Kitabı oku: «La perla sanguinosa», sayfa 3
4. Le manovre sospette del Guercio
Cinque giorni dopo, il mulatto, le cui gote si erano ormai completamente sgonfiate pel semplice motivo che aveva lasciato chiudersi la leggera ferita senza farvi più soffiare dentro, lasciava l’infermeria per riprendere il suo posto nella scialuppa a vapore del penitenziario.
Pienamente d’accordo col quartiermastro della Britannia che era l’anima della fuga, perché senza di lui sarebbe stata una vera follia slanciarsi alla ventura attraverso l’Oceano Indiano, pericolo che solo un uomo di mare esperimentato può affrontare, il mulatto aveva affrettato la guarigione per ultimare gli ultimi preparativi e possibilmente ingrossare la provvista di viveri, onde non farsi cogliere dalla fame in pieno oceano.
Come abbiamo detto, il mulatto, nella sua qualità di macchinista, godeva d’una certa libertà. Poteva verso il tramonto recarsi a pescare i grossi crostacei che sono così numerosi sulle scogliere delle isole Andamane, usando della grossa scialuppa a vapore del direttore del penitenziario, a fuochi spenti però onde non ne approfittasse per prendere il largo.
Dichiaratosi guarito, aveva ripreso senz’altro le sue consuete abitudini, in attesa che il malabaro si rimettesse a sua volta completamente in gamba.
Con infinite precauzioni era riuscito a sottrarre dei viveri dal magazzino, nel quale aveva libero accesso, dovendo sovente imbarcare delle piccole partite di generi alimentari per portarle ai forzati che lavoravano nei cantieri un po’ lontani, e in tal modo aveva ingrossato la provvista, nascosta in un profondo cavo della scogliera che si estendeva dinanzi al penitenziario, dove egli soleva recarsi a pescare. Una mezza cassa di biscotto, alcuni chilogrammi di pesce secco e dei legumi erano andati ad impinguare la provvista senza che nessuno, fino allora, se ne fosse accorto.
La sera del terzo giorno della sua uscita dall’infermeria però, mentre tornava dal mare e spingeva faticosamente innanzi la scialuppa, avendo la macchina spenta perché priva del cilindro, fu non poco sorpreso nel vedere seduto sulla spiaggia il Guercio, che egli credeva si trovasse in uno dei cantieri stabiliti in mezzo alla foresta.
«Buona sera, Jody, – gli disse il cingalese, con un accento leggermente beffardo, che non sfuggì al mulatto. – Che cosa hai pescato di buono lungo la scogliera?»
«Un bel granchio pel direttore,» rispose il macchinista.
«Tu sei un pescatore fortunato. Io non riesco mai a prenderne uno lungo la spiaggia, mentre mi piacciono tanto.»
«Non si mostrano qui; preferiscono passeggiare su quelle scogliere.»
«Conducimi con te una sera. Voglio vedere come fai tu a sorprenderli.»
«Ci vuole colpo d’occhio e mano lesta, mio caro.»
«Insegnami allora, se sei un buon camerata, e conducimi con te domani sera.»
«Tu non hai il permesso di recarti alla pesca e non voglio avere dei grattacapi. Se sapesse che ti ho portato con me, il governatore sarebbe capace di mandarmi in cella con doppia catena.»
«Non ti preoccupare di ciò. Nessuno ti darà fastidio, anche se venisse a sapere che tu mi hai preso a bordo.»
Il mulatto lo guardò fisso, con una certa apprensione. Quell’insistenza cominciava a mettergli delle spine nel cuore.
«Che abbia sospettato qualche cosa? – pensò. – Stiamo in guardia.» Poi, alzando la voce, disse: «Se ciò ti fa piacere e mi assicuri che nessuno mi farà delle osservazioni, vieni pure. Domani sera ti aspetto qui, prima del tramonto.»
«Tu sei un bravo ragazzo», rispose il cingalese, con una sottile punta d’ironia.
«Dove lavori domani?»
«In nessun luogo. Mi hanno accordato due giorni di riposo perché ho la febbre.»
«Invece di darti una parte del gatto a nove code che hanno inflitto a quel povero diavolo di Palicur.»
«Era stato lui ad insultarmi,» disse il Guercio.
«Già, è vero, – rispose Jody, – ma credo che tu sia nato sotto una buona stella e che nessuno sia più fortunato di te. Hai portato qualche talismano da Ceylon?»
«Sì, un frammento d›una falange di Godama, – disse il Guercio, ridendo. – Buona notte, Jody: a domani sera.»
Il cingalese, che voleva tagliar corto, avendo capito a che cosa alludeva il mulatto, volse le spalle e se ne andò verso una delle tettoie dove già entravano i forzati dei cantieri per l’appello serale.
Jody invece rimase sulla spiaggia, con un piede sul bordo della scialuppa che aveva legato a un palo, seguendo con uno sguardo di profonda preoccupazione la spia.
«Non sono i granchi che lo hanno indotto a chiedermi di condurlo alla scogliera, – mormorò ad un tratto. – Che il quartiermastro avesse ragione di dubitare di quel furfante? Già, tutti affermano che egli è la spia dei sorveglianti.
«Ha forse saputo che noi ci prepariamo a filarcela? E le gite che io faccio ogni sera alla scogliera lo hanno allarmato? Noi corriamo il pericolo di finire in cella a doppia catena, se non ci affrettiamo ad andarcene.
«È necessario che io veda il quartiermastro e che domani sera tentiamo il colpo, checché debba succedere. Andiamo innanzi tutto ad informarci chi è di guardia all’infermeria.»
Prese il granchio che aveva pescato sulla scogliera, un mostruoso ragno di mare pesante parecchi chilogrammi, e andò a consegnarlo a uno dei guardiani della casa del governatore, poi s’informò chi era di guardia quella notte all’infermeria.
«Foster, – si sentì rispondere, quando ebbe interrogato uno dei sorveglianti, coi quali aveva ormai una certa famigliarità nella sua qualità di macchinista del direttore e di bravo ragazzo che regalava di frequente i frutti delle sue pesche. – Foster? – disse fra sé. – È amante dei liquori costui e non rifiuterà di vuotare con me una mezza bottiglia.»
Si recò nella sua capanna, costruita dietro la casa del governatore, si cacciò nelle tasche un paio di bicchieri e una bottiglia di ginepro, poi s’avviò verso l’infermeria.
Godendo egli di privilegi speciali, nessuno gl’impedì il passo, sicché poté giungere indisturbato nel corridoio che conduceva all’infermeria, dove vegliava il guardiano Foster, un brutto irlandese con una foresta di capelli rossi e il naso grosso e cremisi, tipico dei bevitori impenitenti.
«Oh, Jody, – disse il guardiano, vedendolo avanzarsi. – Torni all›infermeria di già? Giovanotto mio, hai avuto troppa fretta a uscire.»
«Non ho affatto l›intenzione di andarmi a cucinare sotto le coltri, – rispose il mulatto. – Preferisco correre sul mare e respirare la fresca brezza.»
«Perché vieni qui, dunque?»
«Volevo pregarvi di permettermi di far assaggiare a quei due poveri diavoli che si trovano nell’infermeria un po’ di ginepro del governatore. Ciò li rimetterà forse più in gamba di tutte le medicine che fa loro inghiottire il dottore. Non vi pare, signor Foster?»
«Le medicine! Da noi, in Irlanda, si guariscono i malati con del buon gin o del brandy, e se vedessi come saltano dopo una sbornia! Le medicine! Non si conoscono nel nostro paese. Ma, ehi, giovanotto, ed io dovrò starmene qui a bocca asciutta, mentre gli altri bevono? Tu sai che gli irlandesi hanno sempre sete. Bedah! Harrah! È il nostro grido di guerra!»
«Non sono un così cattivo ragazzo da non aver pensato anche a voi, signor Foster. Basta un bicchiere per gli ammalati; il resto è per voi.» Gli occhi dell›irlandese si erano fissati, con ardente bramosia, sulla bottiglia quadrangolare che il mulatto aveva tratto dalla tasca.
«Bedah! ginepro dell’Olanda! – esclamò. – È munifico con te il governatore! Questo deve bruciare bene la gola! Non deve valere meno d’una mezza sterlina quella bottiglia. Dammene un sorso, mio bravo Jody.»
«Dieci, venti sorsi, signor Foster. Lasciate che empia questi due bicchieri; il resto è per voi.»
«E tu?»
«Bah! Non ci tengo ai liquori,» rispose il mulatto.
«Tu non saprai mai apprezzare la suprema felicità d’una bella sbornia, ragazzo mio, e mi rincresce per te. Da’ la bottiglia, che io l’assaggi.»
Jody, che rideva in cuor suo, empì i due bicchieri, poi passò la bottiglia all’irlandese che se la portò subito alle labbra.
«Harrah! – esclamò il beone, dopo la prima sorsata. – È roba fina! Si capisce che è del governatore. Se potesse mettere un piede solo nella sua cantina, Foster sarebbe l’uomo più felice del mondo.»
«Permettete dunque che porti questi due bicchieri ai due ammalati?»
«Va›, figlio mio. Tu sei un gran bravo ragazzo. Dar da bere agli assetati, insegna la dottrina, e Dio ti sarà riconoscente: sono un buon cristiano io e me ne intendo, neh! Apri ed entra, mentre io ti trinco questo sangue delizioso di messer Belzebù, re del fuoco.»
«E compare tuo,» aggiunse fra sé il mulatto, entrando nell›infermeria e chiudendo per precauzione la porta, quantunque fosse più che sicuro che l›irlandese non l›avrebbe disturbato finché v›era ginepro nella bottiglia.
Una fumosa lampada ad olio illuminava la vanta stanza che serviva d’infermeria. Il quartiermastro della Britannia ed il malabaro non si erano ancora addormentati e stavano parlando sommessamente. Vedendo comparire improvvisamente il macchinista, entrambi intuirono che qualche cosa di grave doveva essere accaduto.
«Tu rechi a noi qualche cattiva notizia, è vero, Jody?» chiese Will, che nonostante cercasse di mostrarsi calmo era diventato un po› pallido.
«Adagio, signore, – rispose il mulatto. – Potrebbe essere un semplice capriccio del Guercio… tuttavia vi consiglierei di tenervi pronti per domani sera, fra le dieci e la mezzanotte.»
«A fuggire?»
«Sottovoce, signor Will. È vero che Foster in questo momento è troppo occupato a vuotare la bottiglia di ginepro, nondimeno è meglio essere prudenti. Non si sa mai, vi possono essere sempre degli orecchi pronti a raccogliere le nostre parole.»
Offrì ai due ammalati i due bicchieri, poi in poche parole li informò della proposta fattagli dal cingalese.
«Che ti abbia veduto sottrarre dei viveri dal magazzino?» chiese Will, quand’ebbe finito.
«È impossibile,» rispose il mulatto.
«È uno stregone quel maledetto cingalese. Deve avere qualche sospetto per averti pregato di condurlo a cacciare i granchi sulla scogliera.»
«Pare anche a me, – disse il malabaro. – Quello è peggio di un cobra-capelo, signor Will.»
«E tu hai acconsentito a riceverlo sulla scialuppa?» chiese l›inglese, dopo qualche istante di riflessione.
«Se mi fossi rifiutato avrei aumentato di certo i suoi sospetti, signore,» rispose Jody.
«È vero; hai fatto bene a non mostrarti ostile a quel desiderio. Cane d’un Guercio! Egli medita qualche brutto tiro contro di noi e deve aver saputo qualche cosa dei nostri progetti.»
«Ci ha ascoltati quel giorno che noi stavamo coricati sotto quel banano,» disse il malabaro.
«Ma io non avevo pronunciato il nome di Jody,» disse il quartiermastro, che era diventato assai pensieroso.
«Signor Will, – disse il mulatto, – è necessario prendere una pronta risoluzione. Se non fuggiamo domani sera, noi un giorno o l›altro finiremo per venire scoperti e allora addio speranze. Con la doppia catena indosso non si scappa più.»
«Domani sera… Io sono pronto, perché me ne rido dell›itterizia; ma lo potrà Palicur?».
«Le mie ferite non si sono ancora completamente rimarginate, è vero, – disse il malabaro. – Tuttavia sono forte abbastanza per alzarmi, per calarmi dalla finestra e per accoppare anche, con un solo pugno, quel cane d’un cingalese, se tentasse di opporsi alla nostra fuga. Non preoccupatevi per me, signor Will. Domani sera io sarò pronto; la mia guarigione si completerà, e meglio, sul mare indiano.»
«Avete la macchinetta, signor Will?» chiese il mulatto.
«L›ho nascosta nel materasso.»
«Avete capito come deve essere adoperata? Basta caricarla e la piccola sega circolare agirà da sola senza fare il minimo rumore. L’ho già prestata due volte ed ha servito a far fuggire ultimamente quel povero Bed che è stato divorato dalle tigri sulle rive del Silak. Mi è costata un anno di lavoro, eppure agisce meglio di tutte le lime del mondo.»
«Purché sul più bello non veniamo sorpresi dal sorvegliante, che è di guardia nel corridoio,» disse Will.
«Pregherò Foster di assumere il quarto e m›incarico io di ubriacarlo. Quando ha una bottiglia fra le mani non si muove più, finché non è vuota».
«E le sentinelle?»
«Non ve ne sono che due e anche quelle berranno. Calatevi dalla parte del magazzino e seguite il viale che conduce all›imbarcadero ed io rispondo di tutto. A domani, fra le undici e la mezzanotte, checché debba accadere. O ci uccideranno o noi posdomani saremo ben lontani dalle Andamane.»
«Dove sarai tu?» chiese Will.
«Presso le sentinelle, con un paio di bottiglie; prima però debbo avvertirvi se nessun pericolo vi minaccia. Le guardie non si rifiuteranno di bere e mentre io le terrò occupate, voi filerete e vi nasconderete nella scialuppa. Empirò prima il forno di canape ben imbevuta di petrolio e di grasso, onde ottenere subito la pressione occorrente. Buona sera e fidatevi di me.»
«Una parola ancora,– disse il quartiermastro. – Non andare col Guercio disarmato.»
«Avrò un buon coltello in tasca e se cercherà di scoprire il nostro piccolo deposito, lo ucciderò senza misericordia, – rispose il mulatto con accento risoluto. – A domani e non esitate.»
«Va› tranquillo,» risposero Will e Palicur.
Il mulatto, che non voleva destare sospetti nel sorvegliante, aprì la porta e giunse nel corridoio.
L’irlandese era seduto dinanzi ad un piccolo tavolo, coi gomiti appoggiati e la testa fra le mani, in adorazione dinanzi alla bottiglia quadrata, che non doveva ormai più contenere nemmeno una goccia di ginepro.
«Mi sono fatto aspettare un po› troppo, è vero, signor Foster?» disse Jodv.
L’irlandese alzò la testa, guardandolo con due occhi smorti, e sorrise beatamente, borbottando.
«Eccellente… bedah… harrah… eccellente. Jody… sei un bravo ragazzo… hai il cuore largo… tu… figliolo.»
«Sì, è squisito il ginepro del governatore, – rispose il mulatto. – Anche domani avrò un›altra di quelle bottiglie. Ho scoperto un certo luogo ove i granchi di mare si radunano in buon numero e conto, domani sera, di portarne non meno di cinque o sei al governatore.»
«E ti regalerà… un›altra bottiglia?»
«È sempre generoso con me, il governatore.»
«E m›inviterai a berla?»
«Ve l›offrirò come questa sera, purché mi permettiate di darne un bicchiere ai due ammalati e che vi troviate qui di guardia.» L’irlandese lo guardò cogli occhi umidi.
«Buon ragazzo… cuore eccellente… mio buon amico… fior di galantuomo… Tu non dovresti rimanere in questo paese… figliuol mio.»
«Disgraziatamente, non siete il governatore,» disse Jody, ridendo.
«Ma se lo fossi… se lo fossi… io… io…»
«Mi terreste più d›occhio, è vero, signor Foster?»
L’irlandese fece col capo e colle mani un segno di viva protesta.
«Dunque vi troverete qui, domani sera?» chiese Jody.
«Vorresti tu che rinunciassi a quel… quel… dolce nettare… di Belzebù?»
«Avrete la bottiglia. Buona sera, signor Foster.»
«Addio bravo… ragazzo… mio dolce… amico… cuor d›oro.»
«E volpone finissimo, – mormorò il mulatto, allontanandosi rapidamente. – Quella bottiglia ti costerà un mese di prigione, triplice imbecille.»
Uscì dal fabbricato per recarsi nella sua capanna; ma aveva fatto appena alcuni passi, quando vide un’ombra umana staccarsi dal muro e scivolare silenziosamente in mezzo ad una folta macchia di dammar all’estremità del viale che metteva all’imbarcadero.
«Mi spiano, – mormorò il mulatto, trasalendo. – Non può essere che quel cane d›un Guercio.»
Si frugò nelle tasche, trasse un coltello che aperse con un colpo secco e si slanciò verso il viale, colla speranza di sorprendere lo spione. Non scorse nessuno, né udì alcun rumore. Ripiegò verso la macchia e la percorse in tutti i sensi, senza nulla trovare.
«Se non temessi di compromettermi e di mandare all’aria la fuga progettata, lo ucciderei, – disse. – Bada a te, Guercio! Potresti non tornare vivo dalla scogliera e finire fra le branche dei granchi di mare!»
5. Una caccia ai granchi di mare
Il sole stava per tuffarsi nelle glauche acque dell’Oceano Indiano, in mezzo a una nuvola fiammeggiante, quando Jody scese la spiaggia per recarsi, come soleva fare tutte le sere, alla pesca dei granchi di mare pei quali il governatore nutriva una vera passione.
Il Guercio vi era di già, e, vedendo comparire il macchinista, abbozzò un sorriso piuttosto maligno e si levò, dicendo con studiata noncuranza. «Credevo che non venissi a pescare questa sera, Jody, e stavo per andarmene.»
«E perché, se ti avevo dato la mia parola di condurti con me alla pesca?» chiese il mulatto, che lo osservava attentamente.
«Non so, era una mia idea, – rispose il cingalese. – Sei certo di prendere qualche granchio?»
«Non torno mai a mani vuote.»
«Allora ho fatto bene a non cenare, mi rifarò colla polpa bianca di quei deliziasi crostacei.»
«Sali e prendi i remi. La scialuppa è pesante e in due faremo più presto.»
Il cingalese ubbidì, collocandosi sul banco di prora, mentre il mulatto si sedeva dietro la macchina sul banco di poppa.
L’imbarcazione, sotto la spinta dei quattro remi, si staccò dalla spiaggia e si diresse lentamente verso la scogliera dei granchi. Era, più che una scogliera, un isolotto lungo un mezzo miglio e non più largo di cinquanta metri e chiudeva quasi interamente la baia di Port-Cornwallis, proteggendola efficacemente dai venti di levante e dalle onde.
La cima ed i pendii, che erano piuttosto ripidi, erano coperti di cocchi, i cui rami si piegavano sotto il peso delle grosse noci giunte ormai quasi a maturazione perfetta. Erano appunto quelle piante ad attirare sulla scogliera i grossi granchi di mare, i birgus-latro, crostacei ghiottissimi delle noci di cocco, non meno che delle frutta dei pandani.
Il suolo dell’isolotto era già coperto di un gran numero di gusci di cocco, completamente vuotati dagli avidi crostacei, i quali pareva si fossero riservati dei diritti d’esclusività su quelle piante, diritti che d’altronde nessuno pensava a contrastare loro, essendovi cocchi in abbondanza sulle spiagge delle Andamane.
Un quarto d’ora dopo, la scialuppa si amarrava in una minuscola caletta, difesa da una serie di punte rocciose che formavano una solida barriera contro la risacca.
«Che ve ne siano di già?» chiese il cingalese, mentre gli ultimi raggi di sole si spegnevano rapidamente e le tenebre invadevano il cielo.
«Ho collocato le esche stamane, – rispose il macchinista. – Appena l’oscurità avvolgerà la scogliera li vedrai giungere.»
«Che specie di esca?»
«Delle noci di cocco che ho fatto cucinare al forno. Non vi è di meglio per attirare quei crostacei.»
«Le preferiscono cotte, dunque, invece che crude?»
«Sembra, – rispose Jody. – Il fatto è che lasciano quelle crude per le altre.»
«Verranno dal mare?»
«No, scenderanno dalle piante. Di giorno amano tenersi sospesi agli alberi, all›ombra, aggrappati colle loro branche dalle punte acute. Vieni e non parlare.»
Legarono la scialuppa, si armarono di due mazze di legno del ferro, dure e pesanti quanto il metallo omonimo, e si arrampicarono sulla scogliera, dirigendosi verso un luogo ove le piante di cocco formavano un piccolo boschetto. Giunti presso il margine, si arrestarono guardando sotto la macchia, le cui foglie proiettavano una fosca ombra.
«È lì dentro che hai messo le noci?» chiese il cingalese.
«Sì, – mormorò il macchinista. – Ah! Guarda! Lo vedi scendere da quell›albero?»
Il cingalese aguzzò gli sguardi e vide un granchio di dimensioni mostruose, con due branche lunghissime, pesante non meno di una mezza dozzina di chilogrammi, che scendeva lentamente lungo il tronco d’un cocco, fermandosi di quando in quando come se temesse qualche brutta sorpresa. Appena giunto a terra si diresse verso un mucchio di noci cotte, che il macchinista aveva colà disposto al mattino.
Il crostaceo, senza perdere tempo, trasse dal mucchio la più grossa, la spogliò delle fibre che la coprivano, introdusse la punta d’una delle sue morse nel così detto occhio della scorza, poi girando intorno la trapanò con forza irresistibile, spezzandola.
Stava per gettarsi avidamente sulla polpa interna, quando il macchinista, sbucando improvvisamente dal suo nascondiglio, gli fu addosso, appioppandogli due tremendi colpi di mazza che gli fracassarono il guscio. Il povero crostaceo allungò, quindi ritirò le morse, cercando nel supremo spasimo dell’agonia di attanagliare il nemico, quindi si rovesciò su un fianco.
«Ecco il primo, – disse Jody, con voce lieta. – Rare volte ne ho preso uno grosso come questo.»
«È per me?» chiese il cingalese.
«Se ti fa piacere, prendilo pure. Ne troveremo qualche altro pel governatore. Ho collocato un altro mucchio di noci all›estremità della scogliera. Lascialo lì, lo raccoglieremo più tardi.»
Stava per volgere le spalle alla macchia e avviarsi verso la punta meridionale, quando il cingalese lo arrestò.
«Andiamo dall›altra parte, invece, – disse. – Io ho notato che tutte le volte che tu tornavi ben fornito di granchi, andavi a cacciarli verso la punta settentrionale. Perché vuoi cambiare questa sera?»
Quelle parole erano state pronunciate quasi con noncuranza, tuttavia Jody diventò pallidissimo e la sua destra cercò subito il coltello che teneva nascosto sotto la fascia.
«Là non ve ne sono più, – disse, cercando di dare alla sua voce un accento calmo. – Vuoi saperne più di me, Guercio?»
«Allora ci andrò solo, – disse il cingalese. – So ormai come si prendono e cacceremo uno da una parte e uno dall’altra. Vedrai che io ne prenderò più di te, Jody.»
«Ma se ti dico che non frequentano più quel posto,» ribatté il mulatto, che aveva ormai compreso quello che voleva lo spione. Malgrado facesse degli sforzi supremi per mantenersi calmo, onde non accrescere i sospetti del cingalese, cominciava a perdere il suo sangue freddo. Laggiù, all’estremità settentrionale delle scogliere, egli aveva nascosto i viveri che dovevano servire per la traversata dell’Oceano Indiano; perché dunque il cingalese insisteva per andare a cacciare i granchi di mare da quella parte? Aveva indovinato il progetto dei fuggiaschi? C’era da crederlo.
Per un momento ebbe l’idea di gettarsi improvvisamente sulla spia e di piantargli il coltello nel cuore, poi la paura che gli venisse chiesto conto del cingalese, che forse era stato appositamente mandato con lui sulla scogliera perché lo sorvegliasse o cercasse di scoprire qualche cosa, lo trattenne. Si trattava di perdere se stesso ed i compagni, mentre tutto era ormai pronto per la fuga.
Con uno sforzo supremo si calmò, poi disse con voce pacata al cingalese:
«Giacché lo vuoi, andiamo pure a fare una visita alla punta settentrionale. Se non ne troveremo, come già credo, andremo ad aspettarli dall›altra parte. A mani vuote non desidero ritornare.»
«Andiamo dunque,» disse il cingalese con un perfido sorriso.
Il mulatto, con un calcio poderoso, fece rotolare il granchio giù dalla china, gettandolo sulla spiaggia presso cui si trovava legata la scialuppa, prese la mazza e si mise in cammino dietro al cingalese, onde sorvegliare meglio le sue mosse.
Il Guercio però, che temeva forse qualche sorpresa, si affrettò dopo alcuni passi a metterglisi al fianco, narrandogli delle pesche prodigiose che faceva sulle coste di Ceylon, quando non era ancora stato condannato alla deportazione in quel penitenziario. Pareva che cercasse di stornare l’attenzione del macchinista; questi invece non lo perdeva di vista un solo momento e lo sorvegliava strettamente, cercando nel medesimo tempo di trarlo lontano dal luogo ove si trovava il piccolo deposito di viveri, senza darlo a vedere.
Il Guercio, a cui premeva di non tradirsi, si arrendeva senza resistenza, ma i suoi occhi scandagliavano le rocce che formavano la scogliera con una insistenza che faceva venire i brividi al mulatto. Con una scusa qualsiasi si arrestava quando scorgeva qualche crepaccio, perlustrandolo attentamente coi suoi sguardi furbeschi, balzava sulle rocce per meglio osservare se sulla spiaggia vi fossero dei granchi e di quando in quando fingeva d’incespicare e si lasciava cadere, quando poteva vedere qualche fenditura.
Jody osservava tutte quelle manovre sospette, tuttavia si studiava di non farci caso. La sua destra stringeva sempre il coltello, pronto a qualsiasi sbaraglio, a qualsiasi rischio.
Giunti all’estremità della scogliera senza aver scorto alcun granchio, Jody si fermò, dicendogli:
«Avevo ragione io di dirti che qui i granchi non vengono più. Sono stati troppo spaventati.»
Il cingalese non rispose subito. Ritto sulla cima d’una roccia, guardava insistentemente una spaccatura, semicoperta da sterpi, che s’apriva a qualche metro dal livello dell’acqua e che poteva essere l’entrata di qualche caverna. Jody aveva seguito quello sguardo.
«Che cosa guardi?» chiese con voce minacciosa.
«Mi pareva di aver scorto, in mezzo a quelle punte rocciose, uno swordfish, – rispose il cingalese, pacatamente. – Sono eccellenti, sai Jody quei pesci. Li conosci tu?»
«Tu parli dei pesci velieri, mi pare.»
«Sì.»
«Io non vedo nulla.»
«Eppure giurerei su Godama di aver scorto la sua natatoia dorsale e anche la sua lunga spada.»
«Va› a prenderlo dunque,» disse Jody con impazienza.
«Se avessi una fiocina, non me lo lascerei scappare.»
«Giacché non l›abbiamo, è inutile che ci soffermiamo qui. Torniamo verso i cocchi; non sono già venuto qui a fare una partita di chiacchiere con te, Guercio.»
«Sì, andiamo a prendere qualche granchio pel governatore,» rispose il cingalese.
S’incamminarono l’uno presso l’altro, seguendo la cresta della scogliera. La luna, al suo ultimo quarto, s’alzava allora sull’orizzonte specchiandosi in mare ed una fresca brezza soffiava da levante facendo stormire dolcemente le foglie piumate dei cocchi. Alla base della scogliera la risacca rumoreggiava, accartocciando le onde con ritmo monotono e rigettando sulla sabbia le conchiglie.
Avevano percorso una cinquantina di passi, costeggiando sempre i boschetti, quando il cingalese, che pareva ruminasse da un po’ qualche cosa nel suo cervello, chiese improvvisamente al macchinista:
«Hai più veduto Palicur?»
«Il malabaro? – domandò Jody. – No, non l›ho più veduto; mi hanno detto che è ancora all›infermeria e per causa tua.»
«Cioè sua,» rispose il cingalese.
«Sia come vuoi, ma vorrei sapere perché mi hai fatto quella domanda,» disse il mulatto, guardandolo sospettosamente.
«Sai che ho saputo una bella storia sul suo conto?»
«E quale?»
«Che egli si trova al bagno per aver ucciso due o tre tiruvamska dell’antico monastero di Annarodgburro.»
«Che i granchi mi strappino un braccio se io so che cosa tu voglia dire,» rispose il macchinista, alzando le spalle.
«E ha una fanciulla in quel monastero.»
«Non so nulla io.»
«E si dice che egli sia un discendente degli antichi rajah di Calicut.»
«Tu mi narri delle frottole,» disse Jody.
«No, è Palicur che ha detto ciò all›europeo, e quando narrò la sua storia io l›ho udito più volte singhiozzare. Mi trovavo nella cella prossima a quella da loro occupata ed ho potuto udire tutto.»
«E che cosa importa a me quella storia?»
«È vero, sono uno stupido, – disse il cingalese ridendo. – Non può interessarti, avendo noi tutti una storia. È meglio che ci occupiamo dei granchi. Ne troveremo altri? Il mio non lo cederò al governatore; me lo hai regalato e me lo mangerò.»
«Nessuno te lo disputa; d›altronde non torneremo con quello solo. Vieni nella macchia dove ho collocato le noci di cocco cotte nel forno. A quest›ora ve ne saranno altri che stanno mangiandole.»
Si diressero verso il gruppo di piante impugnando la mazza e, giunti sul margine, udirono subito gli scricchiolii prodotti dalle poderose tenaglie dei crostacei sui gusci delle frutta. Cinque o sei granchi erano calati dagli alberi od erano sorti dal mare e si erano gettati avidamente sulle esche. «Addosso, Guercio!» gridò Jody.
Si precipitarono in mezzo alle piante percuotendo furiosamente i dorsi dei poveri animali, i quali invano cercavano di far fronte a quella grandine, allungando ed agitando minacciosamente le loro branche.
In meno d’un minuto furono tutti a terra semi-fracassati, colle zampe spezzate, spargendo intorno quell’odore particolare ai granchi ed ai gamberi, che emanava dalle loro ferite.
«Ne abbiamo abbastanza per questa sera, – disse Jody. – Uno a me, uno tu l’hai già e gli altri al governatore. Imbarchiamoli e torniamo al penitenziario.»
«Dormirei volentieri su questa scogliera, – disse il cingalese. – Si sta bene qui.»
«Non compromettermi, Guercio, – rispose il macchinista. – Se io non ti riconducessi si potrebbe credere che io avessi cercato di farti fuggire e la doppia catena non amo portarla per nessuno.»
«Forse nessuno s›inquieterebbe al penitenziario se io tornassi domani. Hanno fiducia in me.»
«Ma non ne ho io, – rispose asciutto Jody. – Se tu fuggissi ne andrei di mezzo io. Basta, Guercio, non dire sciocchezze od io vado ad avvertire i guardiani.»
«Non ce n›è bisogno; torno con te.»
Trasportarono i granchi nella scialuppa, sciolsero la fune e presero i remi, avviandosi lentamente verso la baia. Un quarto d’ora dopo giungevano dinanzi all’imbarcadero che in quel momento non era vigilato, non essendo ancora stato suonato il copri-fuoco.
«Prendi il tuo granchio e vattene,» disse Jody.
«E tu? – chiese il cingalese, guardandolo maliziosamente. – Volevo invitarti a cenare con me; sai che domani dovrò tornare al cantiere e che non ci rivedremo più per qualche settimana.»
«Ho da portare i granchi al governatore e ricevere gli ordini per domani.»
«Allora buona notte, Jody, – disse il Guercio, mettendosi sulle spalle il granchio regalatogli e allontanandosi. – Guardati dai cattivi incontri».
«Quali?»
Il cingalese rispose con una risata e scomparve sotto gli alberi del viale.
Il macchinista rimase sulla spiaggia con una mano affondata nella fascia dove celava il coltello, in preda ad una terribile perplessità.
«Avrei fatto meglio ad ucciderlo, – disse con voce irata. – Quel furfante sa troppe cose ed ho paura che venga a guastare i nostri progetti. Mi ha spiato, ne sono certo, e sa che io da tempo vado accumulando dei viveri entro quel crepaccio. Come ha fatto a saperlo? Che sia uno stregone od un demonio costui?
«Fortunatamente domani, se tutto va bene, noi saremo lontani di qui e sulla scogliera non rimarrà un solo biscotto, né una briciola di pesce secco. Non perdiamo tempo. Sono già le dieci.»