Kitabı oku: «La perla sanguinosa», sayfa 5
7. La caccia ai fuggiaschi
Lo stupore prodotto da quelle misteriose parole, pronunciate da quell’uomo che essi credevano ormai morto in fondo alle acque, fu così profondo, che per qualche minuto i tre fuggiaschi dimenticarono perfino le scialuppe dei sorveglianti, lanciate sulle loro tracce con la speranza di raggiungerli.
«Ti disputerò Juga! Davati ti lancia la sfida!» Come mai quell›uomo conosceva la fidanzata infelice del pescatore di perle?
Davati! chi era costui? Non era facile spiegarlo. Solo allora i fuggiaschi compresero che l’accanita sorveglianza del cingalese per impedire a loro, o meglio a Palicur, di fuggire aveva un motivo ben diverso da quello che avevano supposto fino a quel giorno.
Il malabaro stava per aprire le labbra, quando il quartiermastro lo prevenne, dicendo:
«Parleremo di ciò più tardi. Abbiamo la pelle da salvare. Ecco che anche il Nizam si mette della partita. Guardiamoci dai suoi cannoni.»
E infatti i fuggiaschi non potevano ritenersi ormai salvi. Quattro scialuppe, montate dai migliori tiratori del penitenziario e dai remiganti più robusti, si erano staccate dalla scogliera e davano vigorosamente la caccia alla barca a vapore.
Non erano però le scialuppe a preoccupare il quartiermastro. La macchina ormai funzionava e quei remi, per quanto poderosamente manovrati, non potevano competere coll’elica che già girava vorticosamente e che aumentava di momento in momento il numero dei suoi giri.
Era il Nizam a costituire il vero pericolo, almeno pel momento, poiché la scialuppa a vapore era ormai fuori portata dalle palle delle carabine, ma si trovava ancora sotto il tiro delle artiglierie.
La nave, che portava ogni quindici giorni le provviste destinate al penitenziario, subito avvertita della fuga dei tre forzati, si era a sua volta messa in caccia. Era un vecchio piroscafo di tre o quattrocento tonnellate, con macchinario non troppo in buono stato a dire il vero, ma certo ben provvisto di combustibile, montato da una cinquantina di marinai dello Stato e armato di quattro pezzi d’artiglieria disposti sul ponte in barbetta.
La scialuppa, che aveva un buon forno verticale, poteva senza difficoltà guadagnare via, sviluppando una velocità di undici nodi all’ora, ma per quanto tempo? Il combustibile accumulato da Jody poteva durare tutt’al più quaranta ore, se usato con economia, mentre il Nizain ne aveva forse per qualche settimana, senza bisogno di rifornirsi.
«Getta carbone, Jody, – disse il quartiermastro che si era collocato alla barra del timone. – Il Nizam sta girando la scogliera.»
«E le barche?»
«Non occupartene.»
I sorveglianti, vedendo la scialuppa fuggire verso il sud, per mettersi al riparo dietro una punta rocciosa che si spingeva molto innanzi sul mare, avevano aperto un violentissimo fuoco colle carabine, fuoco affatto inefficace perché, come abbiamo detto, i fuggiaschi si trovavano ormai fuori tiro.
La nave a vapore, che affrettava la marcia, comparve a sua volta, mostrando i suoi tre fanali che spiccavano vivamente nelle tenebre. Quasi subito una fiamma balenò a prora, seguita da una formidabile detonazione. Si udì in aria il ronfo rauco del proiettile, poi si vide un getto di spuma balzare in alto a trenta metri dalla prora della scialuppa.
«Assaggiano, – disse Will. – Al terzo colpo ci prenderanno, se saremo ancora a tiro. Jody, carica la valvola o la scialuppa verrà spaccata!»
Un secondo sparo rimbombò sul ponte della nave a vapore e la palla s’affondò a quaranta o cinquanta metri dalla poppa della scialuppa. Will si voltò vivamente, guardando il Nizam.
Le scialuppe dei sorveglianti si erano fermate e tornavano lentamente verso Port-Cornwallis, avendo ormai compreso che sprecavano forze e munizioni senza alcun risultato.
La nave invece forzava le sue macchine, per raggiungere i fuggiaschi prima che potessero mettersi fuori portata dalle sue artiglierie. Dalla sua ciminiera uscivano, a gran volate, nubi di fumo miste a scorie, che salivano in cielo fiammeggiando.
«Se ci sbagliano siamo salvi, – mormorò il quartiermastro. – Ancora mezzo minuto e le sue artiglierie diverranno inutili. Palicur… Jody… tenetevi pronti a gettarvi in acqua. Se ci spaccano la scialuppa, ripareremo sulla costa, se saremo ancora tutti vivi.»
Un terzo lampo balenò sulla nave, verso poppa questa volta.
Il quartiermastro si curvò istintivamente e forse con quell’atto salvò la propria vita, poiché un istante dopo una palla passava quasi rasente la scialuppa, perdendosi in mare a brevissima distanza.
«Siamo salvi! – urlò. – A tutto vapore, Jody! Non ci prendono più.»
La scialuppa aveva raggiunto la penisoletta che si protendeva molto avanti sul mare, mettendosi completamente al coperto dai colpi del Nizam. Il quartiermastro la lasciò filare per qualche po’ lungo la costa, poi quando stimò che fosse ormai abbastanza lontana per non aver più da temere le palle di cannone, tornò a lanciarla verso il sud. Avendo un vantaggio di quasi tre nodi all’ora sulla vecchia carcassa, anche mostrandosi non aveva più nulla da temere.
E infatti un quarto proiettile sparatole dal Nizam cadde a più di cento metri dalla poppa.
«Buona notte, signori miei! – gridò Will ironicamente. – Sarà per un’altra volta, se sarete capaci di raggiungerci.»
«Non rinunceranno alla caccia, ve lo assicuro, signor Will, – disse Jody, che guardava con angoscia la provvista di combustibile. – Aspetteranno che abbiamo consumato questo po› di carbone per darci nuovamente addosso.»
«Vi sono dei nascondigli lungo le coste e là potremo fare legna, – disse Palicur. – Le piante resinose abbondano su queste isole.»
«Non dico di no.»
«Quanto la potremo durare con questa velocità?» chiese il quartiermastro.
«Fino a posdomani all’alba, spero. Si potrebbe rallentare un po’ ed economizzare il combustibile.»
«Preferisco che questa velocità non scemi, – rispose Will. – In vent›otto o trenta ore noi potremo raggiungere l›ultima isola del gruppo senza fermarci.»
«Dimenticate una cosa, signor Will.»
«Quale?»
«Che non abbiamo nemmeno un biscotto da porre sotto i denti.»
«In qualche modo provvederemo.»
«E che non possediamo nemmeno una goccia d›acqua, signor Will. Quel furfante ha gettato via anche le noci di cocco.»
«Faremo una punta sulla costa, il più tardi possibile. Mi preme perdere di vista quella nave, prima di tutto.»
«A mezzodì avremo almeno trenta nodi di vantaggio.»
«Aspettiamo il mezzodì dunque.»
Guardò verso il nord; i fanali del Nizam scintillavano ancora sulla fosca linea dell’orizzonte, così piccoli però che non dovevano tardare a scomparire. Il vecchio legno perdeva via ad ogni momento e bruciava inutilmente il suo carbone nelle macchine asmatiche.
«Ora possiamo parlare dei nostri affari, – disse Will, guardando il malabaro che pareva immerso in profondi pensieri. – Nessuno ci minaccia pel momento e la nostra rotta non richiede alcuna vigilanza. Palicur, quale impressione ti ha fatto il cingalese con quelle parole?»
«Io credo d›impazzire, signor Will, – rispose il pescatore di perle. – È mezz’ora che frugo e rifrugo nella mia memoria e che tormento ferocemente il mio cervello per tentare di spiegare quel mistero. Davati! Chi può essere? Eppure questo nome io devo averlo già udito.»
«Da chi?»
«Da Juga.»
«Dalla bocca della tua fidanzata?»
«Sì, signor Will. Sono certo che quel nome lo ha pronunciato. Quando? Non ve lo saprei dire.»
«Spieghiamoci. Prima avevi mai veduto il Guercio?»
«Non mi sembra, signore,» rispose Palicur.
«Pensa bene.»
«Ho pensato molto, signore, e non mi ricordo d’averlo incontrato fuori dal bagno.»
«E come vuoi che conosca Juga? Il fatto è che quell›uomo è un tuo rivale e deve aver amato la fanciulla del tuo cuore.»
«Ecco, signor Will. Mi ricordo che una sera il padre della fanciulla mi parlò di un pescatore di perle, che aveva chiesto la mano di Juga, ma io non seppi mai chi fosse, perché più nessuno me ne parlò.»
«Mi viene ora un sospetto, – disse Will. – Che il Guercio non sia stato estraneo al rapimento commesso dal tiruvamska del monastero di Annarodgburro e che sia stato lui ad additargliela, per vendicarsi del rifiuto avuto.»
«Sono anch›io del vostro parere, signor Will.»
«Ma se era perduta per te lo era pure per lui in tal caso,» disse Jody, che fino allora si era limitato ad ascoltare i suoi compagni.
«Avrebbe potuto riscattarla colla perla sanguinosa, quella maledetta perla che io ho tanto cercato per due mesi di seguito, dopo il rapimento di Juga.»
«La perla sanguinosa! – esclamò il quartiermastro. – Ecco la seconda volta che io l’odo nominare da te, senza aver potuto ancora sapere di che cosa si tratta.»
«Era la famosa perla che ornava come un terzo occhio la fronte della statua gigantesca di Godama, che trovasi nel monastero di Annarodgburro,» disse Palicur.
«E che c›entra con Juga?»
«Solo colui che può ritrovarla può riscattare una delle fanciulle diventate spose del dio. Se io potessi scoprirla, Juga tornerebbe mia.»
«E dove si trova?»
«In fondo allo stretto di Manaar.»
«Chi ve l’ha gettata?»
«Colui che l›ha rubata; o meglio, non l›ha gettata, perché essa si trova ancora nell›atroce ferita che quel disgraziato si era fatto nella coscia destra.»
«Sì, conosco anch›io quella storia, disse Jody.
«Io invece non capisco affatto, – rispose Will. – Spiegati meglio, Palicur. I fanali del Nizam non sono più visibili, possiamo quindi chiacchierare a nostro bell’agio.»
«Quella storia rimonta a due anni fa, – disse il malabaro. – In occasione d›un pellegrinaggio, un pescatore di perle, uomo astuto e di fegato, si era fisso in capo di togliere la perla che ornava la fronte di Godama e che tutti ammiravano per la sua grossezza e per il suo splendore. L’impresa non era certo facile, eppure quell’uomo, non si sa in qual modo, riuscì a privare il dio di quell’ornamento.
«Se era stato possibile commettere il furto, non era invece facile trafugare il gioiello. Dato l›allarme, tutte le porte del monastero vennero chiuse e tutti i passi che conducevano sulla montagna immediatamente occupati, onde nessun pellegrino potesse allontanarsi senza essere prima rigorosamente perquisito.
«Il ladro riuscì però a condurre a buon fine l›audace furto. Coll›aiuto d›un complice, un vecchio indiano, anche lui pescatore di perle a quanto si suppone, si fece fare una profonda incisione nella coscia destra e nascose dentro l’orribile ferita la perla. Poté quindi lasciare indisturbato Annarodgburro, fingendo di essersi ferito accidentalmente con un colpo di scure; nessuno poteva supporre che portasse la perla sepolta nella sua carne.»
«Era grossa?» chiese il quartiermastro, che s›interessava straordinariamente a quel racconto.
«Quanto una noce, mi hanno detto,» rispose Palicur.
«Quell›uomo doveva soffrire atrocemente con un simile ingombro nella carne.»
«Certo e dovette arruolare dei portatori per farsi condurre alla costa su un palanchino.»
«E non vendette colà la perla?»
«Non ne ebbe il tempo. Il vecchio indiano che gli aveva fatto la ferita, spaventato dagli anatemi lanciati dai tiruvamska contro gli autori del furto, ventiquattr’ore dopo denunciava il pescatore di perle. Questi fu subito inseguito e raggiunto, nel momento in cui stava per prendere il largo su una scialuppa e riparare nel Travancore.»
«Vedendosi perduto, piuttosto che restituire la perla s›inabissò all›estremità settentrionale del banco di Manaar, dopo essersi sparato un colpo di pistola in un orecchio.»
«Colla perla rinchiusa nella ferita?»
«Sì, signor Will.»
«E non fu più ritrovato il suo cadavere?»
«No, perché l›acqua colà raggiunge i sessanta e fors›anche i settanta metri di profondità e nessun pescatore di perle può discendere tanto.»
«Con un buon scafandro avrebbero potuto ripescare l›uomo e anche la famosa perla,» disse il quartiermastro.
«Che cos›è uno scafandro?» disse il malabaro.
«Te lo dirò un’altra volta. Continua per ora.»
«La storia è finita, signor Will.»
«L›hai cercata anche tu quella perla?»
«Sì, appena riacquistata la salute, mi sono recato al banco colla speranza di trovarla e di riscattare con quella Juga, ma non riuscii mai a raggiungere il fondo. Fu allora che, avvilito di non poterla rinvenire, tentai di rapire la fanciulla.»
Will fece colla mano un gesto, poi disse, come parlando fra sé:
«Se si potesse sapere il luogo preciso dove quell›uomo si è lasciato andare a picco… chissà!»
«Ma io lo so, signor Will, – rispose il malabaro. – Mi è stato indicato esattamente da uno degli uomini che inseguivano il ladro sul mare.»
«E se qualche squalo avesse divorato il ladro e la perla insieme? E poi in due anni il corpo si sarà disciolto e chissà dove sarà andato a finire il terzo occhio del dio cingalese. Tuttavia non disperiamo, – aggiunse poi, vedendo che Palicur impallidiva. – La perla può essersi mescolata alla sabbia.»
Stette un momento silenzioso, poi riprese.
«Vorrei sapere perché il Guercio si trovava al penitenziario. Vi è un punto oscuro che vorrei dilucidare.»
«Io lo so, – disse Jody. – Me lo ha raccontato Foster, una sera che era mezzo ubriaco.»
«Narra dunque.»
Il mulatto stava per aprire le labbra, quando avvenne un urto violentissimo che fece alzare di colpo la scialuppa, mentre nello stesso momento uno sprazzo di materia nera come l’inchiostro, che tramandava un acuto odore di muschio, si rovesciava sui banchi, mandando a gambe levate i tre forzati e inondandoli da capo a piedi.
8. I vampiri dell’oceano
Passato il primo istante di stupore e, diciamolo pure, anche di spavento, i tre forzati, che grondavano come se si fossero immersi in un tino pieno d’inchiostro, si affrettarono ad alzarsi, afferrando Will la carabina e Palicur la pistola di Jody, che aveva trovato sottomano.
La scialuppa, dopo quell’improvviso urto, si era arrestata di colpo a causa probabilmente di qualche guasto avvenuta alla macchina o all’elica, e ondeggiava vivamente fra larghi sprazzi di spuma, sollevati intorno a essa dall’essere misterioso che aveva inondato, di quella materia nera puzzolente di muschio, i tre uomini.
Will, che per primo giunse a prua, mandò tosto un grido d’orrore:
«Oh! Che orribile mostro! Indietro, amici!»
Un animale di enormi dimensioni, dal corpo fusiforme, lungo una mezza dozzina di metri, di colore rossastro, con otto braccia munite di ventose che gli coronavano la testa, lunghe ognuna sei o sette metri, si agitava dinanzi alla scialuppa, aprendo e richiudendo la bocca che aveva un’apertura di mezzo metro. I due occhi, che avevano uno sviluppo spaventevole, piatti, glauchi e con un lampo giallo che faceva paura, si fissarono subito sul quartiermastro come se volessero affascinarlo.
Lo sperone della scialuppa doveva aver ferito quel mostro, poiché fra due tentacoli sfuggiva della materia nerastra e viscida che tingeva la spuma d’un color rosso brunastro.
«Un millepiedi!» gridò Palicur, che aveva raggiunto il quartiermastro.
«O meglio una piovra colossale, – aggiunse Will. – Bada, Palicur! Se uno di quei tentacoli ti afferra, ti succhierà il sangue fino all’ultima stilla.»
«Conosco quelle bestie, signor Will, – rispose il malabaro, che non pareva affatto spaventato. – Ne ho sventrato parecchie nei bassifondi di Manaar; è bensì vero che le mie non erano così colossali.»
Il calamaro gigante, furioso per la ferita ricevuta, non pareva disposto ad andarsene senza prendersi una rivincita. Agitando burrascosamente le sue otto braccia, due delle quali erano più lunghe delle altre, in un lampo si fece addosso alla scialuppa, cercando di avvincerla e di rovesciarla, cosa certo non difficile per lui.
«Attenti, amici!» gridò Will, puntando la carabina verso la bocca spalancata del mostro, quantunque non ignorasse che ben poco avrebbe potuto fare una palla su quella massa gelatinosa che non offriva alcuna resistenza ai proiettili. Jody era pure accorso, armato d’un solido coltellaccio, l’arma migliore contro quei mostri.
La scialuppa, stretta fra quelle poderose braccia, che l’avevano ormai avvinghiata strettamente tutt’intorno, fu sollevata dalle acque. Jody e Will mandarono un urlo di spavento, credendo che venisse capovolta; solo il malabaro non perdette il suo sangue freddo.
Con una mossa rapida strappò al mulatto il coltello, poi con un salto improvviso balzò in acqua, gridando:
«Lasciate fare a me!»
Scomparve per un momento, poi emerse dietro al mostruoso calamaro. Nella destra stringeva sempre il coltello.
Will intanto scaricò la carabina nella bocca del mostro. La fiamma, che gli bruciò quella specie di becco di pappagallo che formavano le labbra, più che la ferita prodotta dal proiettile, costrinse il calamaro a lasciare la scialuppa, facendola ricadere in acqua.
Nel medesimo tempo il malabaro si rituffava.
«Palicur! – gridarono il quartiermastro e Jody, spaventati di vederlo così vicino al mostro. – Pazzo, che cosa fai? A bordo!»
L’intrepido pescatore di perle, abituato ad affrontare i formidabili abitatori dei fondi sottomarini, non era così pazzo come credevano, perché ad un tratto videro il calamaro vomitare tutta la sua riserva d’inchiostro, poi indietreggiare rapidamente, mentre i suoi tentacoli battevano disperatamente le acque. Il malabaro lo aveva assalito per di sotto e affondava furiosamente il coltellaccio nell’enorme massa gelatinosa, cacciandovi dentro perfino il braccio per squarciare i tre cuori che quei mostri posseggono.
Invano il cefalopodo si dibatteva forsennatamente, per strapparsi quel nemico che gli era come appiccicato. I suoi tentacoli fischiavano per l’aria colla velocità di altrettante fruste e s’immergevano cercando di afferrare l’audace pescatore e dissanguarlo; i suoi occhi, già enormi, si dilatavano, mentre le sue carni smarrivano il colore rossastro per diventare biancastre, quasi trasparenti. Pareva che perdessero la loro consistenza e si vuotassero, per afflosciarsi come cenci.
A un tratto il calamaro ripiegò le sue terribili braccia e si lasciò andare a picco, dopo aver scaricato in direzione della scialuppa un ultimo getto d’inchiostro.
Il quartiermastro e Jody, che avevano assistito con angoscia alla lotta impegnata dall’ardito pescatore di perle con quel formidabile avversario, abitatore delle misteriose profondità del mare, per un istante credettero che il malabaro fosse stato trascinato a fondo dall’enorme massa che calava. Invece lo videro emergere bruscamente a dieci passi dalla scialuppa, stringendo ancora il coltellaccio.
«Qui, Palicur!» gridarono ad una voce Jody ed il quartiermastro.
Il pescatore con poche poderose bracciate raggiunse la scialuppa e fu tosto issato a bordo.
«Hai nessuna ferita?» gli chiese premurosamente Will.
«No, – rispose il valoroso indiano, sorridendo. – I suoi tentacoli non sono riusciti ad afferrarmi; d›altronde mi sarei affrettato a reciderli con un buon colpo di coltello.»
«Sei stato pazzo a esporti così.»
«Se non avessi assalito il calamaro sott›acqua, avrebbe finito col rovesciare la scialuppa. Quantunque gelatinosi, quei brutti mostri posseggono una forza straordinaria, specialmente nelle braccia. Io lo so per averlo provato.»
«Dove?» chiese Jody.
«Sui banchi di Manaar. Per due volte, mentre cercavo le perle dieci metri sott›acqua, mi sono trovato alle prese con delle piovre e sono sfuggito per puro miracolo a una morte sicura.»
«Narra…»
«La macchina, prima, Jody, – disse il quartiermastro. – Se si è arrestata deve aver subito qualche guasto.»
«Funziona, signore; è l›elica che deve essere stata contorta o spezzata dai tentacoli del mostro. Fortunatamente ne abbiamo una di ricambio a vite e mi sarà facile metterla a posto. Basta che spostiate il carbone verso prua, in modo che l’albero motore rimanga sopra il livello dell’acqua.»
«Non perdiamo tempo. Non dobbiamo dimenticare che abbiamo il Nizam alle spalle.»
«C›inseguirà ancora?» chiese Palicur.
«Non ne dubito, – rispose il quartiermastro. – Sanno i nostri inseguitori che la nostra provvista di carbone non può durare a lungo, e aspetteranno che l’abbiamo consumata per sorprenderci.»
«Certo, – disse Jody. – Al lavoro, amici. Ho paura di veder giungere quella maledetta carcassa.»
Si misero febbrilmente all’opera, levando il carbone che si trovava nel centro della scialuppa ed accumulandolo invece a prora. Bastarono venti minuti per mettere allo scoperto l’elica. Come Jody aveva previsto, le tre pale erano state contorte in tal modo dai tentacoli del calamaro, da non servire più a nulla.
«Bell›affare, se non ne avessimo avuto una di ricambio,» brontolò. Svitò quella guasta e collocò al suo posto l›altra che aveva levato dalla sua cassa.
«Partiamo,» disse, quando l’operazione fu finita.
Rigettarono parte del carbone intorno alla macchina per meglio equilibrare la scialuppa e alle quattro, nel momento in cui il primo raggio di sole illuminava le acque dell’Oceano Indiano, ripresero la loro corsa verso il sud, tenendosi ad un paio di miglia dalla costa.
Avevano percorso appena tre gomene, quando scorsero a fior d’acqua una enorme massa biancastra che le onde trastullavano.
«Il calamaro! – esclamò Palicur, che per primo l›aveva scoperto. – Ecco un buon boccone pei pescecani.»
«Morto?» chiesero ad una voce Jody e Will.
«Se fosse ancora vivo avrebbe la tinta rossastra.»
«Cambiano colore come i camaleonti, questi mostri?» chiese il mulatto.
«Né più né meno, Jody.»
«Sono buoni da mangiarsi?»
«Non ho mai veduto nessuno nutrirsi di quelle carni appestate di muschio. Eppure a Manaar se ne uccidono sovente.»
«Ah! È vero, anzi tu hai corso il pericolo di venire dissanguato, è vero Palicur?»
«Sì, Jody, e ti assicuro che me la sono veduta molto brutta, tutte e due le volte.»
«Narra un po›, malabaro, giacché nessun pericolo ci minaccia, per ora.»
«E inganneremo meglio il tempo,» disse il quartiermastro.
«Il primo che uccisi lo incontrai all›entrata della baia di Condatsci. Stavo perlustrando un banco, in un luogo ove l›acqua era profonda una diecina di metri, ma così limpida da lasciar scorgere distintamente i gruppi di ostriche perlifere, quando i miei occhi caddero su due specie di braccia che uscivano dal crepaccio d’una roccia sottomarina.
«Curioso di sapere di che cosa si trattasse ed essendo io allora già un abilissimo palombaro, capace di rimanere sott’acqua perfino un minuto e mezzo, mi lasciai andare a picco, stringendo fra le gambe la pietra in forma di pan di zucchero di cui ci serviamo noi per discendere più rapidamente.
«Avevo appena toccato il fondo, quando mi sentii afferrare attraverso il corpo, provando nel medesimo tempo come l›impressione di una scottatura. Avendo smosso la sabbia, dapprima non potei discernere nulla; quando l›acqua si schiarì scorsi, con mia non lieta sorpresa, uno di quei vampiri dell’oceano.
«Si era avvinghiato al mio corpo con tutti i tentacoli; gli occhi del mostro, quegli occhi enormi e glauchi, erano fissi su di me, immobili, come per meglio assaporare il mio supplizio; e attraverso quel corpo quasi trasparente vedevo il mio sangue travasato scorrere dalle ventose alla bocca e passare quindi nel ventricolo.»
«Palicur, mi fai drizzare i capelli,» disse Jody.
«Radunai tutte le mie forze e, riuscito ad estrarre il coltello, mi misi a tempestare il vampiro così rabbiosamente da costringerlo a lasciarmi finalmente libero.
«Non era però ancora finita. La barca che montavo era condotta da un ragazzo cingalese e quello stupido, vedendomi alle prese con quel mostro, invece di attendermi era fuggito verso riva.»
«Io mi sarei lasciato dissanguare dal mostro,» disse Jody.
«Io non la pensavo invece così, – rispose il pescatore di perle. – A vent›anni non ci si lascia vincere troppo facilmente e l’idea di morire in fondo al mare non sorride affatto.
«Quando tornai a galla e non vidi più il canotto, cercai anch›io di salvarmi verso la costa, ma mi sentii afferrare di nuovo per le gambe da uno di quei tentacoli e trascinare sott’acqua. Il calamaro, stuzzicato dalle prime sorsate di sangue che mi aveva succhiate, pareva risoluto a finirmi completamente.
«Toccai fondo a cinque o sei metri di profondità ed essendomi nuovamente liberato dalla stretta, cercai di avanzare sul fondo per raggiungere la riva che non doveva essere lontana. L’impresa non era facile perché il banco era assai scabroso in quel punto e io avevo sempre addosso il calamaro che non mi lasciava un solo momento.»
«Trascinandomi penosamente e lentamente, lottando coi pugni e coi piedi, finii per raggiungere le acque basse e potei emergere dal mare più che mezzo. Il polipo, che mi aveva sempre seguito, tentò allora l’ultimo attacco, gettandosi su di me con tutta la sua mole e avvinghiandosi colle sue terribili ventose al mio corpo. Male però gliene incolse, perché fui pronto a rovesciargli, come un guanto, quella specie di cappuccio che forma la sua testa e a fargli così perdere immediatamente le forze.
«I pescatori di perle, miei compagni, mi avevano insegnato quel colpo, e mi riuscì così bene che vidi i tentacoli del mostro perdere la loro forma rotonda, i succhiatori non formare più il vuoto come pompe aspiranti e staccarsi da me, ed il corpo, schifoso sacco che si vuota per empirsi di sangue, massa gelatinosa che acquista nel momento della lotta la tenacità del cuoio e la trasparenza del cristallo, diventare ad un tratto floscio e cadere intorno a me come un cencio. Il polipo era morto.»
«Ecco una terribile prova, – disse il quartiermastro della Britannia, – e che pochi uomini avrebbero potuto sopportare.»
«La seconda è stata ancora più tremenda, signor Will, – disse il malabaro. – Ero sceso in fondo al mare un po› al nord del grande banco di Manaar per esaminare quelle sabbie e quelle rocce prima di farvi discendere i miei palombari, e sapendo che quelle acque erano frequentate dai pescicani, mi ero armato d’un palo di ferro assai aguzzo e mi ero fornito d’una certa quantità di calce in polvere, avviluppata in una foglia onde accecarli se mi avessero assalito.
«Ero calato dinanzi ad un ammasso di macigni, quando, girando intorno lo sguardo, vidi fra due rocce gli occhi di un enorme vampiro dell’oceano che mi guardavano fissamente. Prima che mi fosse possibile assalirlo, quello mi scaricò addosso un tale uragano d’inchiostro che non potei scorgere più nulla intorno a me.
«Avevo già abbandonato la pietra per rimontare alla superficie, allorché con terrore sentii il polipo scivolarmi lungo il dorso e prendermi per un braccio con tale forza che ebbi l›impressione di essere stretto da una vera morsa.
«Voi sapete se sono robusto. Cercai con tutte le mie forze di liberarmi e di servirmi del palo: fatica inutile. Per colmo di sventura uno dei tentacoli mi si fissò sull›occhio sinistro che tenevo spalancato, dimodoché io non avevo più libero che il destro. Potete immaginarvi facilmente l’orrore della mia situazione.
«Fui soffocato; quasi privo di sensi, ebbi però ancora la forza d›animo di rimanermene tranquillo nella speranza che qualcuno dei miei compagni, non vedendomi comparire alla superficie, giungesse in mio aiuto.
«Fu la mia salvezza. Un mio amico, immaginandosi che qualche cosa di grave mi fosse toccato, spezzò una noce di cocco e spremette sull›acqua alcune gocce d›olio per cercare di discernere ciò che accadeva in fondo al mare. Visto il polipo, s’immerse subito armato d’un coltellaccio e assalì il mostro con tanto vigore che quello, non trovando di suo gradimento quei colpi, mi lasciò, nascondendosi nelle sabbie.
«Quando tornai a galla ero completamente sfinito. Il sangue mi sgorgava dagli occhi e dagli orecchi e il mio ventre era gonfio come una botte per la grande quantità d’acqua che avevo assorbito. Per qualche tempo credetti che il mio occhio sinistro fosse perduto, essendo stato succhiato dalla ventosa del vampiro, e dovetti rimanere coricato nella mia capanna più di quaranta giorni, prima di rimettermi completamente dalla terribile emozione provata.»
«Aspetta che vada ad affrontarli io, – disse Jody. – Sarei sicuro di morire di paura. Ma già, io non sono nato per diventare un pescatore di perle»