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Kitabı oku: «I minatori dell' Alaska», sayfa 18

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– Non mi stupirei se trovassimo ancora degli scheletri appesi , – concluse don Pablo. – Mi raccontarono che oltre trenta banditi vennero condannati a danzare l’ultimo fandango all’estremità delle piante.

– Che ce ne siano ancora di quei bricconi? – chiese Armando.

– È probabile, quantunque i placers del Bonanza siano stati ormai sfruttati. Pochi minatori devono ancora lavorare sulle rive di quel fiume. Vi raccomando, però, di vegliare attentamente attorno al campo, per non farci rubare i cavalli e le provviste.

– Se ne vedo apparire uno, lo abbatto come un cane – disse Bennie.

Terminata la cena e bruciata una pipata di tabacco, i minatori si ripararono sotto la tenda, mentre Back e Armando montavano il primo quarto di guardia, fra i falò, per non perdere di vista i cavalli che erano stati legati al tronco di un pino.

XXXII – L’ATTACCO DEL «BUSHRANGER»

Malgrado i loro timori, la notte fu calma. Soltanto alcuni lupi, spinti dalla fame, osarono mostrarsi in vicinanza dell’accampamento, assordando gli uomini di guardia con i loro ululati. Un colpo di fucile, che abbattè il più ardito, bastò però a ricacciarli sulle montagne dalle quali erano scesi. Dopo un’abbondante colazione, il drappello riprendeva il cammino inoltrandosi in mezzo a una gigantesca foresta che pareva dovesse estendersi, senza interruzione, fino sulle rive del Bonanza. Essendo il terreno meno accidentato del giorno precedente, la marcia dapprima fu rapida, però ben presto fu rallentata a causa dei boschi, che crescevano fra gli enormi tronchi dei pini bianchi e neri, degli abeti, e dei cedri selvatici. Sospettando che la selvaggina abbondasse in mezzo a quelle piante gigantesche e a quei cespugli, Bennie e Armando nominati provveditori della carovana, si erano messi all’avanguardia, tenendo i fucili in mano. Le orme non mancavano sul terreno umido. Di tratto in tratto si vedevano delle tracce di alci, di lupi, di raccoon, di carcajou e anche di ovibus, specie di buoi selvatici, di statura piuttosto bassa e con corna formidabili. Già avevano percorso una diecina di miglia, sempre inoltrandosi in quella grande foresta, quando Bennie mostrò ad Armando numerosissime impronte. Pareva che un grosso branco di animai forniti di zoccoli, si fosse fermato là poco prima.

– Sì – disse il canadese, osservando i muschi. – Quegli animali hanno pascolato di recente, forse da qualche ora.

– Che cosa sono? – chiese Armando.

– Saranno degli ovibus.

– Valgono un colpo di fucile?

– Anche due, Armando.

– Cerchiamo di scovarli, Bennie.

– Non domando di meglio, amico. Lasciamo che i nostri compagni continuino la marcia, e noi scostiamoci un po’ e seguiamo queste tracce.

– Non ci smarriremo?

– Bah!… Un vecchio cacciatore!…

– Allora andiamo.

Avvertirono i compagni, promettendo loro di raggiungerli al più presto, e si cacciarono sotto gli alberi giganteschi, seguendo le orme lasciate dal branco. Percorsi cinque o seicento metri, il canadese rallentò il passo invitando il compagno a fare altrettanto. Sapendo quanto quei ruminanti siano difficili ad avvicinarsi, non voleva allarmarli. Sarebbe bastato il più lieve rumore a metterli in guardia o a farli fuggire, ed essendo agilissimi, un inseguimento non avrebbe dato alcun risultato. Le orme, continuamente esaminate da Bennie, diventavano sempre più distinte, poiché il suolo della foresta diventava sempre più umido. Ormai si scoprivano chiaramente i luoghi dove gli animali si erano fermati.

– Adagio, Armando, – disse a un tratto Bennie, fermandosi dietro al tronco di un cedro colossale. – Non udite nulla?

– Sì, dei lontani muggiti.

– Sono i nostri buoi muschiati.

– Devono essere nascosti in mezzo a quelle macchie, Bennie.

– Sì, certo. Avanti, senza far rumore.

Passando da un tronco all’altro, con gli occhi bene aperti, e il dito sul grilletto dei fucili, i due cacciatori s’inoltrarono per circa duecento metri, camminando sulla punta dei piedi per non far smuovere le foglie secche. Stavano per aggirare un vecchio pino, quando a sessanta od ottanta metri videro sbucare, da un fitto cespuglio, due animali. A prima vista sembravano due grossissimi montoni; infatti i buoi muschiati, ricordano con la loro conformazione, le pecore e i bovini. Sono di statura piccola, hanno le zampe corte, il muso peloso, con la bocca stretta, simile a quella dei montoni, la testa però è armata di due corna formidabili che s’incurvano in avanti, e alla base formano due masse ossee di grande spessore e molto rialzate. Il loro pelame è bellissimo, lungo, sottile, con i riflessi della seta, bruno, e scende fin quasi a coprire tutte le zampe. Un tempo questi animali erano numerosi nell’Alaska e sulle coste dell’America Polare, dove si vedevano galoppare in branchi numerosissimi di settanta od ottanta capi. Gli esquimesi li hanno ora quasi totalmente distrutti, e non si trovano ormai che nelle isole più settentrionali, specialmente nella Terra del Re Guglielmo, di Wollaskon e di Vittoria. Alcuni si vedono ancora nelle foreste più fitte dell’Alaska e delle terre dell’Innui occidentale, però si prevede che non tarderanno a scomparire, essendo cacciati accanitamente. I due buoi muschiati, forse gli ultimi del branco, avevano subito scorto i due cacciatori. Prima che Bennie e Armando avessero avuto il tempo d’imbracciare i fucili e di mirare, avevano fatto un fulmineo giro attorno alla macchia, fuggendo a precipizio.

– Corna di bisonte!… – urlò il canadese.

I due cacciatori si lanciarono di comune accordo dietro ai fuggiaschi, urlando a piena gola per far accorrere i compagni, i quali non dovevano trovarsi molto discosti. Per sette od otto minuti tennero dietro ai due buoi, poi li perdettero di vista. Malgrado le loro forme pesanti, quegli animali avevano preso un galoppo più rapido di quello dei cavalli.

– Al diavolo!… – esclamò Bennie, arrestandosi – Le nostre gambe non possono competere con le loro. Non mi sarei mai immaginato che corressero tanto.

– Abbiamo sprecato inutilmente il nostro tempo – disse Armando.

– Ci rifaremo un’altra volta.

– Raggiungiamo i compagni?

– Sì, Armando.

Si gettarono i fucili in spalla e piegarono verso sud per incrociare il drappello che aveva continuato la sua marcia verso est. Già cominciavano a sentire il nitrito dei cavalli quando, mentre stavano girando attorno a un pino caduto per decrepitezza, udirono una voce gridare:

– Ehi!… Gentlemen!Stop!

Bennie e Armando, sorpresi per quell’improvvisa intimazione, girarono intorno lo sguardo per vedere con chi avevano a che fare. Quella parte della foresta era molto fitta e selvaggia. All’intorno s’alzavano enormi pini e cedri, che certo contavano parecchi secoli e sotto quei colossi crescevano in gran numero dei cespugli, coronando i margini di alcune rocce, che formavano una lunga barriera serpeggiante in mezzo alla foresta.

Non vedendo chi aveva fatto quella intimazione, fecero alcuni passi innanzi per scostarsi da quel pino che impediva loro di vedere interamente le rocce. La voce di prima, più secca, più imperiosa, si fece nuovamente udire,

– Stop, gentlemen o faccio fuoco.

– Il diavolo vi porti!… – esclamò Bennie che cominciava a perdere la pazienza. – Dove siete? Abbiate la compiacenza di mostrare un pezzetto del vostro naso.

– Sono qui, al sicuro.

– Non vi vedo.

– Non importa.

– A noi invece preme di vedervi per sapere chi siete e che cosa desiderate.

– Non domando che una cosa sola.

– Dite.

– Che deponiate il vostro oro sul tronco di quel pino.

Bennie e Armando scoppiarono in una risata.

– Il nostro oro! – esclamò il canadese. – Siete pazzo, ladrone?

– Ladrone!… – gridò lo sconosciuto.

– Corna di bisonte!… Se ci intimate di consegnarvi la borsa, vuol dire che non siete un galantuomo. Vi prevengo, però, che oro non ne avrete per il semplice motivo che non abbiamo ancora visitato i placers.

– Allora depositate le vostre armi.

– Con tutto il piacere, purché veniate a prendervele.

Poi rivolgendosi verso Armando, gli disse rapidamente:

– In guardia, giovanotto; abbiamo incontrato un bushranger.

– Sono pronto, Bennie.

– Gettiamoci dietro questo tronco che può servirci di barricata.

Intanto il bandito aveva ripetuta l’intimazione di deporre le armi, minacciando, in caso di rifiuto, di far fuoco. I due cacciatori, invece di obbedire, con una mossa simultanea si gettarono dietro l’enorme tronco del pino, impugnando i fucili.

Si erano appena nascosti, quando uno sparo rintronò, e una palla ben diretta passò fischiando sopra le loro teste. Bennie, a rischio di riceverne un’altra nel cranio, si rizzò in piedi e scorse una nuvoletta di fumo ondeggiare sul margine di quella specie di barriera rocciosa, dietro a un fitto cespuglio.

– Il bandito è nascosto là – disse.

Alzò rapidamente il fucile e lo scaricò in mezzo a quelle piante, senza però colpire il bushranger, non avendo udito alcun grido.

– Corna di bisonte, – mormorò – Che si tenga nascosto dietro le rocce?

– L’avete veduto, Bennie? – chiese Armando.

– No.

– Che cosa facciamo?

– Tacete!…

Si volse rapidamente e vide dei cespugli che si agitavano a breve distanza, dietro le loro spalle. Contemporaneamente udì delle voci che partivano dalla barriera rocciosa.

– Stiamo per venire circondati? – si chiese, con inquietudine.

– Abbiamo dei bushrangers anche alle spalle? – domando Armando.

– Lo temo e..

– Che cosa avete?

– Guardate.

Armando si volse, e vide uscire dai cespugli che si trovavano dietro al tronco, don Pablo e Back. I due cercatori d’oro, avanzavano strisciando silenziosamente, tenendo in mano le rivoltelle. In pochi istanti raggiunsero i due cacciatori, nascondendosi rapidamente dietro il pino.

– I bushrangers? – chiese il giovane messicano.

– Sì, – rispose il canadese.

– Lo avevo sospettato. Quanti sono?

– Non lo sappiamo

– Sono dinanzi a noi?

– Sì, don Pablo. E dov’è il signor Falcone?

– È a poche diecine di passi da noi con i cavalli.

In quel momento si udì il bushranger gridare:

– Dunque, gentleman?

– Desiderate?… – chiese Bennie.

– Vi arrendete si o no?

– Non ne ho proprio voglia.

– Allora vi spareremo.

– Quando vorrete cominciare, sono pronto.

– Siamo in sette.

– Me ne infischio, gentleman ladrone.

Non aveva ancora terminate quelle parole, che un’improvvisa scarica partì dalle rocce. Cinque o sei fucili avevano fatto fuoco simultaneamente, però le palle non avevano avuto altro risultato che quello di cacciarsi nel legno del vecchio tronco.

Bennie si era nuovamente alzato, pronto a rispondere. Il giovane messicano che si trovava accanto al canadese, fu pronto a tirarlo indietro, dicendogli:

– Lasciate che si mostrino. Dopo quella scarica, assolutamente inoffensiva, i banditi non si erano più fatti vivi. Sia che si fossero allontanati, o che aspettassero che i cercatori d’oro si muovessero per aprire il fuoco, non si udivano più. Bennie e il messicano, temendo che si avvicinassero strisciando, o tentassero di aggirare la trincea costituita dall’enorme tronco del pino, si alzarono guardando all’intorno, ma senza alcun risultato. Una vaga inquietudine cominciò ad impadronirsi di loro. Che cosa stavano per tentare quei furfanti? Non era da credere che avessero abbandonata così presto la partita.

– Non possiamo rimanere qui una settimana – disse Bennie, il quale perdeva la pazienza. – Se cercassimo di attaccarli?

Il giovane messicano, invece di rispondere, si levò l’ampio sombrero, lo mise sulla canna del fucile e l’alzò al livello del tronco di pini. Quasi subito quattro spari, tirati uno dietro l’altro rintronarono, e il cappello colpito da una palla, volò a terra.

– Gentleman, ne avete abbastanza? – chiese il bandito.

Bennie stava per rispondere, ma don Pablo gli chiuse la bocca, mormorando all’orecchio:

– Costringiamolo a farsi vedere. Trascorsero alcuni istanti, poi il bushranger riprese:

– Siete morto, dunque, che non rispondete più? In tal caso vi prenderò il fucile, i vestiti e quanto avrete nelle tasche.

Verso la cresta rocciosa si udirono i cespugli agitarsi. Il canadese, Armando e don Pablo, trascinatisi all’estremità del tronco, si nascosero dietro le radici del colosso, mentre Back vegliava dalla parte della foresta. Un uomo sulla quarantina, stracciato, magro come un merluzzo, con una lunga barba incolta, e i capelli arruffati che gli piovevano sulle spalle, balzò giù dalla cresta rocciosa, tenendo in mano un fucile a ripetizione, uno splendido winchester a dodici colpi. Sia che in quel momento, attraverso le radici del pino avesse scorto i tre cercatori d’oro, o che un dubbio repentino lo avesse assalito, invece di farsi innanzi girò rapidamente sui talloni, cercando di precipitarsi in mezzo a una macchia vicina. Bennie si era lanciato all’aperto con un salto da far invidia ad un capriolo. Uno sparo rimbombò, seguito da un urlo.

– Ti ho colto, canaglia!… – urlò il canadese.

Senza attendere i compagni si gettò verso la macchia impugnando la rivoltella, ma quando giunse là il bushranger era scomparso.

– Corna di bisonte!… – esclamò. – Dov’è fuggito quel furfante?

– Là!… Là!… – gridò Armando.

– Fuoco!… – comandò don Pablo.

Il bushranger, strisciando attraverso i cespugli, aveva raggiunta la barriera di rocce, e stava per rintanarsi nella foresta. Armando e il giovane messicano avevano scaricato precipitosamente i loro fucili. Il bandito vacillò, come se fosse stato nuovamente colpito, poi, appostatosi dietro il tronco d’un cedro, scaricò, uno dietro l’altro, i dodici colpi del suo winchester, spazzando il terreno dinanzi a sè. Fortunatamente Bennie e i suoi compagni avevano avuto il tempo di ripararsi dietro al tronco del pino. Quando s’alzarono, il bushranger era scomparso nel folto della foresta, oltre la barriera formata dalla rocce.

– Lasciate che vada a farsi appiccare altrove – disse don Pablo, fermando il canadese, il quale stava per lanciarsi alla ricerca del briccone. – Forse non è solo, e i suoi compagni possono piombarci addosso.

– Il diavolo se lo porti!… Se avessi saputo che non aveva compagnia, a quest’ora non sarebbe più vivo – rispose Bennie. – Quella canaglia parlava a destra e a sinistra come se avesse avuto una banda presso di sè Credevo veramente che avesse dei compagni dietro a sè.

– Vecchie astuzie dei bushrangers – disse il giovane messicano.

Andiamo, signori: è giunto il mento di ripartire.

XXXIII – L’AUDACIA DI DUE BRICCONI

Per quattro giorni ancora, i cercatori d’oro marciarono fra quel selvaggio territorio che si stende fra la riva destra dell’Yucon e la riva sinistra del Bonanza, procedendo attraverso foreste vecchie quasi quanto la creazione del mondo, fra ammassi di rocce difficilissime a scalarsi e a torrenti, mettendo a ben dura prova le zampe dei poveri cavalli. Il quinto giorno, stavano decidendo di riposarsi per cercare qualche pezzo di selvaggina fresca, quando si trovarono dinanzi ad un vasto placers già popolato da duecento minatori, fra americani, inglesi, tedeschi e messicani. Quel campo d’oro, scoperto di recente, e già subito invaso, si trovava a qualche miglio dal Bonanza e a venticinque dalla riva sinistra del Klondyke, su un altopiano roccioso, circondato da foreste di pini, cedri e abeti, riparato, al sud, da un gruppo di picchi aguzzi, ancora coperti di neve. Una quarantina di miserabili tuguri, in parte luride tende rattoppate, sbrindellate, scolorite, e in parte capannucce di tronchi e di rami d’alberi, mal riparate, esposte al freddo soffio dei venti del circolo polare si trovavano sparse lungo i torrenti che scendevano dalle montagne. Che miserando spettacolo offrivano quei cercatori d’oro!… Forse ce n’erano già alcuni che avevano accumulato delle ricchezze considerevoli; ma chi li avrebbe creduti in possesso di polvere di oro e di pepite? Più che esseri umani, parevano bestie abbrutite dal duro lavoro dei claims e dalle privazioni Erano tutti cenciosi, luridi, con le camicie annerite dal fumo degli accampamenti o lorde del fango dei pozzi, i pantaloni rattoppati in mille modi, gli stivali sfondati che lasciavano uscire le dita, cappelli impossibili a descriversi o cappucci che ormai avevano perduto il pelo; tutti però avevano le cinture armate di rivoltelle e di bowie-knife luccicanti. Il digging, il campo d’oro, era in piena attività, quantunque un freddo vento soffiasse dal settentrione, e le acque dei torrenti trascinassero ancora, nella loro corsa, dei pezzi di ghiaccio. Un gran numero di pozzi erano stati scavati in ogni luogo, specialmente presso i piccoli corsi d’acqua, non trovandosi là l’oro nascosto nei quarzi, ma su un letto fangoso misto ad argilla e ghiaia. Il pay-din, ossia il fango dorato, bisognava cercarlo in fondo ai pozzi, issarlo alla superficie e lavarlo nelle acque dei torrenti. Quel lavoro, eseguito con quel freddo, doveva essere oltremodo faticoso, non forse per gli uomini che si trovavano nei claims, ma per quelli che dovevano eseguire il lavaggio per purgare il prezioso metallo dalle pietre e dal fango.

Quei disgraziati, per poter raccogliere l’oro, non essendo provvisti di sluice, dovevano immergersi fino alla cintola nelle acque dei torrenti e rimanervi per alcuni minuti, per far circolare la battée. Per poter ottenere l’oro quasi puro, adoperavano l’antico piatto di legno duro, la battée, un recipiente capace di contenere circa dieci chilogrammi di pay-din, largo circa mezzo metro e profondo otto o dieci centimetri. È necessario che il minatore prima sbarazzi il fango dei grossi frammenti ghiaiosi, quindi immerga il piatto nella corrente, imprimendogli dei movimenti circolari e ondulatori. L’acqua, a poco a poco, porta via il fango e i pezzi di ghiaia, mentre l’oro, essendo più pesante, rimane concentrato nel fondo. Un secondo lavaggio, più rapido del primo, terminante in una vigorosa battuta sul fondo esterno del piatto, fa sparire gli ultimi avanzi fangosi, e allora l’oro appare. Non è una operazione facile, quanto sembrerebbe a prima vista. Richiede un certo colpo di mano, che il minatore acquista solo dopo una lunga pratica. I poveri diavoli, ai quali a turno toccava di lavare il fango dorato, tornavano a riva in uno stato compassionevole, dopo quella immersione nell’acqua gelata. Qualcuno, meno robusto, cadeva al suolo appena consegnato il piatto a qualche compagno e allora gli altri lo portavano sotto la tenda dinanzi al fuoco, per rimetterlo in gambe, e fargli cessare i tremiti che minacciavano un principio di congelamento In compenso, però, quei minatori facevano talvolta delle raccolte prodigiose, poiché quel pay-din era ricco del prezioso metallo. Non era raro che in fondo alla battée trovassero parecchie oncie d’oro ed anche qualche bella pepita.

– Questo fango è ricchissimo di oro, – disse Bennie, che insieme con i compagni assisteva alle battute di alcuni minatori. – Questi uomini sono capaci di guadagnarsi centoventi dollari al giorno per ciascuno.

– È vero, – disse Pablo. – Se non sapessi che alle sorgenti del Barem esistono dei diggings di una ricchezza favolosa, vi direi di fermarci qui.

Verso sera, essendo calato un fitto nebbione sul campo d’oro, si ritirarono nella loro tenda, rinunciando a visitare il bar essendo sorto anche là uno spaccio di liquori che serviva anche da casa di giuoco. Temendo peròche qualche minatore poco scrupoloso approfittasse della nebbia per derubarli dei cavalli, legarono gli animali a uno dei piuoli della tenda e accesero un fuoco anche all’esterno. Durante il pasto serale, si guardarono bene dal parlare delle sorgenti del Barem. La loro comparsa in quel campo, aveva suscitato dei sospetti fra i minatori e non era improbabile che qualcuno tentasse di ascoltare i loro discorsi. Già Armando, che si era incaricato di vegliare sui cavalli, aveva scorto qualche ombra umana, che si fingeva smarrita nella nebbia, ronzare nei pressi della tenda. Si trattava di qualche spione, non c’era da ingannarsi.

– Quando ce ne andremo, prenderemo le nostre precauzioni per non venire seguiti, – disse il giovane messicano. – Quantunque qui l’oro abbondi, ci saranno taluni che vorranno seguirci, con la speranza di farsi condurre verso placers più ricchi.

– E questo accadeva anche nel Colorado – disse Bennie. – Bastava che qualche gruppo di minatori si allontanasse, perché dei curiosi lo seguissero con accanimento, credendo che si recasse a lavorare in qualche giacimento argentifero più ricco.

Stabiliti i quarti di guardia, Bennie, Falcone e il giovane messicano si avvolsero nelle loro coperte, con i piedi volti verso il braciere che ardeva lentamente sotto la tenda, mentre Back e Armando si coricavano presso il falò che ardeva all’aperto. Nessun avvenimento venne a interrompere il sonno dei minatori. Però verso la mezzanotte, Bennie e Pablo, che erano subentrati nella guardia, dovettero alzarsi ed esplorare i dintorni, avendo intravisto, per due volte, una forma umana aggirarsi a breve distanza dalla tenda. L’indomani, mentre Falcone e il messicano tornavano al digging, Armando e Bennie si recavano nella foresta con la speranza di sorprendere qualche capo di selvaggina, volendo non solo risparmiare le provviste, ma aumentarle. Quella gita fra gli abeti fu faticosa e infruttuosa. Non scorsero che qualche grossa civetta e due o tre nycete nivee, specie di barbagianni, con le piume bianchissime. Tuttavia essendosi spinti fino sulle rive del Bonanza, riuscirono ad abbattere due lontre, animali che non sono da disprezzare, sebbene piccoli di statura e più pregiati per la loro pelle che per la loro carne. Stavano per attraversare il digging e far ritorno alla tenda, quando la loro attenzione fu attratta da clamori assordanti che uscivano dal bar. Pareva che una zuffa fosse scoppiata sotto la vasta tenda. Non volendo impicciarsi nelle faccende altrui, stavano per proseguire la loro strada, quando parve loro di udire la voce di don Pablo.

– Corna di bisonte!… – esclamò Bennie, arrestandosi di colpo. – Che il nostro giovanotto abbia impegnata una rissa?

Parecchi minatori, a quelle grida, abbandonarono i claims, e si affrettarono a dirigersi verso il bar, tenendo le mani sui calci delle rivoltelle o sulle impugnature dei bowie-knife.

– Venite Armando, – disse il canadese. – Forse i nostri amici corrono qualche grave pericolo.

– Vi seguo, Bennie.

– È carico il vostro fucile?

– Sì

– Tenetevi pronto a tutto, anche a far fuoco. Si può aspettarci qualunque sorpresa da questi cercatori d’oro.

In pochi passi attraversarono la strada e andarono a urtare contro i minatori che si affollavano dinanzi alla tenda. In mezzo ad un gridio assordante, si udiva distintamente la voce del giovane messicano.

– Io assassino!… Tu menti, ladro da strada – urlava don Pablo.

Il canadese con una spinta furiosa respinse i vicini, tuonando con accento minaccioso:

– Largo!… Largo!…

Trenta o quaranta minatori si erano già riuniti nella tenda formando cerchio attorno a Pablo, al signor Falcone e a un altro individuo che, a prima vista, nè Bennie, nè Armando, riconobbero. Quell’uomo poteva avere quarant’anni. Era alto, magro come un merluzzo, con una barba lunghissima e nera, un naso che somigliava a un becco di pappagallo, due occhi falsi, grigiastri, duri e una capigliatura arruffata. Aveva una giacca sbrindellata e scolorita, pantaloni di pelle di foca e lunghi stivali sdruciti e infangati, alla cintura, però, aveva un lungo coltello, e teneva uno splendido winchester a dodici colpi. Quel tipo, urlava come un ossesso, ripetendo su tutti i toni:

– Vi giuro, signori, che quest’uomo ha cercato di assassinarmi e di derubarmi in piena foresta. La sua palla la tengo ancora in corpo.

Bennie e Armando, con due spinte, ruppero un cerchio formato dai minatori e si misero a fianco del messicano e del signor Falcone, armando risolutamente i fucili. Appena ebbero guardato in volto quell’uomo, un gridò sfuggì ad entrambi.

– Il bushranger del bosco!…

L’uomo magro, senza scombussolarsi per quell’accusa, tese una mano verso i due cacciatori, urlando:

– Ecco i loro compagni!… Banditi!… Ora non sfuggirete più alla giustizia!… Signori, applicheremo a questi furfanti la legge di Lynch!

A quelle parole, il canadese si era scagliato verso il bandito, gridando:

– Canaglia!… Sarà la tua zucca, che farò saltare!… Prendi, ladrone!…

Senza attendere altro, aveva abbassato il fucile, deciso a mandare all’altro mondo il furfante, ma parecchi minatori si gettarono verso di lui alzandogli l’arma.

– Gentleman, – disse uno di loro. – Non vi permetteremo di assassinare un uomo sotto i nostri occhi.

– Vi dico che quell’uomo è un bushranger.

– Benissimo, però egli accusa voi di averlo assalito.

– Mente!…

– Vogliamo credervi, tuttavia noi desideriamo chiarire questa faccenda. Nei diggings non ci sono sceriffi, ma la legge di Lynch permette a tutti gli uomini di diventare giudici. Noi faremo un giurì, vi giudicheremo tutti e quattro e impiccheremo il colpevole o i colpevoli al più grosso albero della foresta.

– Sì, sì!… – esclamarono tutti i minatori. – Le legge di Lynch!.. La legge di Lynch!…

– Io l’accetto – gridò il bushranger. – Fornirò al giurì un testimonio il quale affermerà, al pari di me, che quel messicano è un miserabile che spoglia gli onesti viaggiatori.

– Tu menti, cane!… – urlò don Pablo, rosso di collera.

– V’ingannate, signore, – disse una voce ironica.

Il giovane messicano, Bennie, Armando e Falcone si volsero e videro farsi innanzi un uomo che subito riconobbero. L’alleato del bushranger era il californiano, che credevano di aver lasciato a Dawson. Il briccone si fece avanti e giunto in mezzo alla tenda, disse:

– Io accuso questi signori di essere ladri. Essi mi hanno assalito presso l’Yucon e derubato di centoventi oncie d’oro.

Un urlo di furore scoppiò fra i quattro minatori:

– Canaglia!… Miserabile!… Bennie e Pablo si erano scagliati contro di lui; i cercatori d’oro furono però pronti ad arrestarli, mentre quello, che aveva per primo invocata la legge di Lynch, diceva con voce tonante:

– Fermi, signori o ci costringerete a far uso delle armi. Nel vostro interesse calmatevi e abbiate fiducia nei giudici popolari.

– Quell’uomo è un compagno del bushranger!… – urlò Pablo, indicando il californiano. – Egli ha cercato di assassinarci nelle vie di Dawson, poche notti or sono!…

– Il giurì deciderà.

Falcone si fece innanzi e, mettendosi una mano sul petto, disse con voce solenne:

– Io giuro sul mio onore che quanto hanno affermato i miei compagni è vero.

I minatori, colpiti dall’accento e dall’aspetto leale del meccanico, volsero i loro sguardi verso il bushranger , il cui volto era diventato pallido, e verso il californiano che cominciava forse a sentirsi a disagio.

L’uomo che aveva parlato per i cercatori d’oro, si avvicinò a Falcone e curvandosi verso di lui gli mormorò in un orecchio:

– Abbiate fiducia in me, gentleman. Vedrete come finirà questa faccenda.

Poi alzando la voce:

– Dodici giudici con me: qui si giudicherà e si applicherà la legge di Lynch in tutta la sua severità!

Quantunque il barista avesse cercato di opporsi, temendo che il palo centrale della sua tenda si tramutasse in una forca, ciò che non era improbabile, i minatori, in pochi minuti scelsero i dodici uomini incaricati di pronunciare il giudizio. Il tredicesimo, quello che aveva invocata la legge di Lynch e pareva una persona colta ed educata, all’unanimità fu proclamato presidente. Un tavolo fu collocato in mezzo alla tenda, attorno al quale presero posto i giudici, dopo aver ordinato un fiasco di gin per sciogliere meglio le lingue e illuminare gli spiriti. Gli altri si misero a sedere sugli altri tavoli, tenendo in mano le rivoltelle, per impedire la fuga ai colpevoli. La legge di Lynch, messa in vigore per la prima volta nei placers della California per porre un freno ai numerosi assassinii che si commettevano anche in pieno giorno a scopo di furto, è spicciativa. Dopo un breve interrogatorio, i giudici popolari pronunciano la sentenza, che è sempre inappellabile. Di pene non ce n’è che una sola, la quale si applica senza ritardi: la forca. Falcone e i suoi compagni furono invitati a sedere all’estremità della tavola: il bushranger e il californiano furono collocati dall’altra parte, venne offerto a tutti un bicchiere di gin, poi il presidente prese subito la parola:

– I giudici popolari qui riuniti mi ascoltino, – disse. – Questi uomini si accusano reciprocamente di essere bushranger, ma finora nessuno ha presentato dei testimoni che possano chiarire quali sono i veri colpevoli. C’è qualcuno fra voi che abbia subito qualche depredazione da parte di costoro?

Nessuno rispose. Il presidente attese qualche minuto, poi riprese:

– Non essendo i colpevoli da noi conosciuti, sentiremo le loro ragioni, poi giudicheremo e i colpevoli pagheranno. A voi gentleman – disse, rivolgendosi verso Falcone.

– Io ripeto che noi siamo gente onesta, che quell’uomo dal naso da pappagallo, ci ha assaliti in pieno bosco, a trenta miglia dal Bonanza e che il suo compagno ha cercato di assassinarci la sera prima che lasciassimo Dawson. Lo giuro su Dio e sul mio onore.

– Voi mentite!… – urlò il californiano.

– Silenzio, – tuonò il presidente. – Non vi abbiamo ancora interrogato.

– Ripeto che quel ladrone mente!… – replicò il californiano. – Io non ho mai assassinato o cercato di assassinare nessuno e tanto meno a Dawson, non essendo stato ancora in quella città.

– E dove siete stato dunque finora? – chiese il presidente.

– Nei placers del Klondyke.

Il presidente si volse verso i minatori che si erano affollati sotto la tenda, dicendo:

– Voi tutti venite dai placers del Klondyke. Chi ha veduto quest’uomo?

– Nessuno – risposero tutti a una voce.

– Allora voi mentite, – disse il presidente.

– Ho lavorato lontano.

– Sì, assai lontano, – disse improvvisamente una voce.

Tutti si volsero e videro un minatore entrare nella tenda e accostarsi al tavolo.

– Quest’uomo io lo conosco, – disse, indicando il californiano. – Egli è James Korthan, un malvivente della peggior specie, che mi ha derubato di trenta oncie d’oro in una bisca di Dawson.

– Canaglia!… – urlò il californiano, pallido come un cencio lavato. – Io non ti ho mai visto.

– E io dichiaro che quest’uomo è James Korthan, – ribattè il minatore, con maggior energia. – Nega di avermi derubato se osi!…

Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
30 ağustos 2016
Hacim:
360 s. 1 illüstrasyon
Telif hakkı:
Public Domain

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