Kitabı oku: «I minatori dell' Alaska», sayfa 3
V – NUBE ROSSA
Un grosso orso nero, un baribal, come lo chiamano gli americani, lungo oltre due metri, con un pelo ispido, lucido e nerissimo, ma che però vicino al muso diventava leggermente fulvo, era comparso sull’orlo della macchia. Era un magnifico capo di selvaggina, che avrebbe potuto fornire degli squisiti prosciutti non inferiori di certo a quelli dei cinghiali, essendo ben grasso, anche se tali plantigradi, che hanno l’abitudine di passare l’intero inverno sotto la neve, rannicchiati nel cavo di un albero, o di qualche rupe, siano piuttosto magri quando si risvegliano dal loro lungo letargo. I baribal, che si chiamano anche muskawa, sono tuttora numerosi nel territorio britannico del Nord-Ovest, tenendosi per lo più nascosti nei boschi. Quell’incontro sulle rive del Piccolo lago degli Schiavi, non era dunque straordinario. Quantunque Bennie sapesse che questi orsi sono di temperamento tranquillo, non assalendo l’uomo se non quando sono feriti, si teneva in guardia. Visto che non si muoveva, e che si accontentava di guardarlo, il cow-boy, che non voleva perdere tempo, con un rapido volteggio balzò sul mustano, allentando le briglie. Il cavallo spiccò un salto e partì al galoppo, ben contento di prendere il largo, essendo i baribal anche carnivori, e molto pericolosi per il bestiame dei cow-boys. L’orso, visto il cavaliere allontanarsi, credette che avesse avuto paura e si mise a seguirlo correndo di buon trotto, malgrado le sue forme tozze e pesanti e la poca lunghezza delle sue zampe, ma dovette ben presto convincersi che quella gara contro il mustano non poteva durare a lungo e dopo un quarto di miglio s’arrestò, cacciandosi dentro una macchia. Bennie, sbarazzatosi di quell’ostinato bestione, spinse lo sguardo verso la costa occidentale del lago, sperando di scorgere qualche colonna di fumo che indicasse la presenza del capo indiano, ma non vide nulla sulla limpida linea dell’orizzonte.
– Bah!… – mormorò. – Sono certo di trovare ugualmente Nube Rossa e i suoi guerrieri.
Il cavallo, intanto, continuava a galoppare sulle rive del lago, facendo fuggire bande di anitre selvatiche che si tenevano nascoste fra i canneti. Anche qualche superbo cigno si alzava, battendo rumorosamente le ali per sostenere il corpo, e si allontanava facendo udire un lungo fischio, e a volte spiccava il volo qualche falco pescatore che stava appiattito fra le erbe acquatiche per dare la caccia ai lucci e alle trote, che abbondano in tutti i laghi del Canada. Le rive del vasto bacino erano però sempre disabitate, e non si scorgeva in alcuna direzione nè una tenda indiana, nè la capanna di un cacciatore, essendo quei vasti territori pochissimo abitati, se non addirittura deserti. Doveva essere mezzogiorno, quando Bennie credette di scorgere sulla riva del lago, dietro una foresta di pini e di abeti, una sottile colonna di fumo.
– Laggiù ci sono gli indiani, – disse. – Lasciamo che Caribou respiri un po’, e con un’altra trottata andremo a trovare Nube Rossa. Non conviene stancare troppo questo cavallo che può, con le sue zampe, salvare la mia capigliatura. Lasciò che il mustano prendesse il passo e guardò attentamente il sottile pennacchio di fumo che la brezza spingeva verso il lago. Si convinse ben presto che il campo indiano doveva trovarsi dietro il bosco che tagliava la linea dell’orizzonte.
– Sono a cinquanta chilometri dal mio campo, – disse. – Una bella distanza davvero, ma che in una sola notte possono superare, per piombarci addosso. Beh, vedremo come la intenderà Nube Rossa e poi, se sarà il caso, prenderemo subito il largo. Sulle rive orientali le erbe grasse non mancano e sarò più sicuro. Suvvia, Caribou, un’altra trottata!…
Il mustano, riposatosi un po’, riprese la corsa con nuova lena, scostandosi un po’ dalle rive del lago, che tendevano a diventare pantanose e facendo fuggire nugoli di colombi selvatici; dopo una mezz’ora giungeva al margine del bosco di pini. Bennie, stava per frenarlo, temendo sempre qualche imboscata, quando vide staccarsi improvvisamente, dal grosso tronco di una spruce, ossia di un pino gigante di Washington, un indiano armato di un winchester e di una scure, il formidabile tomahawk, l’arma preferita dai guerrieri rossi. Era un uomo di statura molto alta e di complessione robustissima, che indossava una grande pelle di bisonte, adorna di pitture bizzarre, che volevano rappresentare delle teste di orso e delle gambe di antilope.
– Alt!… – intimò l’indiano, puntando il fucile.
– Toh!… – esclamò a sua volta Bennie, senza inquietarsi. – Se non m’inganno questo è mio fratello Mato-o-kenko (Orso vivo).
– E tu sei il Gran Cacciatore, è vero?… È diverso tempo che non ti vedo. Dove va dunque il Gran Cacciatore?…
– A trovare il gran sackem Nube Rossa.
– Chi ha detto al Gran Cacciatore che il sackem si trovava qui, piuttosto che altrove?… Hai incontrato qualche fratello rosso!… Coda Screziata forse?…
– No, – rispose Bennie, – non ho visto nessuno.
– Ah!… Credevo che l’avessi incontrato.
– Coda Screziata?
– Sì, il Gran Cacciatore non l’ha visto sulle rive del lago?…
– Non ho visto che un baribal.
– Il fratello bianco non avrà la lingua forcuta? – chiese l’indiano sospettosamente.
– La mia lingua ha sempre detto la verità.
– How!… how!… Che cosa desidera il Gran Cacciatore?…
– Fumare il calumet, con Nube Rossa.
– Il Gran Cacciatore lo ha già fumato.
– È vero, ma devo parlale col sackem.
– Vuole avere con lui un convegno?
– Lo hai detto.
– Il Gran Cacciatore mi segua.
L’indiano si gettò ad armacollo il winchester e si mise in cammino, precedendo il cavaliere, ma quantunque avesse l’apparenza tranquilla, avendo i Pellirosse una cura estrema nel nascondere le loro inquietudini, e specialmente non volendo mai mostrarsi sospettosi, si studiava di tenersi un po’ da parte per tenere d’occhio il fratello bianco. Attraversò con passo celere una parte del bosco, poi si fermò dinanzi a una vasta radura, dicendo:
– Ecco il campo.
Bennie aveva trasalito, e con un gesto rapido aveva levato la rivoltella dalla fondina, nascondendosela sotto la fascia, non avendo che una fiducia molto relativa nel capo indiano e nei suoi guerrieri, poi aveva appeso all’arcione il fucile, per mostrare che voleva fare la sua entrata da vero amico. Attorno alla radura, disposte in circolo, fra numerosi cavalli pascolanti in libertà, si alzavano due dozzine di alte tende, ossia di logge, o meglio ancora di wigwams. Erano composte da un certo numero di pertiche lunghe e affilate, che si restringevano verso l’estremità, formando dei coni, coperte con pelli di bisonte con dipinti in rosso, raffiguranti teste di animali, corna di bisonte e serpenti, e da pezzi di tela cuciti alla meglio. In mezzo ai wigwams, Bennie scorse subito un palo piantato nel suolo, a cui era attaccato solidamente un giovanotto dalla pelle bianca, con i capelli e gli occhi neri. Quel disgraziato, probabilmente il compagno dello scotennato, ignaro forse della tremenda sorte che lo attendeva, pareva tranquillo, e guardava più con curiosità che con apprensione alcuni guerrieri indiani che gli si erano accoccolati intorno, ridendo e chiacchierando. Vedendo il cacciatore, alzò il capo, osservandolo con viva attenzione, poi si lasciò sfuggire un grido di stupore, e tentò di rompere le corde che lo trattenevano. Bennie finse di non vederlo, e andò a fermarsi dinanzi a una tenda, più vasta delle altre, sulla cui cima ondeggiava un pezzo di pelle di castoro con sopra dipinto un uccellaccio che voleva forse raffigurare un corvo. Era certamente il totem della tribù, ossia lo stendardo. Trenta o quaranta indiani si erano subito radunati attorno al cow-boy, esclamando: – Il Gran Cacciatore!…
– Sì, – rispose Bennie. – Il Gran Cacciatore che viene a fumare il calumet di pace con Nube Rossa.
– Eccolo – rispose una voce. Un indiano di statura quasi gigantesca, era comparso dalla tenda che sorreggeva il totem della tribù. Era un uomo di aspetto maestoso e dalla muscolatura potente, che doveva sviluppare una forza erculea. Poteva avere quarant’anni, come poteva averne anche cinquanta, avendo già profonde rughe sulla fronte. Aveva i lineamenti angolosi, duri, la pelle rosso mattone, qua e là tatuata sulle gote, lo sguardo penetrante, dall’espressione feroce, e una capigliatura lunghissima e nera. Come capo tribù, indossava uno di quei superbi mantelli di lana di montone delle montagne, e di pelo di cane selvatico, stupendamente lavorato a maglia, con spago a più colori e a disegni complicati e adorno di una frangia lunghissima; grandi uose ricamate e guernite ai lati di frange leggere, forse formate da capelli strappati dal cranio di qualche nemico, e calzoni di pelle di daino stretti alle cosce. Sul capo portava un ciuffo di penne di tacchino selvatico, che, gli scendeva fino a mezzo dorso, dandogli l’aspetto di un istrice.
– A’hu!… – esclamò il sackem, scorgendo Bennie. – Come mai mio fratello il Gran Cacciatore viene a trovare Nube Rossa? Forse la speranza di sottrarre al palo della tortura l’uomo dalla pelle bianca?… Se questo è il motivo che lo conduce, può tornarsene sulle rive del lago.
L’accoglienza non era certo incoraggiante, ma il cow-boy conosceva troppo bene gli indiani, per farci caso. Scese tranquillamente dalla sella, legò il cavallo a una pertica della tenda, volendo averlo vicino, poi disse:
– Il Gran Cacciatore saluta il gran sackem Nube Rossa, e desidera fumare assieme il calumet di pace, prima di spiegare il motivo della sua venuta.
– Il Gran Cacciatore sia il benvenuto. Farò radunare nella mia tenda il consiglio degli anziani, poiché vedo che si tratta di un convegno. Il fratello bianco mi segua senza timore.
Il cow-boy lanciò prima uno sguardo sugli indiani che lo circondavano, un altro sul campo, per assicurarsi che nessuna misura era stata presa per impedirgli di prendere il largo in caso di pericolo, e seguì il sackem nell’interno della vasta tenda, passando per una stretta apertura mascherata da un pezzo di pelle appeso a due chiodi. Il wigwam era pieno di fumo, avendo gli indiani l’abitudine di tenervi acceso il fuoco nel mezzo per cucinare le loro vivande, e per affumicare le carni che vogliono conservare. Bennie distinse vagamente fra le ondate fumose che non trovavano sfogo sufficiente dall’apertura situata in alto, delle pelli di bisonte che dovevano servire da letti, pentole di rame, valigie semischiacciate, casse sfondate, dei quarti di bisonte che si seccavano, delle vesti, delle armi, ma tutto ciò accumulato alla rinfusa, senza alcun ordine. Nube Rossa con dei calci respinse degli oggetti che ingombravano il suolo, e si accoccolò dinanzi al fuoco, facendo cenno al cow-boy d’imitarlo. S’erano appena accomodati, quando entrarono altri sei indiani, quasi tutti vecchi, rugosi, con i volti tatuati e le braccia coperte di numerose cicatrici, riportate nelle sanguinose lotte sostenute contro i Piedi Neri, i loro implacabili nemici. Salutarono il Gran Cacciatore con un A’hu prolungato, poi sedettero tutti attorno al fuoco, mentre un giovane guerriero portava il calumet, una pipa con la scodellina di terra dura e nera, e con una canna lunga oltre un piede, il tutto scolpito con figure grossolane rappresentanti due uomini, un canotto e una scure. Nube Rossa la caricò con tabacco già precedentemente bagnato con acquavite e poi seccato, aspirò gravemente alcune boccate, disperdendo il fumo ai quattro lati dell’orizzonte e pronunziando alcune parole misteriose, e la passò a Bennie, il quale la fece circolare. Quando tutti ebbero fumato e la pipa fu riportata nella tenda della medicina, il cow-boy prese la parola fra il più profondo silenzio.
– Mio fratello Nube Rossa ha indovinato il motivo della mia venuta nel suo campo; il Gran Cacciatore è venuto a fare appello ai sentimenti umani dei guerrieri rossi, alla promessa da loro fatta ai rappresentanti della Grande Madre di non più uccidere gli uomini dalla pelle bianca e di sotterrare per sempre l’ascia di guerra, promessa fatta e mantenuta anche dalle grandi tribù del sud, le quali ormai rispettano i voleri del Gran Padre. Voi avete assalito una carovana di poveri uomini dal viso pallido, che non erano vostri nemici, li avete uccisi a tradimento e scotennati, e avete fatto prigioniero il più giovane per sottoporlo alle orrende torture del palo. Ebbene, io, il Gran Cacciatore, vengo a reclamare la libertà del mio fratello bianco, in nome della Grande Madre.
Nube Rossa e i suoi vecchi guerrieri avevano ascoltato attentamente il cow-boy, senza fare un gesto, con la loro abituale impassibilità. Quand’ebbe terminato, il gran sackem dei Corvi sputò in terra due volte, poi lasciando cadere il suo splendido mantello, disse;
– Il Gran Cacciatore ha la lingua sciolta e noi rispettiamo i gran parlatori, ma egli si è ingannato. Egli ha detto che i Corvi hanno assassinato gli uomini bianchi che venivano dall’est, e ciò è vero, ma sa chi erano quei volti pallidi?… Sa che cosa volevano?… Si guardi intorno: un tempo i Corvi, le Teste Piatte, i Piedi Neri, i Cuori di Lesina e i Serpenti, vivevano tranquilli sui loro territori di caccia, inseguendo il bisonte che costituiva il loro principale nutrimento e scorazzando liberi e felici l’immensa prateria lasciata in eredità dai loro padri. Sono venuti dai paesi dove il sole tramonta e dai paesi dove nasce, gli uomini dal volto pallido, e ci hanno distrutto le mandrie dei bisonti, togliendo al povero indiano il mezzo di vivere. Che più?… Hanno inveito contro i legittimi proprietari del suolo, li hanno costretti a forza a rinchiudersi nelle riserve costringendo i liberi figli della prateria a coltivare la terra come fossero schiavi. Le terre del lago dello Schiavo appartengono alla nazione dei Corvi. Gli uomini bianchi ora cominciano a inoltrarsi anche qui per respingere l’uomo rosso, per togliergli gli alimenti, per cercare di domarlo o di distruggerlo, e noi ci siamo difesi per impedire agli altri di seguire le tracce dei primi pionieri. Forse che non siamo nel nostro diritto?…
– Mio fratello il gran sackem ha parlato bene, ma a sua volta si è ingannato, – disse Bennie. – Gli uomini bianchi che i tuoi guerrieri hanno assassinato, erano tranquilli emigranti che se ne andavano nei paesi dell’ovest, sulle rive del grande bacino Salato. Essi erano amici degli uomini rossi, lo affermo solennemente.
– Sì, amici come tutti gli altri, – disse il sackem. – Il Gran Cacciatore ignora dunque tutto il male che ha fatto la razza bianca a quella rossa?… Non gli bastano forse le innumerevoli ossa che coprono la grande prateria?… Quelle ossa appartenevano ai guerrieri indiani e ora servono di pascolo ai lupi. La razza bianca è stata fatale a noi, lo dissi ai commissari della Grande Madre, adunati nel forte Laramie, quando ci andai assieme a Piede Nero, il gran sackem delle Teste Piatte e a Dente d’Orso. La nostra nazione si dilegua e sparisce come la neve sul pendio delle montagna quando il sole è ardente, mentre il popolo dei volti pallidi è numeroso come i fili d’erba della prateria all’approssimarsi dell’estate e cresce sempre, invadendo le nostre terre e cacciandoci a colpi di fucile come fossimo bestie feroci. Dobbiamo assistere impassibili all’avanzare degli uomini della sua razza?… Noi rispetteremo il Gran Cacciatore, perché è stato sempre nostro amico, ma respingeremo gli altri che vengono a distruggere le mandrie dei nostri bisonti. Tu hai parlato della Grande Madre: che cosa ha fatto essa per gli uomini rossi?.... Non ci ha dato armi per cacciare, non ci ha protetti, non l’abbiamo mai vista. Venga ad ascoltare i lamenti delle tribù indiane, renda loro giustizia, e noi seppelliremo per sempre l’ascia di guerra. Ho detto!…
La logica del capo indiano era stringente, però Bennie non si era perso d’animo. Contava sull’ostaggio.
– Riconosco le ragioni del sackem Nube Rossa, – disse, – e non posso dargli torto. Gli uomini bianchi non sono tutti amici degli uomini rossi, lo so, ma quelli che sono stali assassinati dai suoi guerrieri erano amici del Gran Cacciatore. Tu, gran sackem, ti ostini a crederli tuoi nemici, e sia pure. Pensa però che i guerrieri della Grande Madre sono numerosi e potrebbero piombare sul capo dei Grandi Ventri e vendicare i visi pallidi scotennati.
– Ebbene Nube Rossa radunerà i suoi guerrieri e non rifiuterà la lotta, – rispose il capo. – I Corvi sono coraggiosi e ancora numerosi, e se sarà necessario morranno per la difesa dei loro territori di caccia, ma prima avranno fatto sopportare mille torture al prigioniero e appenderanpo al totem della tribù, come sfida, la sua sanguinante capigliatura. Che cosa dice Ish-ta-sha (Occhio bianco) che è il più vecchio guerriero della tribù?…
– Che il sackem Nube Rossa ha parlato bene – rispose l’interrogato.
– Il Gran Cacciatore ha udito, – disse il capo. – Porti la risposta dei Corvi ai guerrieri della Grande Madre. Ho detto!…
– Non ancora, – rispose Bennie. – Poiché Nube Rossa non vuole rilasciare il prigioniero, gli proporrò uno scambio che certamente accetterà.
– E quale scambio?… – esclamò l’indiano, guardandolo con attenzione, mentre la sua fronte si oscurava. – Che cosa intende dire il Gran Cacciatore?
– Il gran sackem Nube Rossa non si è accorto dell’assenza troppo prolungata di uno dei suoi più valorosi guerrieri?… Di Coda Screziata?… – chiese il capo con una certa apprensione, che invano aveva tentato di nascondere.
– Sì, – rispose Bennie.
– Che cos’è accaduto del mio guerriero? urlò il sackem, con un’improvvisa esplosione di furore.
– È nelle mani dei guerrieri della Grande Madre.
VI – LA DANZA DEI BISONTI
A quelle parole, Nube Rossa, Occhio Bianco e tutti gli altri si erano alzati con uno scatto da belve, mettendo le mani sulle formidabili scuri che portavano alla cintola, e gettando sul coraggioso cow-boy degli sguardi feroci, che tradivano un imminente scoppio di collera selvaggia. Bennie non si era mosso, però la sua destra era scivolata sotto la fascia dove teneva nascosta la rivoltella, per essere pronto a tutto, mentre aveva lanciato un rapido sguardo verso l’apertura della tenda per accertarsi che la ritirata non gli fosse stata chiusa e che il suo veloce mustano si trovasse sempre legato al palo.
– Tu menti!… – esclamò a un tratto Nube Rossa. – Coda Screziata è troppo valoroso per lasciarsi prendere dagli uomini della Grande Madre. Bada che la tua capigliatura corre un grande pericolo.
Un sorriso sfiorò le labbra del cow-boy, a quella minaccia.
– E che!… – esclamò. – Forse che i Grandi Ventri non rispettano più gli ospiti che hanno fumato assieme a loro il calumet di pace?…
Nube Rossa non rispose: guardava gli anziani come per chiedere loro un consiglio che poteva equivalere a una sentenza di vita o di morte per il cow-boy. La sua mano tormentava sempre il manico della scure, come fosse impaziente di scagliarsi alla lotta. Bennie, in piedi, in atteggiamento fiero, che dimostrava come non avesse paura, quantunque avesse perfettamente compreso che la sua vita era attaccata a un filo, attendeva la risposta dal sackem. Teneva però sempre impugnata la rivoltella sotto la fascia, deciso ad aprire un fuoco di fila contro i Pellirosse, e aveva allargato le gambe per fare un fulmineo volteggio e lanciarsi fuori della tenda. Nube Rossa, dopo aver interrogato con lo sguardo tutti i guerrieri, si volse verso il cow-boy, dicendo:
– No, i Corvi non tradiranno le leggi dell’ospitalità e rispetteranno il Gran Cacciatore, il cui cuore è forte al pari di quello del grizzly (orso grigio).
Bennie respirò, poiché ormai credeva giunto il momento d’impegnare una lotta suprema, con ben poche probabilità di salvare la capigliatura.
– Sapevo, – disse, – che Nube Rossa è leale; la prova della confidenza che avevo in lui, l’ho data venendo qui solo, in mezzo a duecento valorosi guerrieri.
Il sackem, sensibile a quell’elogio, lasciò in pace il manico della scure e tornò ad accoccolarsi accanto al fuoco, dicendo:
– Il Gran Cacciatore si sieda e mi ascolti.
– I miei orecchi sono aperti.
– Dove si trova Coda Screziata?…
– Nelle mani dei guerrieri della Grande Madre.
– Che cosa faranno del valoroso guerriero?…
– Lo uccideranno, se non lascerai libero il prigioniero dalla pelle bianca che sta legato al palo della tortura.
– Coda Screziata è uno dei più valenti guerrieri della mia tribù.
– Lo so.
– Io non voglio che muoia.
– Libera il prigioniero e non morirà.
– Chi me lo assicura?…
– Io, il Gran Cacciatore, amico degli uomini rossi.
– Tu dunque sei incaricato dello scambio?
– Sì, Nube Rossa.
– Ebbene sia; questa sera partirai scortato da venti dei miei guerrieri.
– Basteranno due.
– E perché non venti?…
– Questo è il desiderio degli uomini della Grande Madre per evitare possibili conflitti. Tu sai che fra i volti pallidi e gli uomini rossi non è mai regnata la concordia.
– Tu hai ragione: troppi rancori esistono fra le due razze. Però tu non potrai partire che dopo la danza dei bisonti, che si farà questa sera, dopo il tramonto del sole, avendo io promesso, che vi avrebbe assistito anche il prigioniero. Bennie aggrottò la fronte e fece un gesto d’inquietudine che non sfuggi al sackem.
– Oh!… Il Gran Cacciatore nulla deve temere: ha la parola del capo delle tribù dei Corvi e dei Grandi Ventri. Egli deve sapere d’altronde che questa cerimonia non ha altro scopo che quello di anticipare il passaggio delle mandrie dei bisonti.
La mia tribù non ha quasi più viveri, ha mangiato, questo inverno, quasi tutti i cani che possedeva e se i bisonti non si affrettano a venire, dovrà soffrire la fame.
– È vero, l’inverno è stato molto freddo quest’anno, – disse Bennie, – ma dopo la danza i grandi animali accorreranno per cibare gli uomini rossi.
– Il Gran Cacciatore si riposi intanto nella mia tenda e accetti la ospitalità di Nube Rossa.
– E il prigioniero?…
– Sarà liberato dal palo e gli verrà dato da mangiare.
– Grazie, capo.
Il sackem avvertì gli anziani che il consiglio era terminato e uscì per sorvegliare i preparativi della festa notturna che doveva, secondo loro, chiamare i bisonti i quali avrebbero offerto le loro deliziose bistecche agli uomini rossi. Erano trascorsi pochi minuti, quando un giovane indiano entrò nella tenda portando al cow-boy, da parte del capo, un pezzo di tacchino selvatico arrostito, alcune gallette di mais, alcune mandorle di pino abbrustolite, dei navoni indiani grossi come uova ed eccellenti, e una mezza bottiglia di whisky, o acqua del diavolo, come viene chiamato dagli uomini rossi. Il cow-boy, che aveva cavalcato quasi tutto il giorno e dopo la colazione del mattino non aveva mangiato che pochi lamponi, fece buona accoglienza al pasto, divorandolo coscienziosamente, poi accese la pipa, e sdraiatosi su di una pelle di bisonte, attese pazientemente il tramonto del sole. Aveva appena terminata la sua seconda pipata, quando al di fuori scoppiò un urlìo indiavolato, accompagnato da un tamburellare sordo e sgradevole, prodotto da una specie di otri che gli indiani percuotono con le mani. Bennie si mise la pipa in tasca, si alzò, ed uscì. Le tenebre calavano rapidamente, invadendo il bosco di pini, ma dei grandi falò erano stati accesi attorno al campo e spandevano una luce vivissima, bruciando legna resinosa. Più di quattrocento indiani, giunti dai dintorni, insieme con numerose donne e fanciulli, si erano radunati, formando un vasto cerchio. Nube Rossa col suo grande mantello di lana di montone, si era collocato nel mezzo dinanzi a quattro indiani che battevano senza posa gli otri su un ritmo sempre eguale, monotono. Di fronte a lui, a dieci passi, si era collocato un altro indiano, avvolto con una grande pelle di bisonte bianco, col capo adorno di piume e il petto di collane di denti d’orso, ossa, lucertole, ranocchi e code di lupi e di cani. Doveva essere lo stregone della tribù e in quel momento doveva rappresentare il primo uomo, una specie di Noè sfuggito al diluvio universale. Ad un tratto otto uomini avanzarono, correndo rapidamente, e disponendosi l’uno di fronte all’altro. Rappresentavano i bisonti, poiché portavano sul capo le corna di quei giganteschi bufali, e avevano delle code sospese al dorso e alle caviglie dei ciuffi di peli. Il corpo era nudo e bizzarramente dipinto: la testa, il tronco e le braccia erano dipinti in rosso, in bianco e nero con cerchi concentrici che segnavano le articolazioni delle mascelle, una faccia da bambino disegnata sul ventre e sulle spalle portavano un fastello di rami di salice. Gli otto danzatori, a un segnale del capo, si misero a correre all’intorno tenendosi curvi, poi ripresero la loro prima posizione e si caricarono vicendevolmente, vibrandosi delle cornate e balzando ora a destra e ora a sinistra con un’agilità prodigiosa. Dopo aver danzato un quarto d’ora, al suono di quella musica monotona, si coricarono fra le erbe, mentre irrompevano nel cerchio illuminato altri quindici o venti indiani e una dozzina di ragazzi. I primi e i secondi rappresentavano gli animali e i rettili della prateria. C’erano i castori che portavano, appesa dietro, una larga coda; i serpenti, tutti nudi, ma dipinti come i rettili, a chiazze e a cerchi; i daini, dipinti in giallo e adorni di code; i montoni di montagna coperti di lunghi peli, e non mancavano gli orsi rappresentati da tre indiani coperti da splendide pellicce di baribal di un nero lucente. Tutti si misero a danzare disordinatamente, mentre i suonatori acceleravano la musica, e gli spettatori cantavano a piena gola. I bisonti si caricavano fra loro, gli orsi inseguivano le antilopi e i montoni, e i serpenti strisciavano dietro ai castori, cercando di raggiungerli. Mentre il ballo era al culmine, ecco apparire un indiano quasi interamente nudo, non avendo che una coda di bisonte e una fascia di pelo, dipinto in nero con piccole macchie bianche, ed armato di un bastone terminante in una palla. Era lo spirito del male, che cercava di impadronirsi dei bisonti per far soffrire la fame ai poveri indiani. Un urlo di furore scoppiò fra gli spettatori, alla vista del genio malefico, mentre i cani lo accoglievano con latrati. Le donne gli si precipitarono incontro coprendolo di ingiurie, gettandogli addosso manate di fango e cercando di strappargli il bastone. Tutti lo spingevano, lo urtavano. lo maltrattavano a morsi e a colpi d’unghia, minacciando di farlo a pezzi, ma l’indiano resisteva energicamente, tentando di scagliarsi contro i bisonti. Nube Rossa e i suoi prodi guerrieri, dal canto loro, lo minacciavano con le armi, mentre lo stregone si faceva innanzi portando il calumet, alla cui vista lo spirito del male si decise a battere in ritirata, lasciando nelle mani di una giovane il suo bastone spezzato in due. La sconfitta del genio malefico venne salutata da uria di gioia da parte di tutta la tribù, mentre le donne portavano in trionfo la ragazza che lo aveva disarmato, la quale, trovandosi ormai in possesso della forza creatrice, aveva il diritto di vita e di morte su tutti, e essendo ormai la Madre dei bisonti, poteva a suoi agio chiamarli o impedire loro di venire. Mentre i danzatori si rinvigorivano con alcune bottiglie di whisky. Nube Rossa si era avvicinato a Bennie, il quale aveva assistito tranquillamente alle danze.
– L’uomo bianco è libero, – gli disse. – Il Gran Cacciatore può condurlo con sè, dietro promessa di far rilasciare Coda Screziata.
– Dov’è?…
– Attende il Gran Cacciatore fuori del campo, assieme al Vitello Bianco e al Corno Vuoto.
– Tu hai la mia parola: addio Nube Rossa. Spero di rivederti ancora, prima che la neve copra la prateria.
– Il Gran Cacciatore è amico degli uomini rossi e sarà sempre il benvenuto.
Bennie salì sul suo mustano, che gli era stato condotto da un indiano, si assicurò che la carabina fosse ancora appesa all’arcione, salutò un’ultima volta Nube Rossa, poi uscì dal campo seguendo un ragazzo che gli serviva di guida. Al margine del bosco lo attendevano il prigioniero guardato da Vitello Bianco e da Corno Vuoto, due dei più valorosi guerrieri della tribù, armati di fucile, di lancia e di scure. Il giovane bianco era completamente libero e montava un bel cavallo nero prestatogli da Nube Rossa. Appena vide il cow-boy si levò il cappello, dicendogli in cattivo inglese:
– Grazie, signore, di quanto avete fatto per me.
– Gli uomini della stessa razza devono aiutarsi scambievolmente, giovanotto, – rispose Bennie. Oggi è toccato a me rendervi questo servigio e domani potrebbe toccare a voi. Affrettiamoci: qualcuno ci aspetta al mio campo.
– Qualcuno?… – fece il prigioniero, con stupore misto a gioia. – Forse che avete salvato qualche altro?
– Sì, un uomo alto, bruno come voi, dalla barba nera.
– Mio zio!…
– Io non so se sia vostro zio, vi dico però che quel brav’uomo, quantunque sia stato scotennato, è non solo vivo, ma anche in via di guarigione. La sua capigliatura non spunterà più, ma che importa?
– Gran Dio!… Lo hanno scotennato?…
– Che volete, giovanotto?… Gli indiani hanno ancora la brutta abitudine di ornarsi con i capelli dei vinti. Suvvia, al galoppo!…
I quattro cavalli partirono ventre a terra, seguendo la riva del lago. Bennie, che non si fidava completamente dei due guerrieri di Nube Rossa, percorsi cinquanta passi, aveva cominciato a trattenere il suo mustano, lasciandosi sorpassare dagli altri tre per mettersi in coda.
Gli premeva guardarsi alle spalle e sorvegliare contemporaneamente Corno Vuoto e Vitello Bianco, poiché non si fidava affatto dell’amicizia di Nube Rossa e delle sue proteste di amicizia verso il Gran Cacciatore. Conosceva troppo bene gli indiani per contare sulle loro parole, e per illudersi sulla loro generosità. Anzi, pur galoppando, continuava a voltarsi indietro e guardava specialmente il bosco, temendo di vedersi inseguito o di cadere in qualche imboscata abilmente preparata.
– Uhm! – mormorò, crollando il capo. – Se riesco a giungere al campo, senza perdere la capigliatura, domani mi affretterò ad andarmene molto lontano, assieme a Back e al bestiame. Qui non spira più buon’aria per noi e me lo saprà dire presto Coda Screziata.
Fortunatamente le sue pessimistiche previsioni, almeno per il momento, non s’avverarono. Il drappello potè attraversare tranquillamente tutta la parte boscosa della riva del lago senza fare brutti incontri e arrivare nella prateria. Al margine dell’ultimo lembo della foresta, i cavalieri accordarono ai mustani un breve riposo, poi verso la mezzanotte ripartirono di buon trotto, inoltrandosi attraverso le alte erbe. Bennie cominciava a rassicurarsi, non avendo notato nulla di sospetto nel contegno dei due indiani. Se Nube Rossa non aveva tentato il colpo fra le macchie, dove un’imboscata era facile, era da sperare che nulla accadesse nella prateria, tanto più che una splendida luna piena brillava in cielo, permettendo di scorgere un cavaliere a grande distanza. Ormai tranquillo, Bennie si era messo alla testa e spronava il corsiero, impaziente di arrivare all’accampamento. Doveva essere l’una, quando sulla sconfinata prateria distinse la coperta del carro, che spiccava come una grande macchia bianca sul verde cupo delle alte erbe. Un lungo respiro gli uscì dal petto, un vero respiro di sollievo.