Kitabı oku: «Racconti politici», sayfa 17
IX
Così nascono, così vivono, così muoiono tutti gli anni una dozzina di giornali.
Quasi tutti derivano dalla medesima origine, come tendono al medesimo scopo:
Un Bartolami, l'idiota ambizioso che fornisce il denaro.
Un Barcheggia, il semiletterato in bolletta, il politicante venale, che solletica l'amor proprio di un ricco imbecille per mungergli i quattrini; e qualche volta una Clementina più o meno avvenente, che si prefigge di dimostrare al marito i vantaggi di una buona ed operosa collaborazione.
FINE
Due Spie
CAPITOLO I
In qual modo un uomo dotto e brutto può essere scambiato per una spia
In sul finire del luglio 1860, pranzavano tranquillamente all'albergo del Leon d'Oro in Lecco il signor Domenico Zannadio geologo e il naturalista professor di botanica signor Candido Frigerio.
– Io parto quest'oggi per Bellano, diceva il primo.
– Benone! rispondeva l'altro. Viaggeremo in compagnia fino a Varenna, dove io scenderò dall'omnibus per tragittare a Menaggio. Intendo percorrere la valle di Porlezza e i gioghi che la fiancheggiano. La natura di quel suolo mi sembra propizia alle mie ricerche. Voi sapete ch'io vado in traccia dell'Elleboro giallo macolato, per provare al chiarissimo professore signor Gian Giacomo Mazzoldi da Imola, che quell'arbusto cresce appunto nei paesi montuosi della Lombardia, ciò che l'onorevole scienziato pretenderebbe contestare coll'ultima sua dissertazione: De Helleboro et aliis vegetalibus veneficis provinciæ Comensis.
Queste parole furono pronunziate a voce bassa, ma il nome del Mazzoldi1 ferì l'orecchio d'un individuo che pranzava tutto solo a poca distanza dai due professori. Lo sconosciuto levò il muso dal piatto, e girando uno sguardo sospettoso sui due che parlavano: – che razza di animali esotici sono codesti? brontolò fra denti; mi hanno l'aria di preti travestiti…
Il signor Domenico Zannadio e il signor Frigerio hanno infatti un esteriore poco simpatico. Il primo è un uomo alla antica; capelli corti, barba rasa, soprabito nero e lungo, cravatta bianca e scomposta. L'altro, più giovane di età, più elegante nel vestito, sortì dalla natura certi occhi grossi, sporgenti, injettati di sangue, che mettono ribrezzo a vederli. Le accurate indagini scientifiche, la faticosa esplorazione dei petali e dei pistilli, obbligano il signor Frigerio a portar gli occhiali, due grandi occhialoni inforcati sul naso, che danno alla fisonomia dello scienziato una espressione feroce.
– Godo che vi tratteniate sulle rive del lago, riprende lo Zannadio; così qualche volta potremo trovarci assieme a ragionare di scienza… Anch'io sono venuto su questi monti per ragioni scientifiche… per iscoprire nuovi dati a conferma delle mie teorie sulla formazione del globo. Avete letta l'ultima mia Memoria sugli Strati antidiluviani?
– L'ho letta ed ammirata…
– Se le ricerche ch'io sto per fare mi riescono a bene, fra pochi anni il sistema di Humboldt verrà riputato un delirio di una grande intelligenza.
A questo punto della conversazione, l'individuo che siede a poca distanza dai due scienziati, esce dal cortile, e poco dopo ricomparisce dietro la finestra che domina la tavola in compagnia d'un nuovo personaggio.
– Humboldt era mio amico strettissimo, ripiglia il signor Zannadio; ho intrapreso espressamente il viaggio di Praga per andarlo a visitare or son dieci anni… E in quella occasione ebbi l'onore di stringere amicizia coi signori Elitpazter, Zambadenzer e Cropztastroffer di Vienna ed altri colleghi tedeschi coi quali sono tuttavia in carteggio.
– I tedeschi la sanno più lunga di noi in fatto di scienze naturali…
– Più logici e più profondi… Essi finiranno per abbattere i vecchi sistemi, a dispetto dei nostri dottrinarii, che si ostinano nelle loro pazze teorie…
– Convengo pienamente con voi… Anch'io nutro una vera adorazione pei tedeschi e pel loro genio profondo…
I due esploratori che, dal vano della finestra, raccolgono le sparse sillabe dello strano colloquio, schizzano fuoco dagli occhi e versano bava dalla bocca come due cani idrofobi. In udir le parole proferite dal signor Frigerio: i tedeschi valgon meglio di noi, uno degli esploratori dà di piglio ad una marmitta per lanciarla nel mezzo della tavola..
– Prudenza! gli dice il compagno… Bisogna procedere con legalità… Cercare di coglierli sul fatto, poi farli imprigionare o meglio appiccare!
– Io ti dico che costoro debbono esser due gesuiti mandati dal Lamoricière2 per arruolare volontari!..
– Li credo piuttosto due tedeschi venuti ad esplorare le montagne…
– L'un d'essi ha nominato il Mazzoldi… Scommetto che il più giovane, quel dagli occhiali, è il famigerato Perego, redattore del Giornale di Verona3.
– Io direi che sarebbe bene avvertire le Autorità…
– Ovvero chiamare la Guardia Nazionale, e far circondare l'albergo.
– S'io non dovessi partire a momenti coll'omnibus per recarmi a Menaggio, ti giuro ch'io li servirei daddovero, quei due capi da forca!..
Mentre dietro la finestra ha luogo il furioso dialogo, il conduttore dell'omnibus si avvicina ai due scienziati per avvertirli che è tempo di partire… Il signor Zanadio e il signor Frigerio, saldato il conto coll'oste, si avviano conversando verso il secondo cortile per prender posto nella carrozza.
CAPITOLO II.
Nell'Omnibus
I due interlocutori della finestra si stringono la mano e si separano. Quel d'essi che deve recarsi a Menaggio, tien dietro agli scienziati come un segugio che fiuti la preda, come un gatto che lasci liberi i topolini per ghermirli e straziarli. L'altro, prima che l'omnibus sia partito, corre al caffè delle Colonne, e tutto affannato riporta a quanti lo vogliono ascoltare gli strani discorsi uditi all'albergo del Leon d'Oro. La istoria delle due spie in meno di due minuti si propaga nella borgata. Nel punto in cui l'omnibus sta per partire, il cortile dell'albergo si riempie di curiosi.
Beati gli uomini di scienza! Distratti dalle meditazioni e dai calcoli, sedotti dalle ipotesi vaghe e indeterminate onde si edificano i loro sistemi, essi attraversano il mondo sulle ali della immaginazione, ignari dei pericoli che li circondano! I signori Zannadio e Frigerio montano sull'omnibus, si abbandonano beatamente colla persona sui cuscini elastici – l'uno meditando la ipotesi degli strati antidiluviani, l'altro fiutando ellebori colla fantasia, mentre una popolazione irata e fremente li fulmina di anatemi, e cento occhi da basilisco lanciano contro essi il veleno dell'odio e del disprezzo!
Guai se l'omnibus tardasse d'un minuto a partire! Il fremito dell'ira popolare è giunto all'ultima crisi… Quattro popolani stanno per avventarsi agli sportelli e afferrar per la coda del soprabito il signor Zannadio… Presto, conduttore! Una sferzata ai cavalli! Salvate due luminari della scienza, la cui morte prematura cagionerebbe infiniti disastri! Guai per l'umanità, se l'elleboro giallo crescesse ignorato sulle montagne della Valtellina! Guai per le generazioni future, se il signor Zannadio non giungesse a scoprire da quanti secoli venne in capo a Domeneddio di formare questa immensa palla che si chiama l'universo!
La Provvidenza ispirò il postiglione; mentre i quattro energumeni stavano per compiere il sanguinario disegno, i cavalli presero la corsa, e l'omnibus uscì rapidamente dal cortile.
I nostri lettori non ignorano come fra i viaggiatori partiti alla volta di Varenna si trovasse il giovanotto, che primo aveva posto orecchio al colloquio reazionario dei due scienziati. Era questi un tal Galliano Gallina, sartore di Menaggio, notissimo nel suo paese nativo pel suo entusiasmo patriotico. Ragazzo d'ottimo cuore, ma di ingegno cortissimo e di nessuna dottrina, non sognava che perfidie e macchinazioni infernali tramate dai nemici d'Italia a danno del proprio paese. Egli credeva in buona fede che all'Austria, più di ogni altra sciagura, dolesse la perdita di Menaggio; ch'ella avrebbe ceduta la Venezia a patto di riavere quell'angolo di paradiso. Il povero figliuolo, in tutti gli stranieri che recavansi a visitare le rive del Lario, non vedeva che tedeschi o spie dei tedeschi. Imaginate come gli bruciassero le costole sedendo nell'omnibus in mezzo a due sconosciuti ch'egli avea in conto di gesuiti od emissarii dell'Austria.
Dio sa quale orribile tragedia sarebbe avvenuta nell'interno della vettura, ove, a temprare la furia impaziente del Gallina, non fossero intervenute tre persone, che noi chiameremo del bel sesso, quantunque bruttissime.
Il lato posteriore dell'omnibus, per beneficio della provvidenza, era dunque occupato da tre donne, la signora Caterina Menafuoco di Bellano e le sue figliuole maggiorenni Rosalba e Cornelia. Mamma Caterina è una donna di sessant'anni, già grassa più del bisogno, la quale spera ingrassare del doppio quando avrà maritate le due lunghe zitellone, ch'ella conduce tutti i sabati al mercato di Lecco per solleticare la concupiscenza di qualche mercante di granaglie. Rosalba e Cornelia hanno ciascuna una dote di franchi trentamila; ma questo accessorio, che forse potrebbe eccitare la sensualità di qualche spiantato, non colma le tante lacune dei due lunghi carcami. Non è a dire con qual'arte, con quali strattagemmi ingegnosi mamma Caterina si adoperi a smerciare le sue creature; ugual destrezza per parte dei giovani scapoli a scansare il pericolo. La cacciata degli Austriaci, la liberazione d'Italia ha rianimate le speranze della signora Menafuoco. Rosalba e Cornelia acquistarono nuove attrattive da una immensa coccarda a fiorami bianchi, rossi e verdi, che portano sul petto e che dissimula in parte le naturali lacune. Rosalba e Cornelia hanno abbracciate in politica le opinioni dell'unico giornale che leggono. Mamma Caterina e le sue figliuole, si informano alla politica del Pungolo; perciò si svegliano ogni mattina con opinioni perfettamente opposte a quelle del giorno precedente.
Basti questo sbozzo di fisonomie e di caratteri – procediamo nel racconto.
Il cacciatore non vede che lepri e beccaccia, l'astronomo non vede che pianeti, il mineralogista non vede che sassi. – Mamma Caterina non vede che mariti per le sue figliuole.
Rosalba e Cornelia, appena entrate nella vettura, cominciarono a dardeggiare coll'occhio i due scienziati. – La signora Menafuoco, per trovare un pretesto di conversazione, si pose gli occhiali, e volgendosi a Rosalba: – Ebbene? incominciò: cosa dice il nostro Pungolo quest'oggi? L'hai tu indosso il Pungolo?..
– Il Pungolo! risponde Rosalba portando una mano sul petto e torcendo le luci verso il signor Frigerio; il Pungolo… mi pare d'averlo… qui…
– Fuori dunque cotesto Pungolo! e leggimi qualche cosa… di nuovo…
– Lo sai… mamma, che io non amo di leggere a voce alta cose di argomento patrio… e sopra tutto quando si tratti delle nostre vittorie della Sicilia…
– Poverina! Sicuramente! la è proprio così! Queste mie ragazze sono tanto sensibili, che ogni qual volta prendono in mano quel benedetto Pungolo, perdono la testa, cadono in svenimento e non se ne fa più nulla! Sono ragazze! E il nome di Garibaldi ha per esse un un certo fascino!.. Basta! Cornelia… mi saprà forse dare così in succinto le notizie della giornata… Rosalba… cedi il Pungolo a tua sorella… e vediamo se anche lei cade in svenimento!
Cornelia stende la mano per prendere il Pungolo, e preme leggermente col braccio il ginocchio del signor Frigerio, il quale, tutto assorto nelle sue meditazioni sugli ellebori, non s'accorge della amorosa pressione. Frattanto il Gallina, facendo due occhi da ossesso, vorrebbe prevenire le donne del pericolo cui sono esposte parlando di politica in presenza di due emissarii dell'Austria4.
– Noi abbiamo vinto, dice Cornelia dopo aver percorso rapidamente il giornale. – Decisamente abbiamo vinto a Milazzo… Noi ci siamo battuti da leoni; il nemico, atterrito dal nostro impeto, si rintanò nella fortezza… Signor Gallina… la prego di stendere francamente le sue gambe a sinistra… Ella ci ha dato un calcio nel piede, che schiettamente parlando, non ci ha recato il maggior piacere…
– Le chieggo perdono, signora Cornelia, risponde il sartore di Menaggio accennando colla coda dell'occhio ai due scienziati; ma prevedendo certe… eventualità… che potrebbero nascere, io credo bene… che… in questo momento… si debba parlar d'altro che di politica…
La signora Menafuoco, senza far caso dello strano avvertimento, ripiglia la conversazione:
– Io… per me poi… non sono tanto sensibile al Pungolo come le mie figliuole!.. Lo leggo, lo studio alla sera in letto… poi mi addormento… e buona notte! Ma esse… queste benedette creature… non la finiscono più… quando l'hanno in mano! Se Giulay potesse tornare in questi paesi, io credo che la nostra casa sarebbe la prima ad essere bruciata… tante ne hanno dette queste figliuole contro… Ahi! signor Gallina! Ma lei non vuol tenerle al fermo quelle sue gambe! Mi ha posto il calcagno sul dito mignolo… e le giuro che non mi ha fatto piacere.
Il Gallina straluna di nuovo gli occhi, ed accennando ai due scienziati che fino a quel punto non hanno aperto bocca, risponde alla signora Menafuoco: «Se bramate sapere di qual modo tratterebbe Giulay le vostre figliuole… qui vi hanno persone, che potrebbero… forse…
Le occhiate, i calci, le allusioni del Gallina sono troppo significanti perchè le signore Menafuoco non si mettano in sospetto. Cornelia, che stava per tentare una seconda dimostrazione di simpatia sulle gambe del signor Frigerio, ritira prudentemente la punta dello stivaletto. Rosalba, torcendo gli occhi maligni verso l'altro scienziato, si fa ardita a dirigergli la parola per conoscere com'egli la pensi in fatto di politica:
– Se il signore brama leggere il Pungolo…
– Io? leggere il Pungolo!.. risponde il geologo riscuotendosi dalle sue meditazioni… Le sono di cuore obbligato… Sventuratamente non ho mai potuto abituarmi a leggere in vettura… E poi… le confesso che la politica del Pungolo non mi va troppo a sangue.
– Lo credo! mormora il Gallina.
– Forse ella preferirà i giornali dell'opposizione…
– Amo i giornali che ragionano, che seguono un principio determinato, che mirano ad uno scopo fisso…
– Come ad esempio l'Armonia, la Sferza, il Campanile, soggiunge il Gallina digrignando i denti…
– A quanto pare, prosegue la signora Menafuoco, ella non è troppo partigiano del Ministero… Francamente parlando, ella non ha tutti i torti… Noi ammiriamo il conte Cavour, ma le nostre simpatie sono per Garibaldi. Ambedue sono onesti… come noi; ambedue vogliono l'Italia… come noi. Noi saremo con essi finchè essi sono colla nazione… e con noi… Finchè essi procederanno francamente, lealmente, onestamente, coll'Italia: noi francamente, lealmente, onestamente, procederemo con essi… In caso diverso – lo diciamo apertamente – noi onestamente li combatteremo.
Per sottrarsi al tormento d'una politica troppa sonora, il signor Zannadio cava di tasca un portafogli e vi scrive alcune cifre. Mentre il Gallina, levando il capo sopra le spalle dello scienziato, sembra cogli occhi assorbire lo scritto, Cornelia crede bene di tentare un colloquio col signor Frigerio:
– È la prima volta che il signore si reca in questi paesi?
– Sì… signora.
– Va forse a Bellano?
– No… signora.
– A Chiavenna?
– No… signora.
– A Menaggio?
– Sì… sì, signora.
– Per villeggiare?
– No, signora.
– Cornelietta, interrompe la signora Menafuoco madre, appoggiando le mani sovra i ginocchi come una regina del teatro Fossati; io ti proibisco assolutamente di parlare con persone, le quali, oltre ad essere di sesso diverso, non sono da noi conosciute, e quindi possono avere in politica delle opinioni contrarie alle nostre.
– Io non credo… balbetta il geologo imbarazzato;… io non credo aver offeso questa signorina…
– Basta!.. non facciamo polemiche… Noi non dubitiamo ch'ella appartenga come noi alla classe degli onesti… Tutti i partiti sono onesti, quando onestamente, lealmente, francamente abbracciati… Vi hanno però circostanze, nelle quali da parte nostra sarebbe debolezza il transigere… Francamente lo diciamo: noi rispettiamo la di lei onestà, ma saremo sempre colla nazione!
Il signor Frigerio, non comprendendo parola di questa eloquente conclusione, chinò il capo rassegnato, e riprese tranquillamente il corso delle sue meditazioni. La madre Menafuoco spiegò il Pungolo capovolto e finse di leggere. Il Gallina si incaricò di ripetere mentalmente le parole latine scritte dallo Zannadio nel portafoglio, per farle tradurre a Menaggio da un antico professore di lingua tedesca. Le due sorelle dignitosamente si tacquero.
A Varenna l'omnibus fece sosta… I due scienziati scesero dalla vettura, l'uno per tragittare a Menaggio, l'altro per proseguire a piedi la via fino a Bellano. Lì Gallina, prima di uscire dall'omnibus, ebbe colle signore Menafuoco un breve dialogo:
– Avete capito…?
– Eh! non siamo oche!
– Sapete cosa ha scritto nel portafogli quel gesuitone dalla cravatta bianca?..
– Ebbene…?
– Tre parole in tedesco… Quousque tandem abutere!… Io me lo farò tradurre a Menaggio…
– Avete visto come il più giovane divenne rosso quando si è parlato di Cavour!
– E l'altro… non ha tremato al solo nome di Garibaldi?
– E tutti e due non si sono guardati, quando io ho parlato delle transazioni?
– Basta! io vi prometto, o signorine, che a Menaggio l'uno sarà servito a dovere!
– Dell'altro, che viene a Bellano, ci incarichiamo noi!
– Bisogna farlo morire a fuoco lento!
– Contate sulla nostra lealtà, sulla nostra franchezza…
– Sono due tedeschi!
– Due gesuiti!
– Due esploratori!
– Due spie!!!
CAPITOLO III.
Una serva rivoluzionaria
All'indomani, sullo spuntare del giorno, il Gallina col maniscalco ed il sergente furiere della Guardia Nazionale, uscirono da Menaggio per recarsi ad una casicciuola poco discosta dal paese, ove la sera precedente avea preso alloggio il professore di scienze naturali signor Candido Frigerio, il supposto emissario dell'Austria.
– Compagni! diceva il Gallina; qui bisogna dar prova di abilità politica – bisogna condurre la faccenda in tal guisa che dal male nasca il bene. Noi ci serviremo di questo istromento del dispotismo per giovare alla causa italiana, per rassicurare le sorti del nostro paese.
– Bravo! benone! ben parlato! soggiungeva il maniscalco. Colui è venuto per spiare ciò che si fa da noi a Menaggio – noi profitteremo di lui per sapere ciò che fanno a Vienna i nostri nemici. Che te ne pare, sergente?
– Per ora fate voi! Quando ci sia bisogno di metter sull'armi la Guardia Nazionale, non avrete che a parlare.
– Prima di tutto troviamo un pretesto per entrar nella casa…
– Io conosco la Checchina, la fattora… Una italianona! una liberalona, che nel quarantotto, quando i tedeschi sono tornati, ha mangiato il naso ad un caporale tirolese che voleva baciarla per forza…
– Credi tu che sia bene metterla al fatto:…?
– Forse sì, e forse no… Vedremo qual vento tiri… Ma eccoci alla tana del lupo…
– La Checchina è sulla porta!..
– Prudenza e circospezione!
– Io direi che il Gallina si facesse avanti, e che noi rimanessimo a rispettosa distanza per non eccitare sospetti…
– No! è meglio procedere assieme, e prender l'aria di gente che va al passeggio.
– Buon giorno, Checchina! sì di buon'ora levata? Che si fa di bello?..
– La nostra Checcotta! sempre più bella! sempre più fresca!.. Dacchè i tedeschi hanno sgombrato il paese, sei ringiovanita di dieci anni!
– Voi sapete bene quale amore io portassi ai tedeschi! risponde la buona donna tutta lieta de' complimenti ricevuti. Ho fatto anch'io la mia parte da buona italiana! Vi giuro che se mi capitasse ancora nelle unghie un di quei cani, io lo acconcerei per lo feste! Basta! ora non c'è più questo pericolo…
– Almeno… così si crede…
– Come? che volete dire con quel vostro si crede?
– Checchina mia, risponde il sartore con aria di mistero; io certamente non temo che si abbiano a rinnovare per noi le disgrazie del quarantotto… ma in quanto a tedeschi… o, voglio dire… tedescanti… c'è sempre pericolo di incontrarne anche nei nostri paesi. L'aria non è ancor del tutto purgata!
– Sicuramente! soggiungono ad una voce il maniscalco ed il furiere; il nostro Gallina dice benissimo… L'aria non è ancora purgata!..
– Ma noi la purgheremo!..
– Dice benissimo il nostro Gallina… Noi la purgheremo!
– E presto!
– E subito!
– E senza chieder permesso a' superiori!
In profferire tali parole, i tre sozii si ricambiano occhiate misteriose e terribili…
– Ma voi mi fate paura! esclama la Checchina… C'è forse qualche nube per l'aria? Avete forse letto nelle gazzette qualche brutta notizia?.. Per l'amor di Dio… ditemi qualche cosa… anche a me… Che la Beata Vergine ci salvi da nuove disgrazie!
– Pur troppo c'è una nube per l'aria! ripiglia il Gallina, dopo aver consultato i suoi compagni con un'occhiata significante. E la nube non è lontana… anzi è vicinissima… anzi sta sopra questa casa… Senti, Checchina… (E a questo punto il sartore chiese di nuovo ai compagni uno sguardo di approvazione). Noi dobbiamo comunicarti un grande segreto… un segreto di Stato… ma innanzi tutto devi giurare che di quanto siamo per dirti, non ripeterai parola ad anima vivente.
– Io? parlare io?.. ma vi pare?.. nè anche se mi strappassero la lingua colle tenaglie…
– Ebbene, sappi adunque… Ma prima di tutto, siamo noi soli…? Non v'è alcuno in tua casa che possa udire i nostri discorsi?
– Voi sapete che questa casa è rimasta disabitata, dacchè il signor conte si è traslocato a Torino. Jeri sera è giunto qui da Milano un forastiero, pel quale pochi giorni sono il ragioniere del conte mi avea scritto di metter all'ordine l'appartamento del secondo piano…
– E tu lo conosci quel forastiero?
– Non so altro di lui se non ch'egli si chiama il signor Frigerio…
– E ignori cosa è venuto a fare in questi paesi…?
– Io non so nulla… io…
– Lo sappiamo noi…! Dorme egli ancora…?
– No! è uscito di casa prima dell'alba.
– Diamine! egli non perde il suo tempo! E cosa ti ha detto nell'uscire?
– Ha detto – aspettate – ha detto che non tornerebbe prima delle nove stassera… che io non mi dessi la pena di rifargli il letto e di ripulirgli la camera… Egli desidera che nessuno metta piede nella sua stanza…
– Il malandrino ha prese tutte le precauzioni! Ebbene: senti Checchina – bisogna che tu ci conduca in quella camera…
– Oh! questo poi… non è possibile…!
– Ma sai tu cosa è venuto a fare a Menaggio il signor Frigerio?.. Sai tu che razza di serpente s'è introdotto nella tua abitazione? Nientemeno che una spia… dei tedeschi, un famigerato emissario dei gesuiti!
– Misericordia! esclama la Checchina portando le mani alla cuffia… Una spia nella mia casa! un tedesco! un gesuita!.. Vi giuro per tutti i miei poveri morti, che jeri a sera quando l'ho veduto entrare, ho sentita una scossa, come se alcuno mi avesse dato un gran pugno nello stomaco… Adesso capisco perchè la gatta non gli è corsa incontro a carezzargli le gambe come suol fare a quanti vengono in casa!.. Già… anche il nostro ragioniere gli è un altro bel mobile… un tedescone marcio, che quando vien fuori a rivedere i conti, ne ha sempre di nuove per tormentare noi povera gente!.. Ed è lui che ci ha regalato quel bell'inquilino!.. Venite pure, figliuoli; le chiavi dell'appartamento sono a vostra disposizione… E se non basta, apriremo anche le valigie di questo bel forastiero… e apriremo le lettere! Quando si tratta di dare addosso a tedeschi od a spie… eccomi qui in carne ed ossa… col cuore, colle unghie… e coi denti! Cani! Assassini! Mostri!.. Ed hanno proprio a capitare nella mia casa!.. Su! da bravi, figliuoli!.. Venite con me, e agite come se foste padroni!
Preceduti e animati da Checchina, i tre sozii salgono rapidamente le scale, precipitano nella camera dello scienziato, e in un minuto aprono gli armadii, capovolgono i mobili, rovesciano le casse, mettono ogni cosa in iscompiglio. Cerca di qua, fruga di là… le camicie, le mutande, i fazzoletti volano alla soffitta… Il sergente foriere, il solo dei saccheggiatori che sappia leggere lo scritto, si impadronisce del portafoglio e divora coll'occhio le cifre.
– Gallina!
– Che è?
Tutti circondano il sergente.
– Non v'è più dubbio!.. ecco il corpo del delitto!..
– Leggi.. foriere!..
– Le sono annotazioni laconiche…
– Ah! mostro! interrompe la Checchina mettendosi le mani sui fianchi. – Laconiche!.. Che razza di parole hanno questi tedeschi!
Il sergente non senza difficoltà riesce a leggere una quindicina di vocaboli incomprensibili per lui e per quanti gli stanno d'attorno, vocaboli tecnici della scienza, di cui basta il suono per far rabbrividire gli ascoltatori.
– Basta! basta! non voglio sentirne altro! grida la Checchina turandosi lo orecchie… e correndo per la camera come una ossessa.
– Qui sotto c'è qualche trama infernale! soggiunge il maniscalco.
– La patria è in pericolo!
– Facciamo appello alla Guardia Nazionale!
– Figliuoli, dice il Gallina con solennità. – Figliuoli! qui bisogna metterci una mano al cuore e un'altra al cervello…! Dinanzi alle nuove scoperte che abbiamo fatte, dinanzi a questi documenti scellerati che Iddio ha messo in nostra mano onde sventare le trame del despotismo, esitare sarebbe stoltezza, debolezza il retrocedere… il silenzio sarebbe delitto… l'indulgenza complicità… Però non conviene dimenticare che noi viviamo in paese libero e governato da leggi civili… Forza e prudenza! Energia e legalità! Rigore e giustizia… sieno le nostre divise.
– Bravo!!!
– Raccogliamo adunque tutte le prove materiali del delitto, e armati dei preziosi documenti, convochiamo le autorità del paese, e formuliamo legalmente l'accusa!
– Bravo!!!
– A me pare che questo portafoglio contenga tanto che basti per far appiccare lo scellerato…
– E se non basta il portafoglio, aggiunge la Checchina, prendetevi anche questo fazzoletto giallo segnato di cifre nere… Il mostro lo teneva nascosto nelle tasche del paletot.
– E questi fiori disseccati, parimenti di color giallo e nero… che l'infame ha creduto sottrarre alle nostre investigazioni cucendoli sotto la fodera del cappello…
– Buoni anche questi per il processo!..
– Ed ora, figliuoli miei, riprende il Gallina con autorità: mettiamoci d'accordo fra noi, e pensiamo a stabilire il nostro programma. Punto primo: tu, sergente, anderai tosto alla casa del sindaco, e gli chiederai a che ora può darci udienza domani… Tu, maresciallo, ti recherai con quattro o cinque uomini di fiducia a perlustrare lo stradale di Porlezza, e vedrai di informarti d'onde sia passato, con chi abbia parlato, dove abbia pranzato, con quali individui abbia praticato colui! Stenderai, o farai stendere un esatto rapporto, aggiungendo tutti quei documenti che per caso potrai raccogliere… Tu poi Checchina…
– Quello che ho da far io l'ho già stabilito, risponde la serva stralunando gli occhi… Io vi giuro che quel tedescaccio si ricorderà finchè vive della notte che avrà passata in casa mia… Oh! in casa mia poi… comando io!.. Ne ho pensato di belle!.. Non veggo l'ora che quell'animale ritorni, per cucinarmelo un poco a modo mio!..
– Ebbene! ciascuno al proprio uffizio! Da bravi, figliuoli! Tu, Checchina, bada a non comprometterci con qualche imprudenza… Fa in modo ch'egli non entri in sospetto… Se per caso egli domanda del suo portafogli…
– Gli dirò che il gatto se l'è portato via.
– Viva la nostra Checchina, e morte ai tedeschi!
– Morte alle spie!
– Viva l'Italia libera!
– Viva Menaggio!
I tre sozii escono dalla stanza alternando i viva alle imprecazioni. La Checchina, dopo averli accompagnati fino all'estremità della scala, rientra immediatamente nella camera del forastiero e si atteggia dinanzi al letto come un generale di armata che mediti un piano di battaglia.
La Checchina studiò d'un colpo d'occhio le posizioni, calcolò i mezzi di attacco, concepì il disegno strategico. Un quarto d'ora dopo, tutte le comari del vicinato furono in moto;… tutti gli istrumenti belligeri che può fornire la cucina, tutte le armi dell'arsenale femminino concorsero al grande apparecchio…
Vedremo nel seguente capitolo quanto ingegnosa sia la donna nel tormentare una creatura umana.