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Kitabı oku: «Le stragi delle Filipine», sayfa 5

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Avendo però appreso da alcuni abitanti del sobborgo che ogni uscita era sbarrata dalle truppe, dopo un breve consiglio si erano diretti verso Binondo, passando fra le strette viuzze del quartiere malese, colla speranza di trovare rifugio nella sede delle società segrete o nella casa di uno dei loro numerosi amici.

Avevano gettato via i fucili che potevano tradirli ed avevano nascoste le rivoltelle sotto le casacche, sperando d’ingannare la sorveglianza degli spagnuoli, fingendosi tranquilli borghesi che ritornavano da una cavalcata.

Le fucilate però che rombavano qua e là ancora, li inquietavano. Le truppe del colonnello Zimènes inseguivano senza misericordia gli ultimi superstiti dell’insurrezione e potevano arrestarli come sospetti d’aver preso parte al colpo di mano.

Ora nessuno di essi ignorava, che se venivano riconosciuti, sarebbero stati inesorabilmente condannati alla morte.

– Temo che sia troppo tardi per poter uscire da Binondo, – disse Hang, gettando uno sguardo d’angoscia su Than-Kiú.

Romero si era arrestato, porgendo attento orecchio agli spari che echeggiavano sempre piú vicini. Ad un tratto spronò il cavallo, dicendo:

– So dove trovare un rifugio.

– Da chi? – chiese Hang-Tu.

– Nella villa di Teresita. non distiamo che tre o quattrocento passi.

– Taci!…

– Perché, Hang? – chiese Romero, stupito.

– Than-Kiú non ci seguirebbe.

– Lei?… Ed il motivo?…

– Lo ignoro. Sarà disabitata la villa?

– Lo spero.

– Meglio cosí: affrettiamoci.

Gli spari si avvicinavano e qualche insorto era già comparso in fondo alla via, fuggendo a precipizio. I quattro cavalieri lanciarono i destrieri al galoppo, arrestandosi poco dopo dinanzi ad una elegante costruzione, la quale sorgeva all’estremità d’un piazzale cinto da ortaglie.

Capitolo VIII. LE DUE RIVALI

La villa che il maggiore d’Alcazar, al pari dei piú ricchi spagnuoli della colonia si era fatto costruire nel sobborgo di Binondo, non era uno di quei massicci edifizi che somigliano a fortezze e che si vedono nella Ciudad.

Era una palazzina civettuola di stile chinese, a doppio tetto, colle punte rialzate ad arco e coperta di tegole azzurre, con una veranda che le girava intorno, riparata da sottili stuoie di nipa a disegni bizzarri ed a colori e fiancheggiata da due ampie tettoie destinate alla servitú ed ai cavalli.

Dietro a quella costruzione si estendeva un ampio parco, dove crescevano i piú pregiati alberi della flora spagnuola ed indo-malese, difeso da alte muraglie di recente costruite e che all’opposta estremità terminava in un chiosco graziosissimo, colle pareti di pietra ed un tetto acuminato, sormontato da un’alta antenna sostenente un drago argentato.

Le finestre della palazzina erano chiuse, ma a Romero parve di scogere attraverso le fessure d’una persiana, un raggio di luce.

– Al chiosco, – diss’egli ad Hang-Tu, che pareva attendesse una risposta. – Là non correremo alcun pericolo.

Disgraziatamente, proprio in quel momento, due ribelli attraversavano correndo la piazza, inseguiti da lontano da alcuni cacciatori.

– Troppo tardi, – disse Hang-Tu.

– Seguitemi, – rispose invece Romero.

I cacciatori li avevano però veduti e supponendo d’aver da fare con degli insorti, avevano sparato contro di loro alcune fucilate, senza però colpirli. Romero lanciò il suo cavallo lungo le mura del parco che in quel luogo descrivevano una curva, seguito dai compagni.

Giunto presso il chiosco arrestò il destriero e rizzandosi sulla sella si aggrappò al margine superiore della cinta, dicendo ad Hang-Tu:

– Porgimi la fanciulla.

– Ma i cavalli?

– Affidateli a me, – disse il malese. – Farò correre gli spagnuoli.

Romero, che si era messo a cavalcioni della muraglia, afferrò la giovane che Hang-Tu gli porgeva, poi entrambi si lasciarono cadere in mezzo ad un’aiuola che stava sotto. La terra mossa di recente bastò a preservarli.

Il capo delle società segrete si era pure arrampicato sulla cinta. Stava per raggiungerli, quando comparvero i cacciatori.

Alcuni spari rintronarono. Un cavallo cadde, ma gli altri tre partirono ventre a terra, eccitati dalle grida del malese.

Hang-Tu si era pure lasciato cadere nel parco. Essendo le tenebre già calate, aveva la speranza di non essere stato scorto.

I tre fuggiaschi udirono i cacciatori passare correndo presso la muraglia, poi allontanarsi dietro ai cavalli che galoppavano furiosamente nelle vie interne di Binondo.

– Siamo salvi, – disse Romero. – Quel bravo giovanotto si è tirato dietro i soldati allontanandoli. Mi spiacerebbe che quel valoroso non riuscisse a salvarsi.

– Pram-Li è astuto, – rispose Hang-Tu. – Spero di ritrovarlo ancora vivo a Salitran o nella foresta.

– Venite nel chiosco. Io lo conosco e potremo passare la notte senza essere disturbati.

– Ma è disabitata la villa?…

– Temo il contrario Hang-Tu. Mi è sembrato di vedere un lume nella palazzina.

– E se gli abitanti venissero nel chiosco?…

– Non vengono mai. Solamente Te…

Un rapido cenno del chinese, lo costrinse a troncare la frase.

– Continua, mio signore, – disse Than-Kiú, che aveva ascoltato il meticcio con viva attenzione.

– Lascia andare le parole, Than-Kiú, – disse Hang. – Cerchiamo ora di salvare te e noi.

Romero si era aperto il passo attraverso i fiori che coprivano l’aiuola e si era diretto verso il chiosco, dalle cui persiane non trapelava alcun raggio di luce.

La porta cedette sotto la semplice pressione della mano e Romero entrò, ma con una certa precauzione, temendo che nell’interno vi fosse qualcuno.

S’arrestò un momento scrutando le tenebre che si erano addensate nell’interno della graziosa costruzione, ma non udí alcun rumore, né vide agire alcuna ombra. Il cuore del meticcio però, che non aveva tremato durante la sanguinosa lotta, batteva forte in quel momento.

– Se Teresita fosse qui! – aveva mormorato inoltrandosi.

Hang-Tu e la giovane chinese erano pure entrati nel chiosco il quale pareva pieno di fiori, tanto era acuto il profumo che si estendeva fra le pareti dell’elegante edificio.

I loro occhi, abituandosi a poco a poco a quell’oscurità, cominciavano a discernere confusamente qualche cosa: grandi vasi di porcellana, sedili di bambú, tavolini eleganti e piante che pareva si arrampicassero fino al soffitto, per ricadere poi in pittoreschi festoni.

– Chi abita qui? – chiese Than-Kiú, che si era arrestata nel mezzo al chiosco.

– Non lo so, – aveva risposto bruscamente Hang-Tu.

– Ma tu lo sai, è vero, mio signore?…

– Spagnuoli, – rispose Romero, sentendosi urtare dal chinese.

– Che tu conosci, è vero?…

– Sí, Than-Kiú.

– E sono nostri nemici?…

– Forse.

– Strana idea, mio signore, di trovare rifugio nella casa dei nemici.

– Silenzio Than-Kiú, – disse Hang, con tono imperioso. – Qualcuno può udirci.

La fanciulla ammutolí; ma a Romero parve di udirla bisbigliare un nome, mentre faceva tintinnare convulsamente i braccialetti d’oro.

Hang-Tu si era spinto presso la porta. Verso la palazzina gli era sembrato di udire un tumulto e di aver veduto alcuni lumi rapidamente dietro le persiane.

– Che cosa sta per succedere?… – mormorò. – Che i cacciatori mi abbiano veduto varcare la cinta e che non avendo potuto raggiungere Pram-Li, siano ritornati per visitare il parco?

Anche Romero aveva udito delle grida che pareva venissero dall’estremità opposta del parco e si era affrettato a raggiungerlo.

– Che abbiano preso dei ribelli che cercavano, al pari di noi, di salvarsi nelle ortaglie? – chiese.

– Temo che si tratti di noi, – rispose Hang. – Che la fanciulla bianca si trovi nella palazzina?…

– Ieri sera, lo sai, era nella Ciudad.

– L’ho veduto parlare con te. Pure la villa è abitata, poiché vedo dei lumi.

– Se fosse Teresita?…

– Meglio che non vi fosse, – rispose il chinese, con voce cupa.

– Ci salverebbe, Hang.

– Non lo desidererei.

– L’odi sempre?

– Forse t’inganni, Romero. Non si tratta di me.

– E di chi adunque?…

Il chinese non rispose.

– Mi hai udito, Hang?

– Sí.

– E dunque?

– Nulla ho da dire.

– Uomo misterioso!

Hang-Tu tacque, ma sospirò, mentre i suoi occhi si rivolgevano nell’interno del chiosco, guardando Than-Kiú che era rimasta immobile, ritta accanto ad un grande vaso giapponese contenente dei bei fiori di lillà.

Intanto verso la palazzina cresceva il tumulto. Si udivano delle voci ed i lumi poco prima scorti continuavano a passare e ripassare dietro le persiane.

– Romero, – disse il chinese, dopo un breve silenzio. – Si perlustra la casa del maggiore.

– Lo temo anch’io, Hang.

– Sloggiamo prima che i soldati perlustrino il parco.

– In quale modo?… Le muraglie sono alte e non abbiamo piú i cavalli per giungere sulla cima.

– Vi sarà forse qualche albero che ci potrà aiutare a scalarle. Non perdiamo tempo o ci faremo prendere.

Entrò nel bosco e chiamò Than-Kiú.

– Vieni, – le disse. – Corriamo un grave pericolo.

– Fuggiamo? – chiese la giovane.

– Sí.

– Meglio cosí, – mormorò Than-Kiú.

Si cacciarono tutti e tre in mezzo alle aiuole ed agli alberi seguendo le mura del parco, sperando di trovare qualche passaggio o qualche pianta che protendesse i suoi rami verso la via, ma dopo aver percorso cento passi s’accorsero che da quella parte non vi era alcuna probabilità di uscire.

Stavano per retrocedere verso il chiosco, quando Hang-Tu credette di scorgere un’ombra umana nascondersi dietro un gruppo di alberi. Lesto ed agile come una tigre, si slanciò da quella parte colla catana in pugno e vide cadersi dinanzi una donna, la quale aveva gridato con voce mezzo strozzata dalla paura:

– Aiuto!… Sono morta!…

Il chinese, temendo di venire tradito, aveva già alzata la terribile lama, quando udí Romero esclamare:

– Manuelita!…

Hang-Tu si era fermato.

– Manuelita, – disse – chi è questa donna?… Devo ucciderla o risparmiarla?…

Invece di rispondere, il meticcio si era precipitato verso la fida domestica di Teresita, la quale era caduta in ginocchio, coprendosi il capo colle mani, come per ripararlo dal fendente e l’aveva rialzata, dicendole:

– Non temere, sono io.

La tagala aveva scostate le mani e guardava il meticcio, come trasognata.

– Voi, signor Ruiz!… – esclamò finalmente.

– Io, Manuelita.

– Ma dunque cercano voi?…

– Chi?…

– I cacciatori che stanno visitando la palazzina.

– Ah! Sanno che sono qui?…

– Almeno lo sospettano.

– È stato pronunciato il mio nome?

– Sí, signor Ruiz.

– È impossibile che mi abbiano veduto varcare le mura del parco.

– Hanno detto che voi comandavate i ribelli che si erano trincerati nella via dell’Assuncion e che vi avevano veduto fuggire a cavallo assieme ad altri tre compagni.

– E poi? – chiese il meticcio, con ansietà.

– E che poi dinanzi le mura del parco avevano fatto fuoco sui cavalli, ma che uno solo lo avevano veduto montato.

– E credono che io mi sia salvato nel giardino?

– Sí, signor Ruiz.

– Maledizione!…

– Ed io ero qui venuta prima di loro, per accertare se la cosa era vera e salvarvi.

– Tu?…

– Teresita è qui.

– Lei qui?… Lo sospettavo!… Ma da quando?

– Da stamane.

– Che cosa dobbiamo fare, Manuelita?…

– Retrocedere nel chiosco.

– I cacciatori vorranno visitarlo.

– Vi sarà la mia padrona per impedirlo. Presto, fuggite!…

Romero e Hang-Tu si erano affrettati a obbedire, comprendendo che il pericolo era imminente, ma la giovane chinese non si era mossa.

– Vieni, – disse Hang.

Ella scosse il capo.

– Ti uccideranno se rimani.

– Che importa, – rispose Than-Kiú, con voce cupa.

– Ma farai uccidere anche lui, – le sussurrò agli orecchi Hang-Tu, – il tempo può rimarginare la ferita.

– No, Hang.

– Ma il Fiore delle Perle può aprirne un’altra, mi comprendi?

Than-Kiú non rispose, ma lo seguí; appena però si trovò nel chiosco s’avvicinò a Romero che si era arrestato in mezzo al salotto tenendo gli sguardi fissi sui viali del parco, spiando forse la venuta di Teresita, e, posandogli una mano sulla spalla, gli chiese a bruciapelo:

– A chi Than-Kiú, dovrà la sua vita?…

La voce della chinese, pronunciando quelle parole, aveva perduto quell’accento dolce, armonioso, che aveva colpito il meticcio la prima volta che l’aveva udita. Era diventata severamente imperiosa, dura, quasi metallica.

– Than-Kiú!… – disse Hang, con tono di rimprovero.

Ma la giovane non l’ascoltava piú.

– Parla, Romero Ruiz, – continuò, quasi con violenza.

– A chi!… – rispose il meticcio, stupito da quel tono, che suonava come una minaccia. – Che importa a te se dobbiamo la nostra salvezza ad una spagnuola?

– Ma è che quella spagnuola si chiama la Perla di Manilla, è vero?

– Than-Kiú!… – ripetè Hang.

– Ma che cosa vuoi dire, fanciulla? – chiese Romero.

– Che sarà la Perla di Manilla che avrà salvato il Fiore delle Perle.

– E non lo vuoi tu?…

Than-Kiú, invece di rispondere, fece udire un riso stridulo che echeggiò sinistramente fra le tenebre.

– Fanciulla!… – esclamò Romero. – Tu odii Teresita, adunque?

– No, poiché la donna bianca ucciderà la donna del paese del sole; la Perla delle isole infrangerà la Perla del Fiume Giallo.

– Taci, Than-Kiú!… – disse Hang, con voce sorda. – Taci!…

Ma la fanciulla del Celeste Impero non aveva obbedito ed aveva aggiunto, con un accento che aveva qualcosa di funebre, di immensamente triste e che pareva si spegnesse in un singhiozzo:

– Than-Kiú non rivedrà piú le dorate cupole del paese natio! I lillà non vivono in terra straniera. È il loro destino.

– Ma tu… mi vuoi bene forse?… – chiese Romero, che finalmente aveva compreso tutto.

– Taci, disgraziato!… – esclamò Hang-Tu.

Un’ombra bianca era comparsa dinanzi alla porta ed aveva chiamato:

– Romero, Romero!…

– Teresita!… – rispose il meticcio.

La spagnuola era entrata precipitosamente, mandando un grido di gioia a cui aveva fatto eco, nell’angolo piú oscuro del chiosco, un singhiozzo.

Intanto Manuelita, entrata anch’essa dopo di aver chiusa la porta del chiosco ed abbassate le persiane per impedire che al di fuori si potesse scorgere ciò che accadeva nell’interno, aveva accesa una lampada che si trovava su di un tavolo.

Appena Teresita si accorse della presenza di Hang-Tu e della chinese, si era bruscamente separata da Romero.

Gli sguardi neri e scintillanti della spagnuola e quelli vellutati e profondi della chinese si erano incontrati; ma entrambi erano diventati acuti come le punte di due lame. La fiamma che brillava entro quegli occhi era minacciosa d’ambo le parti.

– Chi è questa fanciulla?… – chiese finalmente Teresita, coi denti stretti. – Romero!…

Hang-Tu aveva fatto un passo innanzi, dicendo:

– La mia donna, – mormorò. – È vero, Romero?…

– Sí, Teresita, – rispose il meticcio, facendo uno sforzo per mascherare il suo turbamento.

Than-Kiú era rimasta immobile e silenziosa, ma cosí pallida da temere che le forze le venissero meno. Lentamente si era appoggiata ad un grande vaso del Giappone entro cui cresceva rigogliosa una peonia chinese dai fiori color di fuoco ed aveva nascosto il viso fra le larghe foglie, come se non potesse piú oltre sopportare quella scena che doveva farle sanguinare il cuore.

Hang-Tu, che le stava vicino, vedeva stillare, attraverso le foglie, delle goccioline che parevano perle ed aveva compreso che la povera fanciulla del paese del sole piangeva silenziosamente, senza che un singhiozzo o un tremito tradisse il suo dolore.

Teresita aveva rivolti gli sguardi su Romero come se avesse voluto leggergli nel cuore la verità di ciò che aveva detto, poi lo aveva tratto rapidamente verso una finestra, dicendogli:

– Bada Romero!… Tu forse non conosci ancora le figlie della vecchia Spagna.

– Ti voglio bene, Teresita, – le sussurrò il meticcio. – Tu lo sai e ne hai avuto le prove.

– È vero, Romero, sono pazza, perdonami, – disse la giovanetta con voce raddolcita. – Non si affronta la morte, come l’hai sfidata tu l’altra sera, venendo nella Ciudad, se non si ama. Ma perché sei venuto con quei chinesi?…

– Fuggivano assieme con me.

– E non ti hanno ferito i miei compatriotti?…

– No, Teresita.

– Folle!… Gettarti in mezzo all’insurrezione mentre io tremo ad ogni istante per la tua vita… Finiranno con l’ucciderti, mio Romero.

– Si batte anche tuo padre.

– Ma per l’onore della bandiera.

– Ed io per la mia, Teresita.

– Ma non sai che ti cercano?… Ma ignori tu, che in questo momento si fruga nella palazzina per arrestarti e ucciderti?…

– Lo so, Teresita.

– Ma io ti salverò, amico mio! – esclamò la giovanetta, con suprema energia. – I miei compatriotti non ti strapperanno dal mio fianco.

– Tradisci la patria.

– La patria?… Sei tu la mia patria, in questo istante. Sei tu che corri il pericolo di venire spento, non la vecchia Spagna. Guerra infausta che spinge anche gli uomini che hanno nelle vene lo stesso sangue a distruggersi l’un l’altro e che avventa i figli a pugnare contro la madre.

– Padrona, disse in quell’istante Manuelita, che origliava presso la porta, – essi vengono.

– I soldati?… – chiese la giovanetta con un tremito convulso.

– Sí, padrona, odo i loro passi.

– Non entreranno qui, dove si trova la figlia del maggiore d’Alcazar. Non temere, Romero: bisognerà che passino attraverso il mio corpo.

– Io corro il pericolo di comprometterti dinanzi ai tuoi compatriotti, Teresita, disse Romero. – Io tremo al pensiero che un giorno possano dire che la figlia del maggiore d’Alcazar salvava dei ribelli, mentre suo padre combatteva contro l’insurrezione. Se è destino che io debba morire, lascia che si compiano i decreti del cielo e che....

Teresita gli aveva troncata la frase ponendogli un dito sulle labbra. Gli fece cenno di non muoversi, abbassò rapidamente e chiuse le tende di percallina rosa nascondendolo agli sguardi di qualunque persona che fosse entrata, mentre Manuelita faceva altrettanto con Hang-Tu, coprí la lampada con un globo di cristallo azzurro cupo per rendere il salotto quasi oscuro, poi avvicinandosi a Than-Kiú, che non si era piú mossa, le disse:

– Non una parola, o siete perduti.

Il Fiore delle Perle non rispose, né sollevò il capo che teneva sempre nascosto fra le foglie della peonia. Solamente il suo corpo provò un fremito, ma che subito cessò.

Al di fuori si udivano delle persone avvicinarsi al chiosco e delle parole scambiate rapidamente.

– Aprite, – disse ad un tratto una voce imperiosa.

Teresita, calma, serena, risoluta a tutto, non si fece ripetere due volte il comando e mentre colla sinistra teneva la lampada, colla destra fece saltare il chiavistello, dicendo, con una voce che pareva tremasse per la collera:

– Che cosa volete voi?…

Capitolo IX. L’ODIO DI HANG-TU

Ritta sull’ultimo gradino, colla fronte increspata, gli occhi scintillanti, i lunghi capelli neri sciolti sulle spalle, la giovane spagnuola doveva avere l’aspetto d’una donna che non si lascia né imporre, né impressionare.

Vedendosi dinanzi un giovane ufficiale dei cacciatori, che teneva nella destra la sciabola sguainata e nella sinistra una rivoltella, lo guardò freddamente, facendo cadere su di lui i raggi azzurrognoli della lampada, ripetendo con un tono secco:

– Che cosa volete voi?…

Il tenente, che non si aspettava certo di trovare colà quella giovanetta, né una simile accoglienza, rimase cosí stupito, da non trovare subito una risposta.

– Orsú, parlate, – disse Teresita, con un moto d’impazienza.

– Ma… señorita… – balbettò l’ufficiale, abbassando la sciabola. – Cerchiamo dei ribelli.

– Dei ribelli! – esclamo la Perla, simulando un vero stupore. – Eh!… volete scherzare, señor?…

– Vivaddio!… No, señorita. Sono entrati in questo giardino, sono stati veduti.

– Cercateli nel giardino, adunque.

– Non li abbiamo trovati né nella palazzina, né nel parco, señorita.

– E volete che siano nascosti qui?…

– Ma… io non so…

– Signor tenente, sapete chi abita qui?…

– Il maggiore d’Alcazar.

– E io sono la figlia del maggiore d’Alcazar, – disse Teresita, con alterigia.

Il tenente, sconcertato, sorpreso, aveva fatto due passi indietro.

– Se ora volete entrare nel chiosco, per vedere se la figlia del maggiore d’Alcazar ha nascosto dei ribelli, fatelo, – continuò la giovanetta, con ironia. – Entrate, tenente.

– Perdono… señorita… Se avessi saputo che qui si trovava la figlia del maggiore, non avrei osato di disturbarla.

– Avete fatto il vostro dovere e nulla devo perdonarvi, – disse Teresita, con voce raddolcita. – Io credo, signore, che vi abbiano ingannato dicendovi che dei ribelli sono entrati in questo giardino, poiché né io, né le mie donne abbiamo veduto alcuno; abbiamo udito degli spari bensí, ma al di là della cinta.

– Eppure señorita alcuni uomini che montavano dei rapidi cavalli sono stati veduti arrestarsi presso la cinta.

– Ma poi avranno continuato la fuga.

– Cosí deve essere avvenuto, – rispose il tenente. – I miei cacciatori hanno frugato tutto il parco e non hanno trovato alcun ribelle. È una vera disgrazia, señorita, che ci siano sfuggiti, poiché si sa che due di essi erano persone pericolosissime, due dei capi piú influenti dell’insurrezione.

Teresita provò un brivido nell’apprendere che erano stati riconosciuti, pure padroneggiandosi, chiese con calma:

– E sono costoro?…

– Il meticcio Ruiz Romero ed il chinese Hang-Tu. Erano essi che difendevano ostinatamente le barricate della via dell’Asuncion.

– Forse a quest’ora saranno in marcia per Bulacan.

– O per Cavite, señorita. Perdonate se vi ho disturbata.

– Buona notte, signore, e buona fortuna.

Il tenente s’inchinò gentilmente dinanzi a lei, ringuainò la sciabola e tornò verso la palazzina, seguito da dieci o dodici cacciatori che avevano perlustrato, ma invano, i dintorni del chiosco.

Teresita attese che scomparissero fra le piante, poi rinchiuse la porta e mentre Manuelita rialzava la fiamma della lampada, scostò le tende che nascondevano Romero, dicendo con voce soffocata per la gioia:

– Sei salvo, mio valoroso!

– Grazie, Teresita, – disse il meticcio, che era vivamente commosso. – Ti devo anch’io la vita.

– Vedi che mi è costata ben poca fatica, – disse la giovane, che rideva e piangeva ad un tempo. – Ah!… se potessi io disporre della tua vita!…

– Che cosa faresti, Teresita.

– T’impedirei di partire pei campi degli insorti.

– Sarebbe impossibile, mia fanciulla. Si direbbe che Romero Ruiz è un codardo.

– Ma i tuoi compagni non amano forse.

– No, non amano le donne bianche come te…

– Romero!…

– Non rimproverare il destino che mi ha spinto sui tuoi passi, Teresita, e poi…

S’interruppe, poi aggiunse con voce triste:

– Giunge l’ora della separazione.

– Parti?… – chiese la giovane, con viva commozione. – Ora?… Mentre puoi cadere in un’imboscata?… Mentre possono ucciderti sotto i miei occhi?…

– Le tenebre mi proteggeranno. Domani sarebbe troppo tardi.

– E vai?…

– A Salitran od a Cavite.

– Tu vai a cercare la morte, Romero.

– No, – disse Hang-Tu che era uscito dal suo nascondiglio e che si era silenziosamente avvicinato a loro. – No, perché Hang-Tu veglierà su di lui.

Poi fissando la giovanetta con uno sguardo strano, aggiunse, sorridendo amaramente:

– Io t’odiavo, Perla di Manilla, come odiavo tuo padre che m’ha condannato a morte e che m’avrebbe fatto fucilare, se gli amici miei non mi avessero salvato. A te tutto perdono, hai la parola di Hang-Tu. Un giorno, forse comprenderai quante stille di sangue abbia costato questo perdono al cuore di Hang-Tu e quante lagrime ai begli occhi d’una fanciulla.

Afferrò bruscamente per un braccio Than-Kiú, strappandolo al gran vaso giapponese a cui si era aggrappata, e prima ancora che Teresita, stupita da quel misterioso linguaggio, aprisse le labbra per chiedergli una spiegazione, si diresse verso l’uscita dicendo:

– Partiamo, o noi non rivedremo il tramonto di domani.

Aveva aperta la porta e stava per scendere nel parco, ma ad un tratto s’arrestò, poi indietreggiò vivamente, posando la destra sull’impugnatura della catana.

Un uomo, un ufficiale, colla sciabola sguainata nella destra ed una rivoltella nella sinistra, stava fermo sull’ultimo gradino.

– Lui!… – aveva esclamato il chinese, con un intraducibile accento d’odio.

L’ufficiale era entrato rapidamente chiudendo dietro di sé la porta. Era un uomo sulla quarantina, di statura imponente, dalla pelle bruna, con due folti baffi neri, ma un po’ brizzolati e dai lineamenti energici.

I suoi occhi, neri e scintillanti come quelli della Perla di Manilla, si fissarono sul meticcio con un lampo minaccioso, poi sulla spagnuola.

– Voi!… – esclamò, con voce sibilante.

Teresita aveva mandato un grido di terrore ed era caduta in ginocchio, esclamando:

– Mio padre!…

Il maggiore d’Alcazar, poiché era proprio lui, aveva fatto due passi verso Romero puntandogli sul petto la rivoltella e dicendo:

– Vi uccido, signor Ruiz.

Il meticcio non si era mosso. Aveva incrociate le braccia e guardando tranquillamente il maggiore, aveva risposto:

– Non mi difendo: fate fuoco, signore.

Ma Teresita, dopo il primo istante di terrore, si era prontamente rialzata e con una rapida mossa si era slanciata fra il padre e Romero, dicendo con voce quasi minacciosa:

– Tu non lo ucciderai, padre mio!

Than-Kiú non aveva gettato alcun grido. Aveva fatto solamente un passo avanti, ma stringendo nella piccola mano una rivoltina che teneva nascosta nella fascia e l’aveva puntata risolutamente sul maggiore.

Hang-Tu aveva però veduto quella mossa e negli sguardi della giovane chinese aveva scorto un lampo minaccioso. Quantunque il capo degli uomini gialli odiasse mortalmente lo spagnuolo, pure aveva trattenuto la mano armata che si preparava a far fuoco, mormorando:

– No, Than-Kiú.

Il maggiore d’Alcazar, che pareva in preda ad un terribile accesso di collera, tentò di respingere Teresita, ma questa resistette, ripetendo con piú energia:

– Tu non lo ucciderai, padre mio.

– Sei tu che m’impedirai di ammazzare questo ribelle?… – chiese lo spagnuolo.

– Sí, poiché tu non puoi uccidere colui che ha salvato la vita a tua figlia.

– Contro chi?…

– Dai parangs dei moros, padre mio.

Il maggiore aveva abbassato il braccio. Il lampo d’ira che gli brillava negli occhi a poco a poco si spegneva: parve anzi che una rapida commozione passasse, come un fremito, sul suo bruno e fiero volto.

– È lui che t’ha salvata? – chiese con voce lenta.

– Sí, padre, e senza di lui tu non avresti piú la tua Teresita.

– Ed era pure lui che questa sera si batteva nella via d’Asuncion.

– Sí, maggiore, – rispose Romero.

– Che cosa siete venuto a fare qui, Romero Ruiz?… Sarebbe stato meglio per voi rimanere lontano da Manilla.

– La morte non la temo, maggiore d’Alcazar.

– E se io vi facessi arrestare?

– Fatelo, – disse Romero, con freddo accento.

– Ma tu non lo farai, padre mio, – disse Teresita. – Tu non puoi perdere per due volte quest’uomo. Il sangue spagnuolo è generoso e non si macchia di viltà, e poi, io amo quest’uomo.

– Sí, un ribelle – disse il maggiore con amarezza.

– È un prode, padre mio.

– Che volge le armi contro tuo padre.

– No, contro la Spagna, signore, – disse Romero. – Voi combattete per la vostra bandiera e io combatto per quella innalzata dai miei fratelli di colore.

– Una bandiera che si ripiegherà presto, signor Ruiz.

– Chissà, signor d’Alcazar.

– Soffocheremo l’insurrezione, non dubitate.

– E noi sapremo morire da forti.

– Voi, lo so, siete coraggioso, ma gli altri?… Avreste fatto meglio voi, che avete nelle vostre vene sangue di spagnuoli, ad abbracciare la nostra causa. Avete invece scavato un abisso: mi comprendete?

Ringuainò la sciabola, poi avvicinandosi verso la porta, disse bruscamente:

– Seguitemi.

– Padre mio! – gridò Teresita, mettendosi dinanzi a Romero.

– Il maggiore d’Alcazar pagherà il suo debito verso Romero Ruiz, – disse lo spagnuolo.

– Lo salvi?…

– O lo perdo.

– Che cosa vuoi dire?

– Quando l’insurrezione riceverà il colpo mortale, lo saprai.

– Ah!… Tu me lo uccidi!…

– Non io: lo ucciderà la guerra.

– Ma io l’amo, padre mio.

– Una figlia della vecchia Spagna non può amare i nemici della patria, – disse il maggiore, con voce cupa.

– M’ha salvato la vita.

– Ed io gliela salvo ora. Orsú, seguitemi o sarà troppo tardi.

Vedendo che Romero esitava, lo afferrò strettamente per un braccio e lo trasse seco. Hang-Tu li aveva seguiti, ma Than-Kiú, prima di uscire, si era arrestata dinanzi a Teresita. Gli occhi profondi e vellutati della celestiale si fissarono in quelli della spagnuola che erano bagnati di lagrime, ma avevano perduto la loro dolcezza. Un lampo sinistro illuminava le pupille della figlia del paese del sole.

– Gli occhi del Fiore delle Perle hanno pianto a lungo, – le disse con accento selvaggio, – ma gli occhi della Perla di Manilla piangeranno pure molto e saranno lagrime di sangue.

Poi s’allontanò frettolosamente e raggiunse Hang-Tu.

Il maggiore d’Alcazar camminava rapidamente ed in silenzio, a fianco di Romero. Seguí per qualche tratto le mura del parco, aprí un piccolo cancello di ferro ed uscí sulla via.

Due cacciatori che si trovavano appostati dietro l’angolo di un muro, vedendo quel gruppo di persone, furono lesti ad avanzarsi, intimando il «Chi vive?…»

– Il maggiore d’Alcazar, – rispose lo spagnuolo. – Sgombrate.

Una stradicciola, che serpeggiava fra le mura di parecchi giardini, si apriva di fronte al chiosco. Il maggiore vi si inoltrò facendo cenno a Romero di seguirlo e di affrettare il passo, e ad Hang-Tu e alla giovane chinese di tenersi presso di lui.

Giunto all’estremità, due altre sentinelle cercarono d’arrestarlo, ma appena riconosciutolo, s’affrettarono a ritirarsi.

Sarebbe bastata una semplice parola per far arrestare i tre ribelli, ma il leale soldato manteneva scrupolosamente la promessa, pur sapendo di dare all’insurrezione due dei piú valorosi campioni che avrebbero potuto, un giorno, creare dei gravi imbarazzi ai soldati spagnuoli.

Giunto all’estremità della via, in aperta campagna, si arrestò guardando attentamente a destra ed a sinistra, dove si scorgevano confusamente delle piantagioni di canne da zucchero, poi volgendosi verso Romero:

– Una spiegazione ora, signor Ruiz, – disse.

– Parlate, – rispose Romero.

– Come vi trovavate in casa mia?…

– Vi siamo entrati per sfuggire l’inseguimento dei cacciatori.

– O mia figlia v’aspettava?…

– No, signor d’Alcazar. Ella ignorava che noi ci eravamo nascosti nel chiosco.

– Volete un consiglio?… Dimenticatela.

– Mi vuol bene, signore.

– Ed io vi odio, signor Ruiz.

– Ah!… È vero, – disse Romero, con amarezza. – Io sono un sangue misto, un meticcio.

– No, ma vi odio poiché siete uno di quei nemici che per vincervi farete spargere alla Spagna torrenti di sangue. Senza di voi, fra quindici giorni l’insurrezione potrebbe venire spenta, mentre ora chissà se la nostra bandiera ondeggerà ancora su Cavite. So quanto valete, Ruiz, e so quanto vi si teme. Volete Teresita?… Lasciate l’insurrezione.

Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
30 ağustos 2016
Hacim:
310 s. 1 illüstrasyon
Telif hakkı:
Public Domain
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