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CAPITOLO III
I Greci riacquistano maggior vigore nella Puglia e nella Calabria; ed innalzamento del Ducato di Bari, sede ora de' Catapani
I Greci, che sotto gl'Imperadori Basilio e Costantino aveano contro Ottone II riportata così insigne vittoria, si ristabilirono più fermamente nella Puglia e nella Calabria; e reggendo queste province con molto vigore, distesero i confini di quelle sopra i Principati di Benevento e di Salerno, pretendendo ancora sopra i Principi longobardi esercitar sovranità. Ma avvertiti per le cose precedute dell'infedeltà de' loro sudditi, per tenergli a freno, pensarono a ben presidiarle. Temevano ancora, che i Germani sotto Ottone non tornassero ad assalirle; e che i Saraceni, ancorchè confinati in alcune rocche, non le turbassero colle solite loro scorrerie, giacchè fortificati nel Monte Gargano non tralasciavano, quando lor veniva fatto, di scorrere e scompigliar la Puglia. Edificarono perciò a questi tempi molti ben forti castelli. Fondarono nella Puglia piana una città, che chiamarono, per rinovare il glorioso nome d'Ilio, Troja: città che ancor dura, poichè anche i Normanni, dopo Melfi, la distinsero sopra tutte le altre città di quella provincia, che Capitanata ora si appella. Fondarono anche quivi Draconaria, Civitade, e Firenzuola, città ora distrutte, ed altre terre63. Per mantenere più in freno i loro sudditi, istituirono in Puglia un nuovo Magistrato chiamato in loro lingua Catapano, il quale avesse pieno potere, non ristretto da alcun limite, ma per se medesimo, senza chiederne permesso dalla Corte di Costantinopoli, potesse governare queste province con assoluto imperio. Bari, ove prima solevan risedere gli Straticò, fu assignata per sua sede, onde questa città si vide estollere il suo capo sopra tutte l'altre città della Puglia.
Donde questo nome di Catapano derivasse, il nostro Guglielmo Pugliese64 ne fa derivar l'origine da questo stesso sterminato potere, che fu dato a questo Ufficiale, e dice, che si chiamasse Catapano,
Quod CATAPAN Graeci, nos JUXTA dicimus OMNE.
Quisquis apud Danaos vice fungitur hujus honoris,
Dispositor populi parat omne quod expedit illi,
Et JUXTA quod cuique dari decet, OMNE ministrat.
Ma Carlo Du-Fresne nelle note all'Alessiade della Principessa Anna Comnena deride questa etimologia di Guglielmo, e vuole che Catapanus appresso i Greci, sia l'istesso che presso i Latini Capitaneus. Quindi deride ancora Lione Ostiense, il quale nella sua Cronaca65, oltre di riputar questo nome proprio di uomo, quando si vede essere di dignità, stimò che la provincia di Capitanata, che da questi Ufficiali prese il nome corrottamente, dal volgo venga chiamata così, dovendosi appellare Catapanata; sostenendo Du-Fresne, che essendo l'istesso presso i Greci Catapanus, che fra i Latini Capitaneus, non già Catapanata, ma Capitanata giustamente si appelli; chiamando ancora Niceta66 Capitanata quella Prefettura, la quale composta di più città o terre, ad un Capitano è sottoposta.
Avendo i Catapani collocata la loro sede in Bari, Lupo Protospata, che secondo dimostra il Pellegrino67, non può dubitarsi, che fosse, se non di Bari, almeno Pugliese di nazione, tessè di loro lungo catalogo; ed il primo, che intorno a questi tempi nell'anno 999 presso il medesimo leggiamo aver governata questa provincia, fu Tracomoto, ovvero Gregorio, il quale assediò Gravina, e prese Teofilatto. Nell'anno 1006 fu mandato per Catapano in Puglia Xifea, che nel 1007 morì in Bari, a cui succedè nell'anno seguente 1008 Curcua. Sotto il magistrato di costui i Baresi ribellatisi, elessero per lor Principe Melo di sangue longobardo, che dimorava in Bari, quegli, che sarà celebre nell'istoria de' Normanni; ma repressi dai Greci, Melo fuggissene con Datto suo cognato ed andarono raminghi. Prima se ne andò in Ascoli, ma dubitando di tradimento, si trasferì in Benevento, di là in Salerno e poi a Capua, sollecitando que' Principi longobardi perchè l'aiutassero a liberar Bari dalla tirannia de' Greci. Morto Curcua nell'anno 1010, gli succedette Basilio Catapano, nel tempo di cui dice Freccia68, che Bari facta est sedes magnorum virorum Graecorum. Indi nel 1017 venne per Catapano Adronico che pugnò con Melo, e lo vinse69.
Nell'anno seguente 1018 gli succedè Basilio Bugiano, che da Guglielmo Pugliese70 vien chiamato Bagiano e da Lione Ostiense71 Bojano. Questi fu che per lasciar di se memoria in Italia, tolta dal rimanente della Puglia una parte verso il Principato di Benevento, e fattane una nuova provincia col nome di Capitanata, vi fabbricò, come fu detto, alcune terre e città, come Troja, Draconaria, Fiorentino ed altre. Nel 1028 Cristoforo fu fatto Catapano; indi Pato, che governò sino al 1031, e nell'anno seguente fu Catapano Anatolico. Nel 1033 venne per Catapano Costantino Protospata, che si chiamò Opo. Indi Maniaco, a cui succedè nell'anno 1038 Niceforo, che nell'anno 1040 morì in Ascoli. A costui succedè Michele, che fu anche detto Duchiano, e dopo costui finalmente fu nel 1042 Catapano Exaugusto figliuolo di Bugiano, sotto il cui governo, essendo stato costui vinto dai Normanni, furono scacciati da queste province i Greci, e fu egli preso in battaglia in Benevento. Ed ancorchè queste province passassero da poi sotto la dominazione de' Normanni, come che non tutte in un tratto vi passarono, perciò anche dopo Exaugusto, si leggono presso Lupo e l'Anonimo di Bari, altri Catapani, de' quali, secondo l'opportunità, faremo memoria.
Il potere de' Greci adunque dopo questa rotta, che ebbe Ottone II, insino che cominciasse in queste province la dominazione de' Normanni, erasi reso molto più considerabile di quello, che fu negli anni precedenti, così per ciò che riguarda l'ampiezza de' confini che distesero, come per l'assoluto Imperio, che riacquistarono non meno gl'Imperadori d'Oriente sopra il governo politico e temporale, che i Patriarchi di Costantinopoli per lo governo ecclesiastico e spirituale sopra i Metropolitani e' Vescovi della Puglia e della Calabria.
La Puglia, che ne' tempi d'Arechi e degli altri Principi di Benevento suoi successori era al Principato beneventano attribuita, ora distratta ed in poter dei Greci ricaduta, diminuì notabilmente quel Principato. I Greci per questa parte si distendevano insino a Troja ed Ascoli, e toltone Siponto ed il M. Gargano, che a quel Principato erano ancor uniti verso Oriente, tutta quella estensione insino all'ultima punta d'Italia era de' Greci. S'aggiungeva ancor la Calabria secondo la moderna appellazione, che abbracciava non solo il Bruzio, Reggio, Cotrone e l'altre città vicine, ma anche abbracciava gran parte dell'antica Lucania, e per questa parte dal Principato di Salerno era terminata, il quale perciò aveva ristretti i suoi confini; nè in questi tempi abbracciava quell'estensione di paese, che a' tempi di Siconolfo a questo Principe ubbidiva. Quest'istessa ampiezza restrinse ancora per un altro lato i confini del Principato di Capua, tanto che non mai in altri tempi si videro dilatati tanto i confini del dominio de' Greci, che in questi, ne' quali tirandosi una linea dal Monte Gargano insino al promontorio di Minerva, ch'è la maggior latitudine del regno; tutto ciò che riguarda l'Oriente e Mezzogiorno, era al dominio de' Greci sottoposto: siccome l'altra parte, che riguarda Occidente e Settentrione, ai Principi longobardi: ma siccome il Principato di Salerno si distendeva fuori di questa linea verso Oriente e Mezzogiorno; così ancora i Greci non s'erano affatto spogliati della loro dominazione verso l'altra parte, che non interamente era a' nostri Principi longobardi sottoposta; imperocchè in questa ancora v'erano i tre Ducati di Amalfi, di Napoli e di Gaeta, i quali ancorchè si reggessero in forma di Repubblica, e sovente dal Corpo d'esse non solo s'eleggessero i Magistrati, ma anche i Duchi; nulladimeno sempre gli Imperadori greci in essi Ducati ivi mantennero non deboli vestigi della loro autorità e supremo dominio; siccome del Ducato di Napoli, dalle cose già altre volte dette si è veduto; e nel Ducato d'Amalfi ancora solevano i Duchi confermarsi dagl'Imperadori d'Oriente, da' quali ne ricevevano la dignità del Patriziato.
Di Gaeta nè meno di ciò può dubitarsi; poichè se bene Lione Ostiense72 rapporti, che Gaeta ubbidiva al Papa, e che perciò Giovanni VIII, l'avesse conceduta a Pandulfo Conte di Capua; nulladimanco fu quella ben tosto ricuperata da' Greci. I Papi pretendevano questa città per quelle ragioni, che gli fornì Carlo M. quando pretese toglierla a' Greci, e farne un dono alla Chiesa romana, siccome avea fatto di Terracina e delle altre spoglie de' Greci: ma Arechi immantenente s'oppose, e fece sì, che tosto questa città ritornasse nel dominio greco, onde da' Patrizj prima e poi da' Duchi fu governata. Ma perchè i Pontefici romani non si dimenticano così di leggieri dei loro diritti una volta che credono avergli acquistati, mantennero sempre vive le loro pretensioni, e quando le congiunture ed i tempi gli favorivano, non potendo ritenerla per se, la concedevano a qualche Principe potente, acciocchè potesse difendersela da' Greci, siccome fece Giovanni VIII, concedendola a Pandulfo; ma perchè da costui facevasi de' Gaetani aspro governo, Docibile, che si trovava allora Duca di Gaeta, ricorse sino agli aiuti de' Saraceni per discacciarlo; onde si vede, che ne gli stessi tempi che narra Ostiense, Gaeta ubbidire al Papa, si fa menzione de' Duchi, che furono in quella città, dependenti dagl'Imperadori greci, come fu Giovanni, Gregorio, Docibile ed altri; ed in molte carte fatte in questi medesimi tempi in Gaeta, alcune delle quali le dobbiamo all'Ughello, si vede perciò notato il nome degl'Imperadori d'Oriente, che allora regnavano. Così in una fatta nell'anno 812 si legge: Imperantibus Domino nostro piissimo Imperatore Augusto Michaelio et Theophilo magnis pacificis Imperatoribus. Ed in un'altra fatta dopo il tempo del quale parla Ostiense, nel 884 si dice: Imperantibus Domino nostro Leone et Alexandro pacificis magnis Imperatoribus73. Ciò che manifestamente si conosce dal vedersi, che i Normanni dopo averne discacciati i Greci, si vollero intitolare non meno Principi di Capua, che Duchi di Gaeta: ancorchè lasciassero in quella città la medesima politia e forma di governo, e che i suoi particolari Duchi e Consoli la governassero74.
Per questa cagione avendo i Greci tanto dilatati i loro confini, e non riconoscendo Feudi, non si leggono così nella Puglia come nella Calabria in questi tempi nè Contadi, nè Ducati, nè altre Baronie; ma ben se ne leggono moltissime nelle province a' Principi longobardi sottoposte. Quivi, come si è veduto, si sono intese le Contee di Marsico, di Molise, d'Isernia, d'Apruzzi, di Tiano e tante altre; ma la Puglia e la Calabria non se non quando passarono sotto la dominazione de' Normanni conobbero i Feudi; poichè i Normanni, traendo la medesima origine de' Longobardi, gli riceverono insieme colle loro leggi e costumi. Quindi in tutti que' luoghi, che tolsero a' Greci, v'introdussero i Feudi: e sursero quindi (oltre i Conti di Puglia e di Calabria) i Conti di Capitanata, di Principato, di Lavello, di Loritello; i Conti di Conversano, la memoria de' quali spesso s'incontra non meno nell'antiche carte, che nell'Alessiade della Principessa Anna Comnena, nella Cronaca di Lione presso Malaterra, Oderico Vitale e di tanti altri Scrittori75; i Conti di Catanzaro, di Sinopoli e di Cosenza; i Conti d'Aversa e quelli di Lecce; i Conti d'Avellino, di Fondi, di Gravina, di Montecaveoso, di Tricarico e tanti altri, de' quali ne' tempi de' Normanni ci tornerà occasione di favellare. Prima, quando questi luoghi erano in potere de' Longobardi, furono, come si disse, divisi in Castaldati, che non erano veri Feudi, ma le loro città erano commesse in amministrazione ed in ufficio a que' Proceri longobardi, nè poterono essere mutate in Feudi, come fu fatto in quelle province, che lunga stagione si mantennero presso i Longobardi; perchè i Greci, che le tolsero parte a' Saraceni, i quali l'avean occupate a' Longobardi, e parte agl'istessi Longobardi, come s'è detto, non conoscevano Feudi.
Questo maggior vigore de' Greci ed estensione del loro dominio, portò ancora in conseguenza, che le Chiese di queste province, che secondo la disposizione dell'Imperador Lione furono sottoposte al trono di Costantinopoli, fossero con maggior vigore astrette ad ubbidire a' Patriarchi di Costantinopoli. Quindi si resero più vigorose le proibizioni di Niceforo Foca contro il rito latino, e che i Patriarchi di Costantinopoli s'avanzassero tanto, sino a comandare a tutti i Vescovi della Puglia e della Calabria, che per l'avvenire ne' sacrificj non si servissero più del pane azimo secondo il rito latino, ma del fermentato, conforme all'uso de' Greci; onde s'innasprirono le contese coi Pontefici romani, i quali non vollero in conto alcuno permetterlo, impegnando perciò l'Imperador Ottone a spedire, come si disse, Luitprando Vescovo di Cremona in Costantinopoli: le quali contese s'accrebbero assai più ne' tempi di Lione IX, quando il Patriarca Michele Cerulario scomunicò tutti i Latini, comprendendovi anche l'istesso Pontefice Lione, perchè, fra l'altre cagioni, non osservavano il divieto loro imposto di non consecrare più in azimo, ma che dovessero servirsi di pane fermentato. Donde è nato, che insino a' nostri tempi siano rimasi in questi luoghi alcuni vestigi del rito greco, e che molte Chiese insino al dì d'oggi il ritengano; ancorchè i Pontefici romani per abolire affatto questi vestigi della potestà esercitata quivi dal Patriarca d'Oriente, non abbiano trascurate le occasioni col tempo d'abolirgli, il che se bene fosse loro riuscito in moltissime città, non è però, che oggi siasi affatto estinto e non sia ritenuto in alcune.
Per quest'istessa ragione non è fuor di proposito il credere, che a tali tempi in questi luoghi le Novelle degl'Imperadori d'Oriente, e le Compilazioni dei Basilici, l'Ecloghe, e gli altri libri, de' quali abbiam fatta memoria nel precedente libro, avessero quivi avuto qualche uso ed autorità; e forte conghiettura ce ne diede l'essersi, come si disse, in Taranto ritrovata l'Ecloga de' Basilici, e l'essersi, mantenuta in Otranto lungo tempo quella famosa libreria d'Autori greci, della quale favella Antonio Galateo. Egli è però vero, che se pure di questi libri s'ebbe qualche uso, non potè durare se non per poco, poichè tosto questi luoghi, essendo caduti sotto la dominazione de' Normanni, i quali abbracciarono le leggi longobarde non riconobbero da poi altre leggi, che quelle di questi Principi e le longobarde: ciò che dimostrano chiaramente le consuetudini stesse della città di Bari, le quali quasi che tutte derivano dalle leggi longobarde, onde i Cittadini di quella città l'appresero, quando la medesima fu lungo tempo sotto la loro dominazione, e quando da' loro Castaldi era governata: di che altrove ci tornerà occasione di favellare.
Ecco dunque lo stato, nel quale erano queste province, che oggi compongono il nostro Regno nel declinar del decimo secolo dopo la morte d'Ottone II, mentre in Oriente imperavano Basilio e Costantino germani. La Puglia e la Calabria (province che dilatando molto i loro confini, abbracciavano tutta la Puglia, la Japigia, la Mesapia, l'una e l'altra Calabria, con quella parte della Lucania, che si distende verso il Mare Jonio, e che perciò avean ristretti i tre Principati di Capua, Benevento e Salerno) erano sotto la dominazione de' Greci. Il Ducato d'Amalfi, l'altro di Napoli e quello di Gaeta, ancorchè ritenessero aspetto di Repubblica, erano però per antichissime ragioni dipendenti dagl'Imperadori d'Oriente. In Capua reggeva Aloara con Landenulfo suo figliuolo. In Salerno Pandulfo suo fratello. In Benevento, Pandulfo II, il quale, avendo discacciato Landulfo IV figliuolo di Capo di ferro, aveva anche non molto da poi associato al Principato Landulfo suo figliuolo, che perciò Landulfo V lo diremo.
Ma sarebbe stato meno disordine, se questi tre Principati, ancorchè in gran parte estenuati da' Greci almeno avessero riconosciuti tre soli Signori: essi non solo riconoscevano per loro Sovrani gl'Imperadori di Occidente come Re d'Italia, i quali in quest'ultimi tempi v'esercitavano vigoroso potere ed autorità; ma, divisi ancora infra se stessi in più Contadi, diedero più pronta occasione alla lor ruina. Il Principato di Capua era diviso nel Contado di Fondi e di Sessa, ne' Contadi di Aquino, di Teano, d'Alife, di Caserta ed altri; quello di Benevento, ne' Contadi di Marsi, d'Isernia, di Chieti ed in alcuni altri; l'altro di Salerno nel Contado di Consa, di Capaccio, di Corneto e del Cilento; e molti Proceri de' Castelli di quel Principato eransi renduti già Signori; tanto che molti di questi Conti reputandosi, come lo erano, dell'istessa razza d'Atenulfo, altri come nati da' Principi di Salerno, da dependenti, ch'erano, si fecero assoluti Signori de' Contadi, come lo pretesero i Conti d'Aquino, di Marsi, d'Isernia, di S. Agata ed altri. Insino i Monaci Cassinesi, tutti quelli castelli, che per munificenza di varj Principi longobardi avean tratto tratto acquistato, pretesero come liberi dominargli; e l'Abate della Noce76 ha voluto sostenere, che gli possederono in allodio non già in Feudo, e che non riconoscevan diretto Signore non pagando perciò adoa; e perciò il munirono di baluardi, ed assoldavan gente per difendergli, e si videro mantener truppe di soldati, non altrimenti che gli Abati di S. Gallo, ed altri Prelati si facciano in Germania.
Sarebbe dunque stata maraviglia se più lungamente fosse durata la dominazione de' Longobardi in questi Principati, già che tal politia v'introdussero, che diede perciò opportuna e ben aperta via a' Normanni d'occupargli. Nè tampoco de' Greci potea sperarsi in quelle province lunga dominazione; poichè rendutisi insolenti a' sudditi e non essendosi molto curati di scacciar da quelle i Saraceni, cagionaronsi perciò essi medesimi la loro ruina; onde, e per l'una e per l'altra cagione, riuscì a' Normanni occupare tutte queste nostre province, e di ridurle in decorso di tempo sotto un solo Principe, e stabilirvi una ben ampia e regolata Monarchia, come ne' seguenti libri vederemo.
CAPITOLO IV
Ottone III succede nel Regno, e nell'Imperio: nuove rivoluzioni accadute per ciò in Italia, ed in queste nostre province; e sua morte
Morto Ottone II in Roma nell'anno 88377, e giunta quando men si pensava in Germania questa novella, empiè di confusione que' Principi; poichè ancorchè Ottone II lasciasse un altro Ottone suo figliuolo, non essendo questi che di anni diciassette78 diedesi occasione all'ambizione d'Errico Duca di Baviera, patruele del morto Ottone, di aspirare al Regno di Germania. I Romani dimandavano per Imperadore un Italiano nomato Crescenzio; ma gli Alemanni tosto ruppero questi disegni, che non potevano loro recare se non rivoluzioni e disordini; onde unitisi elessero per loro Re Ottone III col consenso anche del Pontefice Benedetto.
Ma l'esser questo Principe di età così tenera e mal adattata a reggere un tanto Regno, cagionò non meno in Alemagna, che in Italia disordini gravissimi; poichè mentre Ottone era tutto inteso a sedar i tumulti di Germania nati per questa sua elezione, in Italia accaddero sedizioni e gravi turbolenze. In Roma morto Benedetto romano Pontefice, fu eletto in suo luogo Pietro Vescovo di Pavia, che Giovanni XIV nomossi79; ed è verisimile, ch'essendo egli Cancelliere d'Ottone per la raccomandazione di questo Principe e' fosse stato innalzato a quella dignità. Ma Bonifacio Cardinal Diacono, il quale avendo prima occupata questa sede, ne era stato poi discacciato, e rifuggito in Costantinopoli fremendo del torto che riputava essergli stato fatto, tornato da Costantinopoli venne in Roma l'anno 985, ed avendo risvegliati quelli del suo partito e guadagnato il Popolo, si rese il più forte di Roma: carcerò il Papa Giovanni, e lo rinchiuse nel castel di S. Angelo, dove lo fece morire di fame in capo a quattro mesi; ma Bonifacio non sopravvisse, che solo quattro altri mesi; onde da repentina morte tolto al Mondo, fu in suo luogo assunto al Pontificato Giovanni XV quegli che confermò la Metropoli di Salerno ad Amato Vescovo ch'era di quella città, innalzato Arcivescovo poco prima da Benedetto.
Ma Crescenzio, il quale avea preso contro Ottone il titolo di Console, e s'era impadronito del castello di S. Angelo, lo costrinse per timore a ritirarsi in Toscana, ed a pregare Ottone di venire in Italia a ristabilirlo nella sua sede. I Romani, che sapevano per esperienza quanto lor costassero le visite degl'Imperadori richiamarono Giovanni: ma Crescenzio contuttociò conservava la sua autorità in Roma. Ottone venuto in Italia nell'anno 996 stette per qualche tempo in Ravenna, e nel tempo di questo suo soggiorno in quella città, Papa Giovanni morì. I Romani furono costretti per comandamento dell'Imperadore ad elegger Papa in suo luogo Brunone suo fratel cugino, che prese il nome di Gregorio V, ma Crescenzio ben presto lo cacciò, e pose sulla sede Giovanni Vescovo di Piacenza. Questa azione non istette gran tempo senza gastigo, perchè Ottone venne subito coll'esercito, e con picciolo contrasto ristabilì Gregorio. Giovanni si salvò con Crescenzio nel castel di S. Angelo; ma l'Imperadore assediò la Fortezza, e vi sarebbe stata gran difficoltà a prenderla, se Crescenzio, che vigorosamente la difendeva, non fosse stato ucciso a tradimento. Il nuovo Papa Giovanni fu preso, gli furono cavati gli occhi, troncati il naso e l'orecchie, e condotto in quello stato per le strade della città sopra un asino col capo rivolto verso la coda dell'animale. Tali furono i disordini e le rivoluzioni di Roma; nè minori furono per simili cagioni le sedizioni in Milano.
Ma in queste nostre province i disordini furono maggiori, ed in Capua più d'ogni altra parte. Reggeva, come si è detto, in questi tempi il Principato di Capua Landenulfo con Aloara sua madre, ma essendo questa Principessa morta dopo undici anni che resse col suo figliuolo, non passarono quattro mesi, che alcuni malvagi suoi sudditi in quest'anno 993 congiurati empiamente lo ammazzarono fuori della chiesa di S. Marcello, donde allora era uscito; e fu eletto in suo luogo per Principe di Capua Laidolfo suo fratello; ma non restò invendicata la morte di quest'infelice Principe, poichè Trasmondo Conte di Chieti suo congionto, avendo chiamato in suo aiuto Rinaldo ed Oderisio Conti di Marsi, indi a due mesi sopra Capua n'andò, e tennela assediata quindici giorni, dando il guasto a' luoghi d'intorno80; ed indi a poco pervenuto alla notizia d'Ottone III l'infame assassinamento di Landenulfo, vi mandò di nuovo i medesimi col Marchese Ugo, i quali non mai dall'assedio si levarono, finchè non furono dati loro i malfattori, sei de' quali furono fatti impiccare, e gli altri con diversi tormenti furono fatti penosamente morire. Ed essendo da poi venuto a notizia d'Ottone, che Laidolfo, il quale al Principato era succeduto, aveva tenuta mano nella morte del fratello, parendogli cosa molto scellerata che un empio avesse in quel luogo a regnare, privollo del Principato nell'anno 999 mandandolo in esilio di là de' monti, e vi costituì Principe Ademario Capuano, figliuolo di Balsamo suo famigliare, che da fanciullo aveasi egli educato, ed a cui poco prima avea dato il titolo di Marchese81. Onde Laidolfo, secondo il vaticinio del B. Nilo, fu l'ultimo, che imperò in Capua ex semine Aloarae. Ma Ademario godè poco di tal fortuna, perchè fattosene indegno, fu tosto da' Capuani scacciato, e fu sublimato al Principato Landulfo di S. Agata, figliuolo di Landulfo Principe di Benevento, e fratello di Pandulfo II che reggeva Benevento dopo averne scacciato Landulfo IV. Non mancarono ancora le calamità in quest'istessi tempi, che apportarono i Saraceni in questo Principato; poichè scorsa, e devastata la campagna da questi fieri nemici, nel millesimo anno invasero Capua e la presero. Di che avvisato Ottone, tosto calò in Italia, disfece i Saraceni, e gli cacciò da Capua e da' suoi confini.
Nel Principato di Salerno accaddero non minori disordini: poichè morto Capo di ferro, rimase Principe, come si disse, Pandulfo suo figliuolo, per essere stato questi adottato dal Principe Gisulfo I, ma non potè Pandulfo se non per pochi mesi dopo la morte di suo padre ritenerlo, perchè privo di tal aiuto in quel medesimo anno 981 che morì il padre, perdè tosto il Principato, e s'intruse nel medesimo Mansone Duca d'Amalfi, il quale insieme con Giovanni I suo figliuolo lo tenne due anni82: Ottone II subito in quest'istesso anno 981 nel mese di decembre non potendo soffrire l'intrusione di Mansone, assediò Salerno per discacciarnelo come illegittimo Principe: ma da poi avendo proccurato Mansone placare l'Imperadore, tanto operò finchè ottenne dal medesimo, che potesse ritenere il Principato.
Nè Ottone ebbe pensiero che fosse restituito a Pandulfo, forse perchè da lui era parimente riputato Principe illegittimo, essendo succeduto in quel Principato per l'adozione fatta da Gisulfo, e le consuetudini feudali83, che tratto tratto eransi introdotte in questi luoghi, vietavano a' figliuoli adottati poter succedere ne' Feudi del padre adottivo. Comunque siasi, Mansone ritenne il Principato di Salerno per due anni, come rapporta la Cronaca salernitana, associando ancora a quello Giovanni I suo figliuolo, come fu detto. Ma morto da poi Ottone II nell'anno 983 i Salernitani mal sofferendo il dominio di Mansone Duca di Amalfi, per le continue inimicizie e gare, che tra Amalfitani e Salernitani furono sempre, tosto ne discacciarono Mansone, il quale già era stato anche discacciato dal Ducato d'Amalfi (se bene da poi lo ricuperasse, e lo reggesse per altri sedici anni) ed in suo luogo rifecero Giovanni di Lamberto, che fu detto II per distinguerlo da Giovanni I figliuolo di Mansone, chiamato di Lamberto dal nome di suo padre, forse consanguineo de' Duchi di Spoleto, i quali sovente valevansi de' nomi di Lamberto e di Guido; siccome questo Giovanni, Guido nomò un suo figliuolo che associò al Principato. Regnò Giovanni II con Guido dall'anno 983 infino al 98884, ma essendo morto Guido in quest'anno, associò al soglio l'altro suo figliuolo, Guaimaro appellato, col quale regnò fino all'anno 994. In quest'anno nell'istesso tempo che il Vesuvio cominciò a vomitar fiamme, mentre giaceva con una meretrice, si trovò una notte morto Giovanni85, tanto che si confermò vie più ciò che il volgo credea, che quando il Vesuvio vomitava fiamme, l'anima di qualche ricco scellerato era portata nell'inferno. Rimanendo nel Principato Guaimaro, che III fu detto, per esservene stati altri due prima in Salerno, e maggiore ancora appellato da Ostiense86, per distinguerlo dal minore, che fu Guaimaro suo figliuolo, il quale al Principato gli succedette, resse solo Salerno dopo la morte di suo padre insino all'anno 1018. Da poi avendo associato al soglio il suddetto suo figliuolo Guaimaro IV, lo tenne in compagnia del medesimo insino al 1031, nel qual anno morì. Sua moglie fu Gaidelgrima figliuola di Pandulfo II Principe di Benevento, e sorella di Pandulfo IV Principe di Capua, che perciò Ostiense87 lo chiama suo cognato.
In Benevento non si ravvisava più quella maestà e floridezza di prima, e per gli sconcerti e tumulti poco prima accaduti per lo discacciamento di Landulfo IV reggeva il Principato Pandulfo II con continui sospetti e gare co' Principi di Capua. Egli però per mantenere il Principato nella sua posterità avea nell'anno 987 associato al soglio Landulfo suo figliuolo che V fu detto. E da poi avendo Landulfo procreato un figliuolo chiamato Pandulfo, associò ancora al Principato questo suo nipote nell'anno 1014 che Pandulfo III fu detto, e regnò insieme col figliuolo e col nipote insino all'anno 1024, nel qual tempo morì88. Rimase nel Principato Landulfo V insieme con Pandulfo III insino che morì nell'anno 1033; questi associò ancora un suo figliuolo nell'anno 1038, che tenendo anche il nome di Landulfo, VI perciò fu detto. Alle calamità di Benevento s'aggiunse, che Ottone III, mal soddisfatto de' Beneventani, perciò che veniva loro imputato di aver abbandonato insieme co' Romani Ottone suo padre nella battaglia co' Greci, non poteva sofferirgli: quindi si narra che ritornato dal santuario di Gargano in Benevento tutto cruccioso per l'odio che portava a' Beneventani, avesse loro tolto il corpo di S. Paolino, e portatolo in Roma89.
Ottone intanto per quietare in Roma i molti disordini che per la fellonia di Crescenzio eran rimasi, non essendogli bastato di aver fatto uccidere questo Tiranno, per dubbio che i Romani non tentassero nuove cose, portossi a questa città in quest'anno 1001, ma non potendo reprimere una nuova congiura tramatagli, non tenendo allora forze bastanti, riputò meglio uscir di Roma, e verso Lombardia incamminossi. Narrasi, che nel partire la moglie di Crescenzio, la quale l'Imperadore colla speranza del Regno aveala allettata al suo amore, vedutasi ora fuor di speranza avessegli tutta dolente, ma simulando il dolore, dato in dono un paio di guanti avvelenati90, dal qual veleno Ottone insensibilmente essendone contaminato, se ne morì. Lione Ostiense91, e l'Arcivescovo di Firenze Antonino92 narrano, che morisse di veleno apprestatogli in una bevanda, non già ne' guanti: ciò che sembra più credibile, ripugnando in fisica, secondo le osservazioni del Redi, che il veleno in cotal guisa dato, possa aver tanta forza e vigore di coagulare, o sciogliere il sangue sì che l'uom ne muoia. In fatti Ottone appena giunto presso Paterno non molto distante dalla città di Castellina ammalossi, e quivi prima di render lo spirito confessò morire di veleno: alcuni vogliono che morisse in Sutri in quest'istesso anno 1001 come l'Anonimo Cassinense; altri, come il Sigonio seguitato dal Baronio, nell'anno seguente 1002. Ci sono ancor rimase di questo Imperadore molte leggi, raccolte pure dal Goldasto93; ma non avendo di se lasciata prole maschile, e restando estinta in lui la progenie degli Ottoni, si videro i Germani in confusione grandissima per la nuova elezione, la quale doveva per necessità cadere in altro Principe fuori di quella Casa. Si diede perciò occasione a' nostri Italiani di nuovamente aspirare all'Imperio ed al Regno d'Italia, come lo pretesero, ponendo in su Ardoino figliuolo di Dodone Marchese Eporediense; onde tornossi agli antichi disordini.