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Kitabı oku: «Istoria civile del Regno di Napoli, v. 3», sayfa 11

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CAPITOLO III
Origine delle nostre papali investiture: spedizione infelice di Lione IX contro i Normanni: sua prigionia e morte

Il soggetto che abbiamo ora per le mani, per la sua novità e stranezza non ha bisogno di commendazione: contiene l'intraprese de' Pontefici romani sopra questo Reame, ed in qual maniera, e per quali deboli principj abbiano finalmente conseguito, che sia ora riputato Feudo della Chiesa romana. Nè della stranezza sarà minore la maraviglia, come senz'eserciti e senz'armate, unicamente per la loro somma accortezza e continua vigilanza abbiano potuto stabilirsi questo diritto, da essi acquistato non già come Capi della Chiesa universale, o Patriarchi d'Occidente, ma come Principi del secolo, e siano giunti a conseguire ciò che gl'istessi Imperadori d'Occidente e d'Oriente non poterono con lunghe guerre, e con eserciti armati stabilmente ottenere. Ma le gare degli altri Principi competitori, la stupidezza e superstizione de' Popoli, il secolo ignorante e barbaro, ed all'incontro la loro somma accortezza e diligenza, tutte queste cose unite insieme, poteron togliere tutti gli ostacoli ed impedimenti.

Dovendosi da ora innanzi spesso parlare de' Pontefici romani, perchè non mi s'imputi a temerità, il mio proponimento è di favellarne non come Sommi Sacerdoti e Vicarj di Cristo, ma come Principi del secolo, i quali per possedere molti Stati e Principati in Italia, si erano attaccati agl'interessi di quella, come tutti gli altri Principi, che nella medesima aveano dominio. Distinguerò bene in loro questi due personaggi: di essi come Capi della Chiesa e Patriarchi d'Occidente, che hanno il governo delle nostre Chiese, si tratta quando della politia ecclesiastica si ragiona. Ora intrigati negli affari del secolo, solamente come gli altri Principi rappresenteranno la lor figura. Per tal cagione non si avrà difficoltà di vedergli a questi tempi mettersi alla testa d'eserciti armati, trattar leghe, ed arrolar soldati. Quindi resosi vie più irreconciliabile lo scisma tra' Greci e Latini, diedesi occasione a' Greci di chiamare i romani Pontefici, non già più Vescovi, ma Imperadori; e Pietro Diacono225 negli atti della disputa che ebbe avanti l'Imperador Lotario, difesi per veri dall'Abate della Noce226 contro il sentimento del Baronio, narra, che venuto in Italia da Grecia un Filosofo, orò avanti l'Imperador Lotario, e fra l'altre cose gli disse: Romanum Pontificem, Imperatorem, non Episcopum esse; e rapporta questo medesimo Scrittore227, che avendo egli avuta disputa col medesimo intorno alla processione dello Spirito Santo dal Padre, e dal Figliuolo, fra l'altre cose gli rinfacciò il Greco, parlando d'Innocenzio II, dicendogli: In Occidentali climate nunc impletum videmus, quod Dominus per Prophetam dicit, erit, ut Populus, sic Sacerdos, cum Pontifices ad bella ruunt, sicut Papa vester Innocentius facit, pecunias distribuunt, milites congregant, purpurea vestimenta amiciuntur.

Egli è però anche vero, che non potendo somministrargli i loro Stati forze e denaro sufficiente per mantenere eserciti numerosi, univano sovente alle armi temporali le spirituali, per le quali si rendevano ai Principi superiori ed a' Popoli tremendi. S'aveano appropriata la facoltà di deporgli da' loro Regni e Signorie, d'innalzargli ed abbassargli a lor talento, creare Duchi e Conti, ed infino di credersi facitori anche di Re e di Monarchi; e la cosa si ridusse negli ultimi secoli a tale estremità, che non vi fu Principe d'Europa, che come ligio non prestasse omaggio alla Sede Appostolica. In fine per questi mezzi pervennero a fare credere, che questo Regno fosse Feudo della lor Chiesa, ed a trattare i possessori come loro sudditi e vassalli.

Quindi nacquero le tante rivoluzioni e li tanti inviti di stranieri Principi fatti da' Pontefici al possesso di questo Reame, onde germogliarono tante guerre e disordini; e che in decorso di tempo i Re di Napoli considerando la potenza de' Pontefici essere istromento molto opportuno a turbargli il Regno, il quale per lunghissimo spazio confina col dominio ecclesiastico; alcuni, che non vollero soffrire il giogo, furon loro perpetui nemici, avendo moltissime volte perseguitati con l'arme i Pontefici, ed occupata più volte Roma; altri più placidi, che non vollero con quelli attaccar brighe, ricordandosi delle calamità accadute per ciò nel Regno de' Suevi, e negli ultimi secoli delle controversie, le quali i Re Alfonso I e Ferdinando suo figliuolo aveano molte volte avuto con loro, ed essere sempre pronta la materia di nuove contenzioni per le giurisdizioni de' confini, per conto de' censi, per le collazioni de' benefizi, per lo ricorso de' Baroni, e per molte altre differenze, proccurarono tenersegli amici, ed ebbero sempre per uno de' saldi fondamenti della sicurtà loro, che da se dipendessero o tutti, o parte de' Baroni più potenti del tenitorio romano228.

Si parlerà adunque ora de' Pontefici romani, come Principi; ed io reputo trattar così meglio la loro causa in questo soggetto dell'Investiture, che d'introdurgli in iscena con quell'altro personaggio. I Principi del secolo se riguarderanno i principj degli acquisti dei loro Reami e Monarchie, pochi potranno giustificargli con titoli legittimi. Essi non troveranno, che quello loro arreca la ragion della guerra, e molti troveranno usurpazioni e rapine; ma il lungo e pacifico possesso di molti secoli, gli fornisce di bastante ragione, e fa ora, che giustamente le posseggano, ed ingiusti saranno gl'Invasori. Così riguardando i Pontefici romani in quest'occasione come Principi, i quali possedendo in Italia molti Stati, eransi attaccati agli interessi di quella, ancorchè non potessero mostrar titolo bastante e legittimo di queste investiture, come qui a poco vedrassi, nulladimanco l'essersi per più secoli mantenuti in questo possesso, fa che oggi non possano reputarsi affatto spogliati di queste ragioni. Ma all'incontro a' Vicari di Cristo, ciò che a' Principi del secolo si reputa bastare, forse ciò non sarà sufficiente: essi dovrebbero entrar in iscrupolo, ed esaminare non tanto il tempo, ed il lungo possesso, ma l'origine, e riguardar le cagioni, i titoli ed i principj de' loro acquisti.

Ma prima, che si faccia passaggio a manifestar queste origini, e come a questi tempi cominciassero i romani Pontefici per queste investiture ad attentare sopra il temporale di queste province, con rendersele finalmente feudatarie, egli sarà a proposito, che in accorcio si faccia vedere lo stato di quelle, nel quale erano a questi tempi, e da qua' Principi eran dominate.

I tre Principati di Benevento, di Salerno e di Capua a' Principi longobardi eran sottoposti; in Benevento regnava Pandolfo III, col figliuolo Landolfo; in Salerno Guaimaro IV ed in Capua Pandolfo. Il Ducato d'Amalfi insieme con quello di Sorrento, che prima a quel di Napoli eran uniti, a Guaimaro ubbidivano. Quello di Gaeta era governato da Giovanni: l'altro di Napoli da Sergio era amministrato. La Puglia in gran parte era passata sotto la dominazione de' Normanni, e la Calabria n'era in pericolo, ma insino ad ora all'Imperio d'Oriente s'apparteneva. I due Imperadori d'Occidente e l'altro d'Oriente ugualmente sopra questi Stati vi pretendevano la sovranità e alto dominio. Quel d'Occidente come Re d'Italia lo pretendeva sopra tutto quel tratto di paese, che era prima compreso nell'antico Ducato di Benevento, ed abbracciava quasi tutto ciò che ora è Regno; quindi è, che sopra i Principi longobardi v'esercitava tutta la sovranità e potenza con deporgli, discacciargli da' loro Stati, e ad altri concedergli. Pretendeva lo stesso sopra la Puglia e la Calabria, che prima al Ducato beneventano furon in gran parte aggiunte; e poichè l'ambizione non ha confini che la possano circoscrivere, non v'era angolo di queste nostre regioni, che non pretendessero esser ad essi sottoposte; quindi s'arrogarono la facoltà d'investire Rainulfo del Contado di Aversa, ancorchè questa città fosse stata edificata nel territorio del Ducato di Napoli, il quale per antiche ragioni agl'Imperadori d'Oriente, non già a quelli di Occidente s'apparteneva.

All'incontro l'Imperadore de' Greci, forse con più ragione, pretendeva al suo Imperio d'Oriente appartenere tutte queste province, donde da' Longobardi furon divelte ed ingiustamente occupate. Le province di Puglia e di Calabria essere indubitatamente a quello sottoposte: e li Ducati di Napoli, d'Amalfi, di Gaeta e di Sorrento dal suo Imperio esser dipendenti.

Fra questi due Principi fu contrastata e combattuta la sovranità di queste nostre province, per la quale nacquero in fra di loro le tante guerre, che abbiamo nel corso di quest'Istoria narrate. Insino ad ora i Pontefici romani non si erano sognati d'entrar per terzi, e pretender anch'essi sopra le medesime qualche ragione di sovranità. Essi se bene sopra le spoglie de' Longobardi, che a' Greci l'aveano tolte, mercè di Carlo Magno e de' suoi successori, si fossero resi Signori del Ducato romano, dell'Esarcato di Ravenna, di Pentapoli e d'alcune altre città d'Italia, come si è veduto ne' precedenti libri di questa Istoria: sopra queste province però che oggi compongono il nostro Regno non estesero mai la loro mano; e se bene si legga presso Ostiense, che sopra Gaeta vi pretendessero dritto, e che alcun tempo la possedessero, nulladimeno ben tosto ritornò sotto il dominio de' Greci, e poi dai particolari Duchi di quella città fu governata: e quest'istesse pretensioni, che si leggono sol ristrette sopra Gaeta, maggiormente convincono, che sopra tutte le regioni dell'altre province non vi era di che dubitare Nè potevano in questi tempi tali pretensioni nascere dalla finta donazione di Costantino, o da quella di Carlo M. o di Lodovico il Buono; poichè è costante opinione presso i più gravi Scrittori, che tutti questi istromenti e diplomi, nella maniera che ora si veggono conceputi, furono supposti ne' tempi d'Ildebrando; e molto meno poteva sorgere questa loro pretensione da ciò che nel privilegio di Lodovico il Buono, e degli altri Imperadori suoi successori si legge di avergli questi Principi confermato il patrimonio beneventano, salernitano, capuano, napoletano e gli altri di Puglia e di Calabria; poichè questi patrimonj, siccome altrove abbiam veduto, non eran altro se non che i beni che la Chiesa romana per la pietà de' Fedeli, che glie le aveano offerti, teneva in queste province, e si dicevano il Patrimonio di S. Pietro; onde mal fece il nostro Chioccarelli229, che per dar fondamento a queste investiture, si valse della donazione di Costantino e de' privilegi di Lodovico e d'Ottone. Nè si è mai inteso, che i Principi di Benevento, que' di Salerno, o di Capua, e molto meno i Greci, avessero insino ad ora riconosciuti i romani Pontefici per loro Sovrani, o che mai avessero de' loro Stati ricercate investiture, con farsegli uomini ligi, o giurargli fedeltà ed omaggio.

Non è dunque da dubitare che i Pontefici romani sopra queste nostre province non v'aveano alcuna superiorità, nè ragione alcuna, onde mai potessero indursi a pretenderla, ma per le occasioni che loro si manifestarono a questi tempi, e delle quali, ricevute da essi avidamente, con molta accortezza seppero valersi, finalmente se l'acquistarono nella maniera, che diremo.

Dopo la morte di Clemente II, accaduta in Germania, dove nove mesi prima erasi unitamente coll'Imperadore portato; Benedetto, il quale scacciato da Errico erasi ritirato e munito ne' suoi propri castelli, invase ben tosto di nuovo il Ponteficato; ma non potè più ritenerlo, che otto mesi, poichè l'Imperador Errico dalla Germania mandò tosto Popone Vescovo di Brixen in Roma per successore di Clemente, che fu Damaso appellato. E questi morto di veleno dopo 22 giorni della sua esaltazione, i Romani cercando ad Errico, che gli mandasse per successore Bruno Vescovo di Toul, uomo di Nazione tedesco, e nato da regal stirpe, ma molto più illustre per la sua dottrina e santità de' costumi, lo elessero nell'anno 1049 romano Pontefice, e Lione IX fu appellato.

Si credè allora, come rapportano i Scrittori230 suoi contemporanei, che per l'elezione di sì eminente soggetto, che in tempi sì rei non fu poco rinvenirlo, dovessero aver fine i tanti disordini del Clero, e riposarsi l'Italia in una tranquilla pace; ma quantunque la pietà di Lione e i suoi costumi incorrotti fossero tali, che finalmente l'avessero meritato il titolo di Santo; non è però che non tanto per lo suo naturale, quanto per l'altrui istigazione, non fosse stato riputato per autore di molte novità, che portarono con se disordini gravissimi, e conseguenze assai perniziose. Egli fu che mentre traversava la Francia vestito con abiti pontificali, incontratosi a Clugnì con Ildebrando Monaco Cassinese, uomo di singolar accortezza, si fece da costui persuadere, che deposti gli ornamenti pontificali entrasse in Roma da pellegrino, ed ivi dal Clero e dal Popolo si facesse eleggere Pontefice, togliendo l'abuso da mano laica ricever quel sommo Sacerdozio231. Seme, che fu de' tanti disordini e guerre crudeli, che sursero da poi tra i Papi e gl'Imperadori d'Occidente, intorno alle investiture, i quali vedutisi contrastare questa prerogativa, che per più anni si aveano mantenuta, mossero per conservarsela eserciti armati, portando da per tutto incendi e ruine: e che all'incontro i successori di Lione, e sopra gli altri l'istesso Ildebrando, che tenne quella Sede, colle scomuniche, deposizioni e congiure, insino a far rivoltar i figliuoli contro i propri genitori, ponessero in iscompiglio Europa; onde persuasi assai più dall'esempio di Lione, che dalla forza della ragione renderonsi i Pontefici più animosi e ostinati nelle loro intraprese.

Ma assai più pernizioso, e di più ree conseguenze fu l'altro esempio, che diede Lione di porsi alla testa d'eserciti armati. Altre volte abbiam veduto Giovanni VIII e X romani Pontefici alla testa d'armate, però questi ebbero almeno il pretesto d'impugnar l'armi temporali contro i perfidi ed infedeli Saraceni, e contro coloro che s'erano a' medesimi collegati; ma ora Lione l'impugna contro i più fini Cristiani, come erano i Normanni, che in pietà, e nella religione cattolica non eran inferiori a qualunque altra Nazione: l'impugna senza ragionevole cagione o pretesto di religione, ma per solo fine d'ingrandire le forze temporali della Chiesa, e d'arricchirla di beni mondani; move un'ingiustissima guerra cotanto a Dio spiacente, che coll'evento infelice fece palese la sua ira ed indignazione. Se a quest'impresa si fossero accinti i suoi predecessori, che per i loro abbominevoli costumi eran riputati la peste del Mondo, non avrebbe ne' suoi successori portato questo esempio tanto male; ma essere stata opera di Lione santo Pontefice, fecegli più animosi, nè si ritennero da poi avanzarsi in maggiori stranezze e novità; non avvertendo ciò che Pier Damiani Scrittor contemporaneo, parlando di questo fatto di Lione, dice che l'Appostolo Pietro fu Santo, non perchè negò Cristo, ma per l'altre sue insigni ed incomparabili virtù, siccome Lione non per questi fatti, ma per la sua innocenza e per gl'incorrotti suoi costumi, meritò questo titolo.

Lione IX adunque per la sua pietà e divozione ebbe frequenti occasioni di portarsi in molti luoghi di queste province. Venne nell'istesso anno 1049 che fu assunto al Ponteficato, e nel quale accadde la morte di Pandolfo Principe di Capua, a visitar il santuario del Monte Gargano232: indi al ritorno portossi a Monte Cassino, ove conversando assai familiarmente con quei Monaci, di molte prerogative ornò quel monastero, ed indi a Roma ritirossi. Ma non fece passar molto tempo, che nell'anno seguente 1050 vi ritornò di bel nuovo: vi è chi scrive, che in questo medesimo anno tenesse un Concilio a Siponto ove depose due Arcivescovi; ma di questo Concilio sipontino soli Viberto e l'Anonimo di Bari ne fan menzione, poichè nè presso Ostiense, nè in altri ve n'è memoria: indi terminate le visite de' santuari, volle vedere le città più cospicue del paese, si portò prima in Benevento, ove ebbe occasione di ben affezionarsi que' cittadini, e tiratigli alla sua divozione, poichè stando ancora quella città sottoposta all'interdetto di Clemente suo predecessore, egli lo tolse.

Da poi nell'anno seguente volle veder Capua, indi ritornò la seconda volta a Benevento, nè volle tralasciare di portarsi in Salerno in questo medesimo anno 1051. Questa città nel seguente anno 1052 fu veduta ne' maggiori sconvolgimenti per l'orribile assassinamento di Guaimaro oppresso da una congiura orditagli dagli Amalfitani, che avea egli indegnamente trattati, da' suoi congionti e da alcuni Salernitani, i quali presso il lido del mare avendolo crudelmente ucciso, invasero la città. Ma Guido fratello di Guaimaro aiutato da' Normanni, dopo il quinto giorno riebbela, ed a Gisulfo figliuolo di Guaimaro fu resa, che al padre succedè nel Principato233.

Ma nelle dimore che faceva in queste città il Papa piacevagli sentire le querele, che gli erano portate da' Pugliesi, e dagli stessi Principi longobardi contro i Normanni, i quali ricevendo tutto giorno maggiore incremento per li nuovi acquisti che facevano nella Calabria e nel Principato di Benevento, cominciavano ad insospettire i Principi vicini; e molto più a Lione, il quale, siccome i suoi predecessori s'insospettirono de' Longobardi, così egli mal soffriva che i Normanni s'avanzassero tanto, ed avendo scorto ch'erano uomini non così facili da potergli ridurre a lasciare l'acquistato, e che sovente facevano delle scappate sopra i beni delle Chiese, riputò non ben convenire agli interessi suoi, dell'Imperadore Errico suo cugino, e dell'Italia che questa Nazione più oltre s'avanzasse: deliberò pertanto di passar in Alemagna, come fece in quest'istesso anno 1051, e portatosi dall'Imperadore Errico, l'espose che i Normanni resi oramai insoffribili agli abitanti del paese, estendevano i loro confini oltre i luoghi, de' quali furono da lui investiti, e che tentavano di soggiogar tutte quelle province, e sottrarle dall'Imperio d'Occidente; che insolenti depredavano ancora le robe delle Chiese: che non bisognava più sofferirgli, perchè avrebbero portato maggiore ruina, ma che dovessero di Italia scacciarsi: che gli dava il cuore di farlo, se fornito d'un numeroso esercito, lo rimandasse in Italia, perch'egli ponendosi alla testa di quello avrebbe scacciati questi Tiranni. Furono così efficaci gli ufficj di Lione appresso Errico, che lo persuase a dar mano a quest'impresa, ed avendo comandato, che s'unisse un numeroso esercito d'Alemani, ne diede il comando a Lione istesso, il quale già aveva ordinato che marciasse verso Italia234. Ma Gebeardo Vescovo di Eichstat, il quale era in grande familiarità dell'Imperador Errico, e ch'era suo Consigliero, riprovando un fatto sì scandaloso, che i Pontefici romani dovessero porsi alla testa d'eserciti armati contro i Cristiani, non potè non riprenderne acremente l'Imperadore, e tanto adoperossi, che destramente fece tornar indietro le truppe, solamente alcune rimanendone appresso Lione. Nè dee qui tralasciarsi, che quest'istesso Vescovo fatto poi Papa, detto Vittore II mutò tosto sentenza, e si doleva di questo fatto d'aver impedito a Lione sì numeroso soccorso, riputando forse, che con quello meglio avrebbe potuto avanzar Lione gl'interessi della sua sede, di ciò che non gli venne fatto; poichè per la sua prigionia li peggiorò.

Non tralasciò allora Lione in questa occasione di pensare anche agl'interessi della sua Chiesa romana per una commutazione, nella quale così egli, come Errico trovavano i loro vantaggi. Errico I da' Germani appellato II avea in Bamberga a spese del proprio patrimonio edificata una magnifica chiesa in onore di S. Giorgio; e volendola ergere in cattedrale, proccurò da Benedetto Papa, che la consecrasse, ed in sede vescovile la ergesse: così fu fatto; ma bisognò che l'Imperadore offerisse alla Chiesa di Roma un annuo censo, che fu stabilito d'un generoso cavallo bianco con tutti i suoi ornamenti ed arredi, e di cento marche d'argento ogn'anno.

(L'Imperadore Errico il Santo nell'anno 1005 la Chiesa da lui edificata in Bamberga in onore di S. Giorgio, come scrive Ostiense, ma secondo gli Scrittori germani chiamata di S. Pietro, da un Sinodo tenuto in Francfort, precedente il consenso del Vescovo di Erbipoli, dentro i confini della cui diocesi era posta, l'avea fatta ergere in cattedrale, come si legge negli atti di questo Sinodo presso Ditmaro235, Episcopatum in Bamberga, cum licentia Antistitis mei facere hactenus concupivi, et hodie perficere volo desiderium, dando in iscambio al Vescovo d'Erbipoli alcuni beni. E così l'erezione, come questa commutazione fu da poi nel seguente anno 1006 confermata per una bolla di Giovanni XVII che si legge presso Gretsero nella vita d'Errico c. 40. E nel 1007 in un altro Sinodo di Francfort da tutti i Vescovi, che vi intervennero, fu di nuovo tutto ciò confermato ed ordinato Eberardo per primo Vescovo di Bamberga; onde opportunamente avvertì Struvio Syntag. Hist. dissert. 13. §. 26 pag. 385. che per ciò alcuni Scrittori confondendo la fondazione con questa confermazione, fissarono la fondazione nell'anno 1006 ed altri nell'anno 1007. Fu da poi nell'anno 1011 secondo Mariano Scoto, ovvero nell'anno 1012 secondo gli Annali Einsidelensi, Ditmaro, e Schafnaburgense, questa chiesa con gran celebrità dedicata, e consecrata da Giovanni Patriarca di Aquileia coll'intervento di 35 Vescovi, siccome narra Ditmaro ad d. An. 1012. E da poi Errico di ciò non contento volle avere anche il piacere, che Benedetto VIII venisse egli di persona a consacrarla, ed ergerla in sede vescovile, del qual fatto parla Lione Ostiense lib. 2 c. 46 tralasciando le cose precedenti, poichè questo faceva al suo istituto, ch'era di additarci l'origine e la cagione della commutazione, che poi da Errico il Negro si fece di queste ragioni acquistate per Papa Benedetto alla Chiesa romana sopra quella di Bamberga, colla città di Benevento.)

Voleva ora Errico il Negro liberar questa Chiesa dal censo, e dalla soggezione della Chiesa romana, con renderla esente da tal peso: Lione non ripugnava di farlo: ma non potendo ciò seguire, se vicendevolmente alla Chiesa romana non si assegnasse altra cosa, si pensò a qualch'espediente. Fu tosto ritrovato un modo vantaggioso per ambedue.

Errico per gl'indegnissimi tratti de' Beneventani, che avevano avuto ardimento di chiudergli in faccia le porte, odiava a morte quella città; e pensando che con difficoltà avrebbe potuta ridurla sotto il suo arbitrio per vendicarsene, pensò commutarla col Papa per queste ragioni di Bamberga. Lo stato allora del Principato di Benevento era, come si è detto, che la città si reggeva dal Principe Pandulfo, e Landolfo suo figliuolo, ma gran parte di quello era già passato sotto la dominazione de' Normanni, a' quali l'istesso Errico avea in quella occasione, che si disse, conceduta tutta la terra beneventana; nè i Normanni, che anche senza questo, sapevano approfittarsi sopra le altrui spoglie, aveano tralasciato di farlo sopra il rimanente del Principato. Così Errico, che poco dava del suo, se non le ragioni di sovranità, che pretendeva sopra quella città, posseduta allora da Pandolfo diede in iscambio a Lione la città di Benevento, che egli a' Normanni non avea conceduta, nè s'estese oltre, poichè del territorio beneventano ne avea egli stesso poco prima investito i Normanni. E sarebbe stata cosa pur troppo incredibile, che questa permutazione fessesi fatta coll'intero Principato di Benevento, che se bene in questi tempi si trovasse molto estenuato per li Principati di Salerno e di Capua divelti; nulladimanco abbracciava più città e terre di una ben ampia e grande provincia del Sannio, che comprendeva gli Abruzzi, il Contado di Molise, e molte altre parti ancora dell'altre province; e sarebbe follia il credere, che il Principato di Benevento si fosse cambiato per cento marche d'argento, poichè il Cavallo bianco non fu rimesso; nè veramente può comprendersi, come alcuni moderni Scrittori, chi inconsideratamente, altri però per malizia, abbiano potuto farsi uscir dalla penna stravaganza sì grande senza appoggio alcuno di Scrittore contemporaneo, ed invece della città di Benevento, scrivere del Principato beneventano; poichè noi non abbiamo Scrittore più antico, che parli di questa commutazione, che Lione Ostiense236, il quale chiaramente rapporta, siccome la cosa istessa lo dimostra, che tal commutazione fu del Vescovado di Bamberga, colla città di Benevento non già del Principato; e Pietro Diacono237, che poco da poi di Lione aggiunse al suo luogo questo successo, pure della città sola parla, non già del Principato: siccome le cose seguite da poi lo rendono manifesto, poichè la Chiesa romana ha ritenuta la città sola, non già il Principato, sopra il quale non pretese mai avervi particolar ragione, ma corse la fortuna di tutte le altre province, come osserverassi nel corso di quest'Istoria. Anzi nè meno a questi tempi ebbe esecuzione tal permuta; poichè Lione tornato in Italia colle truppe datogli dall'Imperadore, ancorchè pel terrore dell'armi, il Principe Pandolfo col suo figliuolo, all'arrivo di Lione fossero stati esiliati238 da quella città, e fossesi eletto per Principe di Benevento un tal Rodolfo, nulladimanco ben presto vi ritornarono, e tennero Benevento per molti anni, insino che da Roberto non ne fossero scacciati nell'an. 1076 dal qual tempo per accordo fatto co' Normanni, la città di Benevento cominciò ad esser governata dalla Chiesa romana, ed il Principato da' Normanni; come più innanzi diremo; onde il novello Istorico napoletano239, che con grande apparato di parole narrando questi trattati avuti per questo cambio, dice essersi fatto col Principato di Benevento, erra d'assai, e si vede non aver letto Ostiense, che parla della città sola di Benevento.

Lione intanto postosi alla testa d'una grossa armata fornita di truppe alemane, e d'un gran numero di truppe italiane, e composta non meno di Laici, che di Cherici240 diede il comando delle alemane e di quelle di Suevia a Guarnerio Suevo, e dell'altre ad Alberto Tramondo, ad Asto ed a Rodolfo poco innanzi da lui eletto Principe di Benevento, e verso la Puglia fece marciar l'esercito per dare con sì formidabili forze la battaglia a' Normanni, i quali trovandosi allora di forze ineguali, credè potere leggermente vincere, e discacciargli dalla Puglia, e da tutti i luoghi insino allora da essi conquistati.

I Normanni sorpresi dalla novella di questa marcia, ne concepirono grande spavento, non solo perch'essi in quella congiura orditagli da Argiro aveano perduto i principali lor Capi, e la maggior parte de' prodi guerrieri, ma perchè aveano da combattere con un'armata non punto composta di Greci e di Pugliesi, ma d'Alemani, uomini di statura e forza prodigiosa, pieni di coraggio, ed abili nell'arte militare: s'aggiungeva il non potersi fidare de' Pugliesi per l'avversione, in cui erano appresso quelli entrati. Pensarono perciò a' modi come potessero sottrarsi dalla tempesta, che gli soprastava; onde spedirono a tal effetto Ambasciadori al Papa per domandargli la pace; offerirono d'ubbidirgli in tutte le sue cose; ch'essi non pretendevano altro, che di possedere quelle terre, che aveano acquistate co' loro travagli e sudori, e colle armi alle mani: che non avrebbero invase le robe della Chiesa, offerendogli il lor servigio con tanta sommissione e riverenza, che non poteva farsi con più umiltà e rispetto. Ma Lione che credea per le sue forze aver tra le mani la vittoria, stimolato anche dagli Alemani, che dalla statura bassa de' Normanni ne concepirono disprezzo, ne rimandò gli Ambasciadori con risposta pur troppo dura; ch'egli non voleva punto aver pace con essi, se non uscivano d'Italia; ma replicando coloro, ch'era quasi ch'impossibile ridurre una sì gran moltitudine a cercar altrove una ritirata per essi, e per le loro famiglie, furono sparse al vento le loro preghiere, e rimandati senza conchiuder cos'alcuna.

Quando a' Normanni furono riportate sì dure risposte, voltatisi alla disperazione, risolvettero infra loro, che più tosto bisognava finir di vivere gloriosamente, che lasciare con tanta indegnità e vergogna ciò ch'essi a costo di tanti sudori e travagli aveansi acquistato; e non curandosi punto, che oltre la disuguaglianza delle forze, mancavan loro ben anche i viveri, si risolvettero di ricever tosto la battaglia, ancorchè con tanto loro disavantaggio, risoluti o di morir tutti o di vincere.

Divisero perciò le loro truppe, che poterono radunare in tre corpi, a' quali per Comandanti preposero i più celebri Capitani ch'essi aveano, fra' quali erano allora sopra tutti gli altri eminenti il Conte Umfredo, Roberto Guiscardo, e Riccardo Conte d'Aversa, figliuolo d'Asclettino, il quale a Rodolfo era succeduto.

Intanto l'esercito di Lione si collocò in atto di battaglia in una gran pianura presso Civitade nella provincia di Capitanata241, ed avendo sotto i nominati Comandanti disposte le truppe, non v'era altro ostacolo per darla, se non una piccola montagna, che divideva amendue gli eserciti. I Normanni furono i primi a montarla per riconoscere gl'inimici, e ravvisata la situazione di quella infinita moltitudine d'Italiani, che niente aveano di regolare nella maniera di guerreggiare, ed un numero assai inferiore d'Alemani meglio disposti, e molto più da temersi, presero tosto le loro misure, e divisero la loro piccola armata in tre corpi. Diessi l'ala dritta a Riccardo Conte d'Aversa per iscaricar su gl'Italiani: Umfredo si mise nel corpo di battaglia per assaltar gli Alemani con quella cavalleria ch'avea; e Roberto Guiscardo ebbe l'ala sinistra con un buon numero di Calabresi scelti, che avea al suo servigio interessati, da poi ch'era stato nel loro paese. Egli avea ordine di non molto avanzarsi, ma di fare come un picciol corpo di riserba, sempre pronto a sostenere il resto dell'armata, ed a fornirla ne' bisogni di truppe recenti.

Riccardo assaltò da prima gl'Italiani comandati da Rodolfo, e caricogli improvisamente, e con tanto vigore, che non ebbero agio nè pur di far la minima resistenza. La paura gli confuse in maniera, che ritirandosi a poco a poco gli uni opprimevano gli altri, e seguitandogli valorosamente Riccardo, si diedero ad una fuga vergognosa, tanto che questo prode Capitano a colpi di spade e di dardi ne fè strage infinita242.

225.Auctar. Chron. Cass. lib. 4 cap. 115.
226.Ab. de Nuce in Excurs. hist. ad dict. lib. 4 cap. 8.
227.Petr. Diac. loc. cit. cap. 116.
228.V. Guicciard. hist. Ital. lib. 1.
229.Chioc. tom. 1 dell'Invest.
230.Desiderius Abb. Ostiens. lib. 2 c. 81.
231.Ottone Frising. VI. cap. 3.
232.Lione Ostiense lib. 2 cap. 82.
233.Ostiens. lib. 2 c. 85.
234.Ostiens. lib. 2 c. 84.
235.Ditmaro l. 6 p. 383.
236.Ostiens. lib. 2 cap. 46. Postmodum Leo IX Papa vicariationis gratia Beneventum ab Henrico Corradi filio recipiens, praedictum Episcopum Bambergensem sub ejus ditione remsit, equo tantum, quem praediximus, sibi retento.
237.Petr. Diac. ad Ostiens. lib. 2 c. 84.
238.Chron. Duc. et Princ. Benev. apud Pellegr. pag. 266 et exiliati sunt.
239.P. Giannetas. hist. Neap. lib. 9.
240.Lambert. apud Baron. A. 1053 num. 3. Item alios quamplures tam Clericos, quam Laicos in re militari probatissimos.
241.Malaterra l. 2 c. 14.
242.Ostiens. l. 2 c. 87.
Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
22 ekim 2017
Hacim:
540 s. 1 illüstrasyon
Telif hakkı:
Public Domain
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