Читайте только на Литрес

Kitap dosya olarak indirilemez ancak uygulamamız üzerinden veya online olarak web sitemizden okunabilir.

Kitabı oku: «La regina dei Caraibi», sayfa 5

Yazı tipi:

Un urlo terribile s’alzò a bordo del brulotto e della Folgore, perdendosi lontano lontano sul mare:

«Viva la filibusteria!… Hurrà pel Corsaro Nero!…»

I tamburi rullavano fragorosamente e le trombe che davano il segnale dell’abbordaggio echeggiavano acutissime. Il brulotto con una bordata aveva superato la punta estrema dell’isolotto e muoveva intrepidamente verso le due fregate, come se volesse investirle ed abbordarle.

La Folgore lo seguiva a trecento passi di distanza. Tutti i suoi uomini erano a posto di combattimento: gli artiglieri dietro ai loro pezzi colle micce accese, i fucilieri dietro alle murate e sulle coffe, i gabbieri sui pennoni e sulle crocette.

D’un tratto un lampo, poi due, poi quattro illuminano la notte e la possente voce delle artiglierie si mescola agli hurrà degli equipaggi e alle grida di guerra della guarnigione della cittadella accorsa in massa sulla spiaggia.

«Ecco la musica!» tuona Carmaux.

CAPITOLO VIII. UN TERRIBILE COMBATTIMENTO

Le due fregate, vedendo avanzarsi quella nave a vele spiegate e tutta illuminata, avevano creduto che corresse addosso a loro per dare l’abbordaggio all’una o all’altra, e perciò si erano prontamente accostate finchè lo permettevano le catene delle àncore, per soccorrersi a vicenda.

Ad un comando dei capitani, i cannoni da caccia della coperta erano stati puntati sul brulotto ed una prima scarica aveva destato gli abitanti di Puerto Limon e fatta accorrere sulla spiaggia l’intera guarnigione del fortino.

Quelle palle non erano andate perdute, avendo colpito in pieno il brulotto. Una parte dell’alto castello di prora era subito diroccato sotto lo scoppio d’una granata, e due pennoni, spaccati da un proiettile, erano precipitati in coperta a soli pochi passi dalla barricata di poppa.

«Lasciamoli sfogarsi a loro capriccio,» aveva detto Carmaux. «Già questa povera caravella è destinata a saltare in aria.»

Si volse verso l’isolotto e vide la Folgore avanzarsi a meno di duecento metri, cercando di girare l’estrema punta del promontorio.

«Ohe!… Badate!… Si farà fuoco di bordata!» aggiunse poi.

Non aveva ancora finite quelle parole che le due fregate avvamparono simultaneamente, con un rimbombo spaventevole. Dalle batterie sfuggivano lingue di fuoco e sopra i ponti turbinavano nubi di fumo densissimo, attraversate da lampi.

Artiglieri e fucilieri avevano aperto un fuoco infernale contro la povera caravella, colla speranza di mandarla sott’acqua rotta e fracassata prima che potesse giungere all’abbordaggio. L’effetto di quella scarica fu tremendo. Le murate ed il castello di prora del brulotto volarono in frantumi e l’albero proviero, spaccato alla base, rovinò in coperta con uno scroscio orrendo sfondando, col proprio peso, parte della tolda.

«Mille pesci cani! – urlò Carmaux, che si era prontamente abbassato dietro la barricata. – Un’altra scarica come questa e noi andremo a picco!

S’alzò e guardò al disopra della barricata, malgrado i nembi di mitraglia che spazzavano la coperta con mille sibili.

La prima fregata non era che a quindici metri ed il brulotto, che aveva ancora il suo albero maestro in piedi ed i fiocchi del bompresso ancora spiegati, le correva addosso spinto dal vento che soffiava da terra.

Carmaux strappò a Wan Stiller la miccia che teneva in mano ancora accesa e curvandosi verso il cannone che stava puntato sul cassero, vi diede fuoco, poi gridò con voce tuonante:

«Un uomo sul ponte!… Accendete!

Un filibustiero balzò sopra la barricata, tenendo in mano una torcia accesa, e non ostante le incessanti scariche delle due fregate si slanciò verso l’ammasso di pece e di zolfo che si trovava alla base dell’albero maestro.

Una palla di cannone lo prende in mezzo al petto e lo spezza in due come se fosse stato troncato da una immane scimitarra.

«Fulmini!» tuonò il filibustiere. «Un altro uomo sul ponte!»

Un secondo marinaio, per nulla atterrito dalla orrenda fine del suo camerata, salta via la barricata e si scaglia innanzi urlando: «Viva la filibust…»

Non potè terminare la frase. Una seconda palla di cannone lo uccide. In quel momento un urto tremendo avviene a prora. La caravella aveva investito la fregata cacciando il suo bompresso fra le sartie ed i paterazzi dell’albero maestro.

Carmaux e Wan Stiller afferrano i ganci d’abbordaggio e li scagliano fino ai pennoni ed ai bracci di manovra della nave, poi staccano le torce ed i fanali del quadro e li gettano in mezzo alla tolda.

La resina che scorre ancora pel tavolato prende fuoco in un istante e si comunica allo zolfo ed alla pece radunata sul ponte.

Dieci, quindici lingue di fuoco serpeggiano per la tolda, investono le murate, bruciano le tavole e s’alzano verso le vele. Un chiarore improvviso si diffonde fra le tenebre.

I marinai della fregata, credendo che la caravella l’avesse abbordata sul serio, si precipitano verso le murate scaricando i loro archibugi, mentre i cannoni da caccia lanciano una bordata di mitraglia sul castello di prora ed in mezzo ai rottami dell’albero di trinchetto già caduto.

Un grido rimbomba a poppa della caravella:

«Camerati! In ritirata!»

Carmaux abbandona il timone, sorpassa con un solo slancio il coronamento e si lascia scivolare lungo la gomena. Sotto sta la scialuppa.

«Moko! Wan Stiller! Presto!» gridò. «La Folgore sta per passare.»

L’amburghese, il negro e gli altri due filibustieri lo seguono, mentre la caravella avvampa come un vulcano. Lo zolfo ed il bitume ardono con rapidità incredibile, lanciando sulla fregata nembi di scintille e nubi di fumo puzzolente. I barili di polvere stanno forse per iscoppiare e mandare all’aria il brulotto.

«Ci siete tutti?» gridò Carmaux.

«Tutti,» risponde l’amburghese, dopo d’aver lanciato all’ingiro un rapido sguardo.

«Al largo!»

Tenendosi riparati dietro la caravella, filano al largo, manovrando i remi con sovrumana energia.

Intanto il fuoco si dilata con rapidità fulminea. Le murate, i cordami, le vele, l’albero maestro stesso della caravella bruciano spandendo all’intorno una luce sinistra.

Gli spagnuoli, atterriti, cercano di tagliare i grappini d’abbordaggio per allontanare il brulotto, ma oramai è troppo tardi.

L’incendio si propaga a bordo della fregata con rapidità incredibile. Le pompe nulla possono contro le fiamme, che guadagnano le vele e l’alberatura.

Carmaux ed i suoi compagni, con pochi colpi di remo attraversano la baia e giungono sotto il bordo della Folgore, la quale si era già messa in panna, per aspettarli.

«Presto!» tuona Morgan.

I cinque marinai s’aggrappano alle bancazze, si slanciano sui paterazzi e le sartie e saltano a bordo della loro nave.

«Eccoci, signore!» dice Carmaux, correndo sotto il ponte di comando dove si trovano il Corsaro Nero e Morgan.

«Manca nessuno?» grida il luogotenente.

«Ci siamo tutti, meno due che sono morti a bordo della caravella,» risponde Carmaux.

«Ognuno a posto di combattimento!» comanda il Corsaro. «Pronti pel fuoco di bordata!»

La Folgore si slancia innanzi, filando a duecento passi dalla fregata incendiata.

S’avanza rapidamente, in silenzio, tutta nera, senza alcun lume a bordo. I suoi uomini però sono tutti ai loro posti.

La seconda fregata, accortasi finalmente dell’ardita manovra del filibustiere, scarica con orrendo rimbombo le sue artiglierie, sperando di arrestare al volo la Folgore, ma tale scarica va a colpire le rocce che formano il prolungamento della penisola.

La seconda fregata non può rispondere in modo alcuno. Ormai le fiamme la investono e avvampa come un vulcano.

Una luce intensa si spande per la baia, tingendo le acque di color rosso e riflettendosi perfino sulle vele della nave filibustiera. I suoi tre alberi fiammeggiano, mentre il brulotto, ancora appiccicato ai suoi fianchi, crepita e sibila lanciando in aria continui nembi di scintille.

D’improvviso una fiamma immensa squarcia la caravella. Il ponte, il quadro, il castello di prora, l’albero maestro saltano sotto lo scoppio dei barili di polvere, lanciando a destra ed a manca un nuvolo di rottami ardenti. La fregata, che è sempre legata al brulotto, si piega su di un fianco. L’esplosione l’ha squarciata sul tribordo e l’acqua si precipita, con sordi muggiti, attraverso l’immane apertura.

Fra le urla del suo equipaggio ed i gemiti dei feriti e dei moribondi, si alza una voce tuonante.

«Fuoco di bordata!» grida il Corsaro Nero.

I sei cannoni di tribordo ed i due pezzi da caccia del cassero tuonano con un accordo ammirabile, formando una detonazione sola. Le palle e la mitraglia spazzano i ponti delle due fregate accrescendo l’orrore e la confusione. Un albero tentenna e poi cade in coperta assieme con le vele e con le manovre fisse e correnti.

La Folgore si avanza sempre, mentre le scialuppe della seconda fregata accorrono in aiuto di quella che arde e che sta per affondare.

Il fuoco degli spagnuoli è sospeso, ma non quello della nave filibustiera. Le artiglierie tuonano senza posa, tempestando le manovre dei due legni e lanciando sui ponti bordate di mitraglia, le quali fanno strage fra gli equipaggi.

«Fuoco! fuoco!» tuona sempre il Corsaro Nero. «Spezzate le loro alberature, rasate i ponti, demolite, distruggete!»

Con un’ultima bordata, la Folgore giunse alla bocca del porto. Passando quasi accanto alle due fregate, scarica, d’un solo colpo, tutte le sue artiglierie, poi fila dinanzi alla diga ed esce trionfante in mare. Un’ultima bordata della fregata rimasta incolume, la raggiunge ancora spezzandole l’antenna di gabbia, forandole parecchie vele e uccidendole quattro uomini, ma ormai la Folgore poteva considerarsi salva.

Il Corsaro Nero, aiutato da Yara e da Morgan, s’era alzato.

Laggiù, in direzione della baia, la fregata, quasi sommersa, bruciava ancora. Immense lingue di fuoco s’alzavano verso il cielo, mentre dei nembi di scintille, trasportate dal vento, correvano fra le tenebre come miriadi di stelle.

Qualche colpo di cannone rombava ancora, confondendo la detonazione al fragore dei flutti.

«Ebbene, cosa ne dite di tutto ciò?» chiese egli, con voce tranquilla, a Morgan.

«Io dico, cavaliere, che mai fortuna maggiore ha sorriso ai filibustieri della Tortue,» rispose il luogotenente.

«Infatti, amico Morgan, non avrei mai sperato tanto.»

«Un giorno avrò anch’io una nave, signor cavaliere, e allora mi ricorderò delle audacie incredibili del mio capitano, dei suoi valorosi e pur disgraziati fratelli e dell’Olonese.»

«Voi avete la stoffa d’un grande condottiero, signor Morgan, e ve lo dice il Corsaro Nero. Voi farete grandi cose, lo vedrete.»

«E perchè no insieme?» chiese il luogotenente.

«Chissà se allora il Corsaro Nero sarà vivo,» disse il signor di Ventimiglia, mentre un pallido sorriso gli sfiorava le labbra.»

«Voi siete giovane, signore, ed invincibile.»

«Anche i miei fratelli, il Corsaro Rosso ed il Verde, erano giovani e arditi, eppure, voi lo sapete, dormono il sonno eterno nei baratri umidi del mare dei Caraibi.»

Stette un momento silenzioso, guardando il mare che scintillava dietro la poppa della nave come se vi fosse un principio di fosforescenza, poi riprese con voce malinconica:

«Chissà quale destino mi serberà l’avvenire. Potessi almeno, prima di morire, vendicarmi del mio mortale nemico e sapere ove è andata a finire la fanciulla che ho tanto amato!…»

«Honorata?» chiese Morgan.

«Sono passati quattro anni,» continuò il Corsaro, senza far attenzione alla domanda del luogotenente, «eppure la vedo sempre vagare sul mar tempestoso dei Caraibi, alla luce dei lampi, fra i muggiti delle onde incalzanti. Notte fatale!… Non la dimenticherò mai, mai!… Il giuramento che ho pronunziato la sera in cui il cadavere del Corsaro Rosso scendeva in fondo alle acque, mi ha spezzata l’esistenza. Orsù, dimentichiamo!»

Si era alzato a sedere e i suoi sguardi tetri scrutavano attentamente il mare, il quale, a poco a poco, cominciava a diventare luminoso.

Delle pagliuzze d’oro scorrevano a miriadi sotto le onde, salendo dagli abissi immensi del grande golfo. Si diffondevano lentamente, tutto invadendo, poi si disperdevano per tornare a radunarsi.

Talvolta pareva che delle vere fiammate o dei getti di zolfo liquefatto o di bronzo fuso si amalgamassero alle onde, facendo scintillare la spuma. Delle meduse rotolavano fra i cavalloni, splendide come globi di luce elettrica.

Il Corsaro Nero guardava sempre. Il suo viso, diventato pallidissimo, esprimeva in quel momento un’angoscia profonda e ne’ suoi sguardi si leggeva un terrore ignoto.

Morgan e Yara, ritti dietro a lui, non parlavano. I marinai, dispersi per la tolda, parevano pure invasi da un superstizioso terrore e guardavano, anch’essi muti, le onde che diventavano sempre più luminose.

Carmaux s’era avvicinato lentamente a Wan Stiller, urtandolo col gomito.

«Tutte le notti che vi sono dei morti a bordo, la fosforescenza compare. Lo hai notato camerata?»

«Sì,» rispose l’amburghese con un tremito nella voce. «Queste notti mi ricordano sempre il Corsaro Rosso ed il Verde.»

«O quella in cui il capitano abbandonò sul mare, in pieno uragano, Honorata di Wan Guld.»

«Sì, Carmaux.»

«Guarda il Corsaro!… Lo vedi come osserva il mare?»

«Lo vedo.»

«Si direbbe che aspetta la comparsa dei suoi fratelli. Tu sai che quando il mare scintilla così, lasciano le profondità del golfo per risalire a galla.»

«Taci, Carmaux!… Tu mi fai paura!…»

«Hai udito?…»

«Che cosa, Carmaux?»

«Si direbbe che fra l’alberatura della Folgore folleggiano le anime dei due corsari. Odi?… Pare che lassù qualcuno si lamenti.»

«È il vento che scherza fra i cordami della Folgore.»

«E questi sospiri?…»

«È l’onda che si rompe sui fianchi della nave.»

«Tu lo credi, amburghese?»

«Sì.»

«Ed io niente affatto. Vedrai, presto noi vedremo emergere dai flutti i due cadaveri del Corsaro Rosso e del Verde.»

Il signor di Ventimiglia intanto continuava a scrutare il mare con ansietà crescente. Di tratto in tratto un profondo sospiro si sprigionava dal suo petto. Pareva che i suoi occhi cercassero discernere qualche cosa che si celava dietro la fosca linea dell’orizzonte.

«Cavaliere,» disse Morgan. «Cosa cercate?»

«Io non lo so,» rispose il Corsaro con voce cupa. «Qualche cosa però sta per apparire.»

«I vostri fratelli?»

Invece di rispondere il Corsaro chiese:

«Sono rinchiusi nelle loro amache gli uomini uccisi dalla bordata della fregata?»

«Sì, cavaliere. I nostri marinai non attendono che il vostro comando per gettarli in mare.»

«Aspettate ancora.»

Si spinse innanzi aggrappandosi alla balaustrata del ponte di comando e parve che ascoltasse con profondo raccoglimento.

Sulla nave regnava allora un silenzio assoluto, rotto solamente dai gorgoglii dell’acqua e dai gemiti del vento soffiante fra i mille cordami dell’attrezzatura.

I marinai, vinti da un superstizioso terrore, parevano pietrificati. Più nessuno aveva osato parlare dopo Carmaux e Wan Stiller.

D’improvviso un grido attraversò lo spazio. Pareva che venisse dalle profondità del mare.

Era stato mandato da qualche cetaceo nuotante a fior d’acqua o da qualche essere misterioso? Nessuno avrebbe saputo dirlo.

«Avete udito?…» chiese il Corsaro, volgendosi verso Morgan.

Il luogotenente non aveva risposto, però si era slanciato innanzi come se avesse cercato di distinguere, fra quelle onde luminose, l’essere che aveva mandato quel grido.

«È il Corsaro Rosso che rimonta a galla,» riprese il cavaliere. «Sì, egli aspetta ancora la vendetta!»

Ad un tratto, lontano lontano, presso l’oscura linea dell’orizzonte, si vide apparire come una massa nera la quale solcava rapidamente i flutti. Cos’era? Poteva essere una barca come poteva pure essere qualche focena, qualche grosso lamantino o qualche balenottera. Comunque fosse il Corsaro Nero, malgrado le sue ferite, era balzato in piedi senza l’aiuto di nessuno, aggrappandosi fortemente alla balaustrata del ponte di comando.

«Ella passa laggiù!…» aveva gridato. «È la sua anima che erra ancora sul mare od è ancora viva?… Honorata!… Perdono!…»

«Cavaliere!» aveva esclamato Morgan. «Siete in preda ad una allucinazione!…

«No, io la vedo!…» gridò il Corsaro Nero in esaltazione. «Guardatela tutti, uomini di mare!… Ella ci guarda e ci tende le braccia!… Là, là!… Il vento solleva i suoi capelli!… Le onde montano attorno alla sua scialuppa!… Ella mi chiama!… Non udite la sua voce?… Presto una lancia in mare prima che ella scompaia ancora!…»

Poi esausto di forze si lasciò cadere fra le braccia di Morgan, mentre i marinai mormoravano, con voce tremante:

«La visione!…»

«Mio signore!» aveva gridato Yara, curvandosi verso il cavaliere che non dava quasi più segno di vita.»

«È svenuto,» disse Morgan. «Ha voluto abusare troppo delle sue forze. Non sarà nulla.»

«Ma quell’apparizione?» chiese Yara.

«Follie,» disse Morgan a voce bassa. «Portiamolo nella cabina.»

Ad un suo cenno Carmaux e Moko salirono sul ponte di comando, presero delicatamente il Corsaro, sempre svenuto, e lo trasportarono nel quadro. Yara ed il medico di bordo li avevano seguiti.

«In acqua i cadaveri!» gridò poi Morgan.

Le salme dei quattro marinai uccisi dalla bordata furono issati sulla murata di babordo, poi lasciati cadere negli abissi del grande golfo. Morgan si era curvato sul ponte di comando. Vide le quattro amache piombare in acqua sollevando un gran sprazzo scintillante, poi scomparire, con delle leggere ondulazioni sotto le onde luminose.

«Dormite in pace, nel gran cimitero umido, a fianco del Corsaro Rosso e del Verde, e dite loro che noi presto li vendicheremo entrambi,» disse. «Ed ora, andiamo a Vera-Cruz e che Dio ci guidi!…

CAPITOLO IX. L’ODIO DI YARA

Quando l’alba sorse ed ebbe la certezza che nessuna nave spagnuola incrociava al largo delle coste del Nicaragua, Morgan lasciò il ponte di comando per scendere nella cabina del capitano.

Non dubitava che il Corsaro non sarebbe rimasto a lungo in quello stato, sapendo per prova l’eccezionale fortezza d’animo di quell’uomo, nondimeno aveva provato dapprima dei seri timori per le ferite che aveva ricevute. Quando entrò nella graziosa cabina, il Corsaro riposava tranquillo, sotto la guardia della giovane indiana e di Carmaux. La respirazione del ferito era calma e regolare, però di quando in quando un trasalimento nervoso scuoteva quel corpo e dalle labbra socchiuse, sfuggiva ad intervalli, un nome:

«Honorata!…»

«Sogna,» disse Carmaux, volgendosi verso Morgan che s’era appressato al letto senza far rumore.

«Sì, crede di veder passare ancora la scialuppa,» disse il luogotenente. «Certamente questa notte delirava.»

«Non avete creduto all’apparizione, signor luogotenente?» chiese Carmaux.

«E tu?» domandò Morgan, con una punta d’ironia.

«A me parve pure d’aver veduta una scialuppa vagare fra i flutti fiammeggianti.»

«Follie, illusioni prodotte da un terrore superstizioso.»

«Eppure signore, io giurerei d’aver veduta perfino una forma umana entro quella scialuppa,» disse Carmaux, con incrollabile convinzione.

«Tu ed i tuoi camerati avete scambiato qualche cetaceo per una scialuppa.»

«Ed il capitano?»

«Tu sai che dopo quella notte terribile crede di veder sovente la fanciulla fiamminga errare sulle acque del gran golfo. Suvvia, lasciamo i morti ed occupiamoci dei vivi.»

«Anche voi credete che sia morta, signore?»

«Chi ne ha più udito parlare in questi quattro anni?»

«Eppure pare che la fanciulla non sia morta, perchè io ho udito narrare delle cose strane.»

Si curvò poi sul letto e aprì la camicia trinata, di finissima battista, che il Corsaro indossava. Sotto vide due fasciature ancora macchiate di sangue vivissimo.

«Si sono riaperte le ferite?» chiese.

«Sì, luogotenente,» rispose Carmaux.

«Bisogna che siano completamente rimarginate prima del nostro arrivo a Vera-Cruz.»

«Fra dieci giorni il capitano sarà in piedi, così ha detto il medico.»

«Sarei lietissimo se Wan Horn, Laurent e Grammont lo rivedessero guarito prima dell’incontro.»

«Dove andremo ad attendere la squadra della Tortue, se è lecito saperlo?» chiese Carmaux.

«Nella Baia dell’Assunzione,» rispose Morgan.

In quel momento il Corsaro aprì gli occhi, chiedendo con voce un po’ fioca:

«Chi parla della Baia dell’Assunzione?»

«Sono io, cavaliere,» rispose Morgan.

«Ah! Voi?»

Si alzò lentamente, respingendo Carmaux che voleva aiutarlo e girò all’intorno uno sguardo quasi stupito.

Un raggio di sole, ripercosso dall’acqua, entrava pel largo finestrone aperto a poppa, rifrangendosi nei grandi specchi di Venezia che adornavano le pareti e sulla lampada d’argento dorato.

Il Corsaro lo seguì collo sguardo per alcuni istanti, mormorando:

«Era tempo che le tenebre se ne fuggissero.»

Aspirò a pieni polmoni l’aria marina, satura di salsedine che entrava per le finestre aperte, poi volgendosi verso Morgan gli chiese:

«Dove siamo?»

«Fra poche ore saremo di fronte a San Juan, signore.»

«Montiamo verso le coste del Nicaragua?»

«Come state ora?»

«Bah! Fra qualche settimana guiderò la mia nave.»

«Sicchè troveremo il duca a Vera-Cruz?»

«Sì,» rispose il Corsaro Nero, mentre un lampo terribile gli balenava negli occhi.

«Ne avete la certezza?»

«Me lo ha confessato don Pablo de Ribeira.»

«Questa volta non ci sfuggirà.»

«Oh! No, vivaddio!» esclamò il Corsaro con accento feroce. «Noi prenderemo le nostre precauzioni onde non ripeta il brutto tiro giocatoci a Gibraltar. D’altronde non abbiamo l’intenzione di assaltare Vera-Cruz, bensì di entrarvi per sorpresa. Ci siamo già intesi su ciò con Wan Horn, Laurent e Grammont.»

«Faremo dei guadagni enormi, cavaliere. Vera-Cruz deve contenere ricchezze straordinarie, essendo il porto più importante del Messico.»

«Di là che partono i più numerosi galeoni carichi d’oro e di argento,» disse il Corsaro. «A me però basterà la vendetta e lascerò a voi ed al mio equipaggio la parte che mi spetterà nel saccheggio.»

«Voi possedete in Italia abbastanza terre e castella per farne a meno,» disse Morgan sorridendo. «Voi ed i vostri fratelli non siete mai stati ladri di mare come l’Olonese, Michele il Basco, lo Sterminatore, e tutti gli altri capi della filibusteria.»

«Noi siamo venuti in America per uccidere il duca e non per sete di ricchezze.»

«Lo so, cavaliere. Avete da darmi nessun ordine?»

«Tenetevi al largo dalle coste di Nicaragua e, appena avvistato il capo Gracias de Dios, tagliate diritto verso la Baia dell’Assunzione, evitando possibilmente il Golfo d’Honduras. Preferisco che nessuna nave spagnuola ci veda.»

«Sta bene, signore,» rispose Morgan, lasciando la cabina e risalendo in coperta.

Partito il luogotenente, il Corsaro Nero era rimasto per alcuni istanti silenzioso, come se fosse immerso in profondi pensieri. Ad un tratto però si scosse ed i suoi sguardi si fissarono sulla giovane indiana, la quale durante quel colloquio, era rimasta accoccolata su un tappeto, a breve distanza dal letto, senza mai staccare gli occhi dal Corsaro e senza aver pronunciata una sola parola. Da quando però aveva udito parlare del duca, il suo viso così bello e ordinariamente così dolce aveva assunto un aspetto così selvaggio, così feroce da far paura. I suoi grandi occhi limpidi erano diventati tetri e vi si vedeva balenare dentro una cupa fiamma, mentre la sua fronte si era burrascosamente increspata.

Il Corsaro Nero, avvedutosi finalmente di quel brusco cambiamento, aveva guardato Yara con un misto di sorpresa e d’inquietudine.

«Cos’hai, fanciulla?» le chiese quando fu uscito anche Carmaux. «Il tuo bel viso in questo momento ha una terribile espressione.

«A cosa pensi?»

«A mio padre ed ai miei fratelli.»

Il Corsaro Nero si battè la fronte colla palma della destra.

«Ah!… Sì… mi ricordo,» disse. «Tu un giorno mi hai detto: Mi vendicherai, mio signore?».

«E voi mi avete risposto: Ti vendicherò».

«Te lo promisi infatti.»

«Io speravo di potervi incontrare in qualche angolo del Golfo del Messico, cavaliere, e non sono vissuta che per questa speranza.

Il Corsaro Nero la guardò con stupore.

«Tu mi attendevi?» le chiese.

«Sì, mio signore»

«Mi avevi veduto in qualche luogo prima che io sbarcassi a Puerto Limon?»

«No, avevo solamente udito parlare di voi molte volte a Maracaibo, a Vera-Cruz ed a Puerto Limon e non ignoravo lo scopo delle vostre scorrerie attraverso il Golfo del Messico.»

«Tu!…»

«Sì, mio signore. Io sapevo che non era la sete dell’oro che vi aveva fatto venire in America dai lontani paesi ove sorge il sole, bensì la vendetta.»

«Da chi lo avevi saputo?»

«Dal mio padrone.»

«Da don Pablo de Ribeira?»

«No, dal suo signore.»

«Dal duca di Wan Guld!» esclamò il Corsaro, al colmo dello stupore.

«Sì, cavaliere,» rispose la giovane indiana, mentre le sue dita si stringevano attorno alla sua sottanina come se avesse voluto lacerarla.

«Tu dunque sai?»

«Che il duca ha assassinato nelle Fiandre vostro fratello maggiore e che poi ha appiccato i due vostri fratelli minori, il Corsaro Rosso ed il Verde. So pure che voi, senza saperlo, vi eravate innamorato della figlia dell’uccisore dei vostri fratelli.»

«Taci, Yara, – mormorò il Corsaro, mentre si portava ambe le mani al petto come se avesse voluto calmare i palpiti precipitati del cuore.

«E so ancora,» proseguì Yara, «che dopo l’espugnazione di Gibraltar, da voi eseguita per vendicare i vostri fratelli, quando tornaste a bordo della vostra nave ed apprendeste, da un prigioniero spagnuolo, che la donna da voi amata non era una principessa fiamminga, bensì la figlia dell’uccisore dei vostri fratelli, invece di cacciarle nel cuore la vostra spada, come ne avevate il diritto, l’abbandonaste sul mare tempestoso, in una scialuppa, raccomandandola alla misericordia di Dio.»

«Tu sai dunque tutto?»

«Tutto, cavaliere.»

«È viva Honorata? Dimmelo Yara, è ancora viva?» gridò il Corsaro.

«Ah! Voi l’amate ancora!…» esclamò la giovane indiana, con un singhiozzo.

«Sì,» disse il Corsaro. «Il primo amore non muore mai e Honorata Wan Guld è stata la prima donna che io ho amata sulla terra.»

Yara si era lasciata cadere su di una sedia tenendo il volto nascosto fra le mani. Attraverso le dita si vedevano scorrere delle lagrime, ed il seno le si sollevava sotto i singhiozzi.

«Anch’io t’amavo prima ancora di vederti, mio signore» la si udì a mormorare con voce rotta.

Pareva che il Corsaro non avesse nemmeno udita quella confessione inaspettata. I suoi sguardi si erano fissati sul mare che si scorgeva attraverso l’ampia finestra aperta sulla poppa. Si sarebbe detto che egli cercava ancora di discernere, sull’azzurra linea dell’orizzonte, la scialuppa che credeva aver veduta durante la notte.

Ad un tratto udì i singhiozzi della giovane indiana.

«Tu piangi,» disse. «Pensi ancora a tuo padre ed ai tuoi fratelli, è vero? Forse tu sospiri le grandi selve del tuo paese.»

Yara si terse con gesto nervoso le lagrime che le solcavano le gote, poi disse come parlando fra sè:

«Che importa?… La vendetta ci unisce.»

«Anche tu sogni delle vendette,» disse il Corsaro. «Quanti odii si sono accumulati sulle teste di questi conquistatori dell’America!…»

«La mia è pari alla vostra, cavaliere.»

«Così spietata?»

«Sì, mio signore.»

«Chi ti hanno ucciso?»

«Mio padre ed i miei fratelli.»

«E sono stati gli spagnuoli?»

«No, l’uomo che ha pure distrutto i vostri fratelli.»

Il Corsaro Nero aveva alzato vivamente la testa, guardando la giovane indiana con incredulità.

«L’istesso uomo!» esclamò poi.

«Sì, mio signore.»

«Il duca?»

«Lui, cavaliere.»

«Morte dell’inferno!… Che quell’uomo sia stato fatale a tutti?…»

«È un essere mostruoso, mio signore.

«Ma io l’ucciderò!» gridò il Corsaro. «Oggi egli è possente, ha uomini e navi a sua disposizione, gode la protezione della Corte di Spagna, eppure un giorno quell’uomo cadrà sotto la punta della mia spada.»

«Me lo giuri?»

«Eravamo tre fratelli, ricchi e potenti nel nostro paese, eppure abbiamo dato un addio alle nostre terre, alle nostre castella, ai nostri vassalli, alla nostra patria per venire in questi mari ed in questi paesi a noi sconosciuti a raggiungere quell’uomo fatale. Ed ora parla. Cosa ha fatto a te quell’uomo?

Yara accostò la sedia al letto del Corsaro e, appoggiando i gomiti sulle coltri, disse con voce grave:

«I nostri padri non avevano ancora conosciuti gli uomini bianchi giunti dai lontani paesi d’oltremare, a bordo delle loro case galleggianti. Il vento del nord aveva solamente portato, fino alle selve del Darien, l’eco lontana di stragi tremende, commesse dagli uomini bianchi nel paese degli Aztechi, ma nessuno dei miei antenati aveva mirato in viso quegli esseri straordinari.»

«Sì, le stragi commesse da Cortez,» mormorò il Corsaro, come parlando fra sè.

«Un impero possente, governato da un uomo che si chiamava Montezuma, era stato distrutto da un pugno di quegli uomini crudeli, e degl’indiani, venuti dai paesi del settentrione, avevano recato ai miei antenati la stupefacente novella. Nessuno aveva prestato fede alle parole di quei lontani compatriotti, poichè nessuna di quelle grandi case galleggianti era mai comparsa sulle sponde del Darien. L’incredulità dei nostri padri doveva essere fatale ad un intero popolo.

La mia tribù era numerosa come le foglie degli alberi d’una intera foresta e viveva felice in mezzo ai grandi boschi che costeggiano l’ampio Golfo del Darien.

La pesca, la caccia e le frutta delle selve bastavano a tutti e la guerra era quasi sconosciuta, perchè l’uomo bianco non era ancora comparso. Mio padre era il cacico della tribù ed era amato e stimato ed i miei quattro fratelli non lo erano meno. Un triste giorno quella felicità che durava da secoli fu bruscamente spezzata e per sempre. Era comparso l’uomo bianco.»

«E quell’uomo si chiamava?»

«Era il duca Wan Guld,» disse Yara. «Una di quelle grandi case galleggianti, spinta da una tremenda bufera, s’era spezzata sulle nostre spiagge. Tutti coloro che la montavano erano stati ingoiati dalle onde del mare tempestoso, uno solo eccettuato. Quel superstite era stato accolto da mio padre come se fosse un fratello, quantunque la sua pelle fosse bianca e l’eco delle stragi commesse dagli spagnuoli nei paesi degli Aztechi non si fosse ancora spenta. Ah! sarebbe stato meglio che l’avesse ricacciato fra le onde o che gli avesse spezzato il cranio con un tremendo colpo di scure. Egli aveva raccolto un rettile immondo che doveva più tardi mordergli il cuore.»

Yara si era nuovamente interrotta. Delle lagrime brucianti le scendevano sulle gote, mentre dei sordi singhiozzi le laceravano il petto.

Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
30 ağustos 2016
Hacim:
360 s. 1 illüstrasyon
Telif hakkı:
Public Domain
Metin
Ortalama puan 0, 0 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 0, 0 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 0, 0 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 0, 0 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 0, 0 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 0, 0 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 0, 0 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 0, 0 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 0, 0 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 0, 0 oylamaya göre