 11).
665.Descrivesi l'antica grandezza e splendore de' cinque quartieri di Siracusa da Cicerone (Act. II in verrem L. IV c. 52, 53), da Strabone (L. VI p. 415), e dal Dorville (Sicula Tom. II p. 174, 202). La nuova città, restaurata da Augusto, si ristrinse verso l'isola.
666.Procopio (Vandalic. l. II c. 14, 15) riferisce così chiaramente il ritorno di Belisario in Sicilia (p. 146 Edit. Hoeschelii), che restò attonito allo strano sbaglio, ed a' rimproveri d'un erudito Critico (Oeuvres de la Mothe le Vayer Tom. VIII p. 162, 163).
667.L'antica Alba fu distrutta nella prima età di Roma. Nel medesimo luogo, o almeno nelle vicinanze di quella, successivamente s'alzarono, 1. la villa di Pompeo ec. 2. un campo delle Coorti Pretoriane: 3. la moderna città Episcopale d'Albano (Procopio Goth. l. II c. 4. Cluver. Ital. ant. Tom. II. p. 914).
668.Si produceva un oracolo sibillino, che diceva Africa capta, mundus cum nato peribit; sentenza di portentosa ambiguità (Gothic. l. I c. 7), che fu pubblicata in caratteri ignoti da Opsopeo, editore di Oracoli. Il P. Maltret ha promesso di farvi un commentario: ma tutte le sue promesse sono state vane ed infruttuose.
669.Procopio nella sua Cronologia, imitando in qualche modo Tucidide, comincia dalla primavera gli anni di Giustiniano, e della guerra Gotica: e la prima sua epoca corrisponde al primo d'aprile 535 non 536 secondo gli Annali del Baronio (Pagi Crit. Tom. II p. 555 seguitato dal Muratori, e dagli Editori del Sigonio). Pure in alcuni passi non sappiamo conciliare le date di Procopio con lui medesimo, e con la Cronica di Marcellino.
670.Da Procopio (L. I c. 5, 29. L. II c. 1, 30. L. III c. 1) si riferiscono gli avvenimenti della prima guerra Gotica fino alla schiavitù di Vitige. Coll'aiuto del Sigonio (Opp. Tom. I. De Imp. Occid. L. XVII, XVIII), e del Muratori (Annali d'Italia Tom. V) vi ho aggiunto alcuni pochi fatti di più.
671.Giornandes de reb. Gotic. c. 60 p. 702 Edit. Grot. e Tom. I p. 221: Muratori de success. regn. p. 241.
672.Nero (dice Tacito Annal. XV, 35) Neapolim quasi Graecam urbem delegit. Cento cinquant'anni dopo, al tempo di Settimo Severo, Filostrato loda l'Ellenismo de' Napolitani: γενος Ελληνες και αστυκοι, οθεν και τας σπουμδας των λογον Ελληνικοι εισι d'origine son Greci ed urbani, onde anche nell'uso delle parole grecizzano (Icon. L. I pag. 763 Edit. Olear.).
673.Si celebra l'otium di Napoli da' Poeti Romani, come da Virgilio, da Orazio, da Silio Italico, e da Stazio (Cluver. Ital. Ant. l. IV p. 1149, 1150). Quest'ultimo in una elegante lettera (Sylv. l. III, 5 p. 94, 98 Edit. Markland.) tenta la difficile impresa di trar la sua moglie da' piaceri di Roma a quel tranquillo ritiro.
674.Questa misura fu presa da Ruggiero I dopo la conquista di Napoli (An. 1139), ch'ei fece la Capitale del suo nuovo Regno (Giannone Istor. Civ. Tom. II p. 169). Questa città, ch'è la terza nell'Europa Cristiana, ha presentemente almeno dodici miglia di circuito (Jul. Caes. Capaccii Hist. Neapol. L. I p. 47), e contiene in questo spazio più abitanti (vale a dire 350,000) che qualunque altro luogo nel Mondo conosciuto.
675.Non geometrici ma comuni, cioè passi di 22 pollici Francesi l'uno (Danville Mesures itinerair. p. 7, 8): 2363 di essi non fanno un miglio Inglese.
676.Belisario fu condannato dal Papa Silverio per la strage; egli per altro ripopolò Napoli, ed introdusse colonie di prigionieri Affricani nella Sicilia, nella Calabria, e nella Puglia (Hist. Miscell. L. XVI presso il Muratori Tom. I p. 106, 107).
677.Benevento fu fabbricato da Diomede, Nipote di Meleagro (Cluver. Tom. II p. 1195, 1196). La caccia Calidonia è una pittura della vita selvaggia (Ovid. Metamorph. L. VIII). Trenta o quaranta eroi si collegarono contro un cignale: i bruti (non il cignale) contendevano con una donna per la testa.
Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
28 eylül 2017
Hacim:
510 s. 1 illüstrasyon
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