Kitabı oku: «Istoria civile del Regno di Napoli, v. 8», sayfa 14
Ma tutto ciò è nulla a' danni gravissimi, che si sentirono da poi per l'occasion di questa guerra, la quale sebbene fosse terminata per questa pace, rimase l'impressione perciò fatta col Turco, il quale invitato, come si disse, dal Re di Francia collegato col Papa, ad assalire per mare il Regno, sebbene tardasse la sua armata a venire al tempo opportuno, ch'essi desideravano, tanto che bisognò conchiuder la pace, non per ciò il Turco avendo preparato il tutto, ancorchè alquanto s'astenesse d'inquietarlo; poichè appena partito il Duca d'Alba per la Corte, pervenuto a governar il Regno D. Giovan Manriquez questo infelice Ministro, non erano passati ancora otto giorni dopo la sua venuta, seguita a' 5 giugno di quest'istesso anno 1558, che vide ne' nostri mari comparir l'armata Ottomana numerosa di centoventi Galee sotto il comando del Bassà Mustafà, la quale dopo aver saccheggiata la città di Reggio in Calabria, entrata fin dentro il Golfo di Napoli, posta di notte la gente a terra diede un sacco lagrimevole alle città di Massa e di Sorrento; facendo di quest'ultima un miserabilissimo scempio per esser stati posti in ischiavitù quasi tutti i lor Cittadini, che portati in Levante, bisognò poi riscattarli a grave prezzo; onde quel misero avanzo de' loro congiunti, che rimasero venduti i loro campi e le loro tenute a vilissimo prezzo, fu costretto andare insino a Casa il Turco per riaverli147: disavventura, della quale insino al dì d'oggi mostra Sorrento le cicatrici, mirandosi per ciò tuttavia povera e di facoltà e d'abitatori.
Ma non passò guari, che la mano vendicatrice del Signore non si facesse sentire sopra la persona del Pontefice, e de' suoi nipoti e congiunti, autori di tanti mali: poichè il Pontefice, prima di morire, ebbe a soffrire molte angoscie per le tante scelleraggini scoverte de' suoi nipoti, e fu quasi per morir di doglia, quando costretto a sbandirli di Roma, intese le tante laidezze in casa del Duca suo nipote, che furono cagione di morti crudeli e violente, e di lagrimevoli tragedie. Ed appena morto a' 18 agosto del 1559, anzi spirante ancora, per l'odio concepito dal popolo e plebe Romana contra lui e tutta la Casa sua, nacquero così gran tumulti in Roma, che i Cardinali ebbero molto più a pensare a quelli, come prossimi ed urgenti, che a' comuni a tutta la Cristianità. Andò la città in sedizione: fu troncata la testa alla Statua del Papa e strascinata per la città: furono rotte le prigioni pubbliche: fu posto fuoco nel luogo dell'Inquisizione, e abbruciati tutti i processi e scritture, che ivi si guardavano; e poco mancò, che il Convento della Minerva, dove i Frati soprastanti a quell'Ufficio abitavano, non fosse dal popolo abbruciato. Assunto poi al Pontificato Pio IV, furono imprigionati i Caraffeschi, e fabbricatosi contro ad essi più processi, per le loro scelleratezze furon sentenziati a morte. Il Cardinal Carlo fu fatto strangolare, il Duca di Palliano fu decapitato, e degli altri loro congiunti ed aderenti, furon praticati castighi sì severi, che gli ridussero in istato cotanto lagrimevole, quanto la lor Istoria racconta.
CAPITOLO II
Trattato con Cosmo Duca di Firenze, col quale furono ritenuti dal Re i Presidj di Toscana, ed investito il Duca dello Stato di Siena cedutogli dal Re Filippo. Ducato di Bari, e Principato di Rossano acquistati pienamente al Re, per la morte della Regina Bona di Polonia. Morte della Regina Maria d'Inghilterra, e terze nozze del Re Filippo, che ferma la sua Sede stabilmente in Ispagna
In questi medesimi tempi il nostro Re Filippo in quell'Isole adjacenti allo Stato di Siena, per cui era in continue guerre co' Franzesi, stabilì maggiormente il suo dominio, munendole di forti e fissi presidj, onde Presidj di Toscana furon detti, siccome ora ancora ne ritengono il nome; onde fu poi da' Politici148 ponderato, che gli Spagnuoli collo Stato di Milano, con questi Presidj e col Regno di Napoli, come di tanti anelli, aveano fatta una catena per cingere Italia, e tenerla a lor divozione. Carlo V, come si è veduto, aveasi a se attribuito, come devoluto all'imperio149 lo Stato di Siena, e vi mandava in quella città suoi Governadori spagnuoli a reggerlo; e mentre il Vicerè Toledo presiedeva al Regno, i Sanesi, mal soddisfatti dell'aspro governo del Mendozza, tumultuarono; tanto che accesasi guerra, bisognò, che il Toledo andasse di persona ad estinguer quell'incendio: spedizione per lui pur troppo infelice, poichè, come si è narrato nel precedente libro, vi perdè la vita. L'Imperador Carlo cedè poi Siena al suo figliuolo Filippo, che per suoi Governadori la reggeva. Quindi avvenne, che molti istituti e costumi, i nostri Napoletani gli apprendessero da Siena, città allora assai culta. A similitudine delle Accademie di Siena s'introdusser in Napoli l'Accademie per esercitar gl'ingegni nelle belle lettere. Da Siena ci vennero i Teatri e le Comedie, allora nuove e strane in queste nostre parti, e fin da Siena si proccuravano non pur le rappresentazioni, e le favole, ma i recitanti istessi, per far cosa plausibile e degna di ammirazione.
Ma lo Stato di Siena posseduto dagli Spagnuoli fu sempre occasione a' Franzesi, ingelositi di tanta lor potenza in Italia, di fiere ed ostinate guerre. Cosmo Duca di Fiorenza, il quale ora aderiva alle parti di Cesare, ora, per far contrappeso alla sua potenza, teneva intelligenza co' Franzesi, non tralasciava intanto le occasioni per ingrandir il suo Stato: seppe in questi tempi colla sua industria, e grande astuzia ingelosire il Re Filippo, in maniera, mostrando darsi alla parte di Francia e del Pontefice, che l'indusse finalmente con quelli patti, che diremo, a cedergli Siena. Era egli creditore del Re in grossissime somme, parte improntate a Carlo V, suo padre, parte spese per la guerra in tempo, che fu ausiliario de' Spagnuoli: per le quali, ancorchè ne avesse avuto in pegno Piombino, n'era però, secondo le congiunture portavano, spesso dagli Spagnuoli spogliato: gridava egli perciò che almeno gli fosse restituito il denaro e rifatte le spese; ma dandosegli sempre parole dal Re Filippo, finalmente Cosimo vedendosi deluso, finse volersi unire col Pontefice e col Re di Francia, per indurre il Re appunto alla cessione di Siena150. Il Presidente Tuano descrive gli stratagemmi usati da Cosmo per ingannar non men Filippo, che il Papa e 'l Re di Francia in quest'affare, e come il tutto felicemente gli riuscisse; poichè Filippo, premendogli, che il Duca Cosmo non si collegasse coi suoi nemici in questi tempi, ne' quali avea di lui maggior bisogno, e poteva recargli maggior danno: ancorchè quasi tutti i suoi fossero di contrario parere, quasi forzato, s'indusse a cedergli Siena.
Mostrava intanto Filippo di venire a questa cessione unicamente per gratificare il Duca; ma nell'istesso tempo pensava (ritenendosi le Isole adjacenti) rendersi con nuovi presidj vie più forte in Italia, affinchè potesse resistere a qualunque forza d'esterior nemico, e cingere in questa maniera Italia: per ciò col permesso dell'Imperador suo padre, risolvè di concedere, ed investire il Duca dello Stato di Siena con alcuni patti e condizioni; laonde per mezzo di D. Giovanni Figueroa allora Castellano del Castel di Milano, che per questo effetto lo costituì suo Proccuratore, fu stipolato istromento col detto Duca, sotto li 3 luglio del 1557, col quale si concedeva a costui lo Stato con molte condizioni, fra le quali fu convenuto, che in detta concessione non s'intendessero compresi Port'Ercole, Orbitello, Talamone, Mont'Argentario, ed il Porto di S. Stefano. Da questo tempo a spese del Regno si mandarono in quest'Isole milizie spagnuole per ben presidiarle, e da Napoli vi si manda ancora un Auditore per amministrar giustizia a quegli abitanti, i quali però vivono secondo gli Statuti e costumi de' Sanesi loro vicini, e per ciò quel Ministro ritiene ancora il nome d'Auditore de' Presidj di Toscana.
Fu in questo trattato compreso anche Piombino, e fu fedelmente eseguito, siccome non meno il Chioccarelli151, che il Tuano152 ne rendono a noi testimonianza.
Fra quell'Isolette, ve ne è una chiamata l'Isola di Fanuti, per la quale in questi tempi fu lungamente disputato, se apparteneva al Re Filippo, ovvero fosse compresa nella concessione dello Stato di Siena fatta al Duca di Fiorenza. Furono per ciò per sostenere le ragioni del Re, fatte dalla Regia Camera due consulte, una sotto il primo di giugno del 1573, l'altra sotto li 26 agosto del medesimo anno, che si leggono nel tomo 18, de' M. S. Giurisd. di Bartolommeo Chioccarello.
Poichè la sovranità dello Stato di Siena dagl'Imperadori d'Alemagna si pretende appartenere ad essi, l'Imperador Rodolfo II per maggiormente stabilire ciò che il Re Filippo II, avea fatto, al primo di gennajo del 1604, spedì privilegio al Re Filippo III col quale confermandogli il Vicariato di Siena, Portercole, Orbitello, Talamone, Monte Argentario e Porto di S. Stefano con titolo di Duca e Principe dell'Imperio, confermò anche la concessione, ed infeudazione fatta di detto Stato di Siena dal Re Filippo II a Cosmo di Medici Duca di Fiorenza; ed ecco come i Presidj di Toscana s'unirono alla Corona de' Re di Spagna153.
§. I. Ducato di Bari, Principato di Rossano acquistati pienamente al Re Filippo per la morte della Regina Bona di Polonia
In questi medesimi tempi al Re Filippo ricadde il Ducato di Bari, e 'l Principato di Rossano, li quali, toltone la sovranità, lungamente erano stati sotto la dominazione, o de' Duchi di Milano, de' Re di Polonia.
Da poi che Ferdinando I d'Aragona spogliò il Principe di Taranto de' suoi Stati, fra' quali era il Ducato di Bari, per rimunerazione di quegli ajuti, che più volte gli avea somministrati Francesco Sforza Duca di Milano, e per contemplazione del matrimonio d'Eleonora sua figliuola, destinata per isposa a Sforza Maria Visconte terzogenito del detto Duca Francesco, investì nel 1465 il detto Duca Francesco della città di Bari e suo Ducato. Ma essendosene poi il Duca morto nel seguente anno 1466, con nuova licenza e concessione del Re Ferdinando, lasciò il Ducato di Bari, non a Galeazzo suo primogenito, che succedè nello Stato di Milano, il quale fu poi marito d'Isabella d Aragona figliuola d'Alfonso II, ma a Sforza Maria Visconte e suoi futuri figliuoli legittimi, acciò che quello, che per lo matrimonio contraendo dovea divenire genero del Re di Napoli, avesse con la sua prole da possedere nel di lui Regno il Ducato di Bari. Il nuovo Duca Sforza mandò tosto in Bari un suo Luogotenente con titolo di Viceduca per governare la città e 'l Ducato, ma essendosi disciolti gli appuntati sponsali con Eleonora d'Aragona per le molte e gravi infermità del Duca Sforza, tanto che Eleonora fu data poi per moglie al Duca Ercole di Ferrara, fu lasciato sì bene il Ducato al Duca mentre visse, ma morto poi nel 1479, essendo ricaduto al Re, fu quello insieme col Principato di Rossano in Calabria donato a' 14 agosto del medesimo anno a Lodovico Moro fratello del morto Duca e a figlj, che da legittimo matrimonio fossero da lui nati. Possedè Lodovico questi Stati; ma quando poi si seppe l'invito da lui fatto a Carlo VIII Re di Francia per la conquista del Regno di Napoli, Alfonso II oltre aver richiamato il suo Ambasciadore, che per lui risedeva in Milano, e mandato via quello di Lodovico che risedeva in Napoli, fece sequestrare tutte l'entrate degli Stati di Bari, e di Rossano, acciò non capitassero nelle mani d'un suo dichiarato nemico. Ritornato poi il Regno per la partita del Re Franzese, sotto il Re d'Aragona, e seguita la pace con Lodovico, costui dal nuovo Re Federico chiese una nuova conferma, ed una nuova investitura del Ducato di Bari e del Principato di Rossano, il quale cortesemente glie la spedì sotto la data de' 6 decembre dell'anno 1496. Nell'anno seguente fece Lodovico al Re nuova istanza, dimandando, che investisse di questi Stati di Bari e Rossano il secondogenito nomato Sforza, fanciulletto ancora di tre anni, a cui esso gli cedeva; ed avendo il Re a ciò acconsentito, creò nuovo Duca di Bari e Principe di Rossano il fanciullo a' 20 giugno del 1497 con condizione, che a nome di lui governasse questi Stati Lodovico suo padre, fin che il vero Duca giungesse ad età più matura.
Intanto essendo D. Isabella d'Aragona, figliuola di Alfonso II, rimasa vedova di Giovanni Galeazzo, al quale portò in dote centotrentamila scudi, ed avendo il nuovo Re di Francia Lodovico IX mossa nuova guerra in Italia con impegno di vendicarsi di Lodovico suo capital nemico, e spogliarlo del Ducato di Milano; questi intimorito, se ne fuggì in Germania e prima di partire assegnò alla mentovata D. Isabella per li ducati centotrentamila della sua dote, il Ducato di Bari ed il Principato di Rossano. D. Isabella prese di questi Stati il possesso, e lo ritenne fin che visse; poichè quando Federico fu costretto uscir del Regno, quello passato in potere de' Franzesi e de' Spagnuoli, e finalmente sotto Ferdinando il Cattolico, niuno le diede molestia, e la lasciarono godere di questi Stati senza un minimo turbamento. Venne ella nel 1501 a risedere in Bari, dove lasciò di se molte memorie, ampliando, e nobilitando quella città con magnifici edificj154.
Avea ella di Galeazzo suo marito procreato un figliuol maschio chiamato Francesco, ed una bambina di nome Bona, ma essendo Francesco premorto in Francia giovinetto, rimase Bona unica erede, la quale veniva allevata da sua madre in Bari con grande agio e carezze: divenuta già grandetta, pensò darle marito; l'Imperador Carlo V, a richiesta d'Isabella, se ne prese cura e trattò il matrimonio con Sigismondo Re di Polonia, che allora si trovava vedovo e senza figliuoli maschi; fu quello conchiuso nel 1517, e mandò il nuovo sposo a prendersi Bona, la quale imbarcatasi a Manfredonia, a' 3 febbrajo del seguente anno 1518, fu ricevuta dal Re in Polonia con real pompa e grande celebrità. Ritiratasi da poi D. Isabella da Bari in Napoli, non passò guari, che infermatasi d'idropisia, rese lo spirito nel 1524, e fu seppellita nella Chiesa di S. Domenico, dove ancora oggi si vede il suo tumulo.
Per la costei morte nacque discordia intorno alla successione del Ducato di Bari, e del Principato di Rossano tra Bona sua figliuola ed erede, e Sforza figliuolo di Lodovico Moro. Costui, allegando l'investitura a se fatta dal Re Federico, pretese per se gli Stati, e diceva che Lodovico suo padre per non essere di quelli che un semplice Governadore, non poteva assegnargli a D. Isabella per le sue doti. L'Imperador Carlo V pretese ancora, che Lodovico non solamente non avea potuto dispor di quelli, come non suoi, ma anche perchè quando gli assignò a D. Isabella non richiese assenso da Federico Re di Napoli, a cui, ed a' suoi successori in caso di vacanza, doveano ricader quegli Stati. In fine dopo varie consulte e trattati fu stabilito, che il Castello di Bari s'aggiudicasse a Carlo V come a diretto padrone, e successor legittimo del Regno; e che la città di Bari col suo Ducato, e gli altri Stati in Calabria s'assignassero alla Regina Bona per tutto il tempo di sua vita, salve però le ragioni di Sforza, alle quali per questo accordo non si recasse pregiudizio veruno. Ciò stabilito l'Imperadore mandò subito Colamaria di Somma Cavaliere Napoletano per Castellano nel Castello di Bari; e la Regina, che accettò le condizioni, vi mandò per Viceduca Scipione di Somma per reggere la città e 'l Ducato.
In cotal guisa si stette sino all'anno 1530, quando Sforza, che con l'assenso dell'Imperador Carlo era già divenuto Duca di Milano, cedè al medesimo Carlo tutte le ragioni riservate, e pretensioni, ch'egli avesse potuto mai avere sopra gli Stati suddetti; onde l'Imperadore divenutone interamente Signore, fece nuova investitura de' medesimi alla Regina Bona, ristretta però mentr'ella vivea; e nel 1536, la investì anche del Castello di Bari con la medesima limitazione di tempo; onde da lei e dal Re Sigismondo suo marito furon da poi governati155.
Rimasa poi vedova la Regina Bona per la morte accaduta del Re suo marito nell'anno 1548, ancorchè col medesimo avesse procreati quattro figliuoli, un maschio che fu successore nel Regno, chiamato Augusto, e tre femmine: nulladimeno non passarono molti anni, che la Regina col suo figliuolo venne a manifeste discordie. Al Re non piacevano i modi troppo licenziosi di sua madre: all'incontro ella per vivere più libera, prendendo occasione d'essersi Augusto con suo disgusto sposato con una sua vassalla, benchè molto gentile e bellissima, risolvette abbandonar il Regno, ed i figli e ritirarsi in Bari nel suo Stato. Augusto la lasciò andare, onde partita nel 1555 con fioritissima Corte, viaggiò per terra da Craccovia sino a Venezia, dove da quella Signoria fu ricevuta con Real pompa e maravigliose accoglienze: e fra le orazioni del Cieco d'Adria se ne legge ancora una, recitata dal medesimo In Venezia in occasione di questo passaggio156. Da Venezia su le Galee della Repubblica si portò a Bari, dove fu accolta con sommi onori e feste grandissime.
Visse in Bari meno di due anni, e frattanto comprò da varj Baroni Campurso, Noja e Trigiano, Terre a Bari vicine, fortificò il Castello, fabbricandovi alcuni nuovi baloardi. Venuta a morte fece il suo testamento, nel quale avendo lasciato a Giovan-Lorenzo Pappacoda suo intimo Cortigiano, che per molti anni l'avea ben servita, ed in Polonia ed in Bari, le Terre suddette; ad insinuazione del medesimo dichiarò in quello, che il Ducato di Bari ed il Principato di Rossano, erano ricaduti per la sua morte al Re Filippo II, ne' quali ella per ciò lo istituiva erede. Morì nel mese di novembre di quest'anno 1557, e fu sepolta nel Duomo di Bari, dove dopo molti anni gli fu fatto innalzare dalla Regina Anna di Polonia sua figliuola, e moglie del Re Stefano Battori, un superbo tumulo, con iscrizione che ancor ivi si vede.
Il Re Augusto, ricevuto avviso della morte della Regina sua madre, e del testamento, fortemente se ne dolse e portò le sue querele all'Imperador Ferdinando suo suocero, pretendendo non aver potuto la madre privarlo di quegli Stati con disporne a favor del Re Filippo, e che l'investitura comprendeva lui anche. Filippo intanto se gli avea già fatti aggiudicare come a se devoluti, e per gratificare il Pappacoda di questo buon servigio, avea dato al medesimo titolo di Marchese sopra Capurso; ed avendo avuto avviso dall'Imperador suo zio delle pretensioni del Re di Polonia, si contentò che così quelle, come le sue, s'esaminassero avanti dell'Imperadore, e secondo quello che a' suoi Savj paresse, si determinasse. Fu accettato il trattato: onde da amendue le Parti si mandarono in Germania famosi Giureconsulti per sostener le loro ragioni. Piacque al Re Filippo II mandar per se da Napoli Federico Longo, eccellente Dottore di que' tempi, e che esercitava allora la carica d'Avvocato Fiscale della Regia Camera; ma questi partito per Vienna, ove risedeva l'Imperadore, giunto a Venezia s'ammalò gravemente, ed a' 24 ottobre del 1561 vi lasciò la vita: fu il suo cadavere riportato a Napoli, dove nella Chiesa di S. Severino gli fu data onorevole sepoltura157. Si pensò ad altra persona, e fu scelta quella di Tommaso Salernitano Dottor non men rinomato e Presidente della Regia Camera, il quale portatosi in Germania, e ben ricevuto dall'Imperadore, difese così bene le ragioni del suo Re, mostrando l'investitura della Regina Bona essersi estinta colla sua morte, nè venire in quella compresi i figliuoli, che ne riportò sentenza favorevole, e fu con ciò posto a questa lite perpetuo silenzio. Il Re Filippo rimase cotanto ben soddisfatto del Presidente Salernitano, ch'essendo per la morte del Reggente Francese Antonio Villano nel 1570 vacata quella piazza, lo fece Reggente di Collaterale, dove presiedette sino a 10 giugno del 1548, anno della sua morte158.
In cotal maniera tratto tratto s'andavano estinguendo nel nostro Regno que' vasti Dominj e Signorie, che sovente rendevano i Possessori sospetti a' Re, e quasi uguali, particolarmente nel Regno degli Aragonesi piccioli Re, i quali oltre di quello di Napoli, non aveano fuori altra Signoria. Erano per ciò sovente soggetti alle congiure ed all'insidie de' Baroni potenti, ed a' continui sospetti, che i malcontenti non invitassero i Franzesi, perpetui competitori, all'acquisto, e che, o con sedizione interna, o guerra esterna, non loro turbassero il Regno. Gli Spagnuoli, secondo che la congiuntura portava, devoluti gli Stati o per morte o fellonia, estinguevano Signorie sì ampie: non rifacevano in lor vece altri, ma, ritenuta la città principale nel Regio Demanio, partivano in più pezzi il rimanente, e delle altre Terre che prima componevano lo Stato ne facevano più investiture: d'uno che n'era o Principe, o Duca, o Marchese, ne facevano molti, concedendo separate investiture; onde si videro nel Regno loro, cominciando dall'Imperador Carlo V e da Filippo II sino al presente, multiplicati tanti Titoli e Baroni, che il lor numero è pur troppo sazievole. Così venne ad estinguersi il Principato di Taranto, il Principato di Salerno, il Ducato di Bari, il Contado di Lecce, il Contado di Nola e tanti altri Ducati e Contee, e per provvido consiglio degli Spagnuoli, ritenute le città principali nel Regio Demanio tutte le Terre e Castelli, onde quelle si componevano, essendo state investite a diversi, siccome assai più nel Regno si multiplicarono i piccioli Baroni, così si proccurò d'estinguere i grandi.