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Kitabı oku: «Le stragi delle Filipine», sayfa 16

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Capitolo XXVI. LA CACCIA AL «PADEWAKAN»

Il «Padewakan», sfuggito miracolosamente alla crociera della flottiglia spagnuola, aveva messa arditamente la prora al nord-est, per passare attraverso alla seconda che vigilava dinanzi a Malabon.

Hang-Kai, sapendo che il secondo pericolo era ben piú grave del primo e piú difficile da evitarsi, trattandosi di sfidarlo invece di sfuggirlo, aveva dato gli ordini necessari onde il veliero si trovasse in grado di difendersi nel caso che fosse assalito.

Da uomo esperto, aveva fatto gettare dinanzi alle due spingarde ammassi di cordami, botti ripiene di ferraccio che servivano di zavorra e tutti i pennoni di ricambio, formando una specie di barricata per la difesa degli artiglieri, poi aveva fatti portare in coperta e caricare un centinaio di fucili, per fulminare colla maggior velocità possibile gli assalitori.

Aveva inoltre fatto aprire una cassa di bombe da gettarsi a mano, che era destinata ai difensori di Cavite, facendone portare alcune in coperta.

Egli sperava con tali proiettili di tener lontane le torpediniere, delle quali aveva molta paura, dopo d’aver corso il pericolo, di saltare in aria colla sua piccola nave.

– Ora sono tranquillo, – disse Hang-Tu. – Se qualche cannoniera troppo curiosa vorrà fermarci, spero di poterle respingere e di darle la risposta che si merita.

– Ma resisterà, il tuo padewakan, alle palle di quei grossi cannoni? – domandò il chinese. – Io ne dubito.

– Mi basteranno pochi minuti per condurvi a terra, – rispose il marinaio. – Che dopo mandino a picco il mio veliero, non m’importa, poiché io non tornerò piú al villaggio che abbiamo lasciato.

– Rimarrai a Malabon?…

– A Cavite non potrei piú andare ed io non son uomo da rimanere inoperoso, mentre tutti gl’insorti si battono.

– È vero, – disse Hang-Tu.

– Ah!…

– Che cos’hai?…

– Scorgo di già i fanali delle navi ancorate alla foce del Passig. Se questo vento non scema, fra mezz’ora passeremo dinanzi a Manilla.

Romero, che gli stava presso, appoggiata alla murata, udendo quelle parole aveva trasalito; poi si era raddrizzato fissando ardentemente gli occhi verso quei lumicini che indicavano la vicinanza della capitale, mentre un lungo sospiro gli sfuggiva dalle labbra.

Than-Kiú che si trovava a due passi da lui, seduta su di un gruppo di cordami e che non lo aveva perduto d’occhio un solo istante, si era accorta della mossa del meticcio.

Si alzò bruscamente, seguendo lo sguardo di Romero, poi gli si avvicinò senza far rumore.

Il meticcio continuava a guardare verso la foce del Passig, come se fosse attratto da una curiosità irresistibile. Si sarebbe detto che egli sperava di veder comparire da quella parte la donna amata e che non aveva riveduto dopo la sua partenza pei campi dell’insurrezione.

Than-Kiú gli si era avvicinata tanto da toccarlo, ma pareva che Romero non si fosse accorto.

– È laggiú che brilla la stella della donna bianca, – gli disse improvvisamente la giovane chinese. – La vedi, mio signore?… È sempre splendida.

Romero non si era mosso, né aveva risposto. Forse nulla aveva udito.

– Mi hai compreso, mio signore? —rispose Than-Kiú, dopo alcuni istanti di silenzio. – Guarda come luccica sopra Manilla, mentre la mia stella sta per tramontare in mare.

Romero guardò la giovanetta. Una viva commozione gli si scorgeva sui maschi ed energici lineamenti. La vicinanza di Manilla doveva aver scatenata la passione, che invano aveva cercato fino allora di soffocare.

– Tu soffri, – disse Than-Kiú, alla quale nulla era sfuggito. – Sia maledetta la donna bianca che tormenta il cuore del mio signore!

– Non parlare di lei, mia fanciulla, – disse Romero, con voce soffocata.

– Ma tu soffri.

– Che importa?

– Ed è sempre la donna bianca che ti fa diventare triste.

– Sí, – mormorò Romero, con un soffio di voce.

– E tu non dimenticherai mai quella donna che ti strazia il cuore?… Io, al tuo posto, l’avrei odiata.

– Non si odia chi si ama, Than-Kiú.

– Ah!… È vero, – disse la giovane, con tristezza. – Tu l’ami sempre!

In quell’istante, una voce partita da prora, echeggiò.

– Bada al largo!… Ci si dà la caccia!…

Hang-Tu ed Hang-Kai avevano abbandonata precipitosamente la murata e si erano lanciati verso poppa, in preda ad una certa inquietudine.

Un malese che si era inerpicato sul pennone di trinchetto, aveva lanciato quel grido d’allarme.

– Che cosa vedi! – chiese Hang-Kai.

– Una cannoniera che ci segue, – rispose il malese. – Ha spento or ora i suoi fanali, ma vedo le scorie che escono dalla ciminiera.

– Marcia su noi?…

– Sí.

– A quale distanza? – chiese Hang-Tu.

– A meno d’un miglio.

Hang-Kai ed il chinese si erano lestamente arrampicati sulle griselle, raggiungendo il pennone, nulla avendo potuto scorgere dalla tolda in causa della poca elevazione del veliero.

Il malese indicò loro una massa nera che si dirigeva verso il padewakan, e sopra la quale s’alzavano delle scorie che scintillavano distintamente fra la profonda oscurità.

– Sí, – disse Hang-Kai, – quella cannoniera si prepara a darci la caccia, ma spero di giungere a Malabon prima di essa.

– Abbordiamola, – disse il chinese. – Le armi non ci mancano.

– E ci manderanno a picco, – rispose il marinaio. – Se noi ci trovassimo sotto la costa oserei impegnare la lotta, ma qui in pieno mare, sarebbe una pazzia. Con due o tre colpi di cannone possono sfasciare il mio legno.

– Che cosa conti di fare adunque?…

– Di continuare la mia rotta spiegando piú tela che potremo.

– Sia, – disse Hang-Tu.

Si erano affrettati a scendere e dopo d’aver informato Romero del pericolo, avevano fatto spiegare due altre vele sopra i pennoni di maestra e di trinchetto per accrescere la velocità del piccolo legno.

La cannoniera segnalata, che si avanzava coi fanali spenti, per sorprenderlo e catturarlo, si era lanciata dietro al fuggiasco forzando la macchina, ma pareva che fosse una mediocre camminatrice, poiché non guadagnava molto.

Nondimeno Hang-Kai, Hang-Tu e Romero avevano prese tutte le disposizioni per difendersi estremamente. Tutti gli uomini erano stati chiamati in coperta e disposti dietro alle murate mentre i migliori artiglieri avevano caricate frettolosamente le due spingarde.

A mille metri, la cannoniera, il cui equipaggio doveva ormai essersi accorto che aveva da fare con un veliero montato da insorti, sparò una cannonata a polvere per intimare ai fuggiaschi di mettersi in panna e lasciarsi visitare, ma Hang-Kai si guardò bene dall’obbedire.

Non ricevendo alcuna risposta e vedendo che il piccolo veliero non si arrestava, sparò una seconda cannonata; e questa volta i fuggiaschi udirono in aria il sibilio acuto della palla.

– Fra poco comincerà a grandinare, – disse Hang-Kai, la cui fronte si oscurava.

– Abbordiamolo, – consigliò Hang-Tu. – Siamo in trenta ed io rispondo dei miei uomini.

– Credo che sia il partito migliore, – disse Romero, che aveva già armato il suo fucile. – Ordinariamente le cannoniere sono montate da equipaggi poco numerosi.

– Ma a me preme di non esporre la vita dei due migliori capi dell’insurrezione, in un combattimento che non sarà d’alcuna utilità per la nostra causa, – rispose Hang-Kai, con voce grave. – Finché ho la speranza di poter sfuggire all’attacco di quella cannoniera, non mi arresterò.

– Ma possono colarci a fondo.

– Non ancora, Hang-Tu. La notte è oscura e tu sai che le palle non hanno occhi e che gli artiglieri non hanno la vista dei gatti. To’!… Guarda!…

Una terza cannonata era echeggiata, ma anche questa volta la palla era passata sopra il padewakan, senza causare alcuna avaria. Stante l’oscurità e la poca elevazione del veliero, gli spagnuoli erano costretti a far fuoco a casaccio ed avevano ben poche probabilità di affondare i fuggiaschi prima dell’alba, se non riuscivano a diminuire la distanza.

Il padewakan non rispondeva, non essendo le sue spingarde di tale portata da misurarsi col grosso pezzo della cannoniera e poi aveva tutto l’interesse di non indicare la sua rotta esatta. Continuava a fuggire per poter giungere a Malabon prima dello spuntare del sole.

Le cannonate intanto continuavano e le palle cominciavano a cadere ben vicine. Già due volte avevano fatto spruzzare l’acqua a pochi metri dalla poppa ed una anche traversate le due gigantesche vele, smussando l’estremità inferiore del pennone di trinchetto.

Hang-Kai ed i suoi compagni non si preoccupavano delle palle, ma invece molto delle detonazioni, le quali potevano attirare l’attenzione di qualche altra nave spagnuola che facilmente doveva trovarsi in quelle acque.

Alle due del mattino la posizione non era di molto variata. Due altre palle avevano colpito il piccolo veliero, una sopra coperta fracassando parte della murata di babordo ed uccidendo due malesi, e un’altra aveva attraversato il ponte, troncando alcuni cavi delle manovre, ma la carena era rimasta intatta e ciò bastava.

La cannoniera però aveva guadagnato due o trecento passi ed alcune palle di fucile erano già giunte sul veliero, forando le vele in piú luoghi.

Hang-Tu insisteva sempre per darle battaglia, ma Hang-Kai resisteva ostinatamente. Il marinaio sapeva ormai che Malabon non era lontana e sperava ancora di giungervi prima che la nave venisse gravemente danneggiata.

Alle due e mezzo un malese che era stato mandato sul pennone di trinchetto, segnalava alcuni punti luminosi che brillavano verso il nord-est.

– Malabon!… – esclamò Hang-Kai, mandando un grido di gioia. – Fra venti minuti noi staremo a terra.

Gli spagnuoli, come se avessero compreso che la preda stava per sfuggire a loro, raddoppiavano le cannonate e con qualche successo, quantunque il cielo non accennasse ancora a rischiararsi.

Le palle cadevano attorno al veliero e qualcuna attraversò il ponte fracassando qualche malese. Hang-Tu, temendo per la giovane chinese, l’aveva costretta a ripararsi nella piccola camera di prora.

Hang-Kai, messosi alla barra, guidava il veliero di sua mano, avendo piena conoscenza della costa verso la quale muoveva.

I lumi di Malabon erano ormai diventati perfettamente visibili. Ancora un quarto d’ora e tutti erano salvi.

Ad un tratto però, furono veduti alcuni fanali rossi, bianchi e verdi che pareva si muovessero dinanzi alla costa. Hang-Kai era impallidito.

– Fulmini!… – urlò. – La costa è bloccata!…

A cinque o seicento metri si vedevano masse nere solcare il mare e pareva si dirigessero verso la cannoniera, la quale continuava a far fuoco.

Hang-Tu e Romero si erano lanciati verso prora.

– Abbiamo delle navi dinanzi a noi!… – esclamò il chinese.

– Forziamo il blocco, – rispose Romero. – Forse non siamo ancora stati scoperti. Hang-Kai, fila diritto e manda il padewakan addosso la costa: noi saremo pronti a far fuoco.

La flottiglia spagnuola pareva che non si fosse ancora accorta dell’avvicinarsi del piccolo veliero, poiché invece di muovergli incontro per tagliargli la via, si dirigeva verso la cannoniera. Con un po’ d’audacia, gl’insorti potevano passare.

– Che nessuno mandi un grido, – disse Romero, – e che nessuno faccia fuoco prima del mio comando.

Hang-Kai, vedendo che le cannoniere accennavano a prendere il largo per tema di arenarsi sui numerosi banchi che si estendono dinanzi alla costa, avevano diretto il padewakan verso il canale di Malabon entro il quale sperava di rifugiarsi prima che la flottiglia si fosse accorta dell’inganno.

Già si era impegnato in mezzo ai banchi, manovrando fra di essi con meravigliosa sicurezza, quando si udí a gridare:

– Fuoco di bordata!…

Cinque colpi di cannone rintronarono, formando quasi una sola detonazione. Un uragano di mitraglia spazzò il ponte del veliero rasandolo come un pontone, mentre un obice fracassava parte della poppa.

I malesi ed i meticci della piccola banda, sbarazzatisi delle vele che erano cadute in coperta assieme agli alberi, ai pennoni ed alle manovre, scaricarono le spingarde ed i fucili, facendo però piú fracasso che danno.

Il padewakan affondava rapidamente, ma ormai era nel canale, entro cui le cannoniere non potevano seguirlo, specialmente con quell’oscurità.

– In acqua il canotto!… – gridò Hang-Kai.

Una piccola barca che stava in coperta fu subito calata. Hang-Tu, Romero e Than-Kiú e quattro uomini che erano stati feriti da quella pioggia di mitraglia vi balzarono dentro, arrancando verso terra, mentre tutti gli altri si gettavano a nuoto.

Una cannoniera che si era spinta fino all’entrata del canale, vedendo il piccolo veliero galleggiare ancora, le tirò contro un’ultima palla, una granata, la quale scoppiando diede fuoco alla cassa delle munizioni.

Il povero padewakan, già sdrucito e mezzo affondato, volò in pezzi con un lungo rimbombo, lanciando i suoi rottami fino sui banchi piú vicini, poi il suo scafo mutilato, scomparve sotto le acque.

– Ancora un istante di ritardo e saltavamo in aria anche noi, – disse Hang-Tu, che arrancava con lena disperata.

La costa non era che a pochi passi ed alcuni insorti, attirati da quegli spari e dallo scoppio erano accorsi sulla spiaggia, credendo che gli spagnuoli fossero sbarcati.

– Chi vive!… – gridarono, puntando le armi verso il canotto.

– Hang-Tu capo delle società segrete e Romero Ruiz capo supremo delle bande della provincia di Cavite, – rispose il chinese con voce tonante.

Le armi furono abbassate e tutti si slanciarono giú dalla spiaggia.

– I capi dell’insurrezione siano i benvenuti, disse il comandante del drappello, aiutandoli a sbarcare. – I difensori di Malabon saranno orgogliosi di riceverli.

Capitolo XXVII. IL BOMBARDAMENTO DI MALABON

Malabon, al pari di Salitran, di S. Nicola, di Noveleta, di Rosario, di Binacayan e di altre ancora, non era che una semplice borgata di ben poca importanza come popolazione: ma la sua vicinanza a Manilla e la sua posizione le avevano dato un grande valore per gl’insorti, i quali fino dal principio della sommossa l’avevano fortemente occupata e trincerata. Essendo essa situata su di un canale interno, comunicante contemporaneamente colla capitale e con Bulacan, una cittadella importante tenuta dagli insorti, poteva quindi minacciare la prima e ricevere aiuti dalla seconda.

Fino allora, quantunque le bande che la occupavano costituissero un vero pericolo per Manilla che si trovava a cosí breve distanza, le truppe spagnuole non avevano osato attaccarla essendo essa costruita all’estremità d’un’isola che la metteva al sicuro d’una sorpresa, ma aveva già subíto non pochi bombardamenti da parte del cannoniere, le quali erano riuscite ad isolarla, facendo occupare le rive del canale interno da una parte degli equipaggi.

Si sapeva però che alcune colonne spagnuole si erano accampate al di là del canale, aspettando il momento propizio per assalirla ed espugnarla con forze poderose, mentre altre cercavano di tagliarle le comunicazioni con Bulacan, sotto la direzione del generale Jaramillo, il quale si era già impadronito di uno dei principali campi degl’insorti uccidendo oltre trecento difensori e fugando tutti gli altri colla perdita d’armi e cavalli.

La notizia dello sbarco di Hang-Tu e di Romero era stata accolta con viva soddisfazione da tutte le bande di Malabon, le quali già cominciavano a dubitare della loro impresa, dopo gli ultimi disastri subiti dagl’insorti della provincia di Cavite e la vicinanza delle truppe spagnuole. La presenza dei due valorosi capi dell’insurrezione, faceva loro sperare giorni migliori ed una resistenza accanitissima. Hang ed il meticcio, dal canto loro, si erano subito messi alacremente all’opera, comprendendo che l’attacco delle truppe spagnuole, combinato coll’azione della squadra, non si sarebbe fatto molto attendere.

Mentre il primo si era incaricato di riorganizzare le bande, l’altro si era occupato delle opere di difesa per mettere la piazza in grado di resistere vittoriosamente al bombardamento della flotta.

Il tre soli giorni, la loro straordinaria attività aveva già dato insperati risultati, rendendo Malabon fortissima.

Mentre avevano fatto occupare i migliori punti del canale per mantenerlo libero, onde non avere interrotte le comunicazioni con Manilla e specialmente col comitato dell’insurrezione e colle società segrete dalle quali potevano sperare aiuti di uomini, d’armi e di munizioni, avevano fatto costruire dalla parte del mare imponenti trincee, armandole con tutti i pezzi d’artiglieria disponibili, per far fronte agli attacchi della flottiglia.

Quelle misure di difesa erano state prese in buon punto poiché il 28 marzo le cannoniere, dopo alcuni giorni di tregua, avevano ripreso vigorosamente il bombardamento, lanciando i loro obici contro le case della borgata.

Hang e Romero non si erano per questo mostrati inquieti, ma avevano accettata la tremenda lotta con grande serenità e calma, risoluti a farsi seppellire sotto le rovine della borgata piuttosto che arrendersi.

Da mattina a sera sulle trincee, là dove le bombe e le palle cadevano piú fitte, dirigevano intrepidamente il fuoco dei pochi pezzi che la piazza possedeva; e alla notte riparavano i danni prodotti dalle granate, rinforzando dovunque le difese.

Le case della borgata, sotto l’incessante fuoco della flottiglia cadevano in rovina, ma che importava? Le trincee resistevano e se venivano distrutte, si rialzavano piú robuste di prima e questo bastava.

Quel bombardamento d’altronde non impediva che gl’insorti continuassero a mantenere relazioni coi comitati segreti della capitale. Quasi ogni notte audaci corrieri inviati dalle società segrete, deludendo la vigilanza degli spagnuoli, che occupavano le sponde opposte del canale, giungevano, recando notizie della guerra.

Cosí avevano appreso che dovunque le piazze assediate resistevano, che Cavite e Noveleta si difendevano sempre disperatamente, che Bacoor si reggeva ancora, che Rosario aveva tenuto testa al nemico, e quelle notizie mantenevano alto il morale delle bande. Avevano però saputo che a Monte Haany gl’insorti erano stati battuti con gravi perdite e che piú di tremila famiglie e novecento combattenti avevano abbandonato la causa della libertà, ma la loro fiducia nel buon esito della lotta finale non era stata scossa.

Il 31 marzo però, una grave notizia era giunta al campo di Malabon e cioè che gli spagnuoli stavano preparando pel 2 aprile un attacco generale contro Cavite, Rosario e Malabon, per scoraggiare e avvilire le bande con una strepitosa vittoria.

Hang-Tu e Romero si eran ben guardati dal comunicare ai capi delle bande quelle nuove; ma avevano prese tutte le misure necessarie per resistere esattamente agli sforzi della flotta, la sola pel momento che poteva agire contro Malabon.

Già avevano osservato che altre cannoniere e barche a vapore armate d’artiglieria l’avevano raggiunta e che insieme si disponevano a forzare l’entrata del canale per potere, all’occorrenza, sbarcare gli equipaggi.

Il 1° aprile un comunicato del comitato segreto, portato da un messaggiero, aveva dato l’annuncio che Cavite e Rosario, strette dalla parte del mare e da terra, si trovavano agli estremi e che a Noveleta si combatteva disperatamente, con poca speranza di vincere.

L’indomani la flotta riprendeva con novella furia il bombardamento di Malabon. Le granate e le palle cadevano fitte sulla borgata, malgrado gli sforzi degli assediati per ridurre in silenzio i cannoni delle navi.

Le trincee franavano nei fossati costringendo i difensori a ritirarsi continuamente, abbandonando talvolta qualche pezzo d’artiglieria; le case diroccavano con immenso fracasso accumulando rottami su rottami; il campanile della chiesa cadeva pezzo a pezzo. Gli scoppi della bombe echeggiavano dappertutto, provocando frequenti incendi che venivano spenti con grandi fatiche e gravi pericoli.

Romero, Hang-Tu e perfino Than-Kiú, la quale, malgrado le preghiere dei due capi non aveva voluto ritirarsi in un boschetto vicino, dove già si erano rifugiate le bande di riserva, non abbandonavano un solo istante le trincee, incoraggiando colla presenza ed il loro sangue freddo i difensori.

A mezzodí, quando piú furioso diventava il bombardamento, anche sulla opposta sponda del canale, si udí a tuonare il cannone. Gli spagnuoli, dopo d’aver occupato Obando e Calocan fugando i pochi insorti che vi avevano trovati, si erano avanzati verso il canale per prendere parte alla lotta e prestare valido aiuto alle loro cannoniere. Piazzata una batteria fra i canneti, si preparavano a prendere alle spalle i difensori di Malabon.

Udendo gli spari rombare da quella parte, Romero si era affrettato a raggiungere Hang-Tu.

– Stiamo per venire schiacciati, – gli disse. – Non credevo che gli spagnuoli fossero cosí vicini.

– Lo vedo, – rispose Hang. – Per Malabon temo che sia presto finita.

– Finita no, poiché le nostre bande sono ancora intatte ed in grado di battersi vittoriosamente, ma domani la borgata sarà distrutta.

– Che cosa consigli di fare?…

– Pensare di ridurre al silenzio la batteria.

– Ma non abbiamo alcun cannone dalla parte del canale.

– Farai imboscare alcune bande nei canneti a aprirai un nutrito fuoco di moschetteria sugli spagnuoli. Se si accorgono che da quel lato siamo deboli, potrebbero decidersi ad attraversare il canale.

– E non si può piú contare su alcun soccorso, – disse Hang, che era diventato assai pensieroso.

– Siamo ormai isolati, – rispose Romero. – Alcuni insorti mi hanno detto che poco fa si udiva tuonare il cannone verso Bulacan. Forse il generale Jaramillo a quest’ora attacca la città.

– Cosí avremo tutte le vie tagliate.

– Forse, ma non disperiamo ancora, Hang. I nostri uomini si battono bene. Va’ ed affrettati.

Mentre il chinese andava a scegliere alcune bande per controbattere il fuoco delle schiere di terra, la flotta continuava il bombardamento, distruggendo la seconda linea di trincee, demolendo nuove case e danneggiando gravemente i pochi pezzi d’artiglieria degl’insorti.

Quella grandine di obici durò tutta la giornata con accanimento senza pari e non cessò che un’ora dopo il tramonto, quando ormai la metà dei cannoni degli insorti erano ridotti inservibili e mezza borgata era distrutta.

Nemmeno la batteria del canale era stata ridotta in silenzio, malgrado gli sforzi di Hang-Tu e dei suoi uomini.

Romero, temendo che i marinai della flotta approfittassero delle tenebre per scendere sulla spiaggia e tentare un attacco notturno, aveva fatto chiamare tutte le bande della riserva, disponendole fra i rottami delle trincee, poi aveva dato l’ordine di rialzare nuovi terrapieni, prevedendo per l’indomani un nuovo e piú disastroso bombardamento.

Prese tutte quelle misure, si era incamminato attraverso la borgata per consigliarsi con Hang-Tu, che credeva si trovasse ancora sulle rive del canale assieme a Than-Kiú, quando presso l’angolo d’una casa già in parte diroccata dagli obici della flotta, si vide tagliare la via da un uomo che pareva lo attendesse.

Credendo che fosse qualche spia spagnuola introdottasi nascostamente nella borgata, aveva estratta rapidamente una rivoltella, ma vide subito trattarsi d’un tagalo.

– Cosa vuoi? – gli chiese, vedendo che l’indigeno non si ritirava per lasciargli il passo.

Il tagalo girò all’intorno un rapido sguardo, come per essere certo che non vi fosse alcuno nei dintorni, poi disse:

– Vi attendevo, signor Ruiz.

– Sei forse un messaggero del comitato dell’insurrezione? – chiese Romero.

– No, ma vengo da Manilla. Sono sbarcato un’ora fa, sfuggendo alla sorveglianza degli spagnuoli.

– Da Manilla, – mormorò Romero, soffocando un sospiro. – E chi ti manda?…

– Una donna.

– Chi?…

Invece di rispondere, il tagalo sciolse un nodo della sua camicia e porse al meticcio stupito una piccola conchiglia, entro la quale stava celato un biglietto.

Romero, in preda ad una viva agitazione, si era ritirato sotto l’arco di una porta ed acceso uno zolfanello, aveva spiegato rapidamente il biglietto. Conteneva poche parole, scritte con una calligrafia elegante e che il meticcio ben conosceva, ma d’una gravità terribile:

«Noveleta, Rosario e Cavite sono cadute e tu sei accerchiato. L’insurrezione non ha piú bisogno di te ora. Fuggi prima che ti prendano e pensa sempre a chi ti vuol bene».

Romero aveva gettato un grido:

– Teresita!…

Poi al grido del cuore, aveva tenuto dietro un grido di dolore. – Vinta l’insurrezione! – aveva esclamato. – Cavite perduta!… Ecco che suona l’ultima ora per la libertà!… – Poi aveva tentato di lanciarsi attraverso la via per correre da Hang, ma il tagalo lo aveva arrestato, dicendogli:

– Parto questa notte istessa e domani rivedrò la persona che qui mi ha mandato. Che cosa devo dirle?…

Romero si era fermato.

– Ritorni da lei? – chiese, con voce angosciata. – Povera Teresita, pensa sempre a me, quantunque io mi batta contro i suoi fratelli e forse… non la rivedrò piú mai. Triste destino!…

– Ebbene? – chiese il tagalo. – I momenti sono preziosi e se tardo a ripartire, non potrei piú ritornare a Manilla.

– Le dirai che io penso sempre a lei e che Romero morrà col suo nome fra le labbra.

– Volete rimanere qui?…

– È necessario, – rispose Romero, sospirando. – Qui forse cadranno domani gli ultimi difensori della libertà e morrò anch’io con loro.

– Fuggite con me, signore. La mia barca fila come una freccia ed io vi condurrò a Manilla senza che gli spagnuoli se ne accorgano.

– Il capo dell’insurrezione non può abbandonare i suoi uomini, quando questi stanno per morire.

– Ma la mia padrona vi ama.

– Ed anch’io l’amo, ma Romero Ruiz non può diventare un vile.

– Allora addio, signor Ruiz.

– Una parola ancora.

– Parlate.

– Si sa adunque a Manilla che io difendo Malabon?

– Gli spagnuoli, o meglio il maggiore mio padrone, lo aveva saputo, ecco perché sono mandato qui.

– È a Manilla il maggiore?

– Sí, signor Ruiz.

– Addio. Dirai a Teresita che il mio cuore appartiene a lei e il mio corpo all’insurrezione.

Poi si allontanò rapidamente come se volesse nascondere la sua commozione e si recò sulle rive del canale, dove Hang-Tu stava facendo costruire alcune trincee pei suoi tiragliatori.

Il chinese, vedendo Romero, gli era mosso incontro.

– Buone nuove? – gli chiese.

– Tristi, – rispose Romero. – La bandiera della libertà è stata abbattuta e forse non ondeggerà piú mai sulle Filippine.

– Che cosa intendi di dire? – chiese Hang, impallidendo.

– Che il baluardo della libertà è stato preso…

– Cavite!…

– Ed anche Noveleta e Rosario.

– E noi adunque?…

– A noi non resta che morire.

– Sí, – disse Hang, con voce cupa. – Morire, ma sul sangue degli spagnuoli.

L’indomani, dopo due ore di bombardamento, malgrado la estrema difesa degl’insorti, Malabon veniva ridotta in cenere e le bande ricacciate nell’interno dell’isola, mentre il generale Jaramillo assaliva gl’insorti di Bulacan costringendoli a fuggire colla perdita di centocinquanta uomini.

Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
30 ağustos 2016
Hacim:
310 s. 1 illüstrasyon
Telif hakkı:
Public Domain
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