Kitabı oku: «Istoria civile del Regno di Napoli, v. 5», sayfa 26
§. II. Della chiesa di S. Maria di Lucera
Dappoichè Re Carlo ebbe sconfitto Manfredi, e debellati i Saraceni, che teneva a' suoi stipendj, il misero avanzo di quelli ricovrossi in Lucera di Puglia, ed in quel castello si fortificarono; ed ancorchè il Regno si fosse per Manfredi interamente perduto, renduti che furono, ricevettero a buon patto da quel Re di poter quivi abitare colle loro famiglie; ma Carlo suo figliuolo come Principe pietoso e zelantissimo della fede cattolica, conoscendo, che per l'abitazione di questi Infedeli in quella città, il culto Divino era vilipeso, la chiesa cattedrale poco men che ruinata, e la religione in pessimo stato ridotta, si risolse discacciargli affatto, come fece, ed invitarvi nuovi abitatori Cristiani; ed affinchè la città tosto si popolasse, assegnò a' nuovi abitatori Cristiani molte terre, ripartendole secondo la qualità e condizione degli abitanti; ed affinchè la città in cotal maniera purgata, si reputasse tutta nuova, volle ancora, che non più si chiamasse col nome antico di Lucera, ma di Santa Maria, titolo della sua cattedral Chiesa. Perchè questa Chiesa era posta in luogo meno frequentato, e fuori della città, e minacciava ruina, ed avea così picciole facoltà, che il Vescovo di quella non poteva sostentarsi conforme ricercava la dignità Pastorale, e per la povertà dell'entrate pativa anche difetto di Ministri; Carlo II la trasferì dentro la città, costruendone una più magnifica, con ordinare nel 1303 al Castellano della vecchia Fortezza di quel castello, che dasse certo metallo rotto, che ivi era per farsene una campana516. La dotò d'ampie e ricche entrate; e nello stesso anno gli donò cento once d'oro l'anno sopra le rendite sue regali, che teneva in quella città, per sostentamento de' Canonici, che accrebbe sino al numero di venti, con obbligo di quivi risedere, ed assistere alli divini Uffici tanto di notte, quanto di giorno, da dividersi fra di loro le rendite, che assegnava, egualmente, in maniera che ciascuno avesse cinque once d'oro l'anno in beneficio, ovvero prebenda. Si riserbò per se e suoi successori nel Regno la collazione de' Canonicati suddetti per la metà, e la restante parte, che fosse del Vescovo, in modo che quello, che primo vacherà sia a collazione del Re, e quel che vacherà la seconda volta sia del Vescovo. Oltre a ciò instituì nella medesima Chiesa le dignità di Decano, Arcidiacono, Tesoriero e Cantore, assegnando per ciò trenta once di oro l'anno, e che fossero di regia sua collazione517.
Il Pontefice Benedetto XI lodando la pietà e munificenza del Re, per mezzo d'una sua Bolla spedita a' 28 novembre dello stesso anno 1303 approvò e confermò l'istituzione, concedendo al Re Carlo e suoi eredi e successori di presentare al Vescovo le persone, ch'egli volea innalzare al Decanato, Archidiaconato e Cantoria, le quali dovesse il Vescovo istituire e confermare. Gli concedè ancora di poter in luogo del Papa conferire la metà delle prebende di sopra accennate quando vacherebbono, con poter anche conferire le altre dignità. Di vantaggio, se occorresse crear altre prebende, che potesse egli farlo, con riserbarne l'altra metà al Vescovo e suoi successori, quando vacheranno. Ed in fine, per ispezial favore, ancorchè per le convenzioni passate con Carlo suo Padre si fosse tolto l'assenso, che prima era necessario nell'elezioni dei Vescovi; gli concedè, che occorrendo eleggersi il Vescovo di questa città, debbia il Capitolo, prima di domandare la confermazione di quello, ricercare l'assenso dei Re e suoi successori, e non si possa l'Eletto confermare, se prima non sarà ricercato detto assenso; come si legge nella Bolla trascritta dal Chioccarelli, della quale non si dimenticò Tommasino518, con rapportarne anche le parole. Ciò che si vede essersi praticato anche a tempo del Re Alfonso I come per due carte di questo Re, una scritta al Vicario di Napoli nel 1450, e l'altra al Pontefice, rapportate dal Chioccarelli519.
Non soddisfatto questo Principe di ciò, nel seguente anno 1304 volle maggiormente arricchire questa Chiesa da lui fondata, donando a Stefano Vescovo di quella città e suoi successori le terre dell'Apricena, Palazzuolo e Guardiola poste nella provincia di Capitanata, e glie le concedè in feudo nobile, contento solo del giuramento di fedeltà, senz'altro servizio personale o reale, eccetto che ogni anno il Vescovo e suoi successori fossero tenuti dare al Re un bacile d'argento con 25 libbre di cera, cioè in un anno nella festività del Natale di N. S., ed un altro nel dì della Pentecoste; il qual bacile anche solevasi restituire al Vescovo per doverlo convertire in vasi d'argento per divin culto della Chiesa suddetta. Stabilisce inoltre, che vi siano in detta Chiesa il Decano, l'Arcidiacono, il Tesoriero, il Cantore, ed oltre i Canonici, otto Cherici: che il Decano abbia ogni anno quindici once di oro, l'Arcidiacono altrettante, il Tesoriero dodici once, il Cantore altrettante, e gli otto Cherici ciascheduno d'essi quattro once; ed il Tesoriero abbia anche quattro once pei lumi. Comanda che queste somme se gli paghino dalla Bagliva e da altri diritti ed entrate regali, che la regia Corte possiede in detta città; e vuole, che le dignità di Decano, Arcidiacono, Tesoriero e Cantore quando vacaranno, si conferiscano dal Re e suoi successori; però la metà de' Canonicati si conferisca dal Re, e la restante metà dal Vescovo alternativamente nella maniera detta di sopra: che gli altri Cherici s'ordinino dal Vescovo; che il Decano abbia da dare al Re e suoi successori ogni anno per se e Capitolo dodici libbre di cera; e che le persone, che avranno dette dignità e Personati, debbano insieme colli Canonici eleggere il Vescovo, con doverne presentare al Re l'elezione, e ricercare il suo assenso. Il qual privilegio nel seguente anno fu confermato da Carlo stesso, e nel 1332 da Roberto suo figliuolo520.
Siccome Carlo II statuì nella Real Chiesa di Bari, che nel celebrare ivi i divini Ufficii, si osservasse il rito Franzese; così parimente volle, che si praticasse in questa chiesa di S. Maria di Lucera; onde a' 25 novembre dell'anno 1307 scrisse al Vescovo e Capitolo di quella città, dicendo loro, che desiderando che in questa sua Chiesa da lui fondata si facesse progresso non meno nelle cose temporali, che spirituali, voleva perciò, che si governasse secondo le approvate consuetudini delle chiese cattedrali del Regno di Francia; onde ordinò loro e prescrisse alcuni riti, che si osservavano in Francia circa il celebrare l'Ufficio divino ed altre cerimonie di Chiesa521.
Ritengono per tanto i nostri Re ancora oggi queste preminenze sopra la Chiesa di Lucera, se non che sin da' tempi d'Alfonso venne loro contrastato (non ostante la Bolla di Benedetto XI) l'assenso ricercato nell'elezione del suo Vescovo, il quale ora si è proccurato con varii maneggi e trattati di toglierlo affatto; siccome dall'altra parte furono tolte al Vescovo le terre, che da questo Principe furon concedute, ond'è, che ora è sciolto dal tributo del bacile d'argento e della cera.
§. III. Della chiesa d'Altamura
La Chiesa d'Altamura, ancorchè fondata dall'Imperadore Federico II, e per suo privilegio spedito in Melfi l'anno 1282 confermato da poi da Innocenzio IV per la sua Bolla data in Lione l'anno 1248, fu resa esente dalla giurisdizione di qualunque Ordinario: con tutto ciò Carlo II ne prese la protezione, allorchè Sparano da Bari Protonotario del Regno, sotto colore che il Re Carlo suo padre gli avesse donato Altamura, tentava appropriarsi anche questa Chiesa, ch'era di jus patronato regio; onde scrisse nell'anno 1292 con molta premura a Carlo Martello suo figliuolo Re d'Ungheria, che comandasse al Protonotario di non impacciarsi a cosa veruna appartenente a questa Chiesa, per essere sua cappella regia, e si guardasse molto bene a non provocarlo ad ira; anzi ordinò, che non portasse rispetto in modo alcuno al suddetto Sparano in eseguire subito suoi ordini522. Maggior protezione ne prese quando il Vescovo di Gravina tentò di sottoporla alla sua giurisdizione. Egli nell'anno 1299 commise al Vescovo di Bitonto ed a Lupo Giudice della medesima città, che portandosi di persona in Altamura esaminassero la pretensione del Vescovo; e dopo matura discussione, d'accordo compose egli la contesa, stabilendo, che la chiesa suddetta fosse Cappella Regia; che la collazione appartenesse al Re; che fosse colle sue cappelle e Clero esente; e che la giurisdizione spirituale contenziosa in Altamura, spettasse all'Arciprete: quella che appartiene all'ordine Vescovile spettasse al Vescovo, al quale parimente il Re Carlo donò sette once d'oro l'anno in perpetuo523.
Dichiarata questa chiesa cappella regale, ed esente dalla giurisdizione dell'Ordinario, si proccurò poi dai Re successori di Carlo d'illustrarla con altre prerogative; onde nell'anno 1485, a richiesta di Pietro del Balzo Principe allora d'Altamura, s'ottenne da Innocenzio VIII Bolla, ovvero privilegio per cui fu innalzata da Parrocchiale ch'era, in Collegiata, con tutte l'insegne e dignità collegiali: fu conceduto ancora di potervi quivi creare nuove dignità, cioè d'Archidiaconato, Cantorato, Primiceriato e Tesorierato, con la creazione di ventiquattro Canonici, la provvisione dei quali si diede all'Arciprete. Fur concedute al medesimo le ragioni e preminenze Vescovili, il portar il Roccetto, la Mitra, l'anello e tutte le altre insegne Pontificali: di dare la solenne benedizione, colla potestà ancora di conferire gli Ordini minori alli suoi sudditi, e la superiorità e punizione circa tutti i Preti, e d'assolvere tutti i suoi Parrocchiani e sudditi di tutti li casi Vescovili. E poichè i Pontefici romani s'arrogavano ancora la potestà d'ergere le terre e castelli in città quando vi creavano un Vescovo; Innocenzio innalzando il suo Arciprete quasi al pari d'un Vescovo, dichiarò egli Altamura città, e comandò che ne' futuri tempi tale dovesse nominarsi, come si legge nella sua Bolla, rapportata dal Chioccarelli524.
Innalzata a tale stato la Chiesa d'Altamura ed il suo Arciprete, quindi è che oggi i nostri Principi vantino questa singolare e grande prerogativa di crear essi l'Arciprete senz'altra provvisione del Papa, il quale, ottenute le lettere regie di sua provvisione, esercita giurisdizione nel suo territorio sopra i Preti e Cherici di quella Chiesa e suoi sudditi, e gode di tutte le ragioni vescovili, e di tutte l'altre prerogative di sopra rapportate; poichè quantunque i nostri Re abbiano la presentazione di molte chiese cattedrali, nominando essi molti Vescovi ed Arcivescovi ancora, nulladimanco non la sola loro presentazione e nomina gli fa tali, ma vi bisogna ancora la provvisione del Papa, che gli ordini e confermi nelle loro Sedi, ciò che non si richiede nell'Arciprete d'Altamura; ond'è avvenuto che i nostri Re non abbiano mai permesso, che questa Chiesa da collegiata passasse in cattedrale, ed il suo Arciprete da tale passasse ad esser Vescovo.
Ma con tutto che il privilegio di Federico II confermato da Innocenzio IV, la provvisione del Re Carlo II, e la Bolla d'Innocenzio VIII avessero favorito tanto questa Chiesa, non furono però bastanti d'evitar le contese, che dal Vescovo di Gravina, favorito da Roma, si posero negli ultimi tempi, intorno l'anno 1605, di nuovo in campo; poichè pretese visitare l'Arciprete e la sua Chiesa, e n'avea già ottenute provvisioni da Roma; ma essendosegli impedito di potersene valere, fece egli pubblicare per iscomunicati il Capitolo ed il Reggimento di Altamura, ed affisse cedoloni d'interdetto a tutta la città, che si componeva non meno di 18 mila anime: e furono con tanto ardore sostenute queste contese dal Vescovo col favore di Roma, che per gran tempo furono impiegati i più gravi personaggi e più cospicui Ministri del Re per sedarle, le quali dopo il corso di 22 anni furono finalmente composte con dichiararsi che nella visita, che s'era concordato con S. M. che potesse fare il Vescovo, come Delegato della Sede Appostolica, potesse solamente provvedere e correggere, e non gastigare o punire; e che non si permetta al Clero d'Altamura d'avere un Giudice d'appellazione in partibus per li decreti e sentenze che s'interpongono dall'Arciprete, ma, come era stato solito, dovesse appellarsi alla Corte del Cappellano Maggiore. Ebbe gran parte in quest'affare il Consigliere Giovanni Battista Migliore mandato con tal incombenza in Roma dal Cardinal Zapatta allora Vicerè, per la vigilanza del quale dopo essere stata interdetta la città 18 anni, e scommunicati il Capitolo e Reggimento della medesima, si pose a tal negozio fine, riputato di grandissima importanza. Gli atti di questa controversia, e molte consulte ed allegazioni fatte per la medesima, insieme col Breve di Papa Gregorio XV, col quale si conferma la transazione, ed accordo seguito sopra queste differenze, si leggono presso Chioccarello nel tomo 6 dei suoi MS. giurisdizionali.
Tengono i nostri Principi del Regno molte altre chiese e cappelle di regia collazione, e Carlo II nell'anno 1300 ordinò, che di loro se ne formasse un distinto e compito inventario; dal cui esempio gli altri Re suoi successori, e particolarmente negli ultimi tempi il Re Filippo II, si mossero per conservarne memoria, di ordinarne altri più esatti. Per aver essi dai fondamenti erette molte Chiese ed altre dotate d'ampissime rendite, furono meritevoli di tal prerogativa; e siccome il fondamento, dove s'appoggia il diritto, di cui godono i Serenissimi Re di Spagna di presentar i Vescovi alle chiese cattedrali, non è altro, come dice il Vescovo Covarruvias525, se non perch'essi le fondarono e dotarono; così i nostri Re, perchè, siccome si è potuto notare da' precedenti libri di quest'istoria, e da quel che si dirà ne' seguenti, moltissime Chiese ancor essi a loro spese fondarono, e di grandi entrate dotarono: quindi o per concessione de' Sommi Pontefici, o per consuetudine e prescrizione immemorabile526, ottennero che le medesime fossero di loro collazione, senza che nel provvederle avesser bisogno del ministero del Vescovo o del Papa istesso527. Ciò che non dee recar maraviglia, particolarmente nelle persone de' Re, i quali non sono riputati puramente Laici; poich'essendosi da molti secoli introdotta tra' Principi cristiani quella spiritual cerimonia, che mentre si incoronano per mano de' Vescovi, sogliono anche ungersi col sacro olio, s'è riputato perciò che questa sacra unzione rendesse le lor persone sacrate, e capaci di tali e simili prerogative e dignità528.
Quindi è nato, che nel Regno i nostri Principi, oltre la presentazione che tengono in moltissime chiese di patronato regio, eziandio in alcune chiese cattedrali, delle quali si parlerà a più opportuno luogo, tengono la collazione di molte chiese e cappelle regie fondate da essi e dotate di loro rendite, siccome in Napoli la chiesa di S. Niccolò del porto, ovvero del Molo, di S. Chiara, di S. Agnello, di S. Angelo a Segno, di S. Silvestro, e de' SS. Cosma e Damiano, di S. Severino piccolo e moltissime altre. E nel Regno in tutte le sue province, come in Lecce la cappella della Trinità, la cappella di S. Angelo posta nel castello della medesima città ed altre: in Apruzzo la Badia di S. Maria della Vittoria: nella Diocesi di Sarno la Badia di S. Maria di Real Valle: in Salerno la cappella di S. Pietro in Corte, di S. Cattarina ed altre: in Bari la badia di S. Lionardo: in Barletta la chiesa di S. Silvestro: nella diocesi di Sora la chiesa di S. Restituta di Morea: in Montefuscoli la chiesa di S. Giovanni: nella Diocesi di Nardò la chiesa di S. Niccolò di Pergolito: in Catanzaro le cappelle di S. Maria e di S. Giovanni Battista, e tante altre che possono vedersi presso il Mazzella529, e negli inventarii fatti d'ordine di Carlo II e di Filippo II, rapportati dal Chioccarello nel sesto volume de' suoi MS. giurisdizionali.
CAPITOLO VI
Della Casa del Re: suo splendore e magnificenza; e de' suoi Uffiziali
Non fu veduta in alcun tempo la casa regale di Napoli in tanta magnificenza e splendore, quanto nel Regno di questo Principe; o si riguardi il lustro della numerosa sua regal famiglia, e la grandezza de' suoi Baroni, ovvero il numero e splendore degli Ufficiali della Corte: ciò che innalzò cotanto non pur la città di Napoli, ma tutto il Regno, e lo rese famoso sopra tutti gli Stati di Europa.
Vide il suo primogenito Carlo Martello Re d'Ungheria e costui morto, Caroberto di lui figliuolo e suo nipote, sicuro Re di quel Regno, avendo debellato gli avversarii suoi. Tutti gli altri suoi figliuoli vide innalzati alle supreme grandezze; perchè Lodovico secondogenito, quantunque nella sua giovanezza fossesi fatto Frate minor Conventuale a S. Lorenzo di Napoli, fu poi creato Vescovo di Tolosa, e da poi per la santità della sua vita fu da Papa Giovanni XXII posto nel catalogo de' Santi Confessori. Roberto suo terzogenito che gli succedè nel Regno, fu Duca di Calabria, Vicario del Regno ed ebbe il supremo comando delle sue armate. Si reputò quindi a' più prossimi alla successione del Regno convenirsi meglio il titolo di Duca di Calabria che di Principe di Salerno: poichè Carlo II tenendo molti figliuoli, ed avendone decorati alcuni col titolo di Principe, come Filippo che fu fatto Principe di Taranto, Tristano Principe di Salerno e Giovanni Principe d'Acaja, si stimò che fosse più proprio e decoroso, a chi dovea succedere nel Regno, darsi il titolo di Duca di Calabria: titolo antico preso da' primi Normanni e che non una città, ma due ampie province abbracciava. Quindi s'introdusse che ai primogeniti de' nostri Re, che debbon succedere al Regno, tal titolo si dasse; e siccome in Francia al primogenito si dà il titolo di Delfino, in Ispagna di Principe d'Asturia, così nella casa regale di Napoli, colui che teneva il primo grado nella successione, era chiamato Duca di Calabria; ond'è che Roberto così facesse nomare il suo primogenito Carlo che gli dovea succedere nel Regno: e così praticarono tutti gli altri Re aragonesi; ed unito poi questo Regno alla Corona di Spagna, quindi avvenne che i primogeniti de' Re di Spagna si dicessero non meno Principi d'Asturia che Duchi di Calabria.
Filippo quartogenito fu Principe di Taranto e di Acaja, Dispoto di Romania, Grand'Ammiraglio del Regno, e per ragion di sua moglie, ebbe il titolo d'Imperadore di Costantinopoli; ed ancorchè non possedesse quell'Imperio, venne in tanta bizzaria, che imitando l'Imperador Federico Barbarossa, gran facitor di Duchi e di Re, volle nella Romania e nell'Asia Minore crearvi un Re ed un Dispoto. Il Tutini530 nell'Archivio de' PP di S. Domenico Maggiore di Napoli ha rinvenuto l'originai diploma, da lui inserito nel libro degli Ammiragli del Regno, dove Filippo, e Catterina coniugi, che s'intitolano Imperadori di Costantinopoli, creano, e fanno Martino Zaccaria di Castro Signore di Chio, Re e Dispoto di Romania, e dell'Asia Minore, detta Anatolia, concedendogli investitura per se, suoi eredi e successori, con tutti li Contadi e Baronie e città di essa, con l'isole adiacenti, cioè Fenotia, Marmora, Tornero, Mitileno, Chio, Samo, Mitanea, Lango, ed altre isole: di più gli concede tutte le prerogative regie e Dispotali, cioè di bere in tazze d'oro, di portar la Corona, lo Scettro e le scarpe rosse fuori e dentro del palazzo di Costantinopoli, come sono le parole del diploma: infra vero Palatium ipsum, caligas Despotales et alia insignia Regalia, et despotalia deferre, ac portare possit, et valeat, secundum Regalem, et despotalem usum et consuetudinem Constantinopolitani Imperii; poichè secondo la Gerarchia dell'imperial Casa di Costantinopoli rapportata da Leunclavio531, il primo Ufficiale del palazzo dell'Imperadore di Costantinopoli, era il Dispota. Vuol che il Regno lo riconosca in feudo da lui, e perciò si fece dare il ligio omaggio ed il giuramento di fedeltà da Frate Jureforte Costantinopolitano dell'Ordine de' Predicatori, Proccuratore e spezial Nunzio del Re Martino destinato a quest'atto. Il diploma fu spedito in Napoli per mano di Roberto Ponciaco Giureconsulto, Consigliere e familiare dell'Imperadore, e porta questa data: Datum Neapoli per manus D. Roberti de Ponciaco J. C. professoris, dilecti Consiliarii et familiaris nostri. A. D. 1305 die 24 maii 8 Indict. Morì poi Filippo nell'anno 1332 in Napoli, e fu sepolto nella chiesa di S. Domenico de' Frati Predicatori di Napoli, ove insino oggi si vede il suo tumulo.
Raimondo Berlingiero suo quintogenito, per la sua gran giustizia e prudenza fu fatto da lui Reggente della Vicaria, e fu Conte d'Andria e Signore dell'Onore di Monte S. Angelo; il qual poi morì con gran fama di bontà. Giovanni sestogenito morì Cherico nell'adolescenza. Tristano settimogenito, così chiamato, perchè nacque nella tristezza quando il padre era prigione in Ispagna, fu Principe di Salerno. Giovanni ottavogenito, fu Principe d'Acaja e Duca di Durazzo nella Grecia: Durazzo è città posta nel Peloponeso, oggi detto Morea, della quale abbiamo una minuta descrizione in Tucidide: ella fu città metropoli, ed il suo Metropolitano era sottoposto al Patriarca di Costantinopoli: avea Trono e Molti Vescovi suffraganei rapportati da Leunclavio532: fu poi Conte di Gravina per successione dell'ultimo fratello; Pietro l'ultimogenito, fu Conte di Gravina e non già inferiore agli altri nella virtù e valor militare.
Non meno illustre che numerosa fu la sua femminile progenie sposata a' Principi più Sovrani d'Europa. Clemenzia fu moglie di Carlo Conte di Valois fratello del Re di Francia. Bianca fu moglie di Giacomo Re d'Aragona. Lionora fu moglie di Federico Re di Sicilia. Maria fu moglie di Giacomo Re di Majorica. Beatrice l'ultimogenita fu moglie d'Azzo d'Este Marchese di Ferrara e poi di Beltramo del Balzo Conte di Montescaggioso e d'Andria, ed ultimamente di Roberto Delfino di Vienna. Adornavano ancora la sua regal Casa tanti grandi ed illustri Baroni: gli Orsini Conti di Nola: li Gaetani Conti di Fondi e di Caserta: li Balzi Conti d'Avellino e d'Andria: i Chiaramonti Conti di Chiaramonte: i Conti di Lecce, di Chieti e tanti altri rinomati Baroni.
Da questo numero di così illustri figliuoli ebbe Re Carlo non pur l'allegrezza che può aver un padre de' figli buoni ed eccellenti, ma una benevolenza infinita del popolo di Napoli. Il fasto, che portavano alla Casa regale e la splendidezza di tante Corti, non pur illustravano la città, ma erano di grande utilità a' suoi cittadini; poichè non solo gli Artisti ne riportavano grandissimi guadagni dalle pompe loro, ma gli altri popolani onorati, che comparivano alle Corti loro, erano poi esaltati a più alti e ragguardevoli uffici della Casa regale, i quali erano in questi tempi in tanto numero e così varii in fra loro, che meritano onde qui se ne faccia particolar memoria.