Kitabı oku: «Istoria civile del Regno di Napoli, v. 8», sayfa 15
§. II. Morte della Regina Maria d'Inghilterra, e terze nozze del Re Filippo, il quale si ritira in Ispagna, donde non uscì mai più
Intanto al Re Filippo, mentre queste cose accaddero nel nostro Reame, avea la morte dell'Imperador Carlo suo padre (accaduta, come si è detto, in quest'anno 1558) rapportato non poco dolore, onde non solo in Brusselles (dove allora trovavasi il Re Filippo) in Germania ed Ispagna, ma in tutti i Regni di sì vasta Monarchia, si celebravano pomposi funerali; ed in Napoli nel medesimo anno, mentre governava il Cardinal della Cueva, se ne celebrarono assai lugubri e con grandi apparati. Ma assai maggior dolore sofferì questo Principe, quando, poco da poi della morte dell'Imperadore, a' 17 novembre del medesimo anno, vide l'irreparabil perdita della Regina Maria d'Inghilterra sua moglie, dalla quale non avea procreati figliuoli159. Morte che ruppe tutti i disegni, che avea concepiti sopra quel Regno: poichè se ben egli in vita di quella, disperando di prole, per tener un piede in quel Regno, avea trattato di dar Elisabetta sorella di Maria, che dovea succederle del Regno, a Carlo suo figliuolo, natogli dalla prima moglie Maria di Portogallo160; o come narra il Tuano161, avea proccurato con Ferdinando suo zio, che la prendesse per moglie Ferdinando uno de' figliuoli del medesimo, e dapoi, che poca speranza vi fu della vita di Maria, avesse ancora gettate diverse parole di pigliarla esso in matrimonio: nulladimeno la nuova Regina, come donna prudente, avendo scorti questi disegni, e 'l desiderio degl'Inglesi, i quali mal soddisfatti del governo passato, volevano totalmente separarsi dagli Austriaci, appena assunta al Trono assicurò il Regno con giuramento di non maritarsi con forestiere162. Ed essendo dall'assunzione sua al Trono incominciati i disgusti, che poi finirono in una total divisione tra lei ed il Papa, il Re di Francia vie più gli andava nutrendo e fomentando, perchè temendo non seguisse questo matrimonio tra lei ed il Re Filippo con dispensazione Pontificia, stimò bene assicurarsene con fomentar le discordie, esagerando al Pontefice non doversi fidare di Elisabetta, anzi abborrirla, come colei, ch'era nutrita colla dottrina de' Protestanti, e quella apertamente professava: onde gli riuscì troncare sul bel principio le pratiche tra la nuova Regina e la Corte di Roma. Così Filippo, deposta ogni speranza, si quietò; e tutti i suoi pensieri furon poi rivolti a stabilire la pace, che meditava ridurre ad effetto con Errico II Re di Francia, la quale sin da' 14 di febbrajo del nuovo anno 1559 s'era cominciata a trattare nella città di Cambrai; ed essendovi per Filippo intervenuti il Duca d'Alba, il Principe d'Oranges, il Vescovo di Aras (poi Cardinal di Granvela) ed il Conte di Melito; e per parte del Re di Francia, il Cardinal di Lorena, il Contestabile, il Maresciallo ed il Vescovo d'Orleans, finalmente a' 13 aprile del detto anno fu conchiusa e stabilita con due matrimonj: poichè al Re Filippo si diede per moglie Isabella primogenita del Re Errico; e la sorella al Duca di Savoja163. Pace, che rallegrò tutta Europa, ed in Napoli dal Cardinal della Cueva furono celebrate feste e giostre superbissime. Ma in Parigi queste feste finiron in una lagrimevol tragedia; poichè il Re Errico correndo in giostra, ferito d'un colpo mortale vi lasciò la vita; onde a quel Trono fu innalzato Francesco II. Ed intanto il Re Filippo, partito da' Paesi Bassi per mare, passò in Ispagna, dove fermatosi colla novella sposa, si risolvè di non più vagare164, ed ivi chiudendosi, non ne uscì mai più, governando dal suo gabinetto la Monarchia.
CAPITOLO III
Del governo di D. Parafan di Rivera Duca d'Alcalà, e de' segnalati avvenimenti, e delle contese ch'ebbe con gli Ecclesiastici ne' dodici anni del suo Viceregnato; ed in prima intorno all'accettazione del Concilio di Trento
Il Re Filippo fermato in Ispagna con risoluzione di non più vagare, avendo quivi con maravigliose feste fatte celebrare le nozze della nuova Regina Isabella, poco da poi fece anche solennemente giurare da' Popoli di Castiglia per Principe di Spagna, e suo successore nella Corona D. Carlo suo figliuolo; e così poi di mano in mano fece dargli giuramento da' popoli del Reame di Napoli, e degli altri Regni della sua Monarchia. Intanto il Cardinal della Cueva Luogotenente in Napoli, partito per Roma, a' 12 giugno di quest'anno 1559, per invigilare più a presso agli andamenti del Pontefice Paolo IV, essendo accaduta ai 18 agosto la morte del medesimo, bisognò trattenervisi per l'elezione del successore, e fu non molto lontano, che la sorte cadesse in sua persona; ma ostandogli l'essere spagnuolo, e parzialissimo di quella Corona, fu rifatto in luogo di Paolo il Cardinal Giovan-Angelo de' Medici, che Pio IV nomossi. Il Cardinal della Cueva pochi anni dapoi morì in Roma nel 1562, dove nella Chiesa di S. Giacomo della Nazion spagnuola si vede il suo tumulo.
Ma il Re Filippo, che nella scelta de' Ministri mostrò sempre un finissimo accorgimento, avea già molto prima destinato per lo governo di Napoli D. Parofan di Rivera Duca d'Alcalà, il quale allora si trovava Vicerè in Catalogna, uomo d'incorrotti costumi, savio, accorto, coraggioso e molto pio165. Giunge egli in Napoli in quel dì appunto, che partì per Roma il Cardinale, dove fu ricevuto con molto apparecchio, e con desiderio uguale all'espettazione, che s'avea della sua rinomata prudenza e giustizia. Ebbe egli ne' primi anni del suo governo a schermirsi da molti colpi di fortuna, nè vi bisognava meno che il suo coraggio per superarli. Si vide il Regno in una estrema penuria di grani, ed i Cittadini camminar pallidi e famelici per le strade dimandando del pane: gli spessi tremuoti, che si facevan sentire, non meno in Napoli, che nelle Province, particolarmente in Principato e Basilicata, riempivano gli animi non meno d'orrore, che le città e Terre di danni e ruine: le contagioni, le gravi malattie, ed in fine tutti i Divini flagelli pioverono sopra il Regno in tempo del suo governo, a' quali però egli colla sua prudenza e pietà diede opportuno e saggio riparo.
Ebbe ancora a combattere non meno col fato, che colla perversità degli uomini; oltre de' Turchi, che nel suo governo più spesso che mai, invasero per ciascun lato il Regno, arrischiandosi sino a depredare nel Borgo di Chiaja e rendere schiavi i Napoletani istessi; oltre alquanti miscredenti, che imbevuti della nuova dottrina di Calvino, turbarono lo Stato, del che, come si disse nel precedente libro, ne prese egli aspra vendetta: gli fecero ancora guerra nel 1563 molti fuorusciti, li quali unitisi a truppe, avendo fatto lor Capo un Cosentino, chiamato Marco Berardi, infestavano la Calabria. Questo successo fece tanto rumore in Europa, che il Presidente Tuano lo stimò degno di riportarlo nelle sue dette Istorie166. Ei narra, che l'audacia di costui crebbe tanto, che fattosi chiamare Re Marcone, si usurpò tra' suoi le Regie insegne, e la regal potestà, ed avea già raccolto un competente esercito, con cui depredando i Paesi contorni, di ladrocinj, di prede alimentava le sue genti. Tentò anche di sorprendere Cotrone; ma ebbe infelice successo. Il Duca d'Alcalà vedendo, che i soliti rimedj contra tanta moltitudine niente valevano, diede il pensiero a Fabrizio Pignatelli Marchese di Cerchiara Preside di quella Provincia, che con seicento cavalli loro andasse sopra per estirparli; e bisognò valersi di milizie regolate per combatterli; nè ciò bastando ad intieramente disfarli, fu duopo con stratagemmi e pian piano andarli estinguendo, siccome felicemente gli avvenne: nel che vi conferì anche l'opera del Pontefice Pio IV, il quale ordinò, che inseguiti, se mai ponessero piede nello Stato Ecclesiastico fossero presi e dati in potere de' Ministri regj.
Ma nemici, quanto più perniziosi alla potestà del suo Re, altrettanto cauti ed accorti, ebbe egli a debellare in tempi molto difficili e scabrosi. Ebbe egli a combattere con gli Ecclesiastici e con li Ministri della Corte Romana, i quali con istravagantissime pretensioni tentavano far delle perniziose intraprese sopra la potestà temporale del Re, ed offendere in mille modi le sue più alte e supreme regalie, per l'opportunità, che in più capitoli saremo ora a narrare.
§. I. Contese insorte intorno all'accettazione del Concilio di Trento nel Regno di Napoli
Dappoichè sotto il Pontificato di Pio IV ebbe compimento il cotanto famoso Concilio di Trento, che per tanti anni, ora differito, ora sollecitato, secondo i varj fini della Corte di Roma e de' Principi, finalmente con gran sollecitudine e prestezza di quella Corte fu terminato a decembre dell'anno 1563, i Principi, contra ogni loro aspettazione, s'avvidero, che avea quello sortito forma e compimento tutto contrario a que' disegni, onde furono mossi a proccurarlo; poichè quando credevano, che intorno alla Disciplina si dovesse dar riforma all'Ordine Ecclesiastico, e moderare la tanta potenza della Corte di Roma, e restringere l'autorità degli Ecclesiastici, allargata fuori de' confini della potestà spirituale, in diminuzione della temporale, videro, che la deformazione (secondo i disegni di Roma, ed il modo concertato intorno all'esecuzione de' decreti della riforma) dovea essere molto maggiore, siccome l'evento il dimostrò; e si cominciò a vedere sotto il Pontificato istesso di Pio IV, il quale, siccome narra il Presidente Tuano167, appena terminato il Concilio, nel seguente anno 1564, contra i decreti di quello, per gratificare ad Annibale Altemps ed a Marco Sittico Cardinale dispensando a quelli, avea rivolti tutti i suoi pensieri a raccorre denari; e più chiaramente si conobbe poi sotto gli altri Pontefici suoi successori; videro che la loro potenza si era in pregiudizio de' Principi troppo più ben radicata e stabilita. Per la qual cosa tutti invigilando acciocchè non ne ricevessero danno; quando si trattò di ricevere ne' loro dominj i decreti del Concilio attinenti, non già alla Dottrina, ma alla Disciplina, insorsero tra' Regni Cattolici nuove difficoltà e contese.
In Germania i decreti della Riforma appresso i Cattolici non vennero in considerazione alcuna; anzi l'Imperadore, il Duca di Baviera e gli altri Principi Cattolici dimandarono l'uso del calice per li Laici, e che fosse permesso l'ammogliarsi a Sacerdoti168.
In Francia s'impedì la pubblicazione del Concilio, ed il Re si scusava col Papa, che secondo lo stato, nel quale allora si trovava la Francia, era la pubblicazione molto pericolosa169. In fine la Dottrina del Concilio vi fu ricevuta per essere l'antica dottrina della Chiesa Gallicana, ma i decreti sopra la Disciplina, quelli che non erano di diritto comune, furono rigettati dall'autorità del Re e dal Clero, ancorchè fossero state grandi l'istanze di Roma per farli ricevere e pubblicare170; ed appena i decreti del Concilio furono dati alle stampe, che tosto il Parlamento di Parigi si vide tutto inteso ad esaminar quelli riguardanti la Disciplina, notandone moltissimi, particolarmente quelli stabiliti nelle due ultime Sessioni tenute con tanta fretta, pregiudizialissimi, non meno alla pubblica utilità, che alla potestà del Re, ed alle supreme sue regalie171. Notarono avere il Concilio stabilita l'immunità Ecclesiastica, secondo le Decretali di Bonifacio VIII, per interessare i Prelati di Francia ad usare tutti i loro sforzi, come gli usarono, per essere il Concilio ricevuto; ma essendosi il Parlamento sempre vigorosamente opposto, riusciron loro vani, ed inutili172. Notarono essere stata allargata fuori de' suoi termini l'autorità Ecclesiastica, con diminuzione della temporale, in dando a Vescovi potestà di procedere a pene pecuniarie, ed a presure di corpo contra i Laici: essersi posta mano sopra i Re ed Imperadori, ed altri Principi sovrani, sottoponendoli a pena di scomunica, se permettessero ne' loro Dominj il duello. Lo scomunicar ancora i Re e i Principi sovrani, lo stimavano intollerabile, avendo essi per massima costante in Francia, che il Re non possa essere scomunicato, nè gli Ufficiali Regj, per quel che tocca all'esecuzione del lor carico. Che il privar i Principi de' loro Stati e gli altri Signori de' Feudi, ed a Privati confiscare i beni, erano tutte usurpazioni dell'autorità temporale, non estendendosi l'autorità data da Cristo alla Chiesa a cose di questa natura. Essersi fatto gran torto non meno a' Principi, che a' privati intorno alla disciplina de jus patronati de' secolari: non approvavano in modo alcuno, che fosse concesso ai Mendicanti il posseder beni stabili: di obbligare i Parrocchiani, con imposizioni di collette, primizie o decime a sovvenire i Vescovi e Curati, de' proprj beni nell'erezione di nuove Parrocchie. In breve tutto ciò, che concerne la nuova disciplina, toltone ciò che era di diritto comune, non fu ricevuto, ed apertamente rifiutato. Con gran contenzione per ciò fu dibattuta in Francia la pubblicazione di questo Concilio, per la quale da Roma si facevano premurose istanze; e se bene, essendo stata sempre tenuta lontana, finalmente nell'anno 1614 nel Regno di Luigi XIII non pur l'Ordine Ecclesiastico, ma la Nobiltà la richiedesse; nulladimeno essendosi vigorosamente a ciò opposto il terzo Stato, e l'ordine della plebe, non ebbero l'istanze fattene verun effetto173. Uscirono in Francia in detto anno 1614 più scritture sopra ciò, fra l'altre una, che portava questo titolo; Sylloge complurium articulorum Concilii Tridentini, qui juri Regum Galliae libertati Ecclesiae Gallicanae, privilegiis, et immunitatibus Capitulorum, Monasteriorum, et Collegiorum repugnant.
In Ispagna il Re Filippo II intese con dispiacere essersi con tanto precipitamento terminato il Concilio, ed in quelle due ultime Sessioni essersi stabilite molte cose in diminuzione della potestà temporale de' Principi174, ma colla solita desterità spagnuola, adattandosi a' tempi, ei mostrava in apparenza tutta la soddisfazione d'essersi il Concilio compito, e di volerlo far tosto pubblicare ed accettare in Ispagna ed in tutti i Regni della sua Monarchia; ed essendo stato informato da' suoi Ministri, che ne' decreti di Riforma vi erano molte cose pregiudizialissime alla sua potestà, al costume de' suoi Regni, ed alla pubblica utilità dei suoi popoli, deliberò, con molta riserba e cautela di congregare innanzi a se li Vescovi, ed Agenti del Clero di Spagna, per trovar modo, come quelli doveano eseguirsi, e con qual temperamento; onde non solamente tutto quel, che si fece in Ispagna nel ricevere ed eseguire li decreti del Concilio, in questo nuovo anno 1564, fu per ordine e deliberazione presa nel Regio Consiglio; ma alli Sinodi che tennero i Vescovi di Spagna in Toledo, in Saragozza, ed in Valenza (poichè terminato il Concilio in Trento, quasi tutti i Metropolitani d'Europa cominciarono, ed ebbero a gloria il tener anch'essi de' Concilj, adattando per lo più i loro regolamenti e decreti a quelli del Tridentino) il Re per dubbio non si fossero in quelle Ragunanze con tal occasione pregiudicate le sue preminenze e regalie, mandava anche suoi Presidenti ad intervenirvi; facendo proporre ciò, che compliva per le sue cose, ed impedire i pregiudizj.
In Fiandra il Re Filippo, usando di queste medesime arti, scrisse in quest'anno 1564 a Margherita di Parma allora Governatrice, alla quale solamente spiegò, che i suoi desiderj erano, che il Concilio di Trento fosse pubblicato e ricevuto in tutti i suoi Stati; ma Margherita, prevedendo, che per li tumulti, che allora eran cominciati ad eccitarsi in Fiandra, la pubblicazione e recezione di quello avrebbe potuto portare disordini e difficoltà, fece consultare questo punto, non meno a' Vescovi dello Stato, che a' Consiglj, ed a' Magistrati Regj, i quali notando ne' Decreti della Riforma molte cose pregiudiziali alle prerogative e diritti non meno del Re, che de' suoi Vassalli, e contrarie agli antichi costumi, privilegi e consuetudini di quelle province, onde avrebbero potuto, pubblicandosi, cagionare in quelle notabile perturbazione e gran pericolo di popolari tumulti: consultarono alla Governatrice, che la loro pubblicazione non dovea permettersi, se non con espressa modificazione e protesta a ciascuno degli Articoli già notati, che non si dovesse apportare per detta pubblicazione alcun pregiudizio alle suddette ragioni, privilegi e consuetudini, ma che quelle rimanessero sempre salve, illese ed intatte. Il Re Filippo informato di tutto ciò da Margherita, ordinò alla medesima, che nelle province di Fiandra si pubblicasse e ricevesse il Concilio, ma l'avvertì nel medesimo tempo, che la pubblicazione si permettesse con quelle clausole e modificazioni, che il Consiglio Regio avea notate, e così dalla Governatrice fu eseguito; la quale, a' 12 luglio del 1565, permise a' Vescovi la pubblicazione, con inserirvi espressamente la clausola, che la mente del Re era, che per detta promulgazione niente si mutasse, nè cos'alcuna s'innovasse circa le sue regalie e privilegi, così suoi, come de' suoi vassalli, e spezialmente intorno alla sua giurisdizione, ai padronati laicali, ragioni di nominazioni, d'amministrazione d'Ospedali, cognizion di cause, beneficj, decime, e di tutto ciò che negli Articoli notati si conteneva. Furono parimente date, a' 24 luglio del medesimo anno, lettere della Governatrice dirette a' Senati, e Magistrati Regj, contenenti l'istessa clausola175; onde gli Scrittori176 di que' Paesi, avendo fatto un Catalogo (con osservare l'ordine istesso delle Sessioni e dei Capitoli del Concilio) di tutti quegli Articoli notati pregiudiziali, come fece Antonio Anselmo nel suo Triboniano Belgico,177, ammonirono, che il Concilio di Trento, in quanto a' suddetti punti, non era stato in quelle Province ricevuto.
Queste erano le arti e le cautele praticate dal Re Filippo e da' suoi cauti Consiglieri spagnuoli; si proccurava in apparenza tener soddisfatto il Pontefice, con inorpellare e destreggiare, come si poteva meglio lusingarlo, mostrando tutta la riverenza e rispetto alla sua Sede, ed alla sua persona, ma nell'interno non si volevano pregiudicar le loro regalie. All'incontro i Franzesi alla scoverta rifiutarono que' Canoni, non vollero accettarli, ed a' mali nascenti accorrevano tosto col ferro e col fuoco per estirparli. Quindi è, che saviamente disse quell'insigne Arcivescovo di Parigi Pietro di Marca, che queste piaghe gli Spagnuoli proccuravano sanarle con unguenti e con impiastri, ma i Franzesi con ferro e con fuoco: medicamenti assai più efficaci, e propri per la total estirpazione del male, essendosi veduto con isperienza tanto in Ispagna quanto nel nostro Regno di Napoli, ch'essendosi secondo queste massime degli Spagnuoli voluto accorrere a medicare le continue piaghe e ferite, che riceve la regal giurisdizione, con tali impiastri ed unguenti, le controversie, se per qualche tempo rimanevan sopite, non eran però estinte; anzi essendo gli Ecclesiastici sempre accorti e vigilanti, le facevano risorgere in tempi per essi più opportuni, ne' quali sovente ci mancava, non pur il ferro ed il fuoco, ma anche l'impiastro; onde quasi sempre facevano delle scappate sopra la potestà temporale de' nostri Principi. Quindi è, che Giovanni Bodino178 chiamava i Re di Spagna, Servi obsequentissimi de' Romani Pontefici.
Così appunto avvenne a noi intorno a questo soggetto del Concilio: poichè per avere voluto usar questi modi, venneci posto in controversia ciò, che in Francia ed in altri paesi era fuor di dubbio.
Il Re Filippo dunque per mostrar in apparenza, come si è detto, la subordinazione al Papa, di voler far valere i decreti di quel Concilio in tutti i suoi Regni, pubblicati che quelli furono in un volume stampato, mandò in Napoli un ordine generale, colla data de' 27 luglio di quest'anno 1564, diretto al nostro Vicerè Duca d'Alcalà, nel quale gli diceva, che avendo egli accettati li Decreti del Concilio, che il Papa gli avea mandati, voleva, che nel Regno di Napoli si pubblicassero, osservassero ed eseguissero. Ma nell'istesso tempo mandò sua lettera a parte al suddetto Vicerè scritta sotto lo stessa data, significandogli, che avea per sua carta ordinato, che s'osservassero, ed eseguissero i Decreti del Concilio Tridentino nel Regno di Napoli, come in tutti gli altri suoi Regni e Stati; con tutto ciò non voleva per questo, che punto si derogasse a quel che toccava alla sua preminenza ed autorità regale, nè alle cose che gli possano apportar pregiudizio ne' Juspatronati Regii, nell'Exequatur Regium delle Bolle, che vengono da Roma, ed in tutte le altre sue ragioni, e regalie; che per ciò gli comandava, che stesse ben avvertito di non far fare novità alcuna, imponendogli di mandar nota di tutte le cose, che noteranno in detti Decreti pregiudiziali alle sue preminenze ed autorità regale. Avvertendolo ancora, di non far saper niente a Roma, che tenga questo suo ordine; ma che simuli il contrario, dicendo aver ricevuto ordine di far osservare detti Decreti179.
Il Duca d'Alcalà in esecuzione di questi ordini regali, dando a sentire in pubblico avergli il Re ordinato l'osservanza del Concilio, diede all'incontro incombenza segreta al Reggente Francesco Antonio Villino, che gli facesse nota di tutti i capi, ch'erano nel Concilio pregiudiziali alla giurisdizione, per doverla mandare al Re. Il Reggente Villano ubbidì prontamente e fecene relazione; ma avendone da poi scoverti altri, fece la seconda, nelle quali notò molti capi pregiudiziali alla potestà temporale di Sua Maestà, e moltissimi altri, che toccando i laici, offendevano la sua regal giurisdizione180. Però l'opera del Reggente Villano non fu così esatta, che alcuni non fuggissero la presa della sua mano, e non restasse ad altri anche parte per rispigolare. Noi in questa Istoria per quanto concerne il nostro instituto, noteremo i capi più importanti, e da non tollerarsi senza un gravissimo torto e grande offesa delle supreme regalie de' nostri Principi.
Intollerabile è quello, che si legge in molti Decreti, per vedersi allargate fuori de' termini d'una potestà spirituale la facoltà data a' Vescovi di procedere contra a' Laici a pene pecuniarie ed a prese di corpo. Nella sessione quarta181, agl'Impressori delle Scritture, o d'altri sì fatti sagri libri, che senza licenza dell'Ordinario, o senza nome degli autori gl'imprimono, oltre la scomunica, s'impone pena pecuniaria, a tenor del Canone dell'ultimo Concilio Lateranense, celebrato sotto Lione X. Si dà parimente nella sess. 25182 a' Vescovi (affinchè non diano subito di piglio alle scomuniche) potestà di valersi della medesima pena e di multe pecuniarie, col costringimento ancora delle persone de' rei, indifferentemente a' Cherici ed a' Laici o per propri, o per alieni esecutori; come se volendo imprigionare i Laici, non manchi loro la potestà di farlo, ma sovente quando non possa riuscir ad essi co' propri esecutori, manchi loro il bargello e perciò debbano ricorrere a' Magistrati per la esecuzione e ministero della cattura. Parimente nella Sess. 24183 alla concubina, che passato l'anno, durando nella scomunica, non lascia il concubinato, si vuole, che i Vescovi possano sfrattarla dalla Terra o Diocesi e solamente, se sarà di bisogno, possano invocar il braccio secolare, poichè se loro verrà in acconcio di farlo coll'opera de' propri esecutori, bene starà; in caso contrario si valeranno, per l'esecuzione dello sfratto, del ministero secolare, ciò ch'è di maggior offesa e disprezzo.
Quando fra' PP. del Concilio si cominciarono a sentire queste pene, alcuni non poterono non ascoltarle senza scandalo e fra gli altri il Vescovo d'Astorga e l'Arcivescovo di Palermo spagnuoli fortemente si opposero, dicendo, che il Signor Nostro a' suoi Ministri non avea data altra autorità, se non la pura e mera spirituale, che perciò non potevan essi imporre a' Laici multe di denaro, onde la pena dovea essere meramente spirituale, come di scomunica; ma narra il Cardinal Pallavicino184, che questi Prelati furon fortemente ripigliati dal Vescovo di Bitonto italiano, dicendo loro che la maggior parte de' Deputati era di opposto parere: riconoscendo (come sono le parole del Cardinale) nella Chiesa tutta quella potestà, che ricercasse il buon reggimento del Cristianesimo e dicendo, che l'esperienza insegna, essere le pene temporali più efficaci delle spirituali ad impedire i delitti esteriori, perciocchè la pena è introdotta per freno de' malvagi, là dove a ritrarre i buoni, basterebbe, che l'opera fosse illecita, quantunque impunita, ed i malvagi sono malvagi, perchè antipongono li beni del corpo a que' dello spirito. In questa maniera, riconoscendo gli Ecclesiastici nella Chiesa tutta quella potestà, che ricercasse il buon reggimento del Cristianesimo, potrà ella, per conseguire questo buon reggimento, valersi di tutti i mezzi che possono a quello conducere; e perchè vede che a conseguir tal fine sono più efficaci le pene temporali che le spirituali, può, tralasciando queste, dar di piglio a quelle; onde, se stimerà forse più efficaci mezzi gli esilj e la confiscazion de' beni, che non sono gli sfratti e le multe pecuniarie, avrà tutta la potestà di farlo, sempre che venga indirizzato al fine del buon reggimento del Cristianesimo. E se pure queste non bastassero, potrebbesi venire ancora alle relegazioni, alle condannagioni di galea, alle mutilazioni di membra, agli ultimi supplicj, a' talami, ed alle forche, perchè sempre che condurranno a quel buon reggimento, tutto si può, e tutto lece. Chi mai udì cose sì portentose e stupende! Questo istesso Scrittore, siccome ad altro proposito fu da noi ponderato, aggiunge altrove185 un'altra ragione, perchè possono gli Ecclesiastici imporre queste pene pecuniarie; poichè altrimente sarebbe l'istesso, che allentar la disciplina; poichè e' dice, la pecunia è ogni cosa virtualmente. Così la pena pecuniaria è dall'umana imperfezione la più prezzata di quante ne dà il Foro puramente Ecclesiastico; il quale non potendo, come il secolare, porre alla dissoluzione il freno di ferro, convien che gliel ponga di argento. Accortisi per tanto i savj Principi di così perniciose massime, non permisero, che allignassero negli loro Stati: onde presso di noi vi fu dato riparo, nè mai il Duca d'Alcalà fece valere nel Regno questi Decreti, siccome fecero, come diremo più innanzi, i suoi successori.
Si notarono ancora negli altri Decreti di quel Concilio altri capi di non minor pregiudicio. Nella sess. 5,186 sotto un grand'inviluppo di parole si parla di doversi esaminare ed approvare da' Vescovi i Maestri di Grammatica ed i Lettori di Teologia, comprendendovi anche le pubbliche Scuole e le Università degli Studj, i cui Lettori, o l'Università istessa, o il Principe gli fornisce di potestà bastante, per potere ivi insegnare qualunque facoltà sagra o profana, che si fosse, senza esame ed approvazione alcuna de' Vescovi. Da ciò nacque presso noi la baldanza d'alcuni Vescovi, i quali ne' loro Sinodi per lo più raccolti col medesimo spirito del Tridentino, avanzandosi sempre più, stabilirono, che i Maestri di Grammatica e tutti gli altri Professori di scienze, non potessero sotto pena di scomunica, nè in pubblico, nè in privato, insegnare senza lor licenza ed approvazione, onde al Tribunal della giurisdizione ha bisognato reprimere tal abuso non senza contrasti e litigj.
Nella sessione 21 e nella sess. 24187 si prescrive, che riputando il Vescovo di far nuove Parrocchie, non bastando l'entrate, e' frutti della Matrice Chiesa, possa costringere il Popolo con imposizioni di decime, di collette, o in altra guisa che stimerà, a somministrare ciò che bisogna, per sostentamento de' Sacerdoti e Cherici, che stimerà. Parimente, se i frutti delle Chiese Parrocchiali non bastassero alla sustentazione de' Parrochi, e de' Preti, possa il Vescovo, quando per l'unione de' beneficj non si possa arrivare, costringere i Parrocchiani con collette, primizie, o decime a supplire il bisogno. Questi decreti in Francia, siccome nel nostro Regno, nè meno furono ricevuti, come pregiudizialissimi alla potestà de' Principi, presumendosi di poter metter pesi a' Popoli, e collette; in tempo, che il Clero ha acquistato tanto, che molto poco resta a' secolari, e bene i nuovi Parrochi e poveri, potranno esser sovvenuti da' ricchi; e la Chiesa abbonda ora cotanto di rendite, che bastano a sostenere non pur il bisogno, ma il fasto e 'l lusso.
Nella sess. 22188 si notarono più cose da non doversi accettare. Nel cap. 8 si sottopongono alla visita de' Vescovi tutti gli Ospedali e Confraterie de' Laici; tutti i Monti e Luoghi pii da' Secolari eretti, per essere di pietà, e da essi amministrati, eccettuandone solamente quelli, che sono sotto l'immediata protezione Regia, in maniera che non ostante, che questi siano meri Corpi Secolari, abbiano della loro amministrazione a dar conto a' Vescovi, non ostante ancora qualunque consuetudine, anche immemorabile, qualunque privilegio e qualunque statuto in contrario, e nel cap. 9 et 10 de Reformat. sess. 24, parimente tutte le Chiese de' Secolari si sottopongono alle visite dei Vescovi. Nel cap. 9 s'impone anche agli Amministratori Laici destinati per le fabbriche di qualsivoglia Chiesa, Ospedale e Confrateria, di dover dar conto ogni anno all'Ordinario. Nel cap. 10 si sottopongono i Notari Regj all'esame de' Vescovi, e di poter essere da quelli sospesi dall'esercizio del loro ufficio, o perpetuamente, o a certo tempo, etiam si Imperiali, aut Regia authoritate creati fuerint. Nel cap. 11 si mette mano sopra i Laici, e sopra coloro che hanno jus patronati, con impor loro pena di privazione di quelli, se s'abuseranno delle rendite, frutti, ragioni e giurisdizioni delle loro Chiese, ancor che fossero Laici.
Nella sess. 23 al cap. 6189 si dà il privilegio del Foro a' Chierici di prima tonsura, ed a' conjugati a lor talento, essendo le circostanze a lor arbitrio prescritte, come se niente a' Principi appartenesse il vedere, quando possano esimere dalla loro giurisdizione i loro sudditi, e quali requisiti debbano avere: siccome anche fassi nel cap. 17. E nel cap. 18 si toccano anche i beni de' Corpi Secolari per supplire a' bisogni de' Seminarj, che si vogliano istituire, e nuovamente fondare. Parimente nella sess. 24 al cap. 11190 si toccano i Cappellani Regj intorno a' loro privilegi, ed esenzioni dagli Ordinari: e nella ultima sessione con molta precipitanza, e con troppa fretta tenuta, si notano pregiudizi assai più spessi e gravi. Ne trasceglieremo alcuni.