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Kitabı oku: «Istoria civile del Regno di Napoli, v. 5», sayfa 25

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Che il Re Federico in vita sua fosse Re di Sicilia; e poi quella ritornasse liberamente a Re Carlo e suoi eredi.

Che e' s'intitolasse non Re di Sicilia, ma Re di Trinacria.

Che a lui si tornasse in termine di quindici dì ogni terra, che in Sicilia si tenea per Re Carlo; al quale all'incontro nel medesimo termine egli restituisse ogni terra ed ogni fortezza, che in Calabria tenevano bandiera sua.

Che dall'una e dall'altra parte si liberassero i prigioni senza pagar taglia.

Che il Re Federico pigliasse Lionora figliuola terzogenita del Re Carlo per moglie.

Che il Re Carlo procurasse, che il Papa avesse a ratificar la pace, e così ad investirlo di Sardegna o di Cipri, dove poi rimanessero i figliuoli, che fossero nati da questo matrimonio. Ed acquistando Re Federico di que' Regni o l'uno o l'altro, che andasse a regnarvi; risegnando subito al Re Carlo il Regno di Sicilia, con pagarglisi a conto di sua dote all'incontro centomila once d'oro.

(In esecuzione di questa pace, Federico nel 1303 prestò il giuramento di fedeltà al Pontefice Benedetto XI ch'era succeduto a Bonifacio VIII per mezzo del suo Proccuratore Corrado Doria, nel qual'istrumento, che si legge presso Lunig tom. 2 pag. 1054 Federico è chiamato Re di Trinacria).

In cotal guisa terminossi la guerra di Sicilia. Fu liberato il Principe di Taranto con gli altri Baroni prigionieri, ed il Re Federico andò a visitare il Valois, e 'l Duca di Calabria al campo, e con grand'amore s'abbracciarono ed unitamente mandarono a Re Carlo in Napoli per la ratificazion della pace, e per condurre la sposa in Sicilia. Re Carlo, che naturalmente era pacifico ed inchinando l'età sua alla vecchiezza, gli rincrescea molto la guerra, accettò gli articoli; e poich'ebbe ratificato, mandò sua figliuola con Giovanni Principe della Morea suo figlio ottavogenito: ed in Sicilia si ferono quelle feste, che la qualità di quei tempi comportò, più tosto con animi lieti, che con magnifiche pompe: e Carlo di Valois col Duca, e 'l Principe, e gli altri Baroni, riposti in libertà ritornarono in Napoli489.

Questa pace per tutta Europa si giudicò molto vantaggiosa ed onorata per lo Re Federico, e fino al Cielo esaltarono la virtù sua, che con debili forze d'un picciol Regno, e' solo erasi mantenuto e difeso da molti avversari poderosi; e quantunque la condizione, che egli fosse Re in vita, pareva onorata per l'altro; nientedimeno chi era giudizioso mirava, che dopo sua morte s'avria da entrare all'esecuzione della pace, più tosto con l'armi, che con la carta de' Capitoli. Per contrario si tenne poco onorata per Carlo di Valois; e da Giovanni Villani è scritto, che il motteggiarono per Italia, che era andato in Fiorenza a porvi pace, e lasciovvi nuova guerra; e che era andato in Sicilia a far guerra, e partivano con disonorata pace.

Il Valois ritornato a Napoli, indugiò molti giorni, riconciando l'armata, ed ancor dando tempo all'apparecchio del Re Carlo, che deliberava con ogni cortesia d'aiutarlo, e mandare il Principe di Taranto ed il Principe della Morea suoi figliuoli in Grecia. Ma, come accader suole nell'imprese grandi, essendo insorta tra il Pontefice Bonifacio ed il Re di Francia fiera guerra, contro cui fece anche il Papa mover guerra dal Re inglese; perciò non solo fu escluso il Valois degli aiuti del Papa e del Re di Francia, ma gli fu ancor necessario di ritornar a' suoi per l'aiuto di quel Regno; e non ebbe poi mai più comodità a far l'impresa; anzi in progresso di tempo avendo due figliuole di quella moglie, ch'era nipote dell'Imperadore Balduino, diede l'una per moglie al Principe di Taranto, che per lei s'intitolò Imperadore di Costantinopoli, e l'altra dopo molti anni fu moglie di Carlo Duca di Calabria, figliuolo di Roberto.

Ruggiero di Loria, al qual pareva, che in questa pace non avevan di lui fatto quel conto, che sua virtù meritava, benchè gli avesse donati Re Carlo ampi Stati nel Regno, in iscambio di quelli, ch'avea perduti in Sicilia, pur se ne passò in Catalogna ricchissimo di gloria, dove poi morì, con nome del più fortunato e Gran Capitano di mare, di quanti ne sono lodati per l'istorie greche e latine.

Ma ritornando alla pace, dicono alcuni Autori, che trovandosi il Legato Appostolico al trattar di quella costrinse Re Federico a promettere una certa ricognizione alla Sede Appostolica, ma o fosse ciò vero o falso, non ebbe alcun effetto; poichè Papa Bonifacio poco da poi della sua prigionia morì d'afflizione in Roma a' 11 ottobre di quest'anno 1303, ed in suo luogo fu rifatto Benedetto XI Trivigiano dell'Ordine Frati Predicatori, il quale a' 6 luglio del seguente anno morì, non senza sospetto di veleno, e lasciò nel Collegio molte discordie; poichè essendosi quello diviso in tre fazioni, dell'una era capo Francesco Gaetano nipote di Bonifacio, uomo fatto assai potente dal zio, così di ricchezze, come di sequela; era capo dell'altra Napolione Orsino; e dell'altra il Cardinal di Prato: onde la Sede vacò per tredici mesi, ed al fine a' 5 di luglio del 1305 fu eletto Pontefice l'Arcivescovo di Bordeos franzese, che allora stava in Francia, e fu chiamato Clemente V.

Costui fu che, o a persuasione del Re di Francia, o per amor del paese nativo, in cambio di venire a coronarsi a Roma, trasferì la Sede Appostolica in Avignone, chiamando a quella città i Cardinali; dove poi con gran danno d'Italia si fermò per più di settanta anni, finchè Gregorio XI non la restituisse a Roma; ed a compiacenza di quel Re si coronò a Lione, ove intervennero egli, Carlo di Valois e molti altri Principi Oltremontani. Mandò poi il Papa tre Cardinali Legati in Roma colla potestà Senatoria, da' quali quella città e lo Stato fosse governato.

Da quest'anno 1305 fin al 1309 nel qual morì, il Re Carlo stette assai quieto nel Regno di Napoli, e si diede a magnificar questa città, ed agli altri studj di pace, come diremo. E parve che la fortuna gli rendesse per altra via quello, che di reputazione avea perduto con la pace fatta col Re Federico; poichè i Fiorentini per le civili discordie vennero a pregarlo, che mandasse in Fiorenza il Duca di Calabria, a cui da loro si profferiva il governo della città: come ne gli compiacque, e Fiorenza il ricevè come suo Signore. Andò poi il Duca a visitar il Papa in Avignone, e dopo maneggiate col medesimo alcune cose in beneficio de' Guelfi, cavalcò per la Provenza, dove que' Popoli gli fecero ricchissimi presenti, ed all'istesso tempo tolse la seconda moglie, che fu la figliuola del Re di Majorica del sangue Aragonese, cugina della Duchessa Violante sua prima moglie: e con volontà di Carlo suo padre congiunse col cognato primogenito di quel Re, Maria sorella sua quartogenita. Nè mancarono tra 'l maneggiare in Francia questi matrimoni, altre feste a Napoli, perchè il Re Carlo diede Beatrice sua figliuola ad Azzo Marchese di Ferrara, e conchiuse il matrimonio della figliuola del Valois col Principe di Taranto, per la qual donna si trasferirono il titolo e le ragioni dell'Imperio di Costantinopoli nella Casa del Principe di Taranto; poichè il Valois vedendosi fuor di speranza a poter fare quell'impresa, la delegò al Principe, facendolo suo genero, scorgendolo uomo bellicoso, e per ajuti, che potea dargli il padre, abile a fare in que' paesi qualche conquista. Il Tutini490 rapporta queste ragioni essergli pervenute non già dalla figliuola del Valois sua seconda moglie, ma dalla terza, che fu Caterina figliuola di Balduino Conte di Fiandra ed Imperadore di Costantinopoli, e porta una carta d'investitura fatta dal Principe e da Caterina, che s'intitolano Imperadori costantinopolitani, per la quale creano Re e Despoto della Romania e dell'Asia minore, con tutti li Contadi, Baronie e isole adiacenti Martino Zaccaria, Signore dell'isola di Chio suo Consigliere, concedendogli tutte le prerogative regie e Despotali: che potesse bere in tazza d'oro, portare corona e scettro regio, scarpe rosse, con altre insegne regali, come più innanzi diremo.

CAPITOLO V
Napoli amplificata da Carlo II e resa più magnifica per edificii, per lustro della sua Casa regale, e per altre opere di pietà illustri e memorabili, adoperate da lui non meno quivi, che nell'altre città del Regno

Inchinando questo Principe più agli studj di pace che a quelli della guerra, ed avendo così egli, come suo padre fermata la sede regia in Napoli, ed in conseguenza resala più numerosa di gente volle amplificarla; e fatti levare molti giardini, che avea intorno, fece in quelli far edificii, e allargando il recinto delle mura della città, fece più oltre trasferire le Porte, onde que' luoghi, che erano fuori, furono rinchiusi dentro: di che la città ricevè non picciola ampliazione; e per invitare altri ad abitarvi, fece franca la città d'ogni pagamento fiscale. Ordinò ancora a petizione della medesima, la gabella detta, del buon denaro, che fu molto grata a' cittadini servendo per riparazione delle strade, e per altri beneficii pubblici, come si vede ne' Capitoli del Regno sotto l'anno 1306491. Perchè in essa il traffico ed il commercio fosse più sicuro e frequentato, per sicurezza delle navi fece edificare il Molo, che ora per l'altro più grande fatto a' tempi de' Re austriaci, appelliamo il Molo piccolo492. Alcuni anche scrissero, che facesse egli edificare il castel di S. Eramo, chiamato così da una picciola Chiesetta, che prima era sopra quel Monte dedicata a questo Santo, ancorchè il Collenuccio, ed altri vogliano, che quella fabbrica fosse stata opera di Roberto suo figliuolo. Stabiliti in questa città quei due grandi e supremi Tribunali della G. Corte, e l'altro del Vicario, per maggior comodità de' Giudici e de' litiganti fece fabbricare appresso il Castel Nuovo con grandissima spesa un Palazzo, nel qual doveano quelli reggersi, siccome tutti gli altri Tribunali di giustizia493; li quali da poi essendo stato dalla Regina Giovanna I quel palazzo converso in tempio ad onore della Corona di Cristo, furono trasferiti nel tenimento della Piazza di Nido nell'Ospizio del Comune di Venezia, siccome il Tutini494 raccoglie da uno istromento stipulato nell'anno 1431 ove si leggono queste parole: In quo Hospitio M. C. Magistri Justitiarii Regni regebatur et regitur ad praesens. Indi si portarono nella strada di S. Giorgio Maggiore in un palazzo attaccato al campanile di quella Chiesa, il qual fin oggi ritiene il nome di Vicaria vecchia; insino che ne' tempi di D. Pietro di Toledo nell'anno 1540 non si fossero tutti ridotti nel Castel capuano, ove oggi per l'infinito numero de' litiganti, Giudici ed Avvocati s'ammira per una delle cose più stupende, non pur d'Italia, ma di tutta Europa.

Non mancò ancora, per render questa città vie più magnifica di ciò che avea fatto suo padre, di ampliare i privilegi all'Università degli studj, e per maggiormente illustrarla, di chiamare a quella i più rinomati Professori d'Italia, invitandogli con grossi stipendii. Così nell'anno 1296 fece venire da Bologna Dino de Muscellis celebre Giureconsulto con salario di cento once d'oro l'anno495. Richiamò ancora da Bologna Giacomo di Belviso, dandogli l'istessa provisione, che suo padre gli avea stabilita di 50 once d'oro l'anno. Nel 1302 con grosso stipendio fece venire ad insegnare in quest'Università il Jus Canonico Maestro Benvenuto di Milo Canonico di Benevento, e celebre Canonista di que' tempi, che fu Maestro del famoso Biase di Morcone496. V'invitò ancora nell'anno 1308 Filippo d'Isernia famoso Legista a leggervi il Jus Civile. E poichè in que' tempi praticavasi il lodevol istituto, osservato oggi in Ispagna, che i Professori dalle cattedre passavano alle toghe ed alle mitre, si vide da poi il Canonista Milo fatto Vescovo di Caserta: e Filippo d'Isernia Consigliere del Re, ed a' tempi del Re Roberto Avvocato Fiscale. Richiamò ancora a leggervi Medicina Filippo di Castrocoeli, con accrescergli il salario, che suo padre gli avea prima assignato d'once 12 insino ad once 36 d'oro l'anno. Furonvi ancora chiamati a leggervi logica, Accorsino da Cremona, celebre in que' tempi per le arti liberali, ed altri insigni Professori per l'altre Scienze497. E perchè ritenesse quello splendore e lustro, che Federico II aveale dato, rinovò la proibizione fatta dal medesimo a' Professori di non potere sotto pena di 50 once d'oro leggere in privato, o in altro luogo, eccetto solo in quella Università pubblicamente: di che nei regali registri de' suoi tempi se ne leggono molti divieti498. Per la qual cosa avendo presentito, che in Solmona alcuni s'erano dati a leggere Jus Canonico, fu da questo Principe ad istanza de' Lettori napoletani spedito rigoroso ordine, che subito se n'astenessero, spettando ciò solo all'Università degli studj di Napoli499.

Rese anche adorna non meno questa città, che il Regno, per le magnifiche chiese ed ampi monasterii, che parte vi costrusse di nuovo, e parte ampliò. Oltre d'aver ridotto a perfezione, ed in più ampia forma l'Arcivescovado di Napoli e la Chiesa di S. Lorenzo, a cui unì un ben grande Convento di Frati Conventuali di S. Francesco; opere incominciate da suo padre ma non già ridotte a fine; fondò egli di nuovo la Chiesa ed il convento di S. Pietro Martire de' PP. di S. Domenico. L'altra ch'egli nominò della Maddalena, ancorchè ritenesse il nome di S. Domenico per li Frati di quell'ordine, e per essere consecrata a quel Santo. Quella di S. Agostino500, e l'altra di S. Martino sopra il monte S. Eramo: se bene di quest'ultima i più accurati Scrittori ne facciano autore Carlo Duca di Calabria suo nipote501.

In Aversa edificò a' Frati di S. Domenico la chiesa e convento sotto il titolo di S. Luigi Re di Francia suo zio, dotandola di ricchissime rendite. Ma ove più rilusse la pietà insieme e la magnificenza di questo Principe fu in quelle tre celebri Chiese del Regno, cioè in quella di S. Niccolò in Bari, nell'altra di Santa Maria in Lucera, e in quella già prima fondata dall'Imperador Federico II in Altamura; nelle quali è da notare, che i Pontefici romani furono cotanto profusi in concedere non meno a' nostri Re angioini, che a lor riguardo a queste Chiese tanti privilegi e prerogative, che quasi scambievolmente comunicandosi il lor potere, siccome i Re erano profusi in donare a quelle beni temporali, così essi gli cumulavano di preminenze e favori spirituali.

§. I. Della Chiesa di S. Niccolò di Bari

La regal chiesa di S. Niccolò di Bari, siccome fu narrato ne' precedenti libri di quest'istoria, ebbe il suo principio nell'anno 1087 nel quale alcuni mercatanti baresi da Mira città della Licia trasportarono nella lor Patria il Sacro Deposito. Urbano II nella fine di settembre del 1089 accompagnato da gran numero di Cardinali e di Vescovi, li quali insieme con lui erano intervenuti nel Concilio ragunato in Melfi, dedicò solennemente l'altare maggiore della chiesa inferiore, ove ripose le sacrosante Reliquie, conforme egli medesimo ne fa piena testimonianza in una sua Bolla spedita in Bari a' 9 ottobre 1089 secondo anno del suo Pontificato, riferita dal Baronio e dall'Ughello.

Fin dal tempo della sua fondazione, fu quella chiesa edificata nel palazzo antico de' Capitani, li quali mentre governarono la Puglia in nome degl'Imperadori d'Oriente, fecero in esso la loro residenza: tolta poi da' Normanni la Puglia a' Greci, passò in potere di Roberto Guiscardo primo Duca di Puglia, ed appresso, di Ruggiero suo figliuolo, la qual Chiesa fu libera ed esente fin dal suo principio della giurisdizione dell'Ordinario, del che fanno bastantissima fede il privilegio concedutole da Alessandro Conte di Cupertino e di Catanzaro per ordine di Ruggiero Re di Sicilia, che si legge presso Ughello medesimo, la celebre Bolla di Pascale II indirizzata ad Eustachio II Abate, che succedè al primo cotanto rinomato Elia, ottenuta per intercession di Boemondo Principe d'Antiochia e Signore di Bari fratello di Ruggiero nell'anno 1106502, e le Bolle di Bonifacio VIII dell'anno 1296503, di Clemente V, Paolo III, Pio V ed altri romani Pontefici504.

Il Re Carlo II d'Angiò fatto prigione colla disfatta del suo armamento navale, fu, come si disse nel precedente libro, in grave pericolo d'essere decapitato; ma avendo scampata la morte, e liberato poi dalla sua prigionia, memore di così insigni beneficj, ch'egli credette per intercessione di questo Santo, di cui era divotissimo, aver ricevuti, rivolse l'animo ad accrescere il culto e la divozione, che gli portava, con arricchire la sua Chiesa d'amplissime rendite, facendole varie donazioni, con riserbarsi solo il poter godere delle distribuzioni, come Canonico di quella, sedendo nel Coro, come tutti gli altri. Per mezzo del Priore Guglielmo Longo Bergamasco, il quale fu creato Cardinal Diacono di San Niccolò in Carcere, nel 1294 ottenne da Bonifacio VIII ampi privilegi, esenzioni ed immunità. Vi destinò al suo servizio cento Cherici tra Canonici ed altre dignità, oltre il Priore, e la dichiarò sua cappella regia.

Impetrò dallo stesso Bonifacio VIII nell'anno 1296 Bolla, con cui gli diede facoltà di poter unire alla regal basilica le chiese e cappelle di sua collazione, che li paresse aggregarle, le quali, come quelle, a cui si sarebbero congiunte pleno jure, a lui appartenessero; e furono aggregati a quella la Badia e monastero di tutti i Santi505.

Assegnò nell'anno 1298 per dote perpetua della chiesa trecento once d'oro per ciascun anno da esigersi sopra la dogana e fondaco dell'istessa città di Bari, alla qual somma, tre anni appresso, aggiunse altre once cento, con che di queste, ottanta se ne dassero al Priore, venti al Tesoriere, e le restanti trecento, si distribuissero fra' Preti e Ministri della chiesa; in iscambio delle quali, perchè molte volte dagli Ufficiali del Regno se ne differiva il pagamento, concedè alla chiesa tre castelli a lui devoluti, cioè Rutigliano, S. Nicandro e Grumo, de' quali n'investì il Tesoriere di quel tempo, e gli altri, che fossero eletti ne' tempi futuri.

Nel mese d'ottobre del medesimo anno 1298 in virtù della potestà datali da Bonifacio incorporò l'Arcipretura d'Altamura con tutte le sue chiese, cappelle, ragioni e pertinenze alla dignità di Tesoriere, il che confermò con altro Privilegio de' 2 dicembre del 1301 col quale anche unì le chiese della Trinità di Lecce e di S. Paolo d'Alessano all'Ufficio di Cantore; e la chiesa di S. Maria di Casarano a quello di Succantore.

A' 18 gennajo del 1302 istituì nel sagro Tempio quattordici Ministri, de' quali otto avessero pensiero ne' dì festivi d'assistere in guardia delle porte del Coro con una mazza regale d'argento in mano, donde presero il nome di Mazzieri, e sei per li Ministri più bassi, come per rappezzar le fabbriche, racconciar gli scanni, e cose simili, chiamati perciò Maestri di Fabbrica, a' quali diede l'esenzione del pagamento delle gabelle, e del Foro secolare nelle cause civili, sottoponendoli alla giurisdizione del Tesoriere, appellandosi da' decreti della di lui Corte a quella del Cappellano Maggiore, le quali esenzioni ed immunità, furono confirmate da Roberto nel 1340 e da Ladislao nel 1403, e gli altri Re successori, al suo esempio, di moltissime altre concessioni e preminenze arricchirono questa chiesa.

Dotata ch'ebbe in tal modo la regal Chiesa, v'introdusse una nuova forma di servizio a similitudine di quello usitato nella regal cappella di Parigi, ad esempio della quale volle ancora, che in quanto alla recitazione de' divini Uffici, si valessero i suoi Ministri dell'antico Breviario parigino; il che fu poi tolto all'ultimo di dicembre del 1603 con lettere di Filippo III, colle quali permise, che, quello tralasciato, nell'avvenire potessero servirsi del Breviario romano, detto volgarmente di Pio V.

Dispose per mezzo di un suo privilegio spedito a' 20 giugno del 1304 che oltre il Priore fossero in questa chiesa tre dignità, cioè quella del Tesoriere, che costituì la prima e la più riguardevole, e due altre, cioè di Cantore e Succantore e cento Preti beneficiati, quarantadue Canonici, fra' quali le dignità furono annoverate, ventotto Cherici mediocri e trenta bassi, siccome s'appellano nel privilegio, con molti particolari regolamenti attinenti al Priore ed al Tesoriere.

Dopo avere il Re Carlo II costituito in questa chiesa le dignità, il numero de' Canonici, ed altri Cherici inferiori, assignate le rendite, ed ordinato tutto ciò, che stimossi da lui espediente per buon reggimento e regolamento della medesima; riserbò per se, e suoi Serenissimi Successori nel Regno la dignità di Tesoriere colla prebenda a quello annessa, in modo che ritrovandosi in Bari, interveniva egli nel Coro come Tesoriere, sedendo nella seggia costrutta all'incontro di quella del Priore, in cui sono intagliate l'armi regie, e vi sta scritto con lettere d'oro, Sedes Regalis, coll'effigie di questo piissimo Principe, sotto il quale, scolpito in abito di Tesoriere, leggesi l'iscrizione: perpetuo monumento d'aver per se e suoi successori ritenuta la prima canonica dignità, ch'è quella di Tesoriere506.

Avea ciò il Re Carlo appreso da' Franzesi, e massimamente da' suoi Angioini; e conforme nella recitazione dell'Ufficio, e nell'altre cose concernenti il culto di della Chiesa, così in questa volle imitare l'usanza della Francia; poichè si legge presso Eginardo507 che Carlo M. si dilettava ancor egli di cantare con gli altri nel Coro: e nella Cronaca d'Inghilterra lo stesso si legge di Fulcone III, cognominato il buono Conte d'Angiò, il quale nell'anno 960 fu ammesso nella Chiesa di S. Martino come Canonico, e spesse volte nella recitazione dell'ore canoniche con vesti canonicali intervenne508. Parimente Ingelgero Console, ovvero Conte d'Angiò (poichè dell'uno e dell'altro titolo allora promiscuamente valevansi) dopo aver ottenuta nella Chiesa di S. Martino in Tours una prebenda perpetua, essendo vacata la dignità di Tesoriero, fu dichiarato tale, difensore della chiesa, e tutore delle sue possessioni; e mentre visse occupò la sede di Tesoriere, nella qual dignità, a' Conti e Duchi d'Angiò succederono i Re di Francia, e quel Canonicato laico conseguirono509.

Da' precedenti libri di questa Istoria ciascuno avrà potuto notare, che molte usanze di Francia furono da' nostri Re fra noi introdotte, cominciandosi sin dai Normanni, e moltissime poi ve ne furon portate dai Re angioini; onde non dee recar maraviglia se alcune nel nostro Regno oggi ancor durino totalmente difformi da quelle di tutto il resto d'Italia. In Francia il Tesoriere della regal cappella di Parigi, secondo ne rende testimonianza Coppino510, oltre d'esercitar giurisdizione sopra i Canonici di quella, conserva egli i vasi sacri e gli ornamenti, ed anche tutti gl'istrumenti, privilegi e concessioni riguardanti a' Feudi, ed altre robe donate a quella Chiesa. Parimente il Tesoriere di Bari ha egli il pensiero e la custodia di tutto ciò; e come questa città fu lungamente governata da' Greci, si ritengono insieme ancora molti usi grecanici, e nel Tesoriere istesso di questa Chiesa si veggono ancora uniti gli uffici di Cartolario e di Cartofilace; poichè siccome in Oriente due erano i Cartofilaci, uno conservava le carte e monumenti della chiesa, e presiedeva all'Archivio; l'altro alle rendite della chiesa, e teneva conto delle spese511; così in Bari il Tesoriere di questa chiesa ha di tutto ciò cura e pensiero. E poichè in alcuni luoghi era incombenza del Tesoriere non solo di custodire i privilegi e gli ornamenti della chiesa, ma anche il regio diadema512; così alcuni, avendo per vera quella favola, che i nostri Re solevansi coronare in Bari colla Corona di ferro, scrissero che il Tesoriere di questa Chiesa, tra gli ornamenti di quella, custodiva ancora questa Corona513.

A questo Principe adunque devono i nostri Re quelle tante prerogative e preminenze acquistate non men per fondazione e dotazione, che per privilegi dei Sommi Pontefici, delle quali oggi sono essi in possesso, onde sono reputati capi e moderatori di questa chiesa, ch'è di Regia collazione; conferiscon essi il Priorato e l'altre dignità di quella, e vi stabiliscono un Giudice d'appellazione, il qual'è il Cappellano Maggiore, che riveda i processi del Priore e del Tesoriere, con totale independenza dall'Arcivescovo Ordinario di Bari.

Secondo l'antica disciplina della Chiesa, tutte le basiliche, che si costruivano nella diocesi del Vescovo, erano sotto la sua potestà514. Ma sin da' tempi di Carlo M. i Pontefici romani cominciarono per mezzo di loro privilegi ed esenzioni, a mutare l'antica polizia: e per invogliare maggiormente i Principi ad arricchire le Chiese di beni temporali, e rendersegli vie più devoti e soggetti, concedevano ad essi ed alle Chiese, che fondavano, ampi privilegi e prerogative, comunicandosi scambievolmente i loro poteri. Ma in ciò sempre i Principi vi perdevano, perchè arricchite e fondate, ch'essi aveano le Chiese, sorgevano delle grandi contese con gli Ordinarii, e non si disputava sopra i beni donati, acquistati già alla Chiesa, ma sopra i privilegi loro conceduti: i Pontefici che s'arrogano la potestà d'interpretargli, moderargli e sovente anche di rivocargli, eran sempre dalla parte degli Ordinarii; e quando ciò lor non riusciva, tiravano almeno il litigio in Roma, ed essi ne prendevan la conoscenza. Di che potranno esser bastanti prove le gravi ed ostinate contese insorte per ciò tra il Priore di questa chiesa e l'Arcivescovo di Bari, le quali, non ostante tanti privilegi ed esenzioni, per lo corso non meno che di ducento anni, non vi è stato modo di poterle affatto estinguere515. Siccome non furono minori per le stesse cagioni li contrasti nati fra l'Arciprete d'Altamura col Vescovo di Gravina, e per l'altre Chiese di regia collazione. Ciocchè dovrebbe essere documento non meno a' Principi, che a' privati, di lasciare alla Chiesa ed a' suoi Ministri ciò che a loro s'appartiene, e non intrigarsi in tali faccende, e nell'andar regolando Capitoli e confratanze, come se loro non restasse niente da fare attendendo a' loro proprii impieghi; perocchè la sperienza n'ha dimostrato, che tali cose se bene da principio s'intraprendono per impulsi di divozione, da poi riescono di vanità, dove non vi è niente dello spirito, e tutto del mondo e della carne. Ed all'incontro i Preti ed i Monaci da poi ch'essi avranno arricchite le chiese e le cappelle, vogliono amministrar le rendite, dimandarne conto, ed aver coloro, che voglion prenderne cura, per loro ligi e sudditi, con tirargli per l'orecchie dove la lor ambizione e la loro avarizia gli portano.

Ciò che dovrebbe ancora condannare l'istituto pur troppo da un secolo in quà frequentato in questa città e Regno di tante Confraterie di secolari e d'artigiani, li quali invece d'attendere a' loro mestieri, ed adempiere le parti della giustizia in non fraudare con inganni il prossimo, si mostrano tutti ardenti di devozione nelle loro cappelle e Confraterie, e cotanto si compiaciono d'una processione, di portare stendardi, croci, turibuli e torchi, e di proccurar da Roma divise pei loro abiti, le quali molti se le procacciano di colori di porpora per mostrarsi nelle funzioni più vistosi, e tanto si gonfiano d'un titolo di Priore, di Primicerio o Assistente, che credono con ciò aver ben soddisfatto all'ufficio di buoni Cristiani. E la meraviglia è, che da poi che la domenica avranno nelle loro Congregazioni intonato bene l'ufficio, sentito il sermone del Padre, e girato attorno per la città con croci e stendardi; il lunedì la mattina tornando nelle loro botteghe, non perciò al primo, che vi capita, non cercano ingannarlo, e con frodi e menzogne circonvenirlo ne' prezzi delle robe o ne' lavori di mano.

Quindi i Preti ed i Frati, riputandogli non in tutto secolari, se accade lite per precedenza, per custodia de' vasi e d'ornamenti, per amministrazione, conti o altro, vogliono essi riconoscere di queste cause, e gli tirano al Foro ecclesiastico, tenendo erette per ciò particolari Congregazioni, onde si sentono tutto il giorno contrasti non meno ne' Tribunali ecclesiastici, che avanti il Delegato della regal giurisdizione, e quando dovrebbero attendere a' loro lavori, perdono le giornate intere dietro a queste frasche. Ciò che ben loro sta, perchè quando a ciò potrebbero essere sufficienti i loro Parochi, essi, come se vi fosse scarsezza di Preti e di Monaci, vogliono intrigarsi in tali funzioni, e non conoscono, che da poi che vi avranno consumato il tempo e le loro sostanze, niente profittano nello spirito, nè migliorano di costumi, anzi vivono in continue soggezioni ed in continui contrasti, che cagionano fra di loro odj e rancori, e sovente anco gravi inimicizie e disordini.

489.Costanzo lib. 4.
490.Tutini degli Ammir. pag. 103.
491.Summ. to. 2 pag. 360.
492.Summ. to. 2 pag. 333.
493.Costanzo lib. 4.
494.Tutin. de' M. Giust. pag. 7.
495.Reg. ann. 1296 lit. G. fol. 295 ivi: Vocavit Dominum Dinum de Muscellis, ut Bononia ad Neapolitanum Studium lecturus cum annuo salario unciarum centum auri. Summ. to. 2 p. 362.
496.Ciarlant. pag. 371. Istor. del Sannio.
497.Reg. ann. 1300 fol. 251 et ann. 1301 fol. 273 et 330.
498.Registr. ann. 1301 fol. 8 ann. 1308.
499.Ciarlant. pag. 373.
500.Summ. pag. 348 tom. 2.
501.V. Engen. Nap. Sac. fol. 585.
502.Bulla Paschalis II apud Ughell. ove nella data evvi errore, ed in vece di XIV deve leggersi IV.
503.Nelle quali Bolle si legge nullo modo, non già nullo medio; onde perciò Carlo II nel privilegio della dotazione del 1304 disse, che questa Chiesa se l'apparteneva pieno jure.
504.V. Chioc. tom. 7 M. S. giurisd. de Eccl. S. Nic. de Baro.
505.Bulla apud Beatil. hist. S. Nicol. lib. 11 cap. 17.
506.Le parole della detta iscrizione sono: Serenissimus Rex Carolus Secundus, etc. hanc Basilicam munificentia Regali dotavit sola sibi, et successoribus suis prima Canonica dignitate servata. Lettera dell'istesso Carlo II de' 3 Novembre 1304 rapportata dal Beatillo Istor. di Bari, lib. 3 fol. 443 ove si legge: In signum devotionis retinemus nobis, et haeredibus nostris, quod cum personaliter erimus nos, et nostri haeredes in Baro, quotidianas distributiones accipiemus sicut unus de Canonicis ipsius nostrae Ecclesiae recipit, et recipere habeat.
507.Egin. apud Duchesne tom. 2 pag. 103 et 104. Legendi atque psallendi disciplinam diligentissime emendavit; erat enim utriusque admodum eruditus; quamquam ipse, nec publice legeret, nec nisi summissim, et in commune cantaret.
508.Script. antiq. Eccles. Anglic. tom. 10 pag. 455. Biblioth. Clun. nota pag. 21. Spicileg. tom. 10 pag. 403 et 447. Canonicus adscriptus fuit in Ecclesia S. Martini, in festis Sancti ejusdem in Choro inter psallentes Clericos cum veste clericali, et sub disciplina eorum adstabat.
509.Biblioth. Clun. not. pag. 48. Cura omni consilio dederunt Ingelgerio Comiti praebendam B. Martini, ipsi, et haeredibus ejus in perpetuum possidendam. Quia vero Ecclesia ejusdem Sancti carebat Thesaurario, et Aedituo, Consulem Ingelgerium intronizaverunt, et Thesaurarium constituerunt, et Defensorem Ecclesiae fecerunt, et Tutorem omnium possessionum ejus ubicumque essent delegaverunt. Qui sedem Thesaurarii, et Domos cum reditibus quandiu advixit, obtinuit. Duchesne tom. 4 pag. 680.
510.Renat. Chop. de S. Polit. l. 3 tit. 6.
511.Cyron. in parat. lib. 5. Decret. de Offic. Custod.
512.Innoc. III l. 1 epist. 489.
513.V. Beatil. Istor. di S. Nic. di Bari, lib. 11 cap. 11.
514.Concil. d'Orleans, cap. 9. Nicol. I in can. si quis Episcopor. caus. 16 quaest. 2.
515.V. Chioccar, tom. 7 M. S. Giurisd.
Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
22 ekim 2017
Hacim:
500 s. 1 illüstrasyon
Telif hakkı:
Public Domain

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