Kitabı oku: «I minatori dell' Alaska», sayfa 4
– Finalmente!… – esclamò. – Speriamo che nulla sia accaduto.
Galoppò fino a un centinaio di passi dal carro, poi s’arrestò, dicendo ai due indiani: – Voi aspetterete qui il ritorno di Coda Screziata. Laggiù ci sono gli uomini della Grande Madre e voi non dovete entrare nel loro campo.
– Il Gran Cacciatore diffida di noi?… – chiese Corno Vuoto, non dissimulando un gesto di malumore.
– No, ma così è stato convenuto fra me e Nube Rossa.
– Sia, però noi non affideremo il prigioniero al Gran Cacciatore se prima non giungerà qui Coda Screziata, – disse Vitello Bianco.
– È giusto: aspettatemi.
Bennie avanzò al passo verso il carro, attorno al quale si scorgevano, sdraiati confusamente, i buoi e i cavalli. Non ne distava che pochi metri, quando vide alzarsi fra le erbe una forma umana, la quale gli spianò contro un fucile, gridando:
– Chi vive?…
– Sono io. Back – rispose il cow-boy.
– Tu, Bennie?
– In carne ed ossa.
– E il prigioniero?…
– È salvo; dorme ancora Coda Screziata?
– Lo credo.
– Va a svegliarlo e conducilo qui, e avverti lo scotennato che gli conduco suo nipote.
– Fra due minuti sarò da te.
– Una parola ancora: hai notato nulla di sospetto?…
– Assolutamente nulla, ma…
– Ah!… C’è un ma?…
– Io non so, ma due ore or sono ho udito dei lupi urlare verso il bosco, poi ne ho veduti quindici o venti fuggire attraverso la prateria.
– Diavolo!.. – esclamò Bennie aggrottando la fronte e lanciando verso nord un lungo sguardo. – Chi avrà spaventati quei lupi?… Uhm!… C’è odore di tradimento… Back, affrettati; poi attacca i cavalli al carro e sveglia il bestiame.
– Vuoi partire?
– Di corsa, mio caro, o lasceremo qui le nostre capigliature.
Il messicano ne sapeva abbastanza. Si lanciò di gran fretta verso il carro, tagliò le corde che imprigionavano l’indiano e lo svegliò con una brusca scossa, dicendogli:
– Ehi, amico, in piedi; ci sono dei tuoi camerati che ti aspettano.
L’indiano, che era ancora mezzo addormentato, si stropicciò gli occhi, poi la fronte; si alzò lentamente in piedi senza manifestare nè sorpresa, nè gioia a quelle parole, e scorgendo quel gruppo di cavalieri immobili fra le alte erbe, se ne andò tranquillamente, limitandosi a dire: – A’hu!…
Corno Vuoto e Vitello Bianco, vedendo avanzare Coda Screziata, lasciarono andare il prigioniero dalla pelle bianca, il quale si affrettò a scendere dal mustano e raggiungere Bennie. Coda Screziata passò dinanzi a loro, salì con la sua solita calma sul mustano nero di Nube Rossa, poi volgendosi verso il cow-boy e tendendo verso di lui la destra, con un gesto pieno di minaccia, gli disse:
– Avrò la tua capigliatura.
Poi allentò le briglie e s’allontanò a corsa sfrenata, seguito da Vitello Bianco e da Corno Vuoto, mentre Bennie alzava le spalle, dicendo:
– Sì, se mi troverai!…
VII – LA FUGA
Quando Bennie giunse al campo, Back aveva già fatto alzare il bestiame a gran colpi di frusta, e stava attaccando i cavalli al carro monumentale, avendo l’abitudine di obbedire prontamente al vecchio scorridore di prateria, che sapeva molto prudente e molto pratico in fatto di pericoli. Bennie lasciò che il giovane prigioniero si occupasse dello scotennato, e si mise ad aiutare febbrilmente il compagno, essendo ansioso di prendere il largo al più presto, presentendo, col suo infallibile istinto di cacciatore, una imminente sorpresa. La minaccia di Coda Screziata, la fuga dei lupi e la rapace avidità nonché lo spirito vendicativo degli indiani, erano motivi sufficienti per fargli sospettare un improvviso ritorno di Nube Rossa, il quale non doveva essersi così facilmente rassegnato a perdere il prigioniero che aveva votato alla morte. A quei due uomini bastarono dieci minuti per attaccare i cavalli e per radunare il bestiame. Stavano per dare il segnale della partenza, quando il giovane prigioniero, che aveva avuto un colloquio, con lo scotennato, comparve dicendo:
– Vedo che vi preparate a lasciare questo posto.
– È vero, – rispose Bennie. – Bisogna premunirsi contro un nuovo attacco da parte degli indiani.
– Dove andate?
– Sulle rive occidentali del lago, per ora.
– Passerete accanto al nostro carro?
– Vi preme?…
– C’è là una cassa che gli indiani non hanno forse potuto sfondare e che potrebbe più tardi essere per noi, e anche per voi, d’immensa utilità, nel caso vi decideste a seguirci.
– Che cosa diavolo può contenere?… – chiese Bennie. – Ho sentito vostro zio parlare di tesori favolosi.
– Che cosa ci sia dentro, lo ignoro, ma mio zio vi pregherebbe di non abbandonarla nella prateria.
– Se lo desidera, passeremo vicino al carro e cercheremo di caricarla sul nostro. Come sta vostro zio?…
– Si lamenta di acuti dolori, però è un uomo forte, di una robustezza eccezionale, e mi ha detto che in caso di pericolo potrete contare su di lui.
– Ecco una buona promessa, giovanotto.
– Corriamo qualche pericolo?
– Lo temo.
– Disponete della mia vita.
– No, giovanotto, cercheremo di risparmiarla, – disse Bennie, ridendo. – Corna di bisonte!… Valeva forse la pena di aver giocato così bene Nube Rossa e Coda Screziata per poi farvi riprendere e aggiungervi anche le nostre capigliature?… Salite a cassetta e guidate i cavalli del carro, mentre io e Back ci occuperemo del bestiame, ma… ditemi. come vi chiamate?
– Armando Falcone.
– Benissimo, Armando, a posto e affrettiamoci a partire.
A un fischio del cow-boy i sei cavalli si misero in cammino trascinando il carro, mentre Back, armato di un lungo scudiscio, la cui correggia non misurava meno di cinque metri, sferzava vigorosamente il bestiame cercando di spingerlo dietro al pesante carro. Bennie, quando vide tutti in movimento, passò alla testa e galoppò per parecchie centinaia di metri, per esplorare le erbe della prateria, e per poter evitare il pericolo che subdorava. La luna era allora tramontata, e una fitta oscurità era piombata sull’immensa pianura. In cielo scintillavano solo le stelle, però la loro luce, velata da una leggera nebbia, non era sufficiente a rompere le tenebre. Bennie, con gli occhi bene aperti e gli orecchi tesi, ascoltava attentamente e guardava dovunque, seguendo con lo sguardo le capricciose linee di fuoco delle lucciole, e porgendo ascolto alle strida monotone dei grilli in festa, alle lontane urla dei coyote, ai muggiti del bestiame, – il quale pareva niente affatto soddisfatto di quella marcia improvvisa – e al cigolare delle ruote del pesante furgone.
Come era sua abitudine, teneva in sella il fucile, anzi, non contento, aveva alzata la fascia per mettere allo scoperto la cartucciera, per essere più pronto a ricaricare l’arma. Mentre esplorava il terreno, il carro, tirato da sei cavalli guidati dal giovane Armando, avanzava lentamente attraverso la prateria, oscillando ai due lati a causa dell’ineguaglianza del terreno, e dietro camminava confusamente il bestiame, aizzato dalle frustate di Back. Di tratto in tratto, qualche giovenca capricciosa, o qualche vitello, usciva dal gruppo mettendosi a correre tra le erbe, ma il messicano, che non li perdeva di vista, ben presto era loro addosso e, con una frustata sapientemente somministrata, li costringeva a rientrare nelle file più che in fretta. Quando Bennie potè distinguere il carro degli emigranti che giaceva ancora allo stesso posto, tornò indietro al galoppo, dicendo ad Armando:
– Ci siamo; è pesante la cassa?…
– Credo – rispose il giovanotto.
– Credete che sia proprio necessaria a vostro zio? Mi spiacerebbe perdere del tempo, specialmente in questo momento.
– Mi ha raccomandato di non abbandonarla.
– Che contenga qualche tesoro?
– Ne dubito; ma se mio zio ci tiene tanto a non lasciarla nella prateria, avrà le sue buoni ragioni.
– Così deve essere, ma… ditemi, voi non siete americani.
– No, signore.
– Me ne accorgo dal modo con cui storpiate la lingua inglese – disse il cow-boy, ridendo.
– Siamo emigranti italiani.
– Ah!… Italiani?… E da dove venivate?…
– Da Blattleford, dove mio zio Guglielmo era direttore d’una officina meccanica che poi fu distrutta da un incendio.
– E dove andavate?…
– Nell’Alaska.
– Corna di bisonte!.... Avete detto?…
– Nell’Alaska.
– Quella regione è ben lontana, mio caro!… Corna d’antilope!… Voi avete avuto il coraggio d’intraprendere un simile viaggio!… Non sapete che ci vogliono almeno due mesi per arrivare alle frontiere di quel territorio?…
– Lo sapevamo e contavamo di arrivare verso la metà di giugno, salvo imprevisti, ossia al principio della buona stagione. Siamo ai primi d’aprile, dunque vedete…
– Silenzio, giovanotto!…
– Che cosa avete?…
– Corna di bisonte!… Ecco un’altra banda di lupi che fugge!… Chi può aver spaventato quei predoni? Uhm!… Ecco un mistero che mi mette addosso delle serie inquietudini. Giovanotto, occupatevi della cassa e non dimenticatevi, al primo sparo, di tagliare le corregge ai sei cavalli e d’inforcarne uno voi e uno vostro zio.
– Contate su di me.
Bennie lanciò il mustano al galoppo, dirigendosi verso il carro degli emigranti, e oltrepassatolo, si arrestò al margine del bosco, mettendosi in ascolto. Rassicurato dal silenzio che vi regnava, si inoltrò lentamente scrutando le macchie vicine. Aveva appena fatti pochi passi, quando gli sembrò di udire uno smuovere di foglie secche. S’arrestò di colpo puntando il fucile, però ogni rumore era cessato. Rimase alcuni istanti immobile, sapendo quanto gli indiani siano pazienti all’agguato, ma senza alcun risultato.
– Forse sarà stato qualche tacchino selvatico – mormorò. – Bah!… Non commetterò l’imprudenza di avventurarmi in questo bosco e mi terrò nella prateria finché spunta l’alba.
Tornò indietro e vide Back e il giovane Armando che si affaticavano a trascinare giù dal carro abbandonato una cassa di quercia lunga un metro, che pareva piuttosto pesante.
– È quella? – chiese.
– Sì, – rispose Armando.
– Potete portarla?
– Il giovanotto è forte, – rispose il messicano. – Sorveglia i dintorni e lascia fare a noi.
Mentre trasportavano la cassa, Bennie era tornato nel bosco, curioso di sapere se era stato un animale o un uomo a far muovere le foglie. Era assai inquieto e tanto più lo crucciava l’assenza completa dei coyote che aveva sempre trovati numerosi in quel luogo. Spronato da quei timori, era nuovamente avanzato sotto gli alberi, guardando attentamente a destra e a sinistra, fermandosi per ascoltare, quando gli sembrò di udire, in direzione del lago, un sordo rumore che pareva prodotto dal galoppo accelerato di un grosso numero di animali forniti di zoccoli.
– Toh!… – mormorò. – Che siano dei bisonti?…
– Balzò a terra, appoggiò un orecchio al suolo e ascoltò, trattenendo il respiro. Stava per alzarsi, quando il suo mustano si mise a nitrire.
– Sono cavalli!… – esclamò. – Caribou ha l’orecchio acuto e li ha sentiti.
Balzò in sella e spronò il mustano, mentre si guardava alle spalle con ansietà. Ormai aveva compreso di che cosa si trattava: i suoi timori si erano avverati. Attraversò la foresta come un fulmine, e appena vide i compagni, i quali stavano per riprendere la marcia, avendo caricata la cassa, gridò loro:
– Preparatevi a fuggire!… Tagliate le corregge e lasciate il carro!… Gli indiani stanno per piombarci addosso!…
Back si era precipitato verso i sei cavalli; mentre il giovane Armando era scivolato nel carro per avvertire suo zio del grave pericolo che correvano. Lo scotennato, nonostante i suoi dolori, si era affrettato a lasciare il suo giaciglio, dicendo con voce ferma:
– Datemi un fucile.
– Potete montare a cavallo? – gli chiese Bennie, che era già giunto presso il carro.
– Sì.
– Back, un fucile e una cartuccera al signore.
– È fatto, Bennie.
– E voi, Armando?…
– Sono già armato, – rispose il giovane.
– Al galoppo, amici, se vi preme la capigliatura.
– E la cassa?… – chiese lo scotennato. – Sarà la vostra fortuna.
– Ritorneremo a prenderla, se ne avremo il tempo – rispose Bennie. – Su, via, e lasciate che i cavalli del carro galoppino per conto loro. Non ci abbandoneranno.
I quattro cavalieri partirono ventre a terra, seguiti dagli altri quattro cavalli del carro che trascinavano ancora le bardature tagliate. Bennie e Back, che montavano i migliori mustani, erano passati alla retroguardia per proteggere la ritirata, mentre il bestiame, sorpreso di venire abbandonato, si disperdeva per la prateria correndo all’impazzata, credendo forse di venire assalito da qualche banda di lupi.
– Vengono?… – chiese Back, che galoppava a fianco di Bennie.
– Fra qualche minuto li avremo alle spalle.
– Erano molti?…
– Non ho potuto vederli, ma penso che Nube Rossa e Coda Screziata non saranno stati così sciocchi
da lanciarci alle calcagna una dozzina di guerrieri.
– Sicché credi che saranno molti?
– Certo, Back.
– Speri di condurci in salvo?…
– Tutto dipende dalla resistenza dei nostri cavalli e dello scotennato. Quell’uomo è un prodigio di forza per resistere alle scosse disordinate del suo mustano. Tuttavia se possiamo arrivare sulle rive del lago, potremo riderci dei furori della Nube Rossa.
– E perché…
– Conosco un nascondiglio che ci metterà al coperto dai suoi attacchi.
– Salveremo la pelle, ma perderemo il bestiame, Bennie.
– Ciò riguarda il signor Harris. In quanto a noi seguiremo questi emigranti che pare abbiano scoperto qualche prodigiosa miniera. Ah!… Eccoli!…
Back si era bruscamente voltato indietro. In mezzo alle tenebre aveva visto quaranta o cinquanta cavalieri irrompere dal bosco e lanciarsi sulla grande prateria con fantastica rapidità. I loro corsieri, vivamente eccitati, galoppavano furiosamente attraverso le erbe, su due file lunghissime, sfiorando appena il suolo.
– Corna di bisonte!… – esclamò Bennie. – Sono troppi per noi, pure i loro cavalli non devono essere più freschi dei nostri. Ehi, Back, gli indiani sono cattivi tiratori, però bada alla tua testa.
– Procurerò di tenermi fuori portata dei loro winchester. I loro ninnoli non mi fanno paura.
– Ah!.. Scherzi?… Buon segno, amico mio. Eh!… Caribou, allunga un pò il passo, se non vuoi ricevere una scarica nel ventre. Là, benissimo!… Ehp!… ehp!… In caccia, Nube Rossa!… Bennie e compagni ti faranno correre a lungo!…
– E lo scotennato, potrà resistere, Bennie?
– Corna di bisonte!… – esclamò il cow-boy, il cui entusiasmo era di colpo svanito. – Non avevo pensato a quel povero uomo!… No, è assolutamente impossibile che possa resistere a una lunga corsa, nelle condizioni in cui si trova.
– E così?....
– E così siamo in un bell’imbarazzo, Back!… Corna del diavolo!… Non avevo pensato a lui!
– Uno svenimento può coglierlo.
– È vero. L’uomo è robusto, energico, senza dubbio, ma le forze possono venirgli meno!
– Bennie!
– Bisogna prendere una decisione estrema, prima che spunti l’alba e gli indiani si avvicinino.
– Che cosa vuoi fare?
Il cow-boy, invece di rispondere, si volse sulla sella e guardò dietro di sè. Gli indiani avevano allora formato un ampio semicerchio e acceleravano la corsa, trovandosi ancora a notevole distanza, a circa un miglio. Guardò dinanzi a sè e vide, a circa cinquecento passi, elevarsi una piccola altura, che si stendeva in direzione dei boschi costeggiami il lago.
– Possiamo approfittarne, – mormorò.
Poi volgendosi verso Back:
– Tu conosci bene le rive del lago?… – gli chiese.
– Sì, Bennie.
– Sai dove si trova l’insenatura delle Volpi?…
– L’ho visitata due settimane or sono. Si trova dietro i pini giganti.
– Hai visto quella washingtonia che s’innalza per ottanta e più metri su di un isolotto, e che è tanto grossa da poter contenere quaranta o cinquanta persone?…
– Ho ammirato quel colosso vegetale.
– Sappi dunque che quella washingtonia è vuota alla base, e che verso il lago ha un’apertura prodotta dal tarlo, capace di lasciar passare comodamente un uomo. Appena avremo attraversata quell’altura, che per alcuni minuti ci toglierà alla vista degli indiani, tu e lo scotennato vi getterete nel bosco, vi spingerete sulle rive del lago e andrete a cercare un rifugio nella washingtonia. Non sei tu che Nube Rossa vuol prendere, nè lo scotennato, che ormai non ha per gli indiani alcun valore, essendo stato già privato della capigliatura, quindi nessuno, molto probabilmente, si curerà di voi. Mentre vi porrete in salvo, io e Armando ci faremo inseguire per allontanare gli indiani, riservandoci più tardi di venirvi a raggiungere.
– Potrete resistere a tanti uomini?
I nostri mustani sono corridori infaticabili, e poi abbiamo quelli del carro che ci seguono sempre. Lascia a noi la cura di far correre Nube Rossa e i suoi guerrieri.
– Non oso lasciarti, Bennie, – disse Back con voce commossa.
– Vuoi lasciare nelle mani degli indiani lo scotennato?… Poiché lo abbiamo raccolto dobbiamo pensare a proteggerlo. Ecco la collina: un’ultima galoppata in compagnia, poi separiamoci. Ehp!… Ehp!… Avanti Caribou!…
VIII – L’AGGUATO DEI PELLIROSSE
I quattro mustani, seguiti sempre dagli altri quattro del carro, che non avevano abbandonato i loro padroni, quantunque fossero completamente liberi, salirono la collina senza rallentare il passo, la superarono passando fra le macchie di cespugli che coprivano la cima, e scesero, come una volata di corvi, il versante opposto, lanciandosi nella prateria sottostante, che si stendeva verso nord con leggere ondulazioni, formando la così detta prateria ondulata.
Trovandosi i cavalieri al coperto dagli sguardi degli indiani, e a breve distanza dai boschi fiancheggiami le sponde orientali del lago, decisero prontamente la separazione.
– Spicciati, Back!… – gridò Bennie. – Se non approfittiamo di questo istante, ti tirerai addosso una banda di indiani. Suvvia, piega a sinistra, cacciati nel bosco e va ad aspettarci alla washingtonia. Se scorgi dei cavalieri presso il lago verrai a raggiungerci e allora si farà quello che si potrà.
– Signor Guglielmo, potete resistere ancora una mezz’ora?…
– Lo spero, – rispose lo scotennato.
– Seguite il mio compagno dunque.
– E mio nipote? – chiese il meccanico, con una certa inquietudine.
– Terrà compagnia a me, ma non temete per noi. Abbiamo sei cavalli a nostra disposizione, e con tante gambe avremo buon giuoco sui mustani degli indiani.
– Grazie di aver pensato a me – disse Armando. – È una prova di fiducia che mi rende orgoglioso.
– Presto, partite – gridò Bennie.
– Dio vi protegga – risposero Back e lo scotennato, allontanandosi frettolosamente.
– Avanti, giovanotto – disse il cow-boy.
I due cavalieri partirono al galoppo attraverso alla prateria, fiancheggiati dai quattro cavalli del carro, mentre Back e Guglielmo scomparivano nel bosco. Bennie e Armando avevano percorsi appena cinquecento passi quando udirono alle spalle un forte schiamazzo. Volgendosi, videro gli indiani scendere il versante della collina in gruppo serrato. I rossi guerrieri, che distavano ancora un buon chilometro, non dovevano essersi accorti della scomparsa dei due cavalieri a causa della distanza e dell’oscurità, e correvano dietro ai sei cavalli galoppanti nella prateria. Bennie, che non li perdeva di vista, li vide distendersi ancora a forma di semicerchio, occupando uno spazio di almeno cinquecento metri e spingendo molto innanzi le ali estreme.
– Ah!… Sperano di prenderci nel mezzo, – mormorò. – Bah!… La vedremo, miei cari.
Poi, volgendosi verso Armando che cavalcava alla sua sinistra tenendo in mano il fucile, gli chiese:
– Non avete paura, vero, giovanotto?…
– Oh no!… – rispose questi, sorridendo. – Mio zio mi ha abituato ai pericoli.
– Sapete adoperare bene il fucile?…
– Sono un buon tiratore. Prima di unirmi a mio zio, ho servito due anni in qualità di cacciatore presso un indian agent del forte Qu’Appelle nell’Assiniboia.
– Ora comprendo perché vi mantenete in sella così bene. Nella prateria si fa buona scuola.
– È vero, signor Bennie.
– Ah!… – esclamò il cow-boy, che si era voltato per guardare gli indiani. – Cominciano a guadagnare su di noi.
– Sproniamo?…
– Non ancora. Armando; lasciamoli accostare e cerchiamo di fare un buon doppio colpo. D’altronde abbiamo quattro cavalli di ricambio.
– Mi sorprende come quelli del carro ci seguano sempre.
– Sono abituati a non lasciarmi, e non ci abbandoneranno nemmeno quando comincieranno le fucilate. Tenete pronto il fucile per quando spunterà l’alba.
– Comincia già a sorgere.
– Sì, e fra mezz’ora manderemo nostre nuove a Nube Rossa e a Coda Screziata.
Mentre così chiaccheravano tranquillamente, come facessero una semplice trottata di piacere, gli indiani forzavano i loro mustani per guadagnare strada. Erano però soltanto quelli delle ali che si avvicinavano, non quelli del centro, i quali pareva invece cercassero di non esaurire troppo presto le forze dei loro animali, per non trovarsi più tardi nell’impossibilità di continuare la caccia. Quei cavalieri, cresciuti sul dorso dei rapidi cavalli di prateria, di gran lunga superiori ai più instancabili cow-boy, e che cavalcano intere giornate senza aver bisogno nè di staffe, nè di sella, nè di speroni, conoscevano troppo bene la resistenza dei loro destrieri, per ridurli a mal partito prima del tempo. Per il momento il centro si accontentava di mantenere la distanza, lasciando alle ali l’incarico di stringersi addosso ai fuggiaschi. Bennie però aveva buon giuoco con i suoi cavalli di ricambio. Lasciava che gli indiani delle ali si accostassero, pronto tuttavia ad abbandonare il suo Caribou, al primo indizio di stanchezza, per lanciarsi in sella a un altro cavallo, fra quelli che lo seguivano caracollando ai suoi fianchi. L’alba intanto sorgeva, diradando le tenebre e diffondendo una luce vivissima sulla vasta prateria. Il primo raggio di sole non doveva essere lontano. A un tratto Bennie udì un urlìo furioso risuonare fra gli indiani.
– Ah!… – esclamò. – Ora si sono accorti della scomparsa di Back!… – Miei cari, a quest’ora è al sicuro, e vi sfido a trovarlo.
– Credete che sia giunto al rifugio? – chiese Armando.
– Scommetterei una buona carabina a ripetizione contro un pezzo di tabacco, che stanno facendo colazione con appetito.
– Non verranno scoperti?…
– Non abbiate questo timore; nessuno sa che quel colosso della vegetazione, che ho scoperto per caso, è vuoto. Siete pronto a fare un buon colpo?…
– Non aspetto che il vostro comando.
– Bravo, giovanotto.
Arrestò violentemente Caribou, e si guardò alle spalle. I cavalieri dell’ala destra, più avanti di quelli della sinistra, non si trovavano che a quattrocento metri, e aizzavano i loro mustani per guadagnare rapidamente terreno.
– È un bel tiro, ma si può provare – mormorò. – A me l’indiano che monta quel bellissimo cavallo bianco, e che si trova in testa a tutti; a voi il secondo, che monta quel morello dalla lunga coda.
– Lo vedo – rispose il ragazzo. Volsero i mustani, e puntarono simultaneamente i fucili, mentre i cavalli del carro approfittavano di quella breve sosta per mangiare alcune foglie succolenti di buffalo-grass. Gli indiani, vedendosi presi di mira, impugnarono i loro winchester, ma furono prevenuti. Due spari rimbombarono l’uno dietro l’altro. L’indiano che montava il cavallo bianco, colpito dall’infallibile palla del Gran Cacciatore, aprì le braccia, poi stramazzò pesantemente al suolo, lasciandosi sfuggire l’arma che teneva in mano, mentre il cavallo morello, attraversato dalla palla di Armando, s’inalberava bruscamente, cadendo poi di quarto insieme con il cavaliere. Urla di furore salutarono quel doppio colpo, mentre Bennie e il suo giovane compagno ripartivano di gran galoppo. Una scarica salutò la loro pronta ritirata, però le palle non giunsero a segno, essendo quasi tutti gli indiani mediocrissimi tiratori; solamente uno dei quattro cavalli del carro parve sfiorato da un proiettile, poiché lo si vide scartare bruscamente, quindi lanciarsi innanzi a tutta velocità, mandando un lungo nitrito.
– Bravo giovanotto – esclamò Bennie, allegramente.
– Ho mancato l’uomo – rispose Armando arrossendo.
– Uccidendo il cavallo avete messo fuori combattimento il cavaliere, il quale non potrà ora più seguire i compagni. Avete fatto un bel tiro, mio caro, ve lo dico io, un tiro che molti cow-boys vi invidierebbero.
– Ricominceremo?…
– Più tardi, Armando. Cerchiamo per ora di stancarli.
I mustani, eccitati vivamente, avevano ripreso la corsa, salendo e scendendo le ondulazioni della prateria, però i due montati, e specialmente quello di Bennie che aveva percorso un lunghissimo tratto lungo le rive del lago, cominciavano a dare segni di stanchezza. Anche quelli degli indiani non sembravano trovarsi in condizioni migliori. Quelli delle due ali, dopo aver fatto uno sforzo estremo per guadagnare terreno, a poco a poco rimanevano sempre più indietro, mentre si avvantaggiavano un pò quelli del centro, i quali ora avanzavano a forma di un immenso triangolo, il cui vertice era formato da un mustano bellissimo montato da Coda Screziata. La caccia all’uomo continuò una mezz’ora ancora, interrotta da qualche colpo di winchester, che mai colpiva il segno a causa delle scosse disordinate dei cavalli. Bennie, che sentiva Caribou sbuffare, stava per dare il comando di cambiare i cavalli, quando tutto d’un tratto il suo destriero cadde di peso, mandando un nitrito di dolore. Prima che il cavaliere avesse potuto prevedere quell’improvvisa caduta, si sentì scagliare in avanti da quella brusca fermata. Armando lo vide volteggiare due volte in aria, poi capitombolare, tre metri innanzi, in mezzo alle alte erbe.
– Signor Bennie!… – gridò, arrestando con una vigorosa strappata il proprio mustano. Stava per balzare di sella per lanciarsi in aiuto del suo compagno, quando vide sorgere fra le alte erbe, due indiani armati di fucile. Pronto come il lampo, il giovanotto spianò la carabina sul più vicino e fece fuoco. L’uomo cadde col cranio fracassato, ma l’altro lo prendeva intanto di mira alla distanza di trenta passi. Mancando il tempo di prevenirlo, con una furiosa speronata fece impennare il mustano per coprirsi col corpo dell’animale. Quell’abile manovra lo salvò. L’indiano aveva fatto fuoco, ma la palla, invece di abbattere il giovane cavaliere, aveva attraversato il cavallo da parte a parte, entrandogli nel petto e uscendogli dietro la groppa. L’animale, fulminato, cadde trascinando Armando. Il giovanotto, quantunque stordito per la caduta, stava per rialzarsi, quando dinanzi a lui echeggiò un terzo sparo, seguito da una voce che diceva:
– E due!… A furia di doppietti, finiremo con lo sbarazzarci da questa torma di cani idrofobi!…
– Bennie, siete voi? – chiese il giovanotto, alzandosi.
– Sì, Armando, – rispose il cow-boy. – Mi sono alzato in tempo per ammirare il vostro coraggio e per mandare diritto al Grande Spirito quell’indiano che si preparava a scotennarvi.
– Siete ferito?
– Un po’ malconcio, ma niente di guasto. A cavallo o gli altri ci raggiungeranno.
I quattro cavalli del carro si erano arrestati intorno a Caribou, il quale faceva sforzi disperati per alzarsi, senza però riuscirvi.
– Corna di bisonte!… – urlò Bennie, con accento di dolore misto a ira – il mio mustano s’è spezzata una gamba!… Ecco un animale che rimpiangerò a lungo.
Lo sbarazzò rapidamente della sella, bardò uno dei quattro mustani del carro, mentre Armando faceva altrettanto con un altro, poi salì in arcioni gridando:
– Badate!… C’è una corda tesa dinanzi a noi!…
– Dove? – chiese Armando.
– Fra le erbe.
Allargarono le gambe raccogliendo le briglie, e fecero fare ai due mustani un bel salto che li portò al di là della corda, la quale era stata abilmente tesa dai due indiani.
– L’avete vista? – chiese Bennie.
– Sì.
– Furfanti!… Senza la vostra presenza di spirito e il vostro colpo di fucile, qualcuno di noi avrebbe lasciata la sua capigliatura nelle mani degli indiani.
– Che ci siano altri agguati?
– Io non lo so; apriremo bene gli occhi e devieremo.
– Come hanno fatto quei due a precederci?… Ciò mi sorprende.
– Forse erano partiti molto prima degli altri. Ah!… Non vedete i loro cavalli fuggire attraverso la prateria?… Li avevano nascosti facendoli coricare fra le erbe. Su, spronate senza riguardo, ora, e cerchiamo di prendere il largo piegando verso le rive del lago.
I due mustani, che fino allora li avevano seguiti in piena libertà, spronati vivamente, partirono ventre a terra, guadagnando in pochi minuti più di cinquecento passi sui cavalli già esausti degli inseguitori. Gli altri due li seguivano sempre, pronti a sostituirli correndo ora dinanzi e ora ai fianchi dei due fuggiaschi. Percorso un altro miglio. Bennie si voltò.
Dei quaranta e più indiani, solamente dieci o dodici resistevano ancora; tutti gli altri avevano dovuto arrestarsi e si vedevano dispersi per la prateria, a una distanza tale da far loro perdere ogni speranza di poter dare la caccia alle due capigliature degli uomini bianchi.
– Benissimo!… – esclamò il cow-boy, allegramente. – Ora sono una dozzina ancora, e fra un quarto d’ora saranno due o tre, e allora faremo parlare un’ultima volta i fucili. Siete stanco, giovanotto?
– Un poco, lo confesso, – rispose Armando.
– Vi domando mezz’ora, poi vi riposerete, amico.
– Guadagnamo sempre?…
– Siamo già a mille metri.
– Che bravi cavalli sono i vostri.
– Sono stati scelti con grande cura. Diavolo! Nella prateria dalle gambe di un cavallo dipende la salvezza del cow-boy. Che disgrazia aver perduto il mio Caribou! Era un cavallo impareggiabile che non potrò mai più sostituire. Al diavolo quei dannati indiani!. Coda Screziata me la pagherà, però, parola di Bennie Blight!…
I quattro cavalli, eccitati dai due cavalieri, divoravano intanto lo spazio salendo e scendendo le ondulazioni della pianura. La prateria tendeva allora a cambiare. Alle alte graminacee, alle macchie di erba salvia, di assenzio, di semprevivi campestri, di opunzie nane, alle saponacee e ai buffalo-grass, succedevano boschetti di nocciuoli selvatici, di girasoli splendidi coi loro grandi fiori gialli rivolti al sole, di sommacchi, di salici rossi e di pioppi bianchi del Canada.
– Siamo vicini al lago, – disse Bennie. – Involontariamente abbiamo descritto un ampio semicerchio che ci ha portati verso le rive orientali del Piccolo lago.
Si voltò e guardò gli indiani. Non ce n’erano che tre; tutti gli altri erano rimasti indietro e molto probabilmente avevano raggiunto il grosso della banda, rinunciando alle due capigliature dei bianchi.