Kitabı oku: «Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 7», sayfa 18
I Soldati e Cittadini fedeli di Napoli avevano indarno aspettato d'esser liberati da un Principe, che restò inoperoso, e quasi indifferente spettatore della loro rovina. Teodato si assicurò dentro le mura di Roma, mentre la sua cavalleria si avanzò quaranta miglia sulla via Appia, e si accampò nelle paludi Pontine, le quali, mediante un canale lungo diciannove miglia erano state recentemente seccate, e convertite in eccellenti pasture678. Ma le Fortezze principali dei Goti eran disperse nella Dalmazia, nella Venezia, e nella Gallia, ed il debole spirito del loro Re era confuso dall'infelice evento d'una divinazione, che sembrava presagir la caduta del suo Impero679. I più abbietti schiavi hanno (talvolta) processato il delitto, o la debolezza d'uno sfortunato padrone; ma il carattere di Teodato fu rigorosamente esaminato da un libero, e quieto campo di Barbari, consapevoli del lor diritto e potere; fu esso dichiarato indegno della sua razza, della Nazione e del trono, ed il loro Generale Vitige, che avea segnalato il proprio valore nella guerra Illirica, fu innalzato con unanime applauso sopra gli scudi de' suoi compagni. Al primo romore di ciò, il deposto Monarca fuggì dalla giustizia de' propri Nazionali; ma fu inseguito dalla vendetta privata. Un Goto, ch'egli aveva offeso nel suo amore, sorprese Teodato sulla via Flaminia, e senza riguardo alle non virili sue strida, lo scannò, mentre stava prostrato sul suolo, come una vittima (dice l'Istorico) a piè dell'Altare. L'elezione del Popolo è il titolo migliore e più puro per regnare sopra di esso; pure tal è il pregiudizio d'ogni tempo, che Vitige impazientemente desiderò di tornare a Ravenna per poter ivi prendere, con la ripugnante mano della figlia di Amalasunta, una debole ombra di ereditario diritto. Si tenne immediatamente un Concilio Nazionale, ed il nuovo Monarca dispose l'impaziente spirito dei Barbari ad un passo vergognoso, che la cattiva condotta del suo predecessore avea reso indispensabile e savio. I Goti acconsentirono a ritirarsi in faccia d'un vittorioso nemico; a differire fino alla primavera seguente le operazioni d'una guerra offensiva: a richiamare le sparse loro truppe; ad abbandonare i lontani loro stabilimenti, e ad affidare anche la stessa Roma alla fede de' suoi abitanti. Lauderi attempato guerriero, fu lasciato nella Capitale con quattromila soldati: debole guarnigione, che avrebbe potuto secondare lo zelo de' Romani, quantunque fosse incapace d'opporsi ai desiderj di essi. Ma si accese ne' loro animi un momentaneo entusiasmo di religione e di patriottismo: essi furiosamente esclamarono che la Sede Apostolica non dovea più lungamente profanarsi dal trionfo, o dalla tolleranza dell'Arrianismo, che non si dovevan più calpestare le tombe de' Cesari da' selvaggi del Settentrione; e senza riflettere, che l'Italia dovea divenire una Provincia di Costantinopoli, con trasporto applaudirono alla restaurazione d'un Imperator Romano, come, ad una nuova epoca di libertà e di prosperità. I Deputati del Papa e del Clero, del Senato e del Popolo invitarono il Luogotenente di Giustiniano ad accettare il loro volontario omaggio, e ad entrare nella Città, di cui si sarebbero aperte le porte per riceverlo. Tosto che Belisario ebbe fortificato le sue nuove conquiste di Napoli e di Cuma, si avanzò per circa venti miglia fino alle rive del Vulturno, contemplò la decaduta grandezza di Capua, e si fermò dove la via Latina si separa dall'Appia. L'opera del Censore, dopo l'uso continuo di nove secoli, tuttavia conservava la sua primitiva bellezza, e neppure, una fessura potea scuoprirsi nelle grandi e levigate pietre, delle quali era quella solida, sebbene stretta via, si stabilmente composta680. Belisario però preferì la via Latina, che lontana dal mare e dalle paludi continuava per lo spazio di centoventi miglia lungo il piede delle montagne. I suoi nemici erano spariti. Quando egli fece il suo ingresso per la porta Asinaria, la guarnigione partì senz'alcuna molestia per la via Flaminia; e la Città, dopo sessant'anni di servitù, fu liberata dal giogo de' Barbari. Il solo Leuderi, per un motivo d'orgoglio o di mal contento, non volle accompagnare i fuggitivi; ed il Capitano de' Goti, ch'era egli medesimo un trofeo della vittoria, fu mandato con le chiavi di Roma al Trono dell'Imperator Giustiniano681.
I primi giorni, che corrispondevano agli antichi Saturnali, consacrati furono alla vicendevol congratulazione, ed alla pubblica gioia; ed i Cattolici si preparavano a celebrare, senza rivali, la prossima festa della Natività di Cristo. Nella famigliar conversazione d'un Eroe, acquistarono i Romani qualche cognizione delle virtù, che l'Istoria attribuiva a' loro Maggiori, furono edificati dell'apparente rispetto di Belisario per il successor di S. Pietro; e la rigida sua disciplina assicurò loro, in mezzo alla guerra, i vantaggi della tranquillità e della giustizia. Essi applaudirono al rapido successo delle sue armi, che invasero l'addiacente campagna, fino a Narni, Perugia e Spoleto; ma tremò il Senato, il Clero ed il Popolo imbelle all'udire, ch'egli aveva risoluto, e presto sarebbe stato nel caso di sostenere un assedio contro le forze della Monarchia Gotica. Furono eseguiti nella stagione invernale i disegni di Vitige con diligenza ed effetto. I Goti dalle rustiche loro abitazioni e dalle lor guarnigioni più distanti, adunaronsi a Ravenna per difesa del loro Paese; e tale ne fu il numero, che dopo averne distaccata un'armata in aiuto della Dalmazia, marciarono sotto le bandiere Reali ben cento cinquantamila combattenti. Secondo i vari gradi del posto o del merito, il Re Goto distribuì armi e cavalli, ricchi doni e liberali promesse: ei si mosse lungo la via Flaminia, evitò gl'inutili assedj di Perugia e di Spoleto, rispettò l'inespugnabile Rocca di Narni, ed arrivò lontano due miglia di Roma, a piè del Ponte Milvio. Quello stretto passo era fortificato con una torre, e Belisario avea contato l'importanza di venti giorni, che bisognava consumare nel costruire un altro ponte. Ma la costernazion de' soldati della torre, che o fuggirono o disertarono, sconcertò le sue speranze, ed espose la sua persona al più imminente pericolo. Il Generale Romano, alla testa di mille cavalli, uscì dalla porta Flamminia per notare il luogo d'una vantaggiosa posizione, e per osservare il campo de' Barbari; ma mentre li credeva sempre dall'altra parte del Tevere, fu ad un tratto circondato ed assalito dagl'innumerabili loro squadroni. Il destino d'Italia dipendeva dalla sua vita; ed i disertori si dirigevano all'appariscente cavallo baio682 con la faccia bianca, ch'ei cavalcava in quella memorabil giornata: «Mira al cavallo baio» era il grido universale. Ogni arco era teso, ed ogni dardo appuntato contro quel fatale oggetto, e veniva ripetuto ed eseguito quest'ordine da migliaia di persone, che ne ignoravano il vero motivo. I più arditi Barbari si avanzarono al più onorevol combattimento delle spade e delle lance, e la lode d'un nemico ha onorato la caduta di Visando, che portando la bandiera683 mantenne il suo posto avanti degli altri, finattantochè non rimase trafitto da tredici ferite, per mano forse di Belisario medesimo. Il Generale Romano era forte, attivo e destro; da ogni parte scagliava i pesanti e mortali suoi colpi; le fedeli sue guardie ne imitarono il valore, e ne difesero la persona; ed i Goti, dopo una perdita di mille uomini, fuggirono innanzi alle armi d'un Eroe. Furono temerariamente inseguiti fino al lor campo, ed i Romani, oppressi dalla moltitudine, fecero una lenta ed alla fine precipitosa ritirata verso le porte della Città, le quali si chiusero in faccia de' fuggitivi; ed il pubblico terrore s'accrebbe dalla notizia, che Belisario era stato ucciso. Era in vero sfigurato il suo aspetto dal sudore, dalla polvere, e dal sangue; rauca n'era la voce, e quasi esausta la forza; ma tuttavia gli restava l'invincibile suo coraggio: ei lo partecipò agli abbattuti compagni; ed il disperato loro ultimo sforzo si sentì da' Barbari, posti nuovamente in fuga come se fosse uscito dalla Città un altro vigoroso ed intero esercito. Fu aperta la porta Flamminia ad un vero trionfo; ma non potè Belisario esser persuaso dalla moglie e dagli amici a prendere il necessario ristoro di cibo e di sonno, prima d'aver visitato ogni posto, e provveduto alla pubblica sicurezza. Nello stato più perfetto dell'arte della guerra, è raro che un Generale abbia bisogno, o che anche gli sia permesso di mostrare la personal sua prodezza di soldato; e può aggiungersi quello di Belisario a' rari esempi di Enrico IV, di Pirro e d'Alessandro.
Dopo questo primo ed infelice sperimento de' nemici, tutto l'esercito dei Goti passò il Tevere e formò l'assedio della Città, che continuò più d'un anno, fino all'ultima loro partenza. Per quanto possa spaziar l'immaginazione, l'esatto compasso del Geografo determina il circuito di Roma ad una linea di dodici miglia e di trecento quarantacinque passi; e questo circuito, eccettuata la parte ch'è nel Vaticano, è stato invariabilmente il medesimo dal trionfo di Aureliano, fino al pacifico, ma oscuro Regno de' moderni Papi684. Ma nel tempo della sua grandezza, lo spazio compreso dentro le mura era pieno di abitazioni e di abitanti; ed i popolati sobborghi, che s'estendevano lungo le pubbliche strade, partivano come tanti raggi da un centro comune. Le avversità le tolsero questi estranei ornamenti, e lasciarono desolata e nuda anche una parte considerabile de' sette Colli. Nondimeno, Roma, nel presente suo stato, potrebbe mettere in campo sopra trentamila uomini atti a militare685; e nonostante la mancanza di disciplina e d'esercizio, la massima parte di essi, assuefatta a' travagli della povertà, sarebbe capace di portar le armi per la difesa della patria e della religione. La prudenza di Belisario non trascurò questo importante ripiego. Furono alquanto sollevati i suoi soldati dallo zelo e dalla diligenza del Popolo, che vegliava mentr'essi dormivano, e lavorava mentr'essi riposavano; egli accettò il volontario servizio della più brava e indigente gioventù Romana; e le compagnie di cittadini talvolta rappresentavano, in un posto vacante, le truppe, che si eran mandate a fare operazioni di maggiore importanza. Ma la giusta sua fiducia era posta ne' veterani, che avevan combattuto sotto le sue bandiere nelle guerre di Persia o dell'Affrica; e sebbene quella valorosa truppa fosse ridotta a cinquemila uomini, con sì tenue numero intraprese a difendere un recinto di dodici miglia contro un esercito di cento cinquantamila Barbari. Nelle mura di Roma, che Belisario costruì o restaurò, si possono ancora discernere i materiali dell'antica architettura686; e fu compita l'intera fortificazione, a riserva d'un apertura, che sempre esiste fra le porte Pincia e Flamminia, e che i pregiudizi de' Goti e de' Romani lasciavano sotto l'efficace custodia di S. Pietro Apostolo687. I bastioni erano fatti ad angoli acuti; un fosso largo e profondo difendeva il piede della muraglia; e gli arcieri sopra di essa erano aiutati dalle macchine militari, come dalla Balista, forte arco in forma di croce, che scagliava corti, ma grossi dardi, e dagli Onagri, o asini selvaggi che a guisa di fionde gettavano pietre e palle di enorme grandezza688. Sì tirò una catena a traverso il Tevere; si resero impervj gli archi degli acquedotti; e la mole o il sepolcro d'Adriano689 fu per la prima volta convertito in una Cittadella. Questa venerabile Fabbrica, la quale conteneva le ceneri degli Antonini, era una Torre circolare, che s'alzava sopra una base quadrangolare; era coperta di marmo bianco di Paros e decorata da statue di Numi e di Eroi; e l'amatore delle arti dee leggere sospirando, che le opere di Prassitele o di Lisippo fossero staccate dagli alti lor piedestalli, e gettate nel fosso sulle teste degli assedianti690. A ciascuno de' suoi Luogotenenti Belisario assegnò la difesa d'una porta, con la savia e perentoria istruzione, che qualunque muovimento potesse farsi, essi restassero costantemente a' rispettivi lor posti, e lasciassero al Generale il pensiero della salvezza di Roma. Il formidabil'esercito de' Goti non fu sufficiente ad abbracciar l'ampio circuito della Città; di quattordici porte non ne furono investite che sette dalla via Prenestina fino alla Flamminia; e Vitige divise le sue truppe in sei campi, ciascheduno dei quali era fortificato con un fosso ed un muro. Dalla parte del fiume verso la Toscana, formossi un settimo accampamento nel campo o circo del Vaticano, per l'importante oggetto di dominare il ponte Milvio, ed il corso del Tevere; ma s'accostavano con devozione alla vicina Chiesa di S. Pietro, e durante l'assedio, la soglia de' Santi Apostoli fu rispettata da un nemico Cristiano. Ne' secoli delle vittorie, ogni volta che il Senato decretava qualche distante conquista, il Console dichiarava la guerra con aprire in solenne pompa le porte del Tempio di Giano691. La guerra domestica rese in quest'occasione superfluo l'avviso, e la ceremonia erasi abolita dallo stabilimento d'una nuova Religione: ma rimaneva tuttora in piedi nel Foro il tempio di bronzo di Giano, ch'era di una grandezza capace di contener solamente la statua di quel nume alta cinque cubiti, di figura umana, ma con due faccie, dirette all'Oriente ed all'Occidente. Le doppie porte erano parimente di bronzo; ed un inutile sforzo per girarle su' rugginosi lor cardini, manifestò lo scandaloso segreto, che v'erano de' Romani tuttavia attaccati alla superstizione de' loro Maggiori.
Gli assedianti consumaron diciotto giorni a provveder tutti gl'istrumenti d'attacco, che aveva inventato l'antichità. Si prepararon delle fascine per empiere i fossi, e delle scale per salir sulle mura; i più grossi alberi della foresta somministraron le travi di quattro arieti, che avevano le teste armate di ferro; essi eran sospesi per mezzo di cavi, e maneggiati da cinquant'uomini per ciascheduno. Le alte torri di legno si muovevano sopra delle ruote o de' rulli e formavano una spaziosa piattaforma al livello della muraglia. La mattina del decimonono giorno, fu fatto un generale attacco dalla Porta Prenestina fino alla Vaticana: s'avanzarono all'assalto sette colonne Gotiche con le loro macchine militari; ed i Romani che stavano in fila sulle mura, prestavano con dubbiezza ed ansietà orecchio alle vive assicurazioni de' lor Comandanti. Appena il nemico s'accostò al fosso, Belisario medesimo scagliò il primo dardo; e tale fu la sua forza e destrezza, che trafisse il primo de' condottieri barbari. Un rimbombo d'applauso e di vittoria andò eccheggiando lungo le mura. Tirò egli un secondo dardo, ed il colpo ebbe il medesimo successo e la medesima acclamazione. Allora il Generale Romano diede ordine, che gli arcieri mirassero a' luoghi dov'erano attaccati i bovi, e questi furono immediatamente coperti di mortali ferite; le torri, ch'essi tiravano, restarono inutili ed immobili; ed un solo momento sconcertò i laboriosi progetti del Re dei Goti. Malgrado di questo smacco, Vitige continuò tuttavia, o finse di continuare l'assalto della porta Salaria per divertir l'attenzione del suo avversario, mentre le principali sue forze più fortemente attaccavano la porta Prenestina, ed il sepolcro d'Adriano alla distanza di tre miglia da quella. Vicino alla prima, le doppie mura del Vivarium692 erano basse o rotte: le fortificazioni dell'altro erano guardate debolmente: si eccitava il vigore de' Goti dalla speranza della vittoria e della preda; e se avesse ceduto un sol posto, i Romani e Roma stessa erano irreparabilmente perduti. Questa pericolosa giornata fu la più gloriosa nella vita di Belisario: in mezzo al tumulto ed allo spavento era distintamente presente al suo spirito tutto il piano dell'attacco e della difesa; osservava le mutazioni d'ogni istante; pesava ogni possibil vantaggio; accorreva ne' luoghi di pericolo; e comunicava il suo coraggio con tranquilli e decisivi ordini. Il combattimento mantennesi fieramente dalla mattina fino alla sera; i Goti furon rispinti da tutte le parti ed ogni Romano potè vantarsi d'aver vinto trenta Barbari, se pur la strana sproporzione del numero non fu contrabbilanciata dal merito d'un sol uomo. Trentamila Goti, secondo la confessione de' propri lor Capitani perirono in questa sanguinos'azione, e la quantità de' feriti fu uguale, a quella de' morti. Allorchè si avanzarono all'assalto, lo stretto loro disordine non permise che un sol giavelotto andasse a vuoto; e quando si ritirarono, s'unì la plebaglia della Città ad inseguirli, e trafisse impunemente le schiene dei fuggitivi loro nemici. Belisario immediatamente sortì dalle porte, e mentre i soldati celebravano il nome e le vittorie di lui, furono ridotte in cenere le macchine di guerra ostili. Tale fu la perdita e la costernazione de' Goti, che dopo quel giorno l'assedio di Roma degenerò in un tedioso e indolente blocco; e furono essi continuamente inquietati dal Generale Romano, che in frequenti scaramucce distrusse più di cinquemila uomini delle loro più valorose truppe. La cavalleria de' Goti non era pratica nell'uso dell'arco; i loro arcieri militavano a piedi; e questa forza così divisa non fu capace di contendere co' loro avversari, le lancie ed i dardi de' quali erano ugualmente formidabili sì da lontano che da vicino. La consumata perizia di Belisario gli faceva abbracciar tutte le occasioni favorevoli; e siccome sceglieva il luogo ed il momento, insisteva nell'attacco o suonava la ritirata a proposito693, così rare volte gli squadroni, ch'ei distaccava, ebber cattivo successo. Questi particolari vantaggi sparsero un impaziente ardore fra i soldati, ed il Popolo che principiava a sentir gl'incomodi dell'assedio, ed a non curare i pericoli d'una mischia generale. Ogni plebeo s'immaginò d'essere un eroe, e l'infanteria, che dopo la decadenza della disciplina erasi rigettata dalla linea di battaglia, aspirava agli antichi onori della legione Romana. Belisario lodò il coraggio delle sue truppe, condannò la lor presunzione, cedè a' loro clamori e preparò i rimedi d'una disfatta, la possibilità della quale egli solo ebbe il coraggio di sospettare. Nel quartiere del Vaticano, i Romani prevalsero; e se nel saccheggio del campo non avessero consumato degli irreparabili momenti, avrebber potuto occupare il ponte Milvio, ed attaccar l'esercito Gotico nella retroguardia. Dall'altra parte del Tevere s'avanzò Belisario dalle porte Pincia e Salaria; ma la sua armata, forse di quattromila soldati, si perdè in una spaziosa pianura e fu circondata ed oppressa da fresche truppe, che continuamente supplivano le rotte file de' Barbari. I valorosi condottieri dell'infanteria, non sapendo vincere, morirono; una precipitosa ritirata fu coperta dalla prudenza del Generale; ed i vincitori si sottrassero con spavento dal formidabile aspetto d'una muraglia armata. La riputazione di Belisario non fu macchiata da una disfatta; e la vana confidenza de' Goti non fu meno vantaggiosa pe' suoi disegni, che il pentimento e la modestia delle truppe Romane.
Fin dal momento in cui Belisario erasi determinato a sostenere un assedio, l'assidua sua cura fu di metter Roma al coperto dal pericolo della fame, più terribile che le armi de' Goti. Vi s'era introdotta dalla Sicilia una straordinaria quantità di grano; le raccolte della Campania e della Toscana furono a forza destinate per l'uso della Città; e si violarono i diritti della proprietà privata per la forte ragione della salvezza pubblica. Era ben facile a prevedersi che il nemico tagliato avrebbe gli acquedotti e la mancanza de' mulini a acqua fu il primo incomodo che prestamente si rimosse, legando insieme delle gran barche, e fissandovi delle macine lungo la corrente del fiume. Questo però fu tosto imbarazzato di tronchi di alberi e contaminato di cadaveri; ma le precauzioni del General Romano tornarono sì efficaci, che le acque del Tevere continuarono sempre a dare il moto a' mulini e la bevanda agli abitanti; a quartieri più lontani supplivano i pozzi domestici, ed una Città assediata poteva senza impazienza soffrire la privazione de' suoi pubblici Bagni. Una gran parte di Roma, dalla porta Prenestina fino alla Chiesa di S. Paolo, non fu mai investita da' Goti; si frenavano le loro scorrerie dall'attività delle truppe Moresche; e la navigazione del Tevere, e le strade Latina, Appia ed Ostia erano libere e senza molestia per l'introduzione del grano e del bestiame, o per la ritirata degli abitanti, che cercavan rifugio nella Campania o in Sicilia. Belisario, desideroso di sgravarsi d'una inutile divorante moltitudine, diede i suoi perentorj ordini per la subita partenza delle donne, de' fanciulli e degli schiavi. Volle che i suoi soldati licenziassero i loro serventi, sì maschi che femmine, e regolò in modo il loro stipendio, che ne ricevessero una metà in provvisioni, e l'altra in danaro. La sua previdenza fu giustificata dall'aumento della pubblica strettezza, tosto che i Goti ebber occupato due posti importanti nelle vicinanze di Roma. Mediante la perdita del porto, o come si dice adesso, della città di Porto, restò chiuso il paese alla destra del Tevere, e tolta la miglior comunicazione col mare; ed il Generale rifletteva con dispiacere o con isdegno, che con trecent'uomini, se avesse potuto risparmiare sì tenue quantità di truppa, avrebbe potuto difenderne le inespugnabili fortificazioni. Alla distanza di sette miglia dalla Capitale, fra la via Appia e la Latina, due principali acquedotti, replicatamente incrociandosi fra loro, chiudevano dentro i solidi ed alti loro archi un luogo fortificato694, dove pose Vitige un campo di settemila Goti per intercettare i convogli della Sicilia e della Campania. Si esaurirono appoco appoco i granai di Roma; l'addiacente campagna era stata devastata dal ferro e dal fuoco; e quegli scarsi sussidi, che si potevan ottenere per mezzo di frettolose scorrerie, servivan di premio al valore, ed erano il prezzo della ricchezza: non mancò mai veramente il foraggio per i cavalli, ed il pane per gli uomini: ma negli ultimi mesi dell'assedio il Popolo trovossi esposto alle miserie della carestia, ad un cibo malsano695, ed al disordine del contagio. Belisario scorgeva e compassionava i lor patimenti; ma egli avea preveduto, e stava osservando in essi la diminuzione della fedeltà ed il progresso del malcontento. L'avversità avea risvegliato i Romani da' sogni di grandezza e di libertà, ed aveva insegnato loro l'umiliante lezione, che poco importava per la reale felicità loro, che il nome del padrone a cui dovevano ubbidire, derivato fosse dalla lingua Gotica o dalla Latina. Il Luogotenente di Giustiniano ascoltò le giuste loro querele, ma rigettò con isdegno l'idea della fuga, o della capitolazione; represse la clamorosa loro impazienza di combattere; gli lusingò col prospetto d'un sicuro e pronto soccorso; ed assicurò se medesimo e la Città dagli effetti della disperazione o del tradimento di essi. Due volte il mese mutava il posto degli Ufiziali, a' quali era commessa la custodia delle porte; impiegò più volte le varie precauzioni di pattuglie, della parola, de' fanali e della musica per scoprire tutto ciò, che seguiva sulle mura; furon poste delle guardie avanzate di là dal fosso; e la fedel vigilanza de' cani suppliva alla più dubbiosa fedeltà degli uomini. Fu intercettata una lettera, che assicurava il Re de' Goti, che la porta Asinaria, annessa alla Chiesa Lateranense si sarebbe segretamente aperta alle sue truppe. Sulla prova dunque o sul sospetto di tradimento furon banditi più Senatori, e fu citato il Pontefice Silverio a portarsi dal Rappresentante del suo Sovrano, al principal quartiere di esso nel Palazzo Pinciano696. Gli Ecclesiastici, che seguitavano il loro Vescovo, furono ritenuti nel primo e nel secondo appartamento697, ed egli solo fu ammesso alla presenza di Belisario. Il Conquistatore di Roma e di Cartagine sedeva modestamente a piè d'Antonina che riposava sopra un magnifico letto: il Generale tacque ma uscì la voce del rimprovero e della minaccia dalla bocca dell'imperiosa sua moglie. Accusato da testimoni degni di fede e della prova della propria sua sottoscrizione698 il successor di S. Pietro fu spogliato dei suoi ornamenti Pontificali, vestito da semplice monaco; e senza dilazione imbarcato per un lontano esilio in Oriente. Per ordine poi dell'Imperatore, il Clero di Roma procedè alla scelta d'un nuovo Vescovo, e dopo una solenne invocazione dello Spirito Santo, elesse il diacono Vigilio, che avea comprato la sede Papale con un donativo di dugento libbre d'oro. S'imputò a Belisario il profitto, e per conseguenza la colpa di questa simonìa: ma l'Eroe ubbidiva agli ordini della sua moglie; Antonina serviva alle passioni dell'Imperatrice; e Teodora prodigamente spargeva i suoi tesori con la vana speranza d'ottenere un Pontefice contrario, o almeno indifferente per il Concilio di Calcedonia699.
La lettera di Belisario all'Imperatore annunciava la vittoria, il pericolo e la fermezza di esso. «Secondo i vostri ordini sono entrato (dic'egli) ne' dominj de' Goti, ed ho ridotto alla vostra ubbidienza la Sicilia, la Campania e la Città di Roma: la perdita però di tali conquiste sarà più vergognosa di quel che ne fosse glorioso l'acquisto. Fin qui abbiamo felicemente combattuto contro sciami di Barbari, ma la lor moltitudine può alla fin prevalere. La vittoria è dono della provvidenza; ma la reputazione de' Re e de' Generali dipende dal buono o cattivo successo de' loro disegni. Permettetemi di parlare con libertà: se volete che viviamo, mandateci viveri; se desiderate che facciamo conquiste, mandateci armi, cavalli, e uomini. I Romani ci hanno ricevuto come amici e liberatori; ma nella nostra presente angustia, o saranno essi traditi per la loro fiducia, o noi resterem oppressi dal tradimento e dall'odio di essi. Quanto a me, la mia vita è consacrata al vostro servizio: a voi tocca a riflettere, se in questa situazione la mia morte contribuirà alla gloria, ed alla prosperità del vostro Regno». Forse quel Regno sarebbe stato ugualmente prospero, se il pacifico Signor dell'Oriente si fosse astenuto dalla conquista dell'Affrica e dell'Italia: ma siccome Giustiniano era ambizioso di fama, egli fece alcuni sforzi, sebbene deboli e languidi, per sostenere e liberare il vittorioso suo Generale. Martino e Valeriano condussero un rinforzo di mille seicento Schiavoni ed Unni; e siccome si erano riposati nella stagione invernale ne' porti della Grecia, non s'era la forza degli uomini e de' cavalli diminuita dalle fatiche d'un viaggio per mare, ed essi distinsero il lor valore nella prima sortita contro gli assedianti. Verso il tempo del solstizio estivo sbarcò a Terracina Eutalio con grosse somme di danaro per il pagamento delle truppe: proseguì cautamente il suo cammino lungo la via Appia, ed entrò in Roma questo convoglio per la porta Capena700, mentre Belisario, da un'altra parte, divertiva l'attenzione de' Goti mediante una vigorosa e felice scaramuccia. Questi opportuni aiuti, l'uso e la riputazione de' quali destramente si maneggiarono dal Generale Romano, ravvivarono il coraggio, o almen le speranze de' soldati e del Popolo. Fu mandato l'Istorico Procopio con una importante commissione a raccoglier le truppe e le provvisioni, che potea somministrar la Campania, o si eran mandate da Costantinopoli; ed il segretario di Belisario fu tosto seguito da Antonina medesima701, che arditamente traversò i posti del nemico, e tornò coi soccorsi Orientali in aiuto del suo marito e dell'assediata Città. Una flotta di tremila Isauri gettò l'ancora nella baia di Napoli, ed in seguito ad Ostia; più di duemila cavalli, una parte de' quali erano Traci, sbarcarono a Taranto; e dopo la riunione di cinquecento soldati della Campania, e d'una quantità di carri carichi di vino e di farina, essi presero il loro cammino per la via Appia, da Capua verso Roma. Le forze, che arrivarono per terra e per mare, erano tutte unite all'imboccatura del Tevere. Antonina dunque adunò un consiglio di guerra, dove fu risoluto di vincere a forza di vele e di remi la contraria corrente del fiume; ed i Goti non ardirono disturbare con alcuna temeraria ostilità la negoziazione, a cui Belisario accortamente avea dat'orecchio. Credettero essi troppo facilmente di non vedere che la vanguardia d'una flotta e di un'esercito che già copriva il mare Ionio e le pianure della Campania; e fu sostenuta quest'illusione dal superbo linguaggio, che tenne il Generale Romano, allorchè diede udienza agli Ambasciatori di Vitige. Dopo uno specioso discorso per dimostrar la giustizia della lor causa essi dichiararono, che per amor della pace eran disposti a rinunziare il possesso della Sicilia. «L'Imperatore non è meno generoso,» rispose con un sorriso di sdegno il suo Luogotenente, «in contraccambio d'un dono, che voi più non possedete, vi regala un'antica provincia dell'Impero; rinunzia egli a' Goti la sovranità dell'Isola Britannica». Belisario con ugual fermezza e disprezzo rigettò l'offerta d'un tributo; ma concesse agli Ambasciatori Goti di sentire il loro destino dalla bocca di Giustiniano medesimo; ed acconsentì con apparente ripugnanza ad una tregua di tre mesi, dal solstizio d'inverno fino all'equinozio di primavera. Potea la prudenza certamente diffidare sì de' giuramenti, che degli ostaggi dei Barbari; ma la nota superiorità del Capitano Romano si manifestò nella distribuzione delle sue truppe: ogni volta che il timore o la fame costrinse i Goti a lasciare Alba, Porto, e Civitavecchia, fu immediatamente occupato il lor posto; si rinforzarono le guarnigioni di Narni, di Spoleto e di Perugia; ed i sette campi degli assedianti furono appoco appoco circondati dalle calamità d'un assedio. Le preghiere ed il pellegrinaggio di Dazio, Vescovo di Milano, non furono senza effetto; ed egli ottenne mille Traci ed Isauri per sostenere la rivolta della Liguria contro l'Arriano di lei tiranno. Nell'istesso tempo Giovanni il Sanguinario702, nipote di Vitaliano, fu distaccato con duemila cavalli scelti, prima per Alba sul lago Fucino, e poi per le frontiere del Piceno sul mare Adriatico: «In quella provincia, disse Belisario, i Goti hanno depositato le lor famiglie ed i loro tesori, senz'alcuna guardia o sospetto di pericolo. Senza dubbio essi violeranno la tregua; vi trovino dunque presenti prima che abbiano notizia de' vostri movimenti. Risparmiate gl'Italiani; non vi lasciate dietro le spalle alcuna piazza ostile fortificata; e conservate fedelmente la preda per farne un uguale e comune riparto. Non sarebbe ragionevole, soggiunse con un sorriso, che mentre noi travagliamo per distruggere i calabroni, i nostri più fortunati fratelli portassero via e godessero il miele».
Dove ha egli trovato il Sig. Gibbon, che Silverio fosse accusato da testimoni degni di fede, e convinto dalla prova della sua sottoscrizione? Gli Autori che cita nella nota (1 p. 444) non dicono questo. Procopio, ch'era presente al fatto, così lo riferisce «Essendo nato sospetto (υποψιας), che Silverio Vescovo di Roma tramasse un tradimento co' Goti, subito lo relegò in Grecia ec.» ma questo pare al N. A. un testimone troppo secco e ripugnante a tal atto, quasi che Procopio fosse un uomo devoto e scrupoloso, o che nelle sue opere si dimostrasse addetto a' Romani Pontefici, più che a Belisario: non sarebbe anzi più ragionevole il supporre, che il Segretario ed encomiatore del Generale avesse usato quella maniera di dire secca e concisa per cuoprirne quanto potea l'ingiustizia, e che in verità vi fosse anche meno che un sospetto contro la fedeltà di Silverio? Ma udiamo gli altri scrittori citati dal Sig. Gibbon: Augusta (dice Anastasio in vit. Silverii) misit jussiones ad Vilisarium Patricium per Virgilium Diaconum ita continentes: vide aliquas occasiones in Silverium Papam, et depone illum ab Episcopatu, aut certe festinus trasmitte eum ad nos… Et tunc suscepit jussionem Vilisarius Patricius dicens; Ego quidem jussionem facio, sed ille, qui interest in nece Silverii Papae, ipse rationem reddet de factis suis Domino Nostro Jesu Christo. Et urgente jussione exierunt quidam falsi testes: qui et dixerunt: quia nos multis vicibus invenimus Silverium Papam scripta mittentem ad Regem Gothorum:......... Asinaria, juxta Lateranas, et Civitatem tibi trado, et Vilisarium Patricium. Quod autem Vilisarius non credebat: Sciebat enim, quod per invidiam haec de eo dicebantur. Sed dum multi in eadem accusatione persisterent, pertimuit etc. Son questi i testimoni degni di fede? questa è la propria sottoscrizion di Silverio? Gibbon dirà, che questa descrizione è appassionata. Vediamo dunque Liberato: Belisarius vero (dic'egli) Romam reversus, evocans Silverium ad Palatium, intentabat ei calumniam, quasi Gothis scripsisset, ut Romam introirent. Fertur enim Marcum quemdam Scholasticum, et Julianum quemdam Praetorianum fictas de nomine Silverii composuisse litteras Regi Gothorum scriptas, ex quibus convinceretur Silverius Romanam velle prodere Civitatem. Secreto autem Belisarius et ejus conjux persuadebant Silverio implere praeceptum Augustae, ut tolleretur Chalcedonensis synodus, et per epistolam suam haereticorum firmaret fidem ec. Se anche questa è una testimonianza appassionata, noi domanderemo al Sig. Gibbon, quali son dunque le narrazioni vere ed imparziali, dalle quali esso ha tratto la notizia de' credibili testimoni, che accusaron Silverio, e della propria di lui sottoscrizione? E frattanto ch'ei trova altre autorità opportune per il suo intento, avremo tutta la ragione d'approvar come giuste l'esecrazioni del Card. Baronio contro la patente e sacrilega ingiustizia di Belisario.
Nota dell'Editore Pisano.
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