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Kitabı oku: «Istoria civile del Regno di Napoli, v. 3», sayfa 2

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CAPITOLO II
Ottone II succede al padre; disordini nel Principato di Salerno, nel quale finalmente vi succede Pandulfo

Essendo morto in quest'anno Ottone il Grande, Ottone II suo figliuolo, che vivente il padre era stato associato all'imperio, cominciò a regger solo il Regno d'Italia, e ad esercitare quivi tutta quella sovranità, che suo padre aveasi acquistata, la quale sopra queste nostre province assai più accrebbesi per la discordia de' nostri Principi longobardi; poichè mentre Pandulfo Capo di ferro restituito in Capua sua sede, insieme con Landulfo IV suo figliuolo, che sedeva in Benevento, reggevano questi due Principati, accaddero in Salerno sì strane revoluzioni e sconvolgimenti, che posero sossopra tutto quel Principato. Origine di tanti mali fu la soverchia fidanza, ch'ebbe Gisulfo con suoi congiunti, i quali da esuli ch'erano, avendo voluto richiamargli ed ingrandirgli, portarono con inaudita ingratitudine la ruina del suo Stato.

Atenulfo II quegli, che, come si disse, discacciato da Capua erasi ricovrato in Salerno sotto Guaimaro II suo genero, lasciò più figliuoli, ch'esuli insieme col padre lungo tempo eran andati raminghi. Uno d'essi Landulfo chiamato, si ricovrò prima col padre in Salerno, da poi andossene ad abitare in Napoli; ma da poi ad intercessione di Gaidelgrima sua sorella, moglie che fu di Guaimaro II, e madre di Gisulfo I. fu da questo Principe ch'era suo nipote, per non disgustarsi sua madre richiamato in Salerno; e Gisulfo oltre averlo affettuosamente accolto diedegli anche il Contado di Consa; ma perch'era un uomo assai crudele ed insoffribile, i Consani non potendolo più soffrire, lo discacciarono da Consa, nè Gisulfo potè tollerarlo guari in Salerno, onde discacciato bisognò che di nuovo in Napoli facesse ritorno con la sua casa: avea procreati Landulfo quattro figliuoli, Guaimaro, Indolfo, Landulfo e Landenulfo.

Accadde, che mentre Landulfo con questi suoi figliuoli erano in Napoli, Gisulfo s'ammalasse, onde Gaidelgrima sua madre, toltolo a tempo cominciò tutta dolente e lagrimosa a piangere, di che Gisulfo accortosi, dimandò, che s'avesse: ella rispose immantinente; piango, perchè avendo perduto mio marito, ora veggo te infermo: nè ho chi in tanta amaritudine possa consolarmi, poichè anche il mio fratello è da me lontano: che dunque, rispose Gisulfo, avrò da fare? che si richiami, replicò ella, con tutta la sua famiglia. Gisulfo vinto dalle lagrime di sua madre, che si richiami le rispose: e risanato da quella infermità, fu Landulfo tosto richiamato in Salerno, e portò seco tre suoi figliuoli, lasciando in Napoli Landulfo uomo d'ingegno astuto e pieno d'inganni.

Fu accolto Landulfo dal Principe con molti segni di stima, di molti poderi l'arricchì, e restituigli ancora il Contado di Consa; e niente prevedendo di ciò che poteva accadergli, l'innalzò tanto, che narra l'anonimo Salernitano24 suo contemporaneo, che lo costituì dopo lui nel primo grado in Salerno. Co' suoi figliuoli fu ancora liberalissimo, a Guaimaro diede il Contado di Marsico nel Principato di Salerno, concedendogli quasi tutte le ragioni ed emolumenti del suo fisco. Ad Indolfo donò il Contado di Sarno. A Landenulfo il Contado di Lauro, pure nel Principato di Salerno; ed essendosene costui poco da poi morto nell'anno 971 fu richiamato da Napoli Landulfo, al quale Gisulfo concedè il Contado stesso di Lauro, non senza indignazione de' Salernitani e de' Nobili di quella città, che vedevano con tanta imprudenza di Gisulfo sublimati questi Principi.

Landulfo padre, entrato in tanta grandezza, tosto cominciò a pensar modi, come potesse invadere il Principato di Salerno: egli vedutosi con tante forze si proccurò ancora il favore de' Duchi d'Amalfi e di Napoli, perchè l'assistessero a quest'impresa ed ajutato da quelle de' suoi figliuoli, e da Landulfo precisamente uomo accorto ed astuto, avendo con alquanti congiurato il modo, una notte, avendo corrotti i custodi, ebbe modo d'entrare nel Palazzo del Principe: ivi avendo preso l'infelice Gisulfo insieme con l'infelice Principessa Gemma sua moglie, figliuola d'Alfano ed agnata di Lamberto Duca di Spoleto, furono imprigionati, e dando a sentire agli altri essere stati ammazzati, fu la città posta sossopra. I Salernitani credutigli morti si posero in somma costernazione, nè sapendo che si fare in tanta revoluzione, furono costretti di giurare per Principe Landulfo lor tiranno, il quale temendo non si scoprisse esser vivi Gisulfo e la Principessa Gemma, tosto gli fece levare da Salerno ed in Amalfi gli fece condurre; indi, discacciati che gli ebbe, assunse anche per collega al Principato Landulfo suo figliuolo in quest'istesso anno 972 ovvero 973.

Presedeva in questi tempi per Duca in Amalfi Mansone Patrizio, ed in Napoli, come si disse, Marino Patrizio. Questi intesi della congiura, subito che udirono essere stato Gisulfo da Salerno scacciato, vennero in Salerno con alquante truppe per soccorrere Landulfo, e stabilmente fermarlo nel Principato25. Non si vide maggiore ingratitudine di quella che usò Marino Duca di Napoli in quest'incontri, il quale dimenticatosi tosto de' beneficj ricevuti da Gisulfo, dimenticatosi ancora de' tanti giuramenti fatti di soccorrerlo, ora s'unisce col tiranno per discacciarlo dalla sede.

Ma furono questi disegni ed iniqui consigli dissipati ben tosto; poichè ricredutisi i Salernitani, che Gisulfo e la Principessa Gemma non eran morti, ma vivi erano in Amalfi, tosto cominciarono a tumultuare e a fremere contro essi medesimi di tanta credulità e de' passi che avean dati. S'aggiunse ancora, che Indolfo, che aveva veduto assunto per collega al Principato Landulfo suo fratello, e di lui niun conto tenersi, contro ciò che il padre con più sacramenti gli avea promesso, cominciò ad aspirare al Principato, sollecitando perciò Marino Duca di Napoli, che l'ajutasse in quest'impresa: fu perciò, per sedare in parte i tumulti, risoluto di prendere Indolfo e mandarlo in Amalfi, siccome preso che fu, nascostamente fu mandato in quella città: e tolto l'oppositore, i Salernitani furono costretti a giurare a Landulfo il Giovane, Principe assai crudele e scaltro. Ma con pernizioso consiglio richiamato non molto da poi Indolfo in Salerno, questi dissimulando il torto, cominciò a rendersi i Salernitani benevoli, co' quali profusamente trattava, e ridotti al suo partito i più principali e' congiunti del Principe Gisulfo, cominciò ad insinuar loro, che discacciati i tiranni si dessero a Pandulfo Capo di ferro, il quale saprebbe colle sue forze restituirgli Gisulfo, ed intanto proccurassero fortificarsi ne' Castelli, affinchè alla venuta di Pandulfo potessero tosto portargli ajuto e soccorso. In fatti molti Proceri salernitani, e fra gli altri gl'istessi Riso e Romoalt, due celebri personaggi, pentitisi di quanto aveano cooperato nella congiura, si portarono in Amalfi avanti i Principi discacciati, ed ivi con molti giuramenti e pianti dolutisi del torto, che si era a loro fatto, promisero fare ogni sforzo di ritornargli nella pristina dignità.

Il Principe Pandulfo invitato da' congiunti del Principe Gisulfo e da' Salernitani, i quali in varj castelli s'erano fortificati per ricever il suo ajuto, compassionando il caso di quell'infelice Principe, che era suo consobrino, prese con incredibile allegrezza l'impegno di restituire Gisulfo in Salerno; ed avendo unito alquante sue truppe s'incamminò verso Salerno. Fu incontrato da Indolfo, che gli cercò per se il Contado di Consa; ma Pandulfo dichiarandosi che non poteva ciò fare; questi pien di mestizia pensò tornare in Salerno, ove fu preso da' suoi stessi ed a Landulfo consignato. Intanto Capo di ferro unitosi co' Salernitani, che stavano ne' castelli, espugnò tutti i luoghi del Principato di Salerno, depredando il paese intorno, ei cinse Salerno di stretto assedio. I Landulfi padre e figliuolo gli fecero molta resistenza, e non fidandosi de' Salernitani valevansi di Mansone Patrizio, che tenevan presso di loro nel Palazzo co' suoi Amalfitani, ai quali diede la custodia delle torri che circondavano la città; ma non poteron lungo tempo resistere alle forze di Pandulfo, il quale finalmente nell'anno 974 l'espugnò, e discacciati i tiranni, non per se occupolla, ma in quest'istesso anno la restituì al legittimo Principe. Gisulfo e Gemma, o perchè così fra di loro fossero convenuti o pure per gratitudine di tanti beneficj, non tenendo figliuoli, adottaronsi per loro figliuolo Pandulfo figliuolo di Pandulfo, che vollero anche istituirlo Principe di Salerno, e Gisulfo volle averlo per Compagno nel Principato insin che visse, cioè sin all'an. 97826. Ed egli morto in quest'anno, restando Pandulfo successore in Salerno, volle anche Pandulfo suo padre assumere il titolo di Principe insieme col figliuolo, onde si fece, che nella persona di Pandulfo Capo di ferro s'unissero tre titoli, e fosse detto Principe insieme di Capua, di Benevento, e di Salerno. Quindi l'Anonimo Salernitano, che in questi tempi vivea, e che fin qui continuò la sua istoria, che a questo Principe dedicolla, in un carme che compose in lode del medesimo, lo chiamò Principe di queste tre città dicendogli:

 
Tempore praeterito Tellus divisa maligno
Unitur tuo ecce, tuente Deo 27.
 

Siccome il valore e prudenza di Atenulfo I potè far argine alla ruina de' Longobardi, la quale per le tante rivoluzioni e disordini di queste province, era imminente; così ora la potenza di Pandulfo Capo di ferro trattenne alquanto il corso della loro caduta; ma s'avrebbe potuto sperare dal valore di questo Principe qualche buon frutto, se non avesse già poste profonde radici quella pessima usanza de' Longobardi di partir ugualmente i loro Stati tra' loro figliuoli, i quali se bene presentemente si vedevano ne' titoli uniti in una sola persona, non è però, che Capo di ferro non avesse aggiudicato il Principato di Benevento a Landulfo IV, suo figliuolo, e quello di Salerno a Pandulfo altro suo figliuolo. Tutti i Principi longobardi della razza di Landulfo I Conte di Capua, que' di Benevento ancora e gli altri di Salerno, ebbero costume di provvedere tutti i loro figliuoli di proprj Feudi; e se bene nel principio gli amministravano indivisi, ancorchè ciascuno riconoscesse la sua parte, e sotto le medesime leggi; nulladimanco la condizione umana dovea portare per conseguenza la discordia fra di loro, onde poi divisi in fazioni diedesi agli esterni pronta occasione d'occupargli. Le massime della politica s'apprendevano allora dalla Scrittura Santa, non avendo per la barbarie de' tempi altri libri donde fossero meglio istrutti: essi leggendo quivi l'ammonizione di Davide, dicente, non esservi cosa più gioconda, che habitare fratres in unum, si regolavano da questo detto: ma non vedevano che ciò era ben da desiderare, e conseguito da tenersi caro; ma per la condizione umana era difficile a porsi in pratica; e potevano dalla medesima scrittura apprendere, che ogni regno diviso, per se stesso sì dissolverebbe. Comunque siasi non gli dava il cuore che al primogenito si dasse tutto, per ciò fattosi luogo alla successione, la città principale era ritenuta dal primogenito, e gli altri fratelli erano investiti di Contadi ed altri Feudi, de' quali per essere i possessori della stessa razza, da dependenti Signori, che ne erano, se ne rendevano assoluti. Così abbiam veduto di Radelchiso Principe di Benevento, il quale avendo da Caretruda generati dodici figliuoli, oltre Radalgario, che gli succedette, gli altri furono tutti Conti. Lo stesso accadde del Principato di Salerno, il quale, come si è detto, diviso da Gisulfo, con indignazione de' Salernitani, in tanti Contadi tra i figliuoli di Landulfo, fu veduto possedersi da tanti, oltre i Proceri salernitani, i quali ne' loro castelli viveano ben fortificati con assoluto ed independente arbitrio.

Ma sopra tutto il Principato di Capua patì questa deformazione; poichè dalla razza d'Atenulfo, come dal cavallo trojano ne uscirono tanti Conti e Signori, che riempierono non meno Capua, che Benevento di Contadi e Signorie. Del sangue di questo Principe uscirono i Conti di Venafro, di Sessa, d'Isernia, di Marsico, di Sarno, di Aquino, di Cajazza, di Teano e tanti altri. Li quali se bene, come si è altre volte detto, nel principio fossero stati conceduti in Feudo, nulladimanco poi ciò che era loro stato dato in amministrazione passò in signoria; ed insino a questi tempi la cosa era comportabile, perchè la concessione per la morte o fellonia del Conte, restava estinta, nè il Contado passava all'erede; ma in questi tempi indifferentemente praticavasi, per la ragione altrove rapportata, che passasse a' figliuoli ed eredi, concedendosi l'investiture pro se et haeredibus, siccome tra gli antichi monumenti si legge investitura fatta nell'anno 964 in Capua da Pandulfo Capo di ferro, e da Landulfo suo figliuolo della città d'Isernia colle sue pertinenze a Landulfo e suoi eredi28.

Così concedendosi tanti Contadi e Feudi, non solo vennero a multiplicarsi e poi dividersi in tante parti, ma investendone quelli del medesimo loro sangue, si invogliavano ad aspirare alla signoria independente, e posero con ciò in iscompiglio e disordine gli Stati, che per ultimo restarono preda d'altre nazioni.

§. I. Cognomi di famiglie restituiti presso di noi, che per lungo tempo erano andati in disuso

Dal numero di tanti Feudi e Contadi posseduti da varie famiglie, sursero i cognomi per disegnarle; poichè i Longobardi non avendo cognomi per denotare le particolari famiglie, dalle città e terre che possedevano ed ove aveano fermata residenza, presero i cognomi; e cominciossi tratto tratto in queste nostre parti a restituire il costume degli antichi Romani; i quali cognomi se bene in questi tempi degli ultimi nostri Principi longobardi si cominciassero a restituire, succeduti da poi i Normanni, questi furono che gli accrebbero in immenso, onde si restituirono in tutti i cognomi, che diedero da poi distinzione alle famiglie.

I Romani, che non conobbero Feudi trassero i cognomi altronde, non da' luoghi che forse avessero i loro maggiori posseduti. Ma come che presso i medesimi la pastorizia e l'agricoltura era avuta in molta riputazione, moltissime famiglie trassero il cognome dalle cose rusticane a queste appartenenti: quindi i Latuzj, i Melj, gli Frondisj, i Fabj, i Pisoni, i Lentuli ed i Ciceroni; e dalla pastorizia, i Bubulci, i Bupecj, Juvenci, i Porzj, Scrofe, Pilumni, Juni, Satirj, Tauri, Vituli, Vitellj, Suilli, Capriani, Ovini, Caprillj, Equini ed altri, de' quali fece lungo Catalogo il Tiraquello29.

Anche presso i medesimi sortirono le famiglie il cognome dalla natura, che ora propizia, ora inimica deformò loro il corpo o l'animo d'alcun vizio, o l'arricchì di qualche speziale avvenenza, o di buon costume: così dalla larghezza de' piedi, surse il cognome de' Planci; dalla grassezza, quello de' Grassi; dagli capegli l'altro de' Cincinnati; da' nasuti, i Nasoni e tanti altri. Sovente da' costumi, come Metello Celere, dalla sua celerità; altronde dal caso, come Valerio Corvino; altrove dal luogo conquistato, come Scipione Affricano, e così degli altri30.

Ma presso questi ultimi nostri Longobardi per la maggior parte i cognomi sursero dalle città e castelli, che i loro antenati possederono, e ne' quali essi trasferivano la loro abitazione, ed ivi dimoravano in tutto il tempo della loro vita. Così dal castello di Presensano surse il cognome di Presensano, la qual famiglia insieme col castello mancò in Capua dopo il tempo del Re Roberto. Così ancora presso Erchemperto31, Marino in cognominato Amalfitano, perchè presideva in Amalfi, della quale città fu Duca; e presso il medesimo Autore32, Landulfo fu appellato Suessulano, perchè presideva a Suessula; e da Lione Ostiense33 Gregorio fu cognominato Napoletano, perchè fu Duca di Napoli; e il medesimo Autore34 cognominò Landulfo di Santa Agata (del quale più innanzi parleremo) non per altro, perchè fu Conte di quella città. E poichè tutti questi Proceri da Capua, dalla prosapia d'Atenulfo discesero, perciò presso gli Scrittori di questi tempi furono anche detti Nobili capuani, onde surse il cognome della illustre Famiglia capuana, e furon detti per lungo tempo Nobili capuani tutti coloro che furono della razza de' Conti e Principi di Capua, ancorchè fossero divisi in più famiglie, come il dimostra con somma accuratezza il diligentissimo Pellegrino35: quindi si fece che alcuni ritenessero anche da poi il cognome di Capuani o di Capua; ed altri dai luoghi che possedevano, ancorchè dell'istesso genere, si cognominarono. Così la famiglia di Sesto surse dal castello di questo nome nel Contado di Venafro, che da' Conti di questo luogo e da Pandulfo, al quale fu dato il cognome di Sesto, uscì, della quale parla Pietro Diacono36; la qual famiglia sotto il Re Guglielmo II ancor si legge essersi mantenuta con sommo splendore, ed occupare i primi posti della milizia, come potrà osservarsi presso Luigi Lello37.

E quelle tre famiglie di Franco, di Citello e di Roselle, siccome furono della gente longobarda, così ancora devono reputarsi esser surte dalla razza d'Atenulfo Principe, e da' luoghi posseduti da' loro antenati esser derivate, ben lo dimostra il Pellegrino; e molte altre famiglie longobarde, che trassero l'origine da questi Principi di Capua e da Atenulfo, anche discacciati i Longobardi, si mantennero in queste nostre parti sotto i Normanni, come più distintamente diremo innanzi, quando de' Popoli di questa Nazione ci tornerà occasione di trattare: tanto che ebbe a dire Lione Ostiense, che Atenulfo, ed i suoi descendenti per molte loro generazioni, tennero il Principato per cento settantasette anni in questi nostri contorni di Benevento e di Capua; poichè per molto tempo ne' Principati di Capua e di Benevento molti Baroni furono del sangue d'Atenulfo, che Signori di varj Feudi, stabiliron le loro particolari famiglie, dandosi a' loro congiunti l'investiture di molti Feudi, e sursero quindi in tutta l'Italia Cistiberina molti Conti e Baroni, ed altri Nobili; e l'istesso si fece nel Principato di Salerno. Parimente la famiglia Colimenta, donde pruova il Pellegrino esser surta la famiglia Barrile, non altronde, che dal castello Colimento, che ora diciamo Collemezzo, deriva; siccome il cognome della nobil famiglia Gaetana, da Gaeta; poichè da Lione38 Ostiense Gaetani sono appellati coloro, che come Duchi tennero la città di Gaeta. Così ancora il cognome della illustre famiglia di Aquino, non altronde, che da' Conti di quella città è surto; siccome quelle de' Sangri, de' Sanseverini, degli Acquavivi e tante altre, dalle città, e terre da' loro maggiori possedute derivarono39.

Anche presso questi ultimi nostri Longobardi sursero i cognomi, se bene più di rado, da' nomi de' loro progenitori: così la famiglia Atenulfo ebbe tal nome da Atenulfo, padre che fu di Pietro Cardinal di Santa Chiesa; e moltissime altre. Trassero eziandio i cognomi origine da' Magistrati ed Uffizj, così ecclesiastici, come secolari, e per qualche mestiere da' loro antenati esercitato: la famiglia Mastrogiudice quindi, al dir di Freccia40, ebbe origine: siccome quella de' Doci, degli Alfieri, de' Conti, de' Ferrari, Cavalcanti, Filastoppa e tante altre. Da' costumi ancora e dalla propria indole; da' colori, dagli abiti, dalle barbe, dal mento; dalle piante, fiori, animali, e da tante altre occasioni ed avvenimenti che sono infiniti41.

Ma egli è da avvertire, che questa usanza di tramandar i cognomi a' posteri, perchè meglio si distinguessero le famiglie, cominciò sì bene appo noi nel fine di questo X secolo, ma molto di rado; onde nei diplomi ed altre carte di questi tempi, assai di rado si leggono cognomi. Si frequentarono un poco più nel XI e XII secolo appo i Normanni; ma nel XIII e XIV furono talmente disseminati e stabiliti, che comunemente tutte le persone, ancorchè di basso lignaggio, si videro avere proprj cognomi, con tramandargli a' loro posteri e discendenti42.

§. II. Spedizione infelice d'Ottone II contro a' Greci, e morte di Pandulfo Capo di ferro

Il costume de' nostri ultimi Longobardi, in tante parti di dividere i loro Stati, cagionò finalmente la loro ruina, e diede pronta e spedita occasione a' Normanni di discacciarli da queste nostre province; perchè questi Baroni, ancor che riconoscessero le investiture dei loro Contadi da' Principi di Capua e di Benevento e di Salerno, nulladimanco essendo dell'istessa razza d'Atenulfo, e molti aspirando a' Principati stessi di Capua, di Benevento e di Salerno, donde alcuni n'erano stati discacciati; ancorchè, come si è detto, Pandulfo Capo di ferro col suo valore e felicità reggesse insieme con Landulfo IV e l'altro Pandulfo suoi figliuoli Capua, Benevento e Salerno; nulladimeno morto Capo di ferro in Capua l'anno 98143 cominciarono di bel nuovo in queste province le rivoluzioni e' disordini. S'aggiunse ancora, che Pandulfo, il quale avea proccurato, che fra gl'Imperadori d'Oriente con quelli d'Occidente si mantenesse una stabile e ferma amicizia, appena mancato, si videro rotte tutte le corrispondenze, e rinovate l'antiche gare; poichè Ottone II che mal sofferiva la Puglia e la Calabria essere in mano dei Greci sotto gl'Imperadori Basilio e Costantino, che erano al Zimisce succeduti nel 977, disbrigatosi come potè meglio degli affari di là de' monti, armato, coll'Imperadrice Teofania calò in Italia in quest'anno 98044.

Erasi, come si disse, già introdotto costume, che quando gl'Imperadori d'Occidente venivano in Italia, presso Roncaglia fermati, luogo non molto lontano da Piacenza, ivi solevano intimar le Diete, ove univansi i Duchi, Marchesi e Conti di molti luoghi d'Italia, i Magistrati delle città, ed anche l'Ordine ecclesiastico per trattar degli affari d'Italia più rilevanti: si esaminavano le querele de' sudditi contro i potenti: si davano l'investiture de' Feudi: si decoravano molti Baroni di titoli: si stabilivano molte leggi attenenti ancora allo Stato ecclesiastico, ed a' precedenti mali davasi qualche compenso. Ottone in quest'anno giunto in Piacenza assemblò la Dieta in Roncaglia, ove diede molti utili provvedimenti. Di questo Ottone sono quelle leggi, che abbiamo nel libro secondo delle leggi longobarde; e molte sotto il tit. qualiter quisq. se defendebeat45, ove riprovandosi la prova per li giuramenti, si ritenne quella del duello, e moltissime altre sono state raccolte da Melchior Goldasto ne' suoi volumi46.

Dato perciò qualche ristabilimento alle cose d'Italia, passossene Ottone in Roma, ove in un pranzo fece inumanamente trucidare molti Proceri a se sospetti d'infedeltà; indi col suo esercito nel seguente anno 981 venne in Benevento, dove fermossi per qualche tempo: fu anche in Napoli ricevuto da' Napoletani, i quali poco curandosi di violar la fedeltà dovuta agli Imperadori d'Oriente loro Sovrani, gli diedero anche soccorso; e mentre si tratteneva in queste nostre regioni proccurò ingrossare le sue truppe con quelle, che gli eran somministrate da Benevento, da Capua, da Salerno e da Napoli, per invadere la Puglia. Trattenendosi quivi volle conoscere dello spoglio, che Giovanni Abate di S. Vincenzo a Vulturno si doleva aver patito da Landulfo Conte d'Isernia, che avea occupati tre castelli di quel monastero: pronunziò a favor del monastero, e glie ne spedì diploma in Benevento in quest'anno 981 a' 10 di ottobre47.

In quest'istesso anno, come si è detto, accadde in Capua la morte di Pandulfo Capo di ferro, ed avendo la casualità portato, che il Vesuvio in quest'istessi tempi, siccome suole, eruttasse fuoco e fiamme, nacque appresso il volgo quella credenza, che quando da quel monte davansi cotali segni, o era preceduta o dovea seguire la morte di qualche uom ricco e potente ed insieme scellerato, e che la di lui anima era da' demonj per quella voragine portata all'inferno, la qual credenza ebbe origine, siccome sempre accadde in questi casi, dalla visione d'un Solitario, al quale, come narra Pier Damiano, parve aver veduta l'anima di Pandulfo esser portata da' diavoli al fuoco pennace dell'inferno48. Infatti Capo di ferro fu il più ricco e potente in queste nostre province, di quell'età: egli non solo fu Principe di Capua, di Benevento e di Salerno, ma era ancora Marchese di Spoleto e di Camerino, possedendo perciò poco men, che la metà di Italia49; ed ancorchè di lui si leggessero molte opere di pietà, d'aver in sommo onore avuto il Pontefice Giovanni XIII, e d'aver di molti doni e privilegi arricchito il monastero Cassinense in quel tempo che visse, che al dir di Lione Ostiense50 fu il più accettabile per li Monaci; nulladimanco la visione di quel Solitario fece perdere tutta la stima a quelli fatti, e fece credere di avergli operati non per animo sincero di pietà e di religione, ma per mondani rispetti: al che s'aggiungeva l'enorme discacciamento dal Principato di Benevento di Landulfo suo nipote.

Così ancora, essendo negli anni seguenti accaduta la morte di Giovanni Principe di Salerno, che fu avo dell'ultimo Guaimaro, il qual nell'anno 1052 da' suoi fu ucciso; vomitando in quel tempo il monte fiamme, Giovanni, che vivea in questa credenza, disse: Procul dubio sceleratus aliquis dives in proximo moriturus est, atque in infernum descensurus: il che fu poco da poi accomodato all'istesso Principe Giovanni, il quale la vegnente notte si trovò inopinatamente morto in braccio d'una sua putta51; onde maggiormente presso il volgo crebbe quella credenza, che ha durato lungamente sino a' tempi de' nostri avoli, e di credere ancora scioccamente, che il Vesuvio fosse una bocca dell'inferno.

Ma ritornando in via, morto Pandulfo, lasciò come si disse in Benevento Landulfo IV suo figliuolo, al quale in sua vita avea egli aggiudicato quel Principato, ed anche per pochi mesi dopo la morte del padre resse Capua. Lasciò Pandulfo un altro suo figliuolo, Principe in Salerno, quegli, il quale era stato adottato da Gisulfo, e che dopo la morte di suo padre per alcuni mesi resse questo Principato; ed insieme altri suoi figliuoli Atenulfo Conte e Marchese, Landenulfo, Gisulfo, che fu Conte di Tiano, e Laidolfo52.

Ma la morte di questo Principe tosto dissipò quell'unione, che non potea lungamente durare; poichè Pandulfo II che fu da lui discacciato dal Principato di Benevento, subito che l'intese estinto, volle vendicarsi del torto ricevuto, e discaccionne dal Principato Landulfo IV, appropriandosi a se Benevento, che poi lo trasmise a' suoi posteri; e Landulfo poco da poi finì ancora i giorni suoi; imperocchè Ottone avendo indrizzato il suo esercito (ch'era composto oltre di molte Nazioni, anche di Beneventani, fra' quali volle anche accompagnarsi questo Landulfo con Atenulfo suo fratello) verso Taranto per debellare i Greci ed i Saraceni ch'erano stati chiamati da' Greci in lor ajuto, nella battaglia che nel seguente anno 982 si diede, fu l'esercito d'Ottone disfatto, ed uccisi fra gli altri Principi Landulfo ed Atenulfo, e l'istesso Ottone appena potè scampare53.

Quindi accadde, che al Principato di Capua, morto Landulfo, fossero succeduti Landenulfo suo fratello, ed Aloara sua madre, e che Ottone, rifatto come potè meglio il suo esercito, ritornato in Capua, confermasse questo Principato di Capua ad Aloara e a Landenulfo, che lo ressero dal suddetto anno 982 insino all'anno 993, quando morta quattro mesi prima Aloara, fu nel mese di aprile Landenulfo da' suoi miseramente ucciso54.

Fu così infelice questa spedizione d'Ottone contro i Greci, e così grande la rotta data al suo esercito, che fu costante opinione, che se i Greci avessero saputo servirsi della vittoria, avrebbero insino a Roma portate le loro armi. Ma in questo conflitto, siccome i Greci s'avvidero della poca fedeltà de' Napoletani e degli altri loro sudditi, così, e molto più, Ottone imputava la perdita a' Beneventani ed a' Romani55, (appresso i quali era venuto in abbominazione per l'enorme uccisione fatta di molti Proceri in quel convito, onde appo d'essi acquistossi il cognome di Sanguinario) i quali nel meglio della battaglia l'avean abbandonato. Quindi si narra, che nel seguente anno 983 ritornato Ottone a Capua, e rifatto al meglio il suo esercito, sopra Benevento improvvisamente lo drizzasse, e dato in questa città un memorabil sacco, per recar a' Beneventani maggior dolore gl'involasse l'ossa di S. Bartolomeo, di cui eran tanto divoti, ed in Roma le facesse condurre per trasportarle da poi in Germania; ma prevenuto dalla morte in quest'anno accadutagli in Roma, non potè condurre a fine il suo disegno, onde rimase in quella città; oggi nella medesima s'adorano in un tempio nell'isola Licaonia del Tevere, resa oggi assai più celebre al Mondo per quest'ossa, che per ciò che del suo sorgimento ne scrisse Livio nella sua incomparabile Istoria.

I Beneventani non possono soffrire ciò che di questa traslazione narrano Ottone56 Frisingense, Goffredo di Viterbo57, Biondo58 ed il Sigonio59, ed altri più moderni. Essi per l'autorità di Roberto Tuitense60 appresso il Baronio e dell'Ostiense61, vogliono che verso l'anno 1000, Ottone III non il II, essendo dal Monte Gargano ritornato a Benevento, avesse cercato a' Beneventani il corpo del S. Appostolo, i quali non avendo ardire di negarglielo, fossero ricorsi alla fraude, e tenendo ancor essi con somma venerazione il corpo di S. Paolino Vescovo di Nola, in vece di quello, gli avessero dato questo di S. Paolino: di che poi accortosi Ottone, grandemente offeso di tal frode, fosse di nuovo da poi ritornato in Benevento, ed avendo tenuta assediata per ciò questa città più giorni, non avendo potuto espugnarla, fu d'uopo che in Roma se ne tornasse. Ma Martino Polono62, secondando il genio de' Romani, che lo vogliono nel Tebro, narra sì bene, che Ottone III dal Gargano ritornasse in Benevento; ma che a' Beneventani non altro, che il corpo di S. Paolino cercasse, i quali senza usar fraude alcuna glielo diedero. Così insorta fra' Scrittori moderni acerba contesa sopra quest'ossa, tra' Romani e' Beneventani, vengon due corpi in diversi luoghi adorati d'un medesimo Santo; ed i Napoletani pure pretendono, che il capo di questo Appostolo non sia nè a Roma, nè a Benevento, ma in Napoli nel monastero delle Monache di Donna Regina per donazione fattagliene da Maria moglie di Carlo II d'Angiò figliuolo di Carlo I, il quale dopo avere sconfitto Manfredi, da' Beneventani l'ebbe; ed il nostro Istorico Giannettasio il tiene per cosa certa, con tutto che accenni la fiera contesa, che sopra ciò ancor arde fra' Romani e' Beneventani. Ed abbiamo veduto in questi ultimi nostri tempi miseramente affannarsi sopra questo soggetto molti Scrittori, a' quali, da poi che si saranno affaticati a dimostrare, che sia stato questo corpo trasferito in Roma, ovvero esser rimaso in Benevento, molto più loro resta da travagliare per render verisimile, come fino dall'India, siccome narra Sigeberto, si fosse trasportato in Lipari. Ma tutte queste dispute, non essendo del nostro istituto, volentieri le lasciamo ad essi, a cui ben stanno.

24.Anon. Saler. part. 7 n. 7.
25.Anon. Salern. part. 7 num. 10.
26.Pellegr. in not. ad Anon. Saler. pag. 216. In Archivio Cavensi: Nos Pandulfus Princeps filius b. m. D. Pandulfi Princ. declaro, quod Gisulfus, et Gemma adoptaverunt in filium.
27.Leggesi questo Carme presso Pellegr. loc. cit. pag. 223.
28.Leggesi questa investitura presso Ciarlant. nel Sannio, pag. 241. Concedimus et confirmamus tibi supranominato Landulfo Comiti dicto fratri nostro et haeredibus tuis praedictam civitatem Iserniae cum omnibus castellis, etc. ad avendum et possidendum et fruendum et dominandum vos et haeredibus vestris.
29.Tiraq. de nobilit. cap. 32 num. 10. V. Alex. ab Alex. dier. gen. V. Sirm. in Sidon. tom. 1 in praefat.
30.V. Knipschild. de Fideicom. c. 1 num. 20.
31.Erchemp. num. 26.
32.Erchemp. num 27 et 67.
33.Ostiens. lib. 1 cap. 49.
34.Lib. 2. cap. 15.
35.Pellegr. de Stem. Princ. Long. p. 287.
36.In Auctuar. ad Ostiens. lib. 4 cap. 75.
37.Aloys. Lellus in Elencho privilegiorum Archiepiscopalis Ecclesiae Montis Regalis, num. 4.
38.Ostiens. l. 2 c. 35.
39.V. Ammirat. Fam. Napol.
40.Freccia de Subfeud. pag. 24.
41.V. Dufresne in Glos. v. Cognom.
42.V. Mabillon de Re Diplom. l. 2 c. 7.
43.Pellegr. in Stem. Princ. Capuae.
44.Sigon. A. 980.
45.LL. Long. lib. 3 1, 35, 36, 37, 38, 39, 40, 41, 42, 43, 44.
46.Goldast. Tomo uno, pag. 225, 226. Tom. 3, pag. 305.
47.Baron. A. 981 n. 4.
48.V. Pellegr. part. 7 ad Anon. Salern.
49.Pellegr. part. 7. Anon. Salern.
50.Lib. 2 cap. 2.
51.Pellegr. loc cit. pag. 222.
52.Pellegr. in Stem.
53.Sigon. A. 982.
54.Pellegr. in Stem.
55.Sigon. A 982.
56.Otho Frisingens. lib. 6 c. 25.
57.Gofridus Viterb. par. 17 de Ott. 2.
58.Blond. hist. Rom. dec. 2 lib. 3.
59.Sigon. de Reg. Italiae, lib. 7.
60.Rob. Tuitensis lib. 2. cap. 24.
61.Leo Ostiens. lib. 2 cap. 24.
62.In Chronic. lib. 4.
Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
22 ekim 2017
Hacim:
540 s. 1 illüstrasyon
Telif hakkı:
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