Kitabı oku: «Istoria civile del Regno di Napoli, v. 4», sayfa 9
§. I. Leggi del Re Guglielmo II
Poche leggi di questo Principe ci lasciò Pietro delle Vigne nella compilazione, che fece d'ordine di Federico delle nostre Costituzioni, ma tutte sagge e prudenti.
La prima è quella, che si legge nel libro primo sotto il titolo de Usurariis puniendis, ove si comanda, che tutto le quistioni attinenti a' contratti usurarj s'abbiano a diffinire secondo i decreti modernamente stabiliti in Roma dal Pontefice Alessandro nel Concilio, che tenne in Laterano; ond'è, che tal Costituzione non a Guglielmo I ma a lui ed alla sua pietà debba riferirsi, come abbiamo sopra notato trattando delle leggi di suo padre.
La seconda, che leggiamo nel medesimo libro sotto il titolo Ubi Clericus in maleficiis debeat conveniri, riconosce parimente questo Guglielmo per suo Autore. Fu quella, come si è detto, da Guglielmo stabilita a richiesta dell'Arcivescovo di Palermo, colla quale ordinò, che la cognizione de' delitti de' Cherici, per quanto s'appartiene alle lor persone, sia degli Ordinarj, i quali possano giudicargli secondo i canoni ed il diritto canonico, eccettuando i delitti di fellonia ed altri atroci, la cognizione de' quali fosse riserbata al Re ed alla sua Gran Corte.
La terza ed ultima, che abbiamo di questo Principe è quella che si legge nel libro terzo sotto il titolo de Adulteriis coërcendis. Fu questa insieme colla precedente ordinata da Guglielmo a richiesta parimente dell'Arcivescovo di Palermo. Si concedeva per quella la cognizione de' delitti d'adulterio, quando non vi era violenza, parimente agli Ordinarj de' luoghi; la quale ebbe per lungo tempo il suo vigore ed osservanza in ambedue i Reami di Sicilia; e nel Regno di Costanza abbiamo una carta della medesima rapportata dall'Ughello, nella quale s'ordina il medesimo. Ma in progresso di tempo con disusanza venne quella a mancare, ed oggi presso noi i delitti d'adulterio vengono indifferentemente, o vi sia violenza o non vi sia, conosciuti da' Giudici secolari, e nemmeno si concede agli Ecclesiastici di riputargli come di misto Foro, come più a lungo vedrassi, quando della politia ecclesiastica degli ultimi secoli parleremo.
Queste poche leggi sono a noi rimase di così saggio e buon Principe, nel Regno del quale nemmeno le leggi delle Pandette di Giustiniano ebber forza ed autorità di legge, ma duravano ancora nel lor vigore le leggi longobarde, a tenor delle quali nel Foro venivano le cause decise. Bella testimonianza, siccome altrove fu notato, ce ne somministrò a noi il diligentissimo Pellegrino, il quale tra le reliquie dell'antichità cavò fuori un istromento di sentenza, siccome allora praticavasi, profferita a' tempi di questo Guglielmo nell'anno 1171 sopra una controversia insorta tra i cittadini di Sessa, ed il Vescovo e cittadini di Teano per un corso d'acqua; la quale si decise a favor de' Suessani, secondo le leggi longobarde, le quali l'accuratissimo Pellegrino si prese la cura additare nella margine di quella.
Fu la morte di Guglielmo non guari da poi seguita da quella dell'Imperador Federico, il quale dopo aver superati i tanti ostacoli frappostigli da' Greci, e dopo aver più volte felicemente combattuti i Turchi, e notabilmente sconfittigli, prese per forza d'arme, e diede a ruba la città d'Iconio; ma pervenuto poi nella minore Armenia, ed albergato un sabato da sera in un luogo detto Jaradino, s'avviò poi verso il fiume Calep, ove a gran disagio per asprissimi monti giunse la vegnente domenica nel quarto giorno di giugno; ed avendo desinato in riva del fiume, dove trovò una piacevole valle, fastidito dalla noja delle continue battaglie e del viaggio, che per un mese intero patito avea, volle ristorarsi alquanto con bagnarsi nuotando; il perchè entrato ignudo nel fiume, che rapido e profondo correva, miseramente vi s'affogò; ed il suo corpo raccolto dall'acque, fu in processo di tempo condotto da' suoi in Alemagna, ed ivi onorevolmente sepolto. Ma l'Arcivescovo di Tiro, seguitato dal Sansovino98, rapporta in una maniera più verisimile questa morte; che volendo Federico passare quel fiume, inciampò il cavallo, ed essendo egli vecchio, cadde giù con tanta ruina, che fu portato in braccio da' suoi, ed indi a poco morì, e fu sepolto in Tiro; non avendo niente del verisimile, che un Imperadore così grave d'anni, deposto il suo decoro, si spogliasse, ed andasse a nuotare nel fiume per rinfrescarsi, e s'affogasse.
(Le varie relazioni degli Scrittori intorno a questa morte di Federico, possono leggersi presso Struvio99).
Ecco come muore questo glorioso Principe: muore per maggior danno de' Cristiani di Palestina, e della nostra religione in quelle parti; e vedi intanto quanto siano incomprensibili i divini giudizj. Egli con felicissimo corso di vittoria, siccome avea già incominciato, avrebbe agevolmente ricuperati dalle mani del Saladino tutti que' santi luoghi, che novellamente avea presi, ed avrebbe fatto correr la Croce di Cristo in più remote regioni ove non era adorata; all'incontro quando favoreggiava lo scisma contro Alessandro III e perseguitava gli altri romani Pontefici, visse per incomodo della Chiesa di Dio, ed ora, ch'era rivolto a così pietoso passaggio, e così giovevole al Cristianesimo, per morte pur troppo acerba ed immatura venne a' Fedeli involato.
Fu Federico (toltane quella boria, nella quale l'avean posto i nostri Giureconsulti, d'essere Signore del Mondo, non altrimente che vantavano essere gli antichi Imperadori romani, ciò che fece parer gravoso e duro il suo Imperio alle città di Lombardia, ed a' Pontefici romani) un grande e valorosissimo Principe, e sopra tutto amator delle lettere e degli uomini letterati di que' tempi. Quindi fu, che col suo favore s'accrebbe in Italia lo studio della giurisprudenza, e sursero quei tanti Giureconsulti, che cominciarono, tratti dalla novità ed eleganza delle Pandette e degli altri libri di Giustiniano, ad esporle nelle loro Accademie; e scrive Ulrico Uber100 che Federico Barbarossa fosse stato il primo, che all'Accademie, oltre la nozione, avesse conceduto anche la giurisdizione, ed imperio ne' suoi101. E furono da lui i Giureconsulti favoreggiati in guisa, che ad esempio degli antichi Imperadori romani, erano fatti partecipi delle maggiori deliberazioni ed assunti al suo Consiglio, e sovente preposti al Governo e Consolati di molte città d'Italia.
CAPITOLO III
Della compilazione de' libri feudali; e loro Commentatori
In questi tempi si fece da' Giureconsulti di Milano quella compilazione de' libri feudali, che con progresso di tempo acquistò in Europa, ed in tutte l'Accademie e Tribunali del Mondo cristiano tanta autorità e vigore, che fu riputata, come una delle parti della ragion civile; essendo stati aggiunti i libri de' Feudi alle leggi romane, i quali dopo le Novelle di Giustiniano, costituiscono oggi la decima Collazione: non che veramente i libri feudali fossero del corpo della ragion civile, e perciò se ne fosse formata la decima collazione, come reputarono Giasone e Bartolo, ed altri nostri Dottori, ripresi perciò da Molineo102; ma perchè la loro autorità fu tanta, che meritarono essere uguagliati a' libri delle leggi civili de' Romani.
Ma poichè da' nostri Scrittori questa parte non fu trattata con tutta quella diligenza e dignità che si conveniva, tanto che infinite controversie sono perciò in fra di loro poscia nate; perchè non bene han saputo distinguere i tempi, ne' quali questi libri acquistarono vigor di legge in queste nostre province; perciò, essendo ciò particolar nostro istituto, sarà bene, che qui se ne ragioni con tutta quella maggior esattezza, che possono promettere le nostre deboli forze, con l'avvertenza, che per non tornar di nuovo a favellar dell'uso e della varia fortuna di questi libri, qui si porrà insieme tutto ciò, che anche ne' tempi posteriori avvenne de' medesimi.
Da' precedenti libri di quest'Istoria ha ciascuno potuto comprendere, che introdotti in Italia i Feudi, non vi fu per essi, prima di Corrado il Salico, alcuna legge scritta, che regolasse le loro successioni, la lor naturalezza, e tutto ciò che ad essi s'apparteneva. Essi secondo gli usi e costumi introdotti nella città, così si regolavano; e poichè, siccome nell'altre cose, i costumi delle città sono varj e diversi, così ancora avvenne de' Feudi, che in una città d'Italia si regolavano d'una maniera; ed in un'altra, di un altro modo. Così in Cremona, Pavia e Milano il vassallo senza la volontà del Signore poteva alienare il Feudo, ma in Mantua, in Verona, ed in alcuni altri luoghi non poteva farlo senza il consenso del padrone103.
In Piacenza colui, che investiva alcuno d'un Feudo con questa legge, che passasse al successore, non poteva, essendo vivo il vassallo, senza la sua volontà di quel medesimo Feudo investirne un altro; ma in Milano, ed in Cremona si praticava altrimenti.
Ne' Regni di Sicilia e di Puglia, aveano pure i nostri Re particolari Consuetudini intorno a' Feudi differenti da' costumi dell'altre città di Lombardia. Erano queste Consuetudini notate in certi libri, che chiamavansi con corrotto vocabolo Defetarj; ed erano conservati dal Re nel suo regal palagio; e quando a' tempi di Guglielmo I tumultuò Palermo, e fu dato a ruba il regal palazzo, fra l'altre perdite, che deplorava il Re Guglielmo, fu quella che si era fatta di questi libri: e perchè Matteo Notajo era di essi espertissimo, e quasi gli avea in memoria, fra l'altre cagioni, per le quali fu egli tratto di prigione, fu questa, ch'essendo pratico degli affari della Corte e della Camera del Re, poteva con facilità rifar que' libri, ne' quali, come dice Falcando, Terrarum, Feudorumque distinctiones, ritus, et instituta Curiae continebantur: siccome in fatti si rifecero. Ed Inveges104 per l'autorità dello stesso Falcando rapporta, che i famigliari del Re Guglielmo I che trattavano gli affari della sua Corte, li quali erano allora Riccardo Eletto Vescovo di Siracusa, Silvestro Conte di Marsi, ed Errico Aristippo Arcidiacono di Catania, non avendo cognizione della distinzione delle Terre e de' Feudi, de' riti, ed istituti della Corte, nè de' libri delle Consuetudini feudali, che appellavano Defetarios, essendosi tutte queste scritture e libri smarriti dopo il sacco del palazzo, persuasero al Re, che Matteo Notajo fosse scarcerato e reintegrato nel primo Ufficio; poich'essendo egli antico Notajo, ed avendo sempre assistito al fianco di Majone, avea gran perizia delle Consuetudini del Regno; e che poteva comporre novos Defetarios.
Ed in questa maniera insino a questi tempi di Federico I si era vivuto nelle città di Lombardia, e nei Regni di Sicilia e di Puglia. A queste costumanze furono aggiunte da Corrado il Salico, e da altri Imperadori alcune loro Costituzioni appartenenti a' Feudi, come abbiamo di sopra notato, le quali non ancora erano state raccolte in certo volume. Venne dunque in pensiero a' tempi di Federico ad alcuni Giureconsulti di Milano, con privato studio di ridurre insieme queste Consuetudini e Costituzioni, e così unite, alla memoria de' posteri tramandarle; e raccogliendo, ancorchè alla rinfusa e con molta confusione, gli usi di varie città di Lombardia, ne formarono in prima due libri a' quali, secondo che quelle costumanze venivano o approvate o ampliate o moderate dalle Costituzioni imperiali, promulgate insino a' loro tempi intorno ai Feudi, così essi vi aggiunsero le sentenze, o il contenuto di quelle colle loro interpretazioni, non già le intere Costituzioni.
Chi fossero stati questi Giureconsulti, e quale il lor nome, non è di tutti conforme il sentimento. Prima di Cujacio comunemente da' nostri Scrittori si credea principal Autore di questa Compilazione Oberto de Orto grand'Avvocato del Senato di Milano, e Console di quella città105, il quale coll'aiuto di Gerardo del Negro, altrimente detto Capagisto, anch'egli Console di Milano e Giureconsulto non ignobile, si fosse accinto a quest'impresa.
Ma l'incomparabile Cujacio ha ben provato, che Oberto non fu Autore del primo libro, poichè in quello alcune sentenze si leggono, che dispiacquero, e furono riprovate da Oberto stesso. E perchè quelle sentenze s'attribuiscono a Gerardo del Negro, ha egli per questa conghiettura reputato, che del primo libro ne fosse stato autore, non già Oberto, ma Girardo. Alcuni, e fra gli altri il nostro Montano106, non ben persuasi della conghiettura di Cujacio, dicono sì bene non esser di quello Autore Oberto, ma che resti ancora dubbio ed incerto se veramente fosse stato Gerardo, o pure altro Autore anonimo, il quale dalle sentenze di Gerardo l'avesse compilato. Che che ne sia, non si è dubitato da niuno, che il secondo libro fosse di Oberto, il quale lo compilò per privata istruzione di Anselmo suo figliuolo.
Ma poichè questo secondo libro, secondo l'antica divisione, abbracciava non pur le sentenze d'Oberto, ma di altri Giureconsulti di questi tempi, le quali erano contrarie a quelle d'Oberto, onde non era credibile, che di tutto quel libro Oberto ne fosse il solo Autore; perciò molto dobbiamo noi all'industria, e somma diligenza di Cujacio, che togliendo questa confusione, l'abbia diviso in più libri. Ciò fu anche avvertito dai nostri Giureconsulti antichi, ma s'astennero di mutargli per timore, che nelle citazioni si sarebbe poi cagionata maggior confusione; imperocchè trovandosi già questa compilazione in due libri distinta, volendo il secondo in più altri dividerlo, non avrebbero le citazioni corrisposto all'antica divisione.
Ma per sì lieve cagione non dovea lasciarsi così confuso, ond'è che Cujacio saviamente reputò di distinguergli, e dividere il secondo in quattro libri. Così secondo la divisione del medesimo, il primo libro è di Gerardo. Il secondo insino al vigesimo quinto titolo è di Oberto. I rimanenti titoli egli divide in due altri libri, cominciando il terzo libro dal titolo 23 ivi: Obertus de Orto, Anselmo filio suo salutem. Il quarto, che comincia dal titolo 25 ivi: Negotium tale est, è chiaro dall'istesso titolo 25 che sia compilato da vari ed incerti Autori, nel che e Cujacio e Montano consentono. E nel quinto unì tutte le Costituzioni degl'Imperadori attenenti a' Feudi, di che più innanzi ci tornerà occasione di favellare.
§. I. Dell'uso ed autorità di questi libri nelle nostre province
La compilazione di questi libri fatta da' Giureconsulti milanesi non ebbe in queste nostre province niuna autorità di legge, siccome in questi tempi nemmeno l'ebbe nell'altre parti d'Europa; ma dopo il corso di molti anni, più tosto per uso e Consuetudine de' Popoli, che per Costituzione d'alcun Principe, acquistò quell'autorità, che oggi vediamo. Ma l'autorità, che acquistarono questi libri feudali, non fu assoluta, ma solamente in quelle cose, che non ripugnavano alle proprie leggi delle Nazioni, ed a' particolari loro costumi.
Certamente presso di noi quest'autorità non l'acquistarono nel Regno di Guglielmo, nè degli altri suoi successori normanni. Seguì questa compilazione intorno l'anno 1170 come ben pruova l'accuratissimo Francesco d'Andrea107, non già circa l'anno 1152 che fu il primo dell'Imperio di Federico I, come scrisse Arturo Duck108, quando tra il nostro Re Guglielmo, e Federico ardeva crudele ed ostinata guerra, e quando tra noi, ed i Lombardi era interdetto ogni commercio per le guerre intestine, che sin da' tempi di Lotario ebbero sempre i nostri Principi con gl'Imperadori di Alemagna. Nè prima dell'anno 1177 si conchiuse tra Guglielmo e Federico quella tregua, della quale si è parlato, che non fu pattovita, che per soli quindici anni; ed avendo questi Regni proprie e particolari Consuetudini notate in que' libri chiamati Defetarii, non vi era questa necessità di ricorrere a' costumi dei Lombardi, quando vi erano i propri, per li quali i Feudi si regolavano.
Egli è credibile, che questa compilazione cominciasse a farsi nota a' nostri Giureconsulti dopo l'anno 1187 quando il nostro buon Guglielmo per quiete de' suoi sudditi conchiuse le nozze di Costanza sua zia con Errico Re di Germania; onde vennero a cessare le occasioni delle discordie con gl'Imperadori di Occidente. Ma questo non bastò, perchè più fiere ed ostinate guerre non seguissero, poichè morto poco da poi Guglielmo, i Baroni del Regno abborrendo la dominazione d'Errico come forastiero, elessero in loro Re Tancredi, il quale anche dal Pontefice romano ottenne l'investitura del Regno, come diremo. Per la qual cosa è da credere che questi libri cominciassero ad esser conosciuti da' nostri da poi che Errico nell'anno 1194 discacciati i Normanni, si rese padrone del Regno per le ragioni dotali di Costanza sua moglie.
Furono ben presso di noi conosciuti, ma non già acquistarono allora autorità alcuna di legge. Nemmeno l'acquistarono quando Federico II suo figliuolo promulgò le sue Costituzioni fatte compilare da Pietro delle Vigne; nè quando, ad esempio dell'altre città d'Italia, avendo ristabilita in Napoli l'Università degli studj, introdusse, che nelle nostre Scuole si leggessero le Pandette, e gli altri libri di Giustiniano; poichè non è vera la costante opinione de' nostri Autori, che questi libri da Federico II acquistassero forza ed autorità, e che questi fosse il primo Imperadore che gli approvasse, mandando il libro in Bologna a' Professori di legge di quella città affinchè ivi pubblicamente nelle Scuole si leggesse, e ch'egli fosse stato l'Autore, per comandamento datone ad Ugolino, della decima Collazione, nel che vaglionsi della testimonianza d'Odofredo109.
A torto i nostri Scrittori ciò imputano ad Odofredo, il quale non mai scrisse, che Federico mandasse il libro de' Feudi in Bologna; e qual bisogno vi era mandar questo libro in Bologna, quando in questa città da molti anni era conosciuto, e non pur letto da' Bolognesi, ma anche molto prima vi avea scritte le sue glose Bulgaro, che per più anni professò legge in Bologna sin ne' tempi di Federico I, da chi anche fu fatto Prefetto di quella città? Quando parimente era notissimo in tutte l'altre città di Lombardia, come in quelle nato, e molti Scrittori d'Italia più antichi di Federico II aveano già cominciato a farvi le glose, come oltre a Bulgaro, fece Pilco, ed altri rapportati da Arturo110, e notati anche dal nostro Andrea d'Isernia111.
Odofredo nel luogo additato non scrisse altro, se non che Federico II mandò a' Dottori bolognesi, non già il libro de' Feudi, ma le Costituzioni sue, e di quelli Imperadori d'Occidente, che furono dopo Giustiniano, affinchè siccome Irnerio dalle Novelle avea inserito nel Codice ciò, che parvegli essersi per quelle di nuovo aggiunto o corretto: così essi anche facessero di quelle Costituzioni, e l'aggiungessero al Codice, non già al libro de' Feudi, sotto que' titoli, che pareva loro convenire; siccome in fatti ragunati a S. Petronio da quelle Costituzioni estrassero molte cose, che aggiunsero, e adattarono alle leggi del Codice sotto i titoli convenienti; e quindi è che nel Codice, oltre all'Autentiche d'Irnerio, si leggano ancora l'Auth. cassa, et irrita, C. de Sacr. Eccl. presa dalla Costituzione dell'istesso Federico de Statut. et Consuet. L'Auth. Sacramenta puberum, C. si adver. vendit. cavata dalla Costituzione di Federico I de pace tenenda. L'Auth. habita, C. ne filius pro patre, presa da un'altra Costituzione del medesimo Federico I de privil. bonor. art. ed alcune altre112. E questa fu l'incumbenza data da Federico ai Professori di Bologna e non altra. Ma soggiunge Odofredo, che da poi Ugolino, uno di que' Professori, di suo capriccio al corpo delle Novelle di Giustiniano, già diviso in nove collazioni, onde veniva chiamato la nona Collazione, aggiunse il libro feudale, e raccolte insieme tutte quelle Costituzioni degli Imperadori, che s'appartenevano a' Feudi, l'inserì in quel libro, secondo l'ordine che oggi abbiamo, e che i nostri antichi chiamarono per ciò, sin da' tempi d'Odofredo, decima Collazione, il qual parimente testifica, che ai suoi tempi pochi erano coloro, che aveano quelle Costituzioni così ordinate, come le avea disposte Ugolino.
Così mal credono i nostri, che Federico II avesse data autorità e forza di legge al libro de' Feudi, e che sino da' suoi tempi avesse acquistato tal vigore nel nostro Regno e negli altri Reami: comunemente tutti i più eruditi Scrittori han dimostrato, che non fosse stato quello ricevuto per qualche Costituzione di Federico, o di qualche altro Principe: ma che non altrimenti che avvenne de' libri di Giustiniano, tutta la forza l'avesse molti anni da poi acquistata per l'uso e consuetudine de' Popoli, e per connivenza de' Principi, i quali permisero che nell'Accademie pubblicamente s'insegnasse, da' loro Giureconsulti con Commentarj s'illustrasse e ne' loro Tribunali per le controversie forensi s'allegasse; come ben provò Molineo113, riputato il Papiniano della Francia, il qual però a torto riprende Odofredo, quasi ch'egli avesse data occasione agli altri d'errare, quando questo Autore mai disse, che Federico avesse data forza di legge a quel libro, nè che quella compilazione d'Ugolino si fosse fatta per suo ordine: siccome ancora a torto riprende Bartolo114, quasi ch'egli fosse stato il primo, che quella raccolta di Ugolino avesse appellata decima Collazione. Questo nome è pur troppo antico e più di cento anni prima di Bartolo così era dal comun uso chiamata, come lo testifica il medesimo Odofredo, e la chiamarono tutti gli altri Scrittori prima di Bartolo.
Nè perchè fosse appellata decima Collazione, ed in progresso di tempo per l'uso e consuetudine dei Popoli avesse cominciato ad acquistare qualche vigore negli dominj de' Principi cristiani, era la sua autorità tanta, che potesse abbattere e derogare i propri instituti e le particolari leggi di quelle Nazioni; poichè fu ricevuta ed approvata in quanto non s'opponeva alle proprie leggi e costumi. Così Cujacio attesta del Regno di Francia, che ricevè quelle leggi feudali, delle quali si vale l'Italia, ma in ciò che non ripugnava alle leggi e costumi di quel Regno; non altrimenti che usavano i Romani della legge Rodia, la quale nelle cose nautiche era da essi abbracciata, nisi qua in re juri publico Pop. Rom. adversaretur, come testificò l'Imperador Antonino. E nel nostro Regno più d'ogni altro, ancor che fosse una delle più ampie e preclare parti d'Italia, non si cominciò di questa Collazione ad aver uso, se non da poi, che Federico ebbe promulgate le sue Costituzioni fatte compilare da Pietro delle Vigne, dove furono molte Costituzioni da lui stabilite riguardanti a' Feudi, alla lor successione, ed a tutto ciò che stimò a quelli convenire. Ma non ricevè, nè approvò ciò che in quella veniva compreso, se non quanto non ripugnasse alle Costituzioni, o non fosse stato per quelle provveduto, ma omesso; in maniera, che presso di noi fu prima l'autorità delle Costituzioni, e da poi quella de' libri de' Feudi, non altrimenti che prima fu l'autorità delle leggi longobarde, che quella de' libri di Giustiniano; anzi osserviamo che dopo pubblicate le Costituzioni nell'anno 1231 vi fu tra' nostri Giureconsulti gran litigio nella Gran Corte, se questi libri feudali, anche in quelle cose, che non ripugnavano alle nostre Costituzioni, avessero presso noi forza di legge, siccome lungamente disputò la glosa115: donde si raccoglie, che anche a questi tempi era dubbio, se questi libri aveano acquistata forza di legge, e se ciò era incerto, per quest'istesso, non potevan riputarsi di tanta autorità, che avessero uguagliata quella delle leggi. E se Roffredo116 nostro Beneventano, che fiorì in questi medesimi tempi di Federico II parlando di queste Consuetudini feudali, disse, servari in Regno Apuliae, non fu per altro, se non perchè egli portava quest'opinione opposta agli altri Periti del Regno, che sostenevano il contrario; oltre che non si niega, che in questi tempi si fossero osservate, non già per autorità di legge, ma di ragione e per quanto non si opponevano e non erano contrarie alle nostre Costituzioni.
Ma siccome ciò è vero, così anche è verissimo, che dopo Federico ne' tempi degli altri Re suoi successori e degli Angioini più d'ogni altro, non si fosse più di ciò disputato, essendo chiaro, che avessero acquistata da poi nel nostro Regno tutta la lor forza ed autorità, in ciò che non s'opponevano alle nostre Costituzioni, siccome l'acquistarono in tutti gli altri dominj de' Principi d'Europa; ed anche i Pontefici romani ne' loro Tribunali ecclesiastici, gli diedero pari autorità e vigore; anzi in decorso di tempo fu lo studio di questa parte di giurisprudenza presso di noi cotanto coltivato, e tenuto in pregio, che i nostri superarono tutti i Giureconsulti dell'altre Nazioni, così d'Italia, come d'oltre i monti; ed oggi giorno questo è particolar vanto del nostro Regno, che in niun'altra parte si sia saputo, e si sappia tanto della dottrina feudale, quanto da' nostri Giureconsulti. Testimonio ben chiaro ne fu il contrasto, ch'ebbe il nostro Andrea d'Isernia con Baldo, il quale chiamato a Napoli dalla Regina Giovanna I a consiglio in concorso d'Isernia, mostrossi così ignaro della materia feudale, che non senza discapito della sua fama, bisognò che nella vecchiaja s'applicasse a questo studio, per ristorare la sua perduta stima117. E si vide da poi colla sperienza, che le quistioni più ardue e difficili, che mai avessero potuto insorgere in questa materia, non si siano trattate più sottilmente, e con tanta accuratezza e dottrina, quanto da' nostri Autori. Nè niun'altra Nazione può vantarsi aver avuti tanti Scrittori, intorno a questo soggetto, quanto il Regno di Napoli.